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bastaconeurocrisi

Superbonus, il “buco” che non c’è

di Marco Cattaneo

Gli euroausterici vaneggiano a reti unificate in merito al “buco da 200 miliardi nei conti pubblici” che sarebbe stato prodotto dal Superbonus.

Naturalmente una prima risposta ovvia a questa affermazione è che sono stati emessi 200 miliardi di crediti fiscali, a fronte dei quali è stata però conseguita una crescita di PIL e di gettito. Parlare di “200 miliardi di buco” tiene conto di un elemento (i crediti emessi) ignorando l’altro (la crescita di gettito).

Ma in realtà l’errore dell’affermazione è ancora più basilare.

Immaginiamo che un’Italia in possesso della propria moneta decida di effettuare una manovra fiscale espansiva emettendo 200 miliardi (in lire) e distribuendoli ai residenti.

E immaginiamo che dopo un anno i 200 miliardi vengono utilizzati per pagare tasse. Si crea un buco ? no, perché l’Italia può, semplicemente, emettere altri 200 miliardi. La quantità di moneta in circolazione rimane la stessa, e non c’è bisogno di effettuare alcuna manovra fiscale restrittiva.

Poi, l’Italia può decidere di offrire al pubblico 200 miliardi di titoli di Stato. A quel punto la moneta in circolazione viene sostituita da titoli per pari importo. Cambia qualcosa nella solvibilità dello Stato ? no, perché i titoli sono rimborsabili in lire.

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aldous

La fine delle ideologie (degli altri)

di Marta Mancini

La nostra epoca non è certo contrassegnata dalla fine delle ideologie, dopo che, sbaragliata la concorrenza, la grande narrativa del pensiero unico gode di ottima salute; c'è invece da esitare sull'inconsistenza della tesi di Fukuyama della fine della storia giacché quella del mondo occidentale sembra aver trovato nel capitalismo un ancoraggio talmente saldo da impedire il benché minimo sommovimento capace di metterne in crisi gli ingranaggi. Anzi, il non funzionamento dell'attuale versione ultraliberista del capitale favorisce il rilancio dello stesso modello con una posta sempre più alta di crisi ricorrenti e acute ma mai in grado di dissolverlo.

In un passo della celebre Prefazione del 1859 a Per la critica dell'economia politica, Marx sosteneva che «il modo di produzione della vita materiale condiziona, in generale, il processo sociale, politico e spirituale della vita. Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza. A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti ... e allora subentra un'epoca di rivoluzione sociale».

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piccolenote

L'attacco a Israele in un Medio oriente cambiato

di Piccole Note

L'attacco dimostrativo dell'Iran ha cambiato il Medio oriente. Israele dovrà adattarsi alla nuova realtà o sarà la catastrofe

Mentre Israele informa il mondo che risponderà all’attacco iraniano, anche se sembra in maniera tale da evitare la grande guerra (cosa tutta da vedere dal momento che l’Iran ha detto che, nel caso, risponderà), proponiamo l’analisi di Peter Akopov pubblicata su Ria Novosti che ci appare alquanto lucida, anche se forse un po’ troppo deterministica. C’è un imponderabile, dato anche dalla follia di cui hanno dato dimostrazione negli ultimi tempi i falchi Usa e israeliani, che andrebbe comunque tenuto presente.

“Situazione sorprendente – scrive Akopov – quasi tutto il mondo chiede a Israele di non rispondere all’attacco iraniano, perché si trattava di una risposta all’attacco all’ambasciata iraniana a Damasco, e allo stesso tempo tutti si interrogano sui probabili scenari di una risposta israeliana”.

 

Israele e il dilemma di Netanyahu

“Israele colpirà il territorio iraniano nei prossimi giorni o preferirà vendicarsi contro gli alleati dell’Iran in Libano? La domanda non è futile. In caso di attacco all’Iran, seguirà un attacco di ritorsione che, come promesso da Teheran, sarà molto più potente dell’attacco del 14 aprile.

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lantidiplomatico

Il Niger ingiunge agli Usa di andarsene e si avvicina alla Russia

di Giacomo Gabellini

Lo scorso 16 marzo, il colonnello Amadou Abdramane, portavoce della giunta militare nigerina che nel luglio del 2023 aveva deposto il presidente Mohamed Bazoum, ha annunciato la revoca immediata dell’accordo che autorizzava lo stazionamento di personale statunitense sia civile che militare nel Paese. Conformemente all’intesa, siglata nel 2012, gli Stati Uniti avevano schierato nelle basi 101 (contigua all’aeroporto di Niamey) e 201 (situata nel centro del Paese e soggetta a una recente opera di ristrutturazione costata al Pentagono circa 100 milioni di dollari) circa 1.100 miliari oltre ad aerei da trasporto C-130J e droni Mq-9 Reaper in funzione di intelligence e contrasto al terrorismo, perpetrato nell’area del Sahel dai gruppi jihadisti connessi allo Stato Islamico e ad al-Qaeda.

Significativamente, la decisione del governo di Niamey fa seguito a una serie di incontri diplomatici con una delegazione statunitense composta dall’alto funzionario del Dipartimento di Stato preposto agli affari africani Molly Phee, dall’assistente del segretario alla Difesa per gli affari di sicurezza internazionale Celeste Wallander e dal generale Michael Langley, a capo dell’African Command (Africom) del Pentagono.

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giubberosse

La promessa di Teheran

di Enrico Tomaselli

Atteniamoci ai fatti. La ritorsione iraniana per l’attacco israeliano all’ambasciata di Damasco è stata calibrata ed equilibrata. L’Iran non voleva la guerra con Israele (non la guerra aperta, e non ora), diversamente dal governo di Tel Aviv, che nel prosieguo della guerra – nella sua possibile espansione – vede l’unica chance di sfuggire al redde rationem interno, e magari persino un’opportunità di espandersi ancora. Pertanto Teheran si è mossa con calma, appellandosi al diritto internazionale (art.51 delle Nazioni Unite), e avendo cura di colpire esclusivamente obiettivi militari: due aeroporti strategici e un comando nel Golan occupato. Inutile rimarcare la differenza con Israele. Lo scopo è evidentemente quello di tracciare – come si usa dire – una linea rossa: non saranno più tollerati gli attacchi israeliani, e a ogni azione corrisponderà una reazione. L’attacco di rappresaglia, quindi, doveva essere tale da marcare con forza questa red line, doveva essere inequivocabile, e non doveva offrire il pretesto per innescare un allargamento del conflitto. Gli obiettivi, pertanto, erano eminentemente strategici, non tattici; non misurabili, quindi, in termini quantitativi (quanti e quali danni), se non secondariamente.

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manifesto

Pezzo dopo pezzo nell’economia di guerra

La Ue contro il welfare

di Emiliano Brancaccio

Si usa dire che stiamo precipitando verso una guerra mondiale “a pezzi”. Possiamo anche aggiungere che stiamo scivolando verso una “economia di guerra”? Alcuni prodromi, in effetti, si intravedono.

Due caratteristiche sono tipiche di un’economia che tende verso la guerra: l’aumento del deficit pubblico per finanziare il riarmo e la spinta inflazionistica a danno dei salari.

La mobilitazione delle finanze pubbliche per il rilancio della spesa militare è già in corso. I dati World Bank indicano che nell’ultimo decennio l’Unione europea ha accresciuto la spesa per armamenti di quasi un quarto. L’Italia è andata oltre, con aumenti superiori al 25 percento. Se accettiamo la tesi di un recente manifesto pubblicato dall’istituto Bruegel e dagli altri think-tank europei, siamo ormai nel mezzo di una “nuova guerra fredda”. Considerato che negli anni della “vecchia guerra fredda” l’Italia e il resto d’Europa spendevano per armi oltre il doppio di oggi, c’è da temere che l’incremento della spesa militare sia solo iniziato.

Ma come finanziare una tale corsa al riarmo? Ancora più tagli e privatizzazioni nei servizi pubblici, dalla sanità alla scuola, sarebbe la risposta ideale degli economisti ortodossi.

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marxismoggi

Keynes, Shaw, Stalin, Wells e il socialismo nel lungo periodo

di Luigi Cavallaro*

Nel luglio 1934, H. G. Wells si recò a Mosca per intervistare Stalin. Il colloquio tra lo scrittore inglese e il leader bolscevico durò circa tre ore, alla presenza di un interprete, e il 27 ottobre successivo ne fu pubblicata la trascrizione integrale sul settimanale britannico The New Statesman and Nation.

Il periodico aveva cominciato le pubblicazioni sotto questo nome tre anni prima, a seguito della fusione di due riviste appartenenti all’area della sinistra socialista e liberale inglese: The New Statesman, che era stata fondata nel 1913 dai coniugi Sydney e Beatrice Webb e da George Bernard Shaw, e The Nation and the Athenaeum, che era invece di proprietà di John Maynard Keynes, che l’aveva acquistata e così ribattezzata nel 1923. La prima era un organo ufficiale della influente Fabian Society, alla quale appartenevano molti esponenti del partito laburista, mentre la seconda, pur guardando con simpatia ai laburisti, aveva mostrato più d’una preferenza per il partito liberale. L’esito delle elezioni del 1929 aveva però convinto Keynes a mettersi al lavoro per realizzare una fusione tra le due riviste; e sebbene il progetto fosse culminato, nei primi mesi del 1931, con l’acquisizione di The Nation and the Athenaeum da parte di The New Statesman, lo stesso Keynes, divenuto presidente del nuovo consiglio di amministrazione, aveva chiesto e ottenuto sia di cambiare il nome della testata (che divenne appunto The New Statesman and Nation), sia soprattutto che direttore responsabile fosse nominato Kingsley Martin, con il quale l’anno prima aveva partecipato al comitato promotore di un altro periodico politicamente molto connotato a sinistra, il trimestrale Political Quarterly, di cui lo stesso Martin era diventato condirettore.

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altrenotizie

Israele e l’equazione iraniana

di Michele Paris

L’attacco iraniano sul territorio di Israele è stato un evento di portata storica e potenzialmente in grado di cambiare gli equilibri mediorientali nonostante le autorità dello stato ebraico e i governi occidentali stiano facendo di tutto per minimizzarne conseguenze e implicazioni. I danni materiali provocati da missili e droni della Repubblica Islamica sembrano essere stati trascurabili, anche se tutti ancora da verificare in maniera indipendente, ma il successo dell’operazione è senza dubbio da ricercare altrove.

La premessa necessaria a qualsiasi commento della vicenda è la legittimità dell’iniziativa di Teheran. Come hanno sostenuto i leader iraniani, la ritorsione è giustificata in base all’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, relativo alla legittima difesa, in quanto avvenuto dopo un attacco a tutti gli effetti contro il territorio dell’Iran, cioè il bombardamento della rappresentanza diplomatica di quest’ultimo paese a Damasco il primo aprile scorso.

Il primo fattore da considerare è poi l’obiettivo iraniano, che in nessun modo era di causare danni su ampia scala né di favorire un allargamento del conflitto in Medio Oriente. Gli avvertimenti da parte di Israele e alleati che avevano preceduto l’attacco e i proclami registrati subito dopo circa il fallimento dell’operazione iraniana lasciavano intendere che Teheran puntava poco meno che a distruggere lo stato ebraico.

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comuneinfo

Il mondo che non vogliamo diventare

di Monica Di Sisto

Israele ha utilizzato i Territori occupati come la migliore vetrina del potenziale offensivo e di controllo dei sistemi d’arma e d’intelligence sviluppati dalle sue aziende di settore. È la tesi di Laboratorio Palestina, ultimo lavoro di Antony Loewenstein nel quale emerge il sostegno israeliano ad alcuni dei regimi più spietati degli ultimi settant’anni, e si denuncia come, paradossalmente, proprio questa capacità bellica e di controllo sono fattori determinanti nel ruolo centrale guadagnato dal Paese nella governance globale tanto da renderlo, nei fatti, inarrestabile

“La lezione che Israele dovrebbe imparare dall’Ucraina (…) è che la forza militare non è sufficiente, è impossibile sopravvivere da soli, abbiamo bisogno di un vero sostegno internazionale, che non può essere comprato semplicemente sviluppando droni che sganciano bombe”. Così all’inizio del 2022 il giornalista e opinionista Gideon Levy, nelle settimane dopo l’invasione della russa, aprì uno squarcio nella prospettiva che oggi, dopo anni di guerra in Ucraina e mesi di massacro in Palestina, appare chiara a chi non sia ottenebrato da fumi ideologici o furie partigiane.

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la citta futura

Dall’ipocrisia alla follia: disamina del suprematismo occidentale in Ucraina

di Francesco Cori

La sconfitta momentanea della Nato in Ucraina è la conseguenza della follia ideologica di usare un intero popolo come strumento per una guerra imperialista contro la Russia. Cosa faranno gli Stati Europei?

Dall’ipocrisia alla follia: disamina del suprematismo occidentale in Ucraina con la narrazione aggredito-aggressore imposta dalla maggioranza dei mezzi di comunicazione occidentali, quindi, senza affatto avere alcuna partecipazione ideale al putinismo, proverò a dimostrare, attraverso le dinamiche stesse della guerra, perché l’imperialismo occidentale è destinato a perderla e, prima questa sconfitta viene riconosciuta, minori saranno i danni per l’umanità.

Il tratto fondamentale della strategia Nato in Ucraina è quello di utilizzare la maggior parte di un popolo– in parte ideologizzato e in misura maggiore costretto da una dittatura fascistoide – come carne da macello per un conflitto geopolitico nei confronti delle popolazioni del Donbass e per l’indebolimento e la frammentazione della Federazione Russa come Stato.

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lantidiplomatico

La prospettiva di una guerra regionale

di Andrea Zhok

Ieri è giunta l'attesa risposta iraniana al bombardamento israeliano del consolato iraniano di Damasco, che aveva ucciso tra gli altri il generale Haj Zahedi.

L'Iran ha effettuato un attacco simultaneo con droni e missili in modo da saturare la poderosa difesa antiaerea israeliana. Missili hanno colpito due basi militari israeliane (monte Hermon e Novatim). Oggi l'autorità iraniana rivendica quei due obiettivi come primari, ma è abbastanza ovvio come questa rivendicazione abbia semplicemente la funzione di far coincidere gli obiettivi raggiunti di fatto con le intenzioni effettive (che non conosciamo), per poter dire che il successo è stato completo.

Al di là di queste schermaglie, gli obiettivi sono stati scelti intenzionalmente tra le basi militari israeliane, tralasciando i civili, in modo da poter considerare con questa risposta chiuso l'incidente aperto con l'attacco a Damasco, nel nome della proporzionalità.

Gli USA, sotto elezioni, non hanno nessuna intenzione di lasciarsi coinvolgere in un conflitto diretto con l'Iran, che li esporrebbe sull'ennesimo fronte simultaneo in termini di un sempre più complicato sostegno militare (Ucraina, Taiwan, Siria, ecc.). Biden ha già fatto sapere che, pur sostenendo come sempre Israele, non desidera un'ulteriore escalation.

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contropiano2

Palestina-Israele: vittoria strategica e vittoria sul campo

di Paolo De Prai*

Per capire cosa succede a Gaza è necessario guardare cosa accade in Ucraina.

Per quanto i politici italiani “autorevoli” ripetano i loro “atti di fede”, e ugualmente gli altri leader “nani” europei e i giornalisti a loro legati (ed entrambi proni esecutori dei loro padroni yankee), le loro dichiarazioni stizzite e altisonanti sono solo il riflesso della vittoria strategica del governo russo nel confronto con la NATO.

Ancora non c’è la vittoria palese sul campo della Russia, ma quella strategica è già stata ottenuta, perché da più di venti anni i governi USA operavano per accerchiare la Russia e con la guerra in Ucraina in corso da dieci anni (due per i venditori di fumo nostrani) speravano di distruggere economicamente, socialmente e psicologicamente l’avversario, di cui ambivano impossessarsi delle ricchezze minerarie frammentandolo in decine di mini stati (come già dicevano oltre trenta anni fa).

Questa analisi vale anche per la guerra in corso tra lo Stato israeliano contro i palestinesi.

Discutere se l’azione militare di Hamas del 7 ottobre scorso era prevista o voluta dal governo zelota oppure ideata autonomamente dai palestinesi ha poco senso, perché è da molti decenni che a ogni azione della resistenza palestinese la risposta israeliana è stata sempre una maggiore potenza di fuoco, sempre più devastante e con sempre più vittime civili palestinesi.

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pierluigifagan

Neoliberismi precoci

di Pierluigi Fagan

B. Stiegler, filosofa politica francese, conduce in questa ricerca una genealogia del neoliberismo americano, sincronico all’ordoliberismo tedesco e quello poi più idealista di Hayek, versione americana meno conosciuto ma forse anche più influente. L’eroe negativo della storia è il mitico Walter Lippmann. Solo un “giornalista” come alcuni lo ritennero, in realtà politologo pieno e poi politico dietro le quinte, stratega di pratiche e pensiero, inventore di una versione americana della propaganda più sofisticata, delle pubbliche relazioni, dello sterminio sistematico dell’intelligenza collettiva.

Lippmann, come altri liberali oligarchici, rimase sconvolto dal registrare i ripetuti fallimenti del mercato che culminarono nel 1929. Non un ideologo o un economista ma uno dei più grandi storici dell’economia, Paul Bairoch, ha più volte significato quanto brevi e disastrose furono le fasi storiche ed economiche in cui s’impose la dittatura del libero mercato ritenuto ente autoregolato che spande benefici secondo logica. Lippmann allora reagì come i più prudenti tedeschi di quell’ordoliberismo che inaspettatamente scovò M. Foucault nelle lezioni in cui pure s’era ripromesso la fondazione teorica del suo concetto di biopolitica. Strano a notarsi ma era il 1978-9, pochi si sono meravigliati di questa prematura lucidità del filosofo ricercatore francese.

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mondocane

Da Tel Aviv a Roma... Il fascismo non li salverà

di Fulvio Grimaldi

Byoblu-Mondocane 3/21: In onda domenica ore 21.30, repliche, salvo imprevisti, lunedì 09.30, martedì 11.00, mercoledì 22.30, giovedì 10.00, sabato 16.30, domenica 09.00

Qual’è il rimedio delle classi dirigenti, politiche ed economiche (nel capitalismo liberista, tutt’uno) quando la crisi gli morde i calcagni? Il fugone nel fascismo, in qualsiasi nuova forma ritenuta adatta ai tempi. Oggi si presenta in veste psicomanipolatoria-tecnologica, ma senza mai rinunciare alla violenza fisica, a seconda dei casi pestaggi o mattanze.

Ecco cosa hanno in comune i massacri dei nostri fratelli in lotta a Gaza e in Cisgiordania e le teste spaccate dai gendarmi agli studenti delle università italiane – vera eccellenza del paese - che rifiutano gli accordi voluti da Tajani e Crosetto tra ricercatori italiani (leggi Leonardo) e assassini di massa israeliani.

A questo proposito c’è da augurarsi una congiunzione tra generazioni: quella dei maturotti, più ansiosi per la propria sopravvivenza, e i giovanotti, dotati di lunga vita e, dunque, di sguardo più lungo e ampio. Gli stagionati in prima linea nel fronte contro l’assalto farmaceutico-disciplinare, capaci dii riconoscere e contrastare la nuova arma della guerra di classe dall’alto; gli imberbi, assenti o assonnati in quell’istanza, attenti allo sconquasso planetario delle trombe di guerra suonate tra Gaza e Donbass.

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contropiano2

Un mondo nelle mani dei “cani pazzi”

di Dante Barontini

Nell’analizzare gli ultimi sviluppi del conflitto mediorientale sono molti i rischi, o le tentazioni, che possono portare fuori bersaglio.

Anche l’analisi di classe mostra qualche limite, se si fa attenzione al concreto della struttura sociale israeliana – quanto meno – dove ai “cittadini a pieno titolo dello Stato ebraico” (la definizione è stata assunta nella “legge fondamentale”, para-costituzionale) sono riservati tutta una serie di diritti e privilegi, anche in termini di posizioni lavorative, mentre il “lavoro bruto” o lo sfruttamento senza mediazioni è riservato ai palestinesi (il 20% della popolazione) o agli immigrati (thailandesi, cingalesi, ecc).

E’ insomma la struttura tipica delle società coloniali o schiavistiche (tipo l’Atene antica) che riduce la dialettica politica, anche fortemente conflittuale, alla sola “frazione affluente”. Dove si può contestare – e lo si è fatto anche duramente, negli ultimi anni – la torsione autoritaria implicita in alcune riforme istituzionali volute dal governo Netanyahu, ma non certo la sostanza dei rapporti interni e con i paesi vicini, né riguardo ai palestinesi che vivono al di là del Muro di separazione.

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lantidiplomatico

La fine dell'impunità di Israele

di Clara Statello

Il mondo intero è di nuovo con il fiato sospeso, per il terrore di una grande guerra che infiammi il Medio Oriente. L’attacco di ritorsione lanciato dall’Iran, nella lunga notte tra sabato e domenica, ha lasciato senza sonno Israele. Per cinque ore oltre 300 munizioni sono state scagliate contro il territorio israeliano.

La rappresaglia per l’attacco dell’1 aprile a Damasco è arrivata dopo quasi due settimane, ampiamente annunciata, lenta ma imponente.

Secondo le stime ufficiali riportate dal New York Times, l’Iran ha utilizzato 185 droni kamikaze Shahed, 36 missili da crociera e 110 missili terra-superficie. Inoltre è stato accertato l’utilizzo di missili balistici. La maggior parte dei lanci proveniva dall'Iran, anche se una piccola parte proveniva dall'Iraq e dallo Yemen.

E’ il primo confronto diretto tra i due Paesi e una dimostrazione militare dell’asse della resistenza.

Non ci sono vittime, meno di una decina di feriti, tra cui purtroppo una bambina di 7 anni in terapia intensiva per una grave ferita alla testa, riporta il Times of Israel. Le forze israeliane (IDF) affermano che il 99% dei lanci è stato intercettato dall’Iron Dome. USA, Gran Bretagna, Francia e Giordania hanno contribuito a intercettare la massiccia raffica di missili e droni.

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pierluigifagan

Decidere in contesti complessi

di Pierluigi Fagan

Molti neuroscienziati notano come il nostro cervello-mente si sia lungamente evoluto, quindi formato, alle prese con problemi vicini (fame, sete, sicurezza), immediati (giorno per giorno, ogni giorno) relativamente semplici (amico/nemico, sesso, utile/inutile), in gruppi piccoli tendenzialmente egalitari, relativamente isolati tra loro, in cui ognuno conosceva ogni altro.

Oggi ci troviamo associati in gruppi enormi, di una certa densità territoriale che si estende ormai alla dimensione planetaria, in cui i più ci sono sconosciuti, dentro formali e informali gerarchie multilivello, con un gran numero di problemi complessi e con decisioni che avranno effetti e conseguenze decennali, che spesso vanno anticipati perché “dopo è tardi”. Si tratta di problemi spesso percettivamente invisibili eppure decisivi come la questione ecologica, climatica, geopolitica, economo -finanziaria, le nuove tecnologie. I gruppi umani molto antichi erano per lo più natura, i gruppi contemporanei sono per lo più cultura.

C’è chi da tutto ciò, trae motivo per promuovere lo sviluppo di protesi cibernetiche e info-tecniche, dagli impianti di chip agli sviluppi dell’Intelligenza Artificiale, che dovrebbero potenziare e correggere il nostro strumento decisionale.

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piccolenote

Ucraina, per il New York Times la matematica la condanna

di Piccole Note

L'unica possibilità, per l'Ucraina, è aprire negoziati su una base realistica e abbandonare i miraggi neocon

Nonostante sia palese che la guerra ucraina è persa, l’Occidente resta aggrappato ai dogmi neocon, incapace non solo di trovare, ma anche solo di pensare una exit strategy da una guerra disastrosa per Kiev e per l’Europa, che il conflitto sta degradando sia a livello economico che politico.

Quest’ultimo aspetto inquieta e interpella sia perché denota un asservimento della Politica europea ai circoli neocon, dipendenza mai registrata in tale misura in precedenza, sia perché evidenzia il degrado delle dinamiche democratiche, dal momento che l’opposizione alle linee guida neocon non ha alcuno spazio di legittimità.

Ironico che tale processo involutivo della democrazia, sempre più accentuato, sia alimentato dagli ambiti che sostengono che è in corso una lotta tra democrazia e autoritarismo…

 

Niente senza l’Ucraina?

Tra i dogmi irrevocabili della narrativa di guerra, quello che vuole che l’Occidente non debba prendere iniziative sui negoziati senza il placet ucraino, conferendo a Zelensky un ruolo di dominus assoluto, ruolo ovviamente solo di facciata essendo egli una marionetta dei neocon.

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comidad

L'oppio delle masse arabe e la cocaina di Israele

di comidad

Le parole dovrebbero essere annoverate nell’elenco delle droghe pesanti, e purtroppo a chiunque può capitare di farsi ogni tanto una “pera” eccessiva. Il quotidiano neocon “il Foglio” si è approfittato del “trip” di uno dei padri costituenti, Umberto Terracini, per fargli fare una figuraccia postuma mettendo in evidenza alcune sue frasi poco felici in sostegno di Israele. Dopo averci ammonito sul fatto che anche Terracini considerava l’antisionismo una forma di antisemitismo, ci viene proposta una citazione nella quale il vecchio comunista contestava ai governi dei paesi arabi “il rifiuto testardo al riconoscimento di Israele, vero oppio per quelle masse immiserite e incolte”. Ma, con tutta la buona volontà, riconoscere cosa? Le masse arabe saranno anche “immiserite e incolte”, però si sono accorte del fatto che Israele non ha mai chiarito quali siano i suoi confini territoriali, cioè dove intende fermarsi e neppure se intende fermarsi.

Le diatribe pretestuose su antisionismo e antisemitismo sono a loro volta nuvole di una fumeria d’oppio, mentre la domanda concreta su quelli che Israele considera i propri confini definitivi non se la fanno soltanto i palestinesi, ma soprattutto i libanesi e i siriani, visto che sono in gioco le loro fonti idriche.

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lantidiplomatico

I successi del boicottaggio al regime israeliano: il caso McDonald's e l'app "No Thanks"

di Agata Iacono

Da questa parte del "mondo democratico occidentale", molti di noi si dibattono tra rabbia e la sensazione drammatica di impotenza nell'assistere allo sterminio in diretta di un intero popolo.

A volte questo senso di frustrazione si trasforma in disagio somatizzato, in depressione (parlo per me e per gli amici e compagni con cui mi confronto ogni giorno). In altri casi, invece, rischia di generare reazioni di autoconservazione fatalista, ricerca del deus ex machina, rimozione.

Eppure qualcosa si muove. Qualcosa possiamo fare. Una piccola goccia insistente sta scavando la roccia.

McDonald's è costretta a riacquistare il franchising israeliano. L'azienda si riprenderà 225 punti vendita dopo che il franchising è diventato un punto di riferimento per le proteste contro il genocidio del popolo palestinese. La catena di fast food è stata oggetto di boicottaggio, soprattutto dopo la dichiarazione di aver fornito pasti gratuiti ai militari israeliani dal 7 ottobre.

McDonald's Corporation ha dichiarato che il franchising israeliano "ha agito senza l'approvazione della sede centrale". McDonald's aveva respinto quelle che aveva definito "notizie inesatte" da parte della rete internazionale BDS (Boicottando Disinvestimento Sanzioni), sulla sua posizione nei confronti di Gaza.

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lafionda

Ancora su Julian Assange, sì ancora e ancora, fino alla libertà

di Alberto Bradanini

 

1. Seguendo un copione creato a tavolino per ingannare la mente di chi si abbevera ai telegiornali della sera, gli Stati Uniti continuano a tirare il guinzaglio legato al collo del cagnolino d’oltremanica. Quel cagnolino era un tempo l’Impero britannico’, oggi solo un maggiordomo che esegue gli ordini dell’Impero Atlantico: tenere Julian Assange in prigione fino alla morte.

Per la più grande democrazia al mondo – da esportare, se del caso, a suon di bombe e che ormai solo i politici europei (e italiani) credono sia tale – il rischio più esecrabile è costituito dall’emergere della verità. Avendo coltivato l’impudenza di esporre al mondo i crimini commessi da americani e britannici in Iraq e Afganistan, esercitando la professione di giornalista, egli deve morire!

Quel bel tomo di H. Kissinger affermò un giorno che occorreva far rinsavire il popolo cileno che aveva osato votare per Allende, con le buone o con le cattive maniere. In analogia, secondo l’avariata narrativa a guida Usa, democrazia e verità sono valori da difendere solo se non interferiscono con le loro impudicizie e quelle dei loro compagni di merenda. Dietro tale narrativa si celano individui spietati, affetti da gravi patologie e per i quali ricchezze e potere non sono mai abbastanza. Coloro che stanno spingendo il mondo nel baratro della distruzione sono gli stessi che prosperano con il sostegno di politici/burocrati, giornalisti e accademici, tutti ben remunerati con carriere e prebende.

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Benvenuti nella seconda guerra mondiale 2.0

di Martino Dettori

La rappresaglia dell'Iran nei confronti di Israele ha fatto salire la tensione in Medioriente e tutti parlano di rischio di WW3, ma la verità è un po' diversa

Qualcuno parla di rischio di terza guerra mondiale davanti alla rappresaglia dell’Iran verso Israele, ma cari miei, una terza guerra mondiale sarebbe solo nucleare. Perciò, definitivamente distruttiva dell’umanità. Avete presente l’anime e il manga “Ken il Guerriero”? Lì, almeno, le armi nucleari sono state relativamente innocue: hanno distrutto il mondo, ma non hanno lasciato radiazioni. Ma nella realtà, una guerra di tale portata, ridurrebbe il mondo a una landa desolata radioattiva, invivibile. E per quanto noi siamo governati dai sociopatici dell’anglosfera e dai loro viceré, è difficile credere che la loro sociopatia arrivi fino al punto da considerare l’autodistruzione un’opzione.

Perciò, oggi l’unica guerra che costoro sono disposti a combattere, è una guerra mondiale a pezzi, fatta di sanzioni economiche, terrorismo e guerre regionali, il cui scopo è mantenere alta la tensione e l’egemonia che si sono costruiti pezzo per pezzo con la fine della seconda guerra mondiale e la vittoria strategica contro l’URSS quarantacinque anni dopo.

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coniarerivolta

Approvato il DEF: il Governo nasconde l’austerità

di coniarerivolta

Il Governo è in difficoltà, è debole. Questo è il precipitato politico di un ragionamento che prende le mosse dalla scelta del Governo di approvare un Documento di economia e finanza (DEF) privo delle principali informazioni sulle tendenze della finanza pubblica e dei conseguenti effetti macroeconomici.

Il DEF è il principale strumento di programmazione economica del Governo, serve a definire il quadro della finanza pubblica per l’anno in corso e per il successivo triennio. In pratica, con il DEF il Governo è chiamato a mettere nero su bianco da un lato quanto spenderà per servizi pubblici, pensioni, sanità, infrastrutture, spesa sociale, scuola, università, ricerca, cultura, e dall’altro come finanzierà quella spesa, cioè a dire quale parte di quella spesa sarà coperta dalle tasse (e dunque dalle risorse tratte dalle tasche dei cittadini) e quale parte, invece, sarà coperta attraverso il debito pubblico, prendendo a prestito risorse.

Nel DEF approvato il 9 aprile dal Consiglio dei Ministri, tutte queste informazioni sono state omesse: il Governo ha deciso di affiancare al quadro tendenziale, che rappresenta le stime circa l’andamento macroeconomico del Paese a parità di condizioni (quindi senza un intervento correttivo del Governo).

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piccolenote

Zaporizhzhia, le bombe sulla centrale atomica

di Piccole Note

"Ora siamo un impero e, quando agiamo, creiamo la nostra realtà", questo il credo a cui rispondono i nostri media, anche sui resoconti, striminziti, dell'ultimo rischio corso dalla centrale nucleare

Dopo l’oblio dell’attacco al Crocus da parte dei media d’Occidente, preoccupati solo di discolpare l’Ucraina dalle evidenti responsabilità, come peraltro accaduto varie volte in passato – a parte eccezioni che confermano la regola – per altre azioni oscure di Kiev, anche l’attacco di droni alla centrale atomica di Zaporizhzhia è passato sottotraccia, come qualcosa di marginale.

 

L’attacco alla centrale di Zaporizhzhia e i topos delle guerre infinite

E ciò nonostante la gravità dell’accaduto: se l’attacco fosse riuscito al 100% poteva creare una nuvola radioattiva al confronto della quale quella di Chernobyl sarebbe stata una barzelletta, essendo quella di Zaporizhzhia la centrale atomica più grande d’Europa.

Pochi e stringati gli articoli e, al solito, debordanti sciocchezze. Due casi esemplari, con Repubblica che, pur ricordando che la centrale atomica è da “due anni occupata dai russi”, riferisce che “Russia e Ucraina si accusano a vicenda”.

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Curare la colpa

di Emma Bracci

Il senso di colpa domina incontrastato nella multiforme platea dei sentimenti umani.

Senso di colpa per non essere abbastanza, per non aver superato l’esame, per non aver performato quanto desideravamo, per aver disatteso le aspettative, per non aver concluso un lavoro, per aver trascurato passioni e interessi, per aver manifestato rabbia, tristezza e paura, per gli errori commessi, per le azioni compiute, per una parola fuori posto, per non esserci stata, per aver mangiato, per aver risposto nervosamente, per quella carezza non data, quei baci rubati e quei libri non ancora letti che, forse, rimarranno immobili sulla nostra mensola.

Senso di colpa per essere in vita.

La colpa appare come un’entità, ci guarda, osserva i nostri movimenti e invade i nostri pensieri. Questo sentimento è profondamente radicato nella cultura della nostra società; esso può rappresentare il simbolo di un rimpianto, di estremo individualismo o di autocritica declinata come esasperata responsabilità. Anche in un momento di serenità la colpa è sempre lì, a ricordarci che in fondo qualcosa può sempre andar male e fuoriuscire dai binari prestabiliti. La colpa è come una sentinella, è presente proprio quando siamo assenti a noi stessi. La colpa è un tribunale, non perde occasione di incolparci insistentemente.

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contropiano2

Non è un mondo per far figli

di Dante Barontini

Immancabili, come ogni anno, i dati Istat sull’andamento demografico del paese registrano un deciso segno meno”. Che non è grave soltanto in sé, ma soprattutto perché conferma una tendenza di lunghissimo periodo.

Dal 1964 a oggi sono stati pochissimi gli anni in cui le nuove nascite sono state più numerose dell’anno precedente, ma anche a uno sguardo disattento balza agli occhi che la dimensione delle diminuzioni è sempre alta, mente i “rimbalzi” sono sempre appena percettibili.

Il risultato finale, al 2023, non lascia dubbi: i nuovi nati sono stati l’anno scorso 379mila, oltre il 60% in meno del milione e più registrato nel 1964.

Appare scontato, come sempre, che il “tasso di sostituzione” generazionale – a questo livello – non garantisce più la tenuta complessiva del paese, sia per quanto riguarda la produzione di ricchezza, sia per tenuta dei conti pubblici futuri (meno gente al lavoro significa meno entrate fiscali), sia – persino – per le fantasie macabre dei guerrafondai che cominciano a indicare la “leva obbligatoria” come via maestra per contribuire alla guerra contro Russia, Cina e chiunque capiti a tiro.

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lavoroesalute

Fascista è chi fascista fa

di Alba Vastano

"… Il problema è stabilire chi non è in parte coinvolto nella legittimazione del fascismo come metodo, cioè quanto fascismo c’è in quelli che si credono antifascisti. Non tutto è fascismo, ma il fascismo ha la fantastica capacità, se non vigiliamo costantemente, di contaminare tutto” (Michela Murgia)

Essere democratici è una fatica immane. Allora perché continuiamo a esserlo quando possiamo prendere una scorciatoia più rapida e sicura?’. Così Michela Murgia, la scrittrice sarda recentemente scomparsa, nel suo pamphlet del 2018 dal titolo provocatorio: ‘Istruzioni per diventare fascisti’.

Con una originale sapienza dialettica, com’era suo stile di comunicazione in ogni dibattito pubblico e nel relazionare sulle grandi ingiustizie e ineguaglianze che affliggono le società odierne, Michela Murgia, nel suo saggio, ci invita a sottoporci a un’analisi introspettiva, perché emerga la parte nera del nostro modo di vedere il mondo. Solo prendendo consapevolezza della parte buia, insita in noi, eredità dall’eterna storia dei potenti contro i più fragili per privarli della libertà e dominarli, potremmo tentare di recidere drasticamente i relitti di quel buio passato.

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berlin89

Voglia di Rivoluzione. Tra censure e bugie la libertà svanisce

di Vincenzo Maddaloni

I due anni della pestilenza da Covid-19 si sono rivelati una grande imprevedibile opportunità per testare il livello di ubbidienza che, si può ottenere applicando un regime disciplinare come lo è stato l’obbligo di vaccinarsi, appunto.

La narrativa secondo la quale il barbaro no-vax e chi lo sostiene rappresentano il Male, e quindi vanno denigrati, censurati, emarginati, criminalizzati ha funzionato. Pertanto, lo stesso identico canone è stato applicato su una nuova dicotomia buono-cattivo nella politica internazionale.

Stesso manicheismo, stessa censura, stessa martellante propaganda con l'invito a schierarsi dalla “parte giusta”, stessa creazione di un'opinione pubblica a molla che reagisce pavlovianamente con strabuzzamenti d'occhi e sdegni emotivi.

Ora, diciamo una cosa semplice e, spero, chiara.

Nei sistemi formalmente democratici il potere passa attraverso il dominio dell'opinione pubblica. Idealmente in un sistema di pluralismo dell'informazione, della ricerca, del dibattito, l'opinione pubblica dovrebbe formarsi liberamente e approssimare il vero attraverso la ragione dialettica.

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contropiano2

Il terrorismo ucraino e le velleità interventiste occidentali

di Fabrizio Poggi

L’avesse compiuto, per dire, il Ministro degli esteri russo Sergej Lavrov, un gesto come quello del suo omologo britannico David Cameron, recatosi in “visita di lavoro” da Donald Trump in USA, intrattenendosi – magari – in Germania, con Sahra Wagenknecht, per di più alla vigilia delle elezioni, il coro liberal avrebbe subitamente gridato alle «interferenze russe nei processi democratici dei paesi liberi».

Ma fatto tra “alleati”, per di più di estrazione anglosassone, la cosa rientra nella normalità e, trattandosi della “democratica Ucraina aggredita dal dispotismo russo”, la faccenda diventa addirittura “doverosa”, dato che quei testardi di repubblicani yankee non si decidono a sbloccare i fondi per la junta nazigolpista di Kiev.

E poi, gli “alleati” europeisti già danno Joe Biden per liquidato e dunque, essendo la cosa della massima urgenza, più pratico trattare direttamente col probabile prossimo presidente USA.

C’è quantomeno da tentare di dar continuità a quel fiume di soldi che, in larghissima parte ha preso e prende la strada Occidente-Ucraina (a scapito beninteso non dei capitali occidentali, bensì delle spese sociali delle masse popolari), ma che non ha tralasciato il percorso Kiev-Cipro-Kiev.

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mondocane

Israele non vince, Hamas non perde - LA PALESTINA ACCENDE IL MONDO - Quisling collaborazionisti fuorigioco

di Fulvio Grimaldi

Byoblu-“Che idea ti sei fatto”. Davide Porro con Roberto Hamsa Piccardo, già rappresentante delle comunità islamiche in Italia, Fulvio Grimaldi, Lorenzo Bernasconi, Istituto Machiavelli

https://www.byoblu.com/2024/04/08/gaza-orrore-senza-tregua-che-idea-ti-sei-fatto/

Un’analisi di cosa succede e di cosa si prospetta in Medioriente, a partire dal genocidio in atto a Gaza, dalla rivolta generale palestinese, dallo scontro tra Stato Sionista e Asse della Resistenza in Libano, Siria, Iraq, Yemen, all’indomani dell’attacco israeliano all’ambasciata iraniana a Damasco.

Una panoramica che parte dalla ritirata della FOI (Forza di Offesa Israeliana) dalla metà sud di Gaza, dopo sei mesi di offensiva del presunto “esercito più potente del Medioriente” che non è riuscito a controllare la Striscia, annientare Hamas e a ottenere il rilascio dei coloni israeliani catturati. Sconfitta secca. Catastrofe morale irreversibile.

Ciò che viene sempre trascurato, anche in ragione di una pervicace disinformazione dei noti media di servizio, è la feroce repressione condotta in Cisgiordania dai coloni, affiancati dalla FOI, contro quanto rimane della presenza autoctona, che si vorrebbe destinata, qui come a Gaza, a scomparire dalla faccia della Terra.