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lacausalitadelmoto

Il governo Italiano porta a processo la resistenza palestinese

di Alessio Galluppi

È di pochi giorni fa la notizia che il Ministro di Giustizia abbia richiesto alla Corte di Appello di Ancona l’arresto di un palestinese di 37 anni, Anan Yaeesh, per avviare la procedura giudiziaria di estradizione in Israele.

Il governo italiano, nel chiedere l’arresto di Anan Yaeesh su richiesta dello Stato di Israele, che ha presentato l’istanza al governo Italiano, fa quanto storicamente gli compete: essere parte del mandante storico – le nazioni imperialiste dell’Occidente ed Europee – della colonizzazione pro domo propria della Palestina, della pulizia etnica e del genocidio in corso del popolo palestinese. Non è un caso che di fronte alle mobilitazioni internazionali a fianco della Palestina, l’Italia sostenga disperatamente Israele.

L’Italia già si sta macchiando di complicità nel genocidio aderendo alla strategia israeliana e occidentale di affamare il popolo di Gaza che non recede sotto le bombe e la vigliacca carneficina di donne e bambini, unendosi al covo di briganti di Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania, Canada, Australia, Olanda, Finlandia che hanno annullato i finanziamenti all’UNWRA, agenzia delle Nazioni Unite per gli aiuti umanitari nei campi profughi palestinesi.

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pierluigifaganfacebook

Il futuro non è scritto, ma tanto non lo scriveremo noi

di Pierluigi Fagan

 A giugno ci saranno le men che inutili elezioni europee. Due anni fa e tra due anni, ci sono state e ci saranno altrettanto inutili elezioni nazionali. In realtà, l’assetto portante del nostro futuro sarà deciso dal popolo statunitense, il prossimo novembre.

Certo, ormai sappiamo tutti che quella che chiamiamo “democrazia” tale non è ammesso lo sia mai stata. Sappiamo dell’economia, la finanza, le élite, costellazioni di poteri primi e secondi che avvolgono lo spazio politico che è ai minimi termini per quantità e qualità, in teoria e in pratica.

Il cinquantennio neoliberale iniziato negli anni ’70 è stato una controrivoluzione antidemocratica molto complessa e ben strutturata a molti livelli. Del resto, è insita nella teoria liberale più generale la preferenza ordinativa dell’economico sul politico. Negli anni Sessanta e primi Settanta, a partire di nuovo dagli Stati Uniti, i vertici del sistema si preoccupò e allarmò molto perché conscio dei decenni di transizione che il sistema occidentale aveva davanti e degli andamenti del mondo, non si poteva certo affrontarli con forme di politica democratica che già disordinavano culture, piazze, università, condizioni etniche, diritti politici oltreché civili, mondo del lavoro e quant’altro.

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linterferenza

La morte di Navalny: una risposta all’intervista a Putin?

di Antonio Castronovi

L’intervista rilasciata da Putin a Tucker Carlson ha destabilizzato la narrazione della propaganda anti-putiniana portata avanti dell’apparato politico-mediatico occidentale, presentando un personaggio sconosciuto all’opinione pubblica soprattutto americana. Putin si propone così non più come il sanguinario dittatore, novello Attila, Gengis Kan o Ivan il Terribile, pronto a scatenare l’apocalisse e a distruggere la nostra superiore civiltà, ma come un uomo pacato e colto, fine ragionatore politico, paziente interlocutore nella ricerca di compromessi, ma fermo e risoluto tutore e difensore degli interessi del suo popolo. Dalla sua intervista emerge con chiarezza un uomo che ha cercato in tutti i modi di evitare il conflitto ricercando le soluzioni che potevano pacificare gli animi e ricomporre le divergenze e lo stato di guerra civile in cui era precipitata l’Ucraina con il Donbass russo dopo il colpo di Stato di piazza Maidan del 2014. È stato l’artefice degli accordi di Minsk che prevedevano l’unità del paese fuori dalla NATO con concessione di autonomia amministrativa a quelle regioni, rinunciando alla loro separazione.

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acropolis

Inflazione e potere

di Alessandro Roncaglia

Questo testo sostiene, e non da una prospettiva marxista, che la dipendenza degli Stati Uniti dalla Fed (in contrapposizione ad altri mezzi) per combattere l’inflazione attraverso il suo strumento brusco dei tassi di interesse ha l’effetto di colpire il lavoro mentre in genere non affronta le cause immediate. È interessante notare che l’autore Alessandro Roncaglia si oppone anche alla visione monetarista e popolare secondo cui l’espansione dell’offerta di moneta provoca inflazione, spiegando come gli aumenti dell’offerta di moneta possano essere il risultato dell’inflazione [Yves Smith].

Esistono forti interrelazioni tra politica economica, cultura e rapporti di potere nella società. Ciò è abbastanza evidente nelle politiche monetarie restrittive intraprese dalle banche centrali di tutto il mondo di fronte alle recenti esplosioni inflazionistiche.

Le politiche monetarie restrittive sono una risposta standard all’inflazione. Ma non sono prive di costi, poiché esercitano una pressione al ribasso sulla produzione e sull’occupazione. Sorgono quindi due domande: sono la risposta corretta in generale? E lo sono, in questa situazione specifica?

La mia risposta è diversa da quella mainstream.

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contropiano2

«I soldati devastano le case, poi rubano soldi e gioielli»

di Chiara Cruciati*

Ramallah. La confisca di auto, denaro e gioielli. «Prima se trovavano qualche centinaio di shekel i soldati se li intascavano. Ora arrivano in missione. Hanno devastato la cucina: aprivano gli sportelli, prendevano un piatto alla volta e li fracassavano a terra. Hanno tagliato i cuscini dei divani e aperto i cassettoni delle serrande. Ci ripetevano di dargli soldi e gioielli. Hanno confiscato la nostra auto».

Nura racconta di una notte insonne, una casa a pezzi.

A lei però è andata bene: i soldati le hanno dato un documento con i dettagli dell’auto. A Ghassan non hanno lasciato nulla. È un detenuto di lungo corso, tra arresti diversi ha trascorso 13 anni in carcere.

«Hanno lanciato i mobili dalla finestra. Mi dicevano di dargli i soldi e l’oro, che era meglio se li mettevo sul tavolo io. Hanno preso un migliaio di shekel e la mia macchina, dicevano che l’avevo comprata con denaro del terrorismo».

E poi, Lara. Vive accanto a Ghassan. L’hanno chiusa in una stanza con le due figlie, un soldato di guardia alla porta: «Avevano i cani, hanno terrorizzato le mie figlie. Hanno preso 2mila shekel». Cinquecento euro.

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fuoricollana

La favola della “società signorile di massa”

di Salvatore Bianco 

La nostra non è una società «signorile di massa», come postula Luca Ricolfi, ma soffre di quegli stessi mali che si ripropongono come terapia. Rispecchia la forma neoliberale che il capitalismo si è dato a partire dagli ultimi decenni del ventesimo secolo

Se si volesse una forma esemplare, nei suoi tratti anche estremi, del tipo di racconto emergente intorno a una società italiana in crisi di lavoro, occorre riferirsi senza esitazioni a Luca Ricolfi, sociologo, professore di Analisi dei dati all’Università di Torino, che tra un saggio del 2019, La società signorile di massa, e una serie di più recenti interviste, delinea un regime sociale, per l’appunto signorile e di massa, che si sarebbe instaurato nel frattempo in Italia.

 

Gente che non lavora

«La tesi che vorrei difendere – dichiara in avvio l’autore – è che l’Italia è un tipo nuovo, forse unico, di configurazione sociale. La chiamerò società signorile di massa, perché è l’innesto, sul suo corpo principale, che rimane capitalistico, di elementi tipici della società signorile del passato feudale e precapitalistico».

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mondocane

Tutto il mondo sta esplodendo….

di Fulvio Grimaldi

Byoblu-Mondocane 3/14 in onda domenica 21.30. Repliche lunedì 9.30, martedì 11.00, mercoledì 22.30, giovedì 10.00, sabato 16.30,domenica 09.00

Ricordate, voi vegliardi come me, la canzone che Lotta Continua aveva tradotto da “Eves of destruction” di Barry McGuire e che si cantava a gola spiegata un po’ dappertutto in Italia nel famoso decennio di quello che è stato il miglior tentativo in Italia per sbarazzarsi dell’inutile, del pernicioso e del mafioso?

C’erano versi significativi come questi: “Tutto il mondo sta esplodendo / dall’Angola alla Palestina, / l’America Latina sta combattendo,/ la lotta armata avanza in Indocina… L’America dei Nixon, degli Agnew e Mac Namara / dalle Pantere Nere una lezione impara; / la civiltà del napalm ai popoli non piace,/ finché ci son padroni, non ci sarà mai pace…

Beh, Angola e Indocina, Pantere Nere e napalm non appaiono più sul proscenio. Oggi vanno Black Lives Matter, anzi andavano, finanziati da Soros, e le profezie di Isaia. Però, guarda un po’, la Palestina è ancora lì, più che mai, alla faccia di Isaia e di chi dice che tutto è incominciato solo il 7 ottobre.

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piccolenote

Navalny, il martire del maccartismo

di Piccole Note

Gonzalo Lira, i morti di serie B. Navalny da vivo non costituiva alcuna minaccia per Putin, da morto sì

Nello stesso giorno in cui è giunta la notizia della morte di Alexei Navalny l’Ucraina ha annunciato il ritiro da Adviika. La cattura della città da parte dei russi sarebbe suonata come campana a morto per la guerra ucraina, la morte di Navalny non solo ha coperto la notizia, ma rilancia la campagna maccartista contro la Russia.

Conquista più che simbolica quella di Adviika, perché qui si era recato Zelensky a fine dicembre per rilanciare la sfida a Mosca, dichiarando con fierezza che Kiev non si sarebbe mai arresa. Già allora era chiaro che la città era persa, ma il presidente ucraino ha voluto difenderla a tutti i costi (come per Bakhmut), mandando al macello i suoi soldati, caduti come mosche sotto il fuoco nemico per un altro mese e mezzo, per arrivare, infine, a ripiegare come aveva suggerito da tempo il capo delle forze armate, generale Valery Zaluznhy, nel frattempo silurato.

Tale la dinamica della guerra alla Russia fino all’ultimo ucraino. La morte di Navalny, dunque, ha coperto tutto, anzi rilanciato. Infatti, Zelensky non ha mancato di far sentire la sua voce contro il “dittatore” russo: “Navalny è morto in una prigione russa. Ovviamente è stato ucciso da Putin”.

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comidad

La deindustrializzazione coincide con la crescita del microcredito

di comidad

In molti hanno ritenuto di liquidare l’intervista rilasciata da Putin a Tucker Carlson come propaganda. Certo che si tratta di propaganda, e non si capisce cos’altro avrebbe dovuto essere. Ciò non esimerebbe però i nostri governi dal replicare a delle specifiche dichiarazioni piuttosto imbarazzanti. In particolare Putin ha riconfermato quanto già si era detto immediatamente dopo l’attentato al gasdotto North Stream, e cioè che il pur grave sabotaggio non aveva del tutto compromesso la possibilità di approvvigionamento di gas russo, in quanto un tubo è rimasto funzionante, perciò la Germania, se volesse, potrebbe ancora servirsene; cosa che invece non sta facendo. La carenza energetica, dovuta al mancato approvvigionamento di gas russo, ha determinato in Germania un drammatico incremento dei costi di produzione, con la conseguente chiusura di numerosi impianti di aziende come Basf, Michelin, Ford, Goodyear, e ora anche Volkswagen. Secondo alcuni commentatori il partito dei Verdi, ora al governo a Berlino, non considera la deindustrializzazione un problema; anzi, essa andrebbe nel senso di un’auspicabile decrescita.

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lantidiplomatico

La "gestione della terra" e concentrazione dell’agricoltura in Italia: i dati

di Alessandro Bartoloni

 

Il movimento dei trattori che sta scuotendo l’Italia ha suscitato un grande interesse per le condizioni dell’agricoltura nel nostro paese. Un settore sempre più concentrato nelle poche mani di grandi imprenditori capitalisti e per questo sempre più lontano dalle esigenze dei lavoratori, dei consumatori e della natura.

 

La gestione della terra

Dai dati ISTAT aggiornati al 2020 emerge che nell’arco di 38 anni si è passati da 3,1 milioni di aziende agricole a 1,1 milioni (-64%). E anche i terreni sono diminuiti: la superficie agricola utilizzata (SAU) è calata del 20,8%, quella totale del 26,4% per una perdita di 33 mila e 60 mila chilometri quadrati rispettivamente (per avere un’idea, l’intera Sicilia è grande meno di 26 mila km2).

Dunque, ci sono sempre meno aziende e il minor terreno a disposizione è gestito da soggetti sempre più grandi. Ma a fronte di una complessiva diminuzione della terra a disposizione che nell’ultimo decennio è stata pari al 2,5%, le piccole aziende risultano avere sempre meno terra, mentre quelle grandi l’aumentano.

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acropolis

Come la CIA destabilizza il mondo

di Jeffrey D. Sachs

La portata del continuo caos derivante dalle operazioni della CIA andate male è sbalorditiva. In Afghanistan, Haiti, Siria, Venezuela, Kosovo, Ucraina e molto altro ancora, le morti inutili, l’instabilità e la distruzione scatenate dalla sovversione della CIA continuano ancora oggi. I media tradizionali, le istituzioni accademiche e il Congresso dovrebbero indagare su queste operazioni al meglio delle loro possibilità e chiedere la pubblicazione di documenti per consentire una responsabilità democratica.

La CIA ha tre problemi fondamentali: i suoi obiettivi, i suoi metodi e la sua mancanza di responsabilità. I suoi obiettivi operativi sono quelli che la CIA o il Presidente degli Stati Uniti definiscono essere nell’interesse degli Stati Uniti in un determinato momento, indipendentemente dal diritto internazionale o dalle leggi statunitensi. I suoi metodi sono segreti e doppi. L’assenza di responsabilità significa che la CIA e il Presidente gestiscono la politica estera senza alcun controllo pubblico. Il Congresso è uno zerbino, uno spettacolo secondario.

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contropiano2

Neanche Draghi sa più come uscirne…

di Dante Barontini

Se c’è qualcuno che può permettersi di dire l’indicibile, in campo euro-atlantico, è ancora Mario Draghi.

Impossibile accusare questo demolitore del patrimonio pubblico italiano, nonché per qualche anno vicepresidente di Goldman Sachs, poi governatore della Banca d’Italia, quindi della Banca Centrale Europea, infine presidente del Consiglio e ora “consulente” della Commissione Europea (il “governo” UE), di non avere a cuore e ben chiaro in testa quale sia l’interesse strategico del capitale multinazionale basato sulle due sponde del Nord Atlantico.

Solo lui, dunque, può osare dire che “la globalizzazione” – la fase della egemonia incontrastata dell’Occidente neoliberista e della gigantesca delocalizzazione produttiva nei paesi a basso costo del lavoro – ha rafforzato soprattutto i “nemici”, indebolendo “i valori liberali” (ormai solo “chiacchiere e distintivo”, per i governi nella Nato) e costringendo sia i governi nazionali che le banche centrali a seguire regole diverse, impreviste, improvvisate.

Draghi parlava, ieri, alla Nabe economic policy conference, dove è stato insignito del «Paul Volker Lifetime Achievement Award», premio intitolato all’ex governatore della Federal Reserve americana.

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lantidiplomatico

Il vortice del mondo

di Alastair Crooke - Strategic Culture

Gli Stati Uniti si stanno avvicinando alla guerra con le Forze di Mobilitazione Popolare irachene, un'agenzia di sicurezza statale composta da gruppi armati, alcuni dei quali vicini all'Iran, ma soprattutto nazionalisti iracheni. Gli Stati Uniti hanno effettuato un attacco con un drone a Baghdad, mercoledì, che ha ucciso tre membri delle forze Kataeb Hizbullah, tra cui un comandante senior. Uno degli assassinati, al-Saadi, è il comandante più alto in grado ad essere stato assassinato in Iraq dopo l'attacco del 2020 che ha ucciso il comandante iracheno al-Muhandis e Qassem Soleimani.

L'obiettivo è sconcertante, poiché la Kataeb ha sospeso più di una settimana fa le sue operazioni militari contro gli Stati Uniti (su richiesta del governo iracheno). La sospensione è stata ampiamente pubblicizzata. Allora perché questa figura di spicco è stata assassinata?

Le torsioni tettoniche spesso sono innescate da un'unica azione eclatante: l'ultimo granello di sabbia che, sommato agli altri, innesca lo scivolamento, rovesciando il mucchio di sabbia. Gli iracheni sono arrabbiati. Sentono che gli Stati Uniti violano in modo sconsiderato la loro sovranità, mostrando disprezzo e sdegno per l'Iraq, una civiltà un tempo grandiosa, ora ridotta in rovina dalle guerre USA. Sono state promesse ritorsioni rapide e collettive.

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piccolenote

L'attacco a Rafah e la scommessa persa da Israele

di Piccole Note

L'attacco a Rafah non sembra imminente. Netanyahu lo propugna a fini interni. Ma Israele ha chiesto troppo a quanti erano disposti a schiararsi con esso. E ha perso, diventando un paria

L’attacco in grande stile a Rafah, il più grande campo profughi del mondo, non è ancora avvenuto, anche se si registrano bombardamenti sporadici non beneaguranti. È come se l’operazione fosse stata sospesa, mentre, al contrario, sul fronte Nord, si è registrato l’attacco più massivo contro il Libano dall’inizio della guerra, per rispondere a un’azione offensiva di Hezbollah particolarmente riuscita, ma soprattutto per colmare un vuoto.

La macchina da guerra israeliana, infatti, come accade in tutte le guerre, ha bisogno di inanellare successi, veri o asseriti che siano. E in un mondo accelerato come l’attuale, tale processo necessita di una cadenza quotidiana.

Sull’offensiva a Rafah, segnali contrastanti. Iniziamo dalle rivelazioni di Politico, che riporta indiscrezioni di rilievo: “L’amministrazione Biden non ha intenzione di punire Israele qualora lanciasse una campagna militare a Rafah senza garantire la sicurezza dei civili […] non ha nessuna intenzione di muovere rimproveri, il che significa che le forze israeliane potrebbero entrare in città e nuocere ai civili senza dover affrontare conseguenze da parte dell’America”.

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mondorosso

La guerra USA contro il primato tecnologico mondiale della Cina

di Daniele Burgio, Massimo Leoni e Roberto Sidoli

I “fatti testardi” (Lenin) risultano da tempo chiari ed esposti nel 2023 anche dall’insospettabile istituto Australian Strategic Policy Institute in un suo rapporto fatto passare, guarda caso, sotto silenzio da gran parte della sinistra occidentale: in base a esso la Cina è ormai diventata il “numero uno” planetario in ben 37 dei 44 principali settori tecnologicamente importanti del mondo contemporaneo.

Come hanno ben evidenziato T. Buccellato e S. Olivari, “una ricerca dell’Australian Strategic Policy Institute (Aspi) rivela che la Cina ha costruito le basi per posizionarsi come superpotenza scientifica e tecnologica leader a livello mondiale, stabilendo un vantaggio sorprendente: nella maggior parte dei settori tecnologici critici ed emergenti, gli istituti di ricerca generano nove volte più documenti di ricerca ad alto impatto rispetto al secondo paese classificato, il più delle volte gli Stati Uniti. La Cina ha raggiunto così una leadership su 37 dei 44 ambiti tecnologici critici riportati nella tabella. Tutte le tecnologie etichettate come ad alto rischio di monopolio sono presidiate da Pechino. Non a caso, cresce in continuazione il flusso verso il paese asiatico di conoscenze e di ricercatori talentuosi in questi settori”.[1]

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quodlibet

L’esperienza del linguaggio è un’esperienza politica

di Giorgio Agamben

In che modo sarebbe possibile cambiare veramente la società e la cultura in cui viviamo? Le riforme e persino le rivoluzioni, pur trasformando le istituzioni e le leggi, i rapporti di produzione e gli oggetti, non mettono in questione quegli strati più profondi che danno forma alla nostra visione del mondo e che occorrerebbe raggiungere perché il mutamento fosse davvero radicale. Eppure noi abbiamo quotidianamente esperienza di qualcosa che esiste in modo diverso da tutte le cose e le istituzioni che ci circondano e che tutte le condiziona e determina: il linguaggio. Abbiamo innanzitutto a che fare con cose nominate, eppure continuiamo a parlare a vanvera e come capita, senza mai interrogarci su che cosa stiamo facendo quando parliamo. In questo modo è proprio la nostra originaria esperienza del linguaggio che ci rimane ostinatamente nascosta e, senza che ce ne rendiamo conto, è questa zona opaca dentro e fuori di noi che determina il nostro modo di pensare e di agire.

La filosofia e i saperi dell’Occidente, confrontati con questo problema, hanno creduto di risolverlo supponendo che ciò che facciamo quando parliamo è mettere in atto una lingua, che il modo in cui il linguaggio esiste è, cioè, una grammatica, un lessico e un insieme di regole per comporre i nomi e le parole in un discorso.

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lantidiplomatico

Assange, le ore decisive

di Agata Iacono

Sono gli ultimi giorni, forse, per Assange nella prigione a Londra definita la Guantanamo inglese.

Tra pochissimi giorni la Corte dovrà esprimersi sulla ammissibilità del ricorso di Julian Assange, l'ennesimo e l'ultimo.

Se gli sarà respinta questa possibilità, l'estradizione negli USA, dove lo aspettano 175 anni di detenzione in completo isolamento, potrebbe essere immediata.

Sono moltissime le iniziative in tutto il mondo a favore di Assange, si intensificano sempre più anche in Italia: solo per citarne alcune, si fa pressione a Roma e Milano, ad esempio, affinché Gualtieri e Sala concedano finalmente la cittadinanza onoraria, è stata inaugurata una mostra, vengono proiettati docufilm, promossi flash mob sotto l'ambasciata UK, indette conferenze stampa...fino al giorno finale, il D-Day, che vedrà a Londra attivisti da tutto il mondo.

Sulla vicenda di Assange, insomma, si sta parlando tanto, mai abbastanza certo, è totalmente ignorato cancellato dalla memoria dei media di massa, ma, forse, si trascura una questione fondamentale, che lo rende veramente un eroe della nostra epoca.

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contropiano2

Il 7 ottobre 2023 rappresenta la più eclatante serie di fallimenti dello Stato d’Israele

di Alberto Fazolo

Ovunque si è dibattuto del fallimento di quell’apparato d’intelligence che si credeva tra i più efficaci del mondo. C’è certezza che non tutti i gangli del sistema fossero all’oscuro di quanto stesse succedendo e che abbiano “lasciato fare”, ma altre articolazioni di sicuro non si aspettavano ciò. Sia come sia, la reputazione ne esce distrutta.

Invece, sotto il profilo politico, il fallimento è iniziato il giorno successivo, cioè da quando Israele ha deciso di compiere un massacro. Portando alla rottura di rapporti consolidati e al conseguente isolamento internazionale, sancito anche dall’inchiesta della Corte Internazionale di Giustizia.

Il fallimento politico si è manifestato pure all’interno d’Israele, con una frantumazione della società e una esasperazione degli attriti tra le varie anime del paese.

Il fallimento militare d’Israele sta invece nell’incapacità di battere la Resistenza palestinese e nel conseguente accanimento contro la popolazione civile. Sono ormai lontani i tempi in cui l’esercito israeliano era composto da soldati duri e determinati, temprati nella lotta contro il nazismo.

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kriticaeconomica

Per sfidare l'economia dominante, serve un approccio scientifico

Oltre pretese di neutralità e derive irrazionaliste

di Marco Veronese Passarella

Ci sono due modi ugualmente deleteri di intendere l'"economia": assimilarla a una scienza naturale, come amano fare gli economisti “mainstream”; oppure, al contrario, sostenere che non è una scienza, come fanno un po’ tutti gli altri.

La verità è che queste due posizioni sono due facce della stessa medaglia. In particolare, la seconda concezione non indebolisce ma rafforza la prima, implicando che l'unico statuto scientifico possibile sia quello di scienza naturale.

Personalmente, concepisco l'economia come una scienza sociale, che indaga le mutevoli leggi di movimento delle economie capitalistiche. Penso, dunque, che vadano rigettate sia le pretese di oggettività del pensiero economico dominante sia le derive irrazionaliste della maggior parte dei suoi critici. È su questa ridefinizione epistemologica che si può costruire una critica radicale alle teorie economiche di derivazione neoclassica.

Non esistono scienze esatte, nemmeno la matematica – che non è una scienza, ma uno dei suoi linguaggi.

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kelebek3

Il più grande appalto del secolo

di Miguel Martinez

Molto, molto tempo fa, l’umanità si divise in due, tra quelli che facevano la fila per farsi vaccinare contro il Covid, e quelli che accettavano di farsi licenziare, pur di non farsi vaccinare.

In questo conflitto, avevo due ferme incertezze.

La prima, che essendo laureato in lingue orientali e non in medicina, ci capivo il giusto; e che magari anche molti laureati in una delle centomila medicine ci capivano il giusto, e che tutte le voci che mi arrivavano, da una parte o dall’altra, erano frutto di pregiudizi più che di profonde e documentate riflessioni.

Per cui non ho mai dato eccessivo peso alle critiche contro il contenuto dei vaccini, tanto che mi sono anche vaccinato per amore di quieto vivere, e sono ancora vivo.

La seconda ferma incertezza, era che si trattava dell’Appalto del Secolo (poi scoppiò la guerra che rende ancora di più, e mi confondo).

Vedete, diversi anni fa, ho vissuto uno scambio intenso: io insegnavo inglese ai funzionari della Glaxo (oggi un impronunciabile GSK plc), e i funzionari della Glaxo, conversando in inglese, mi insegnavano in cambio come funziona il mondo dell’industria farmaceutica.

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lantidiplomatico

Egemonia (8). Come il neoliberismo si è impossessato delle nostre menti - Ernesto Limia Díaz

di Alessandro Bianchi

Come il neoliberismo ha preso possesso delle menti di milioni di individui? Una domanda che pervade la nostra riflessione da anni e che mai ha trovato risposte e chiarimenti più illuminanti di quelle forniteci da Ernesto Limia Díaz – storico cubano, primo vicepresidente dell’Associazione degli Scrittori dell’UNEAC, e grande conoscitore degli attuali mezzi di comunicazione, in Italia per presentare il suo nuovo libro tradotto in Italia da Pgreco “Patria e cultura in rivoluzione” - nella conversazione che abbiamo avuto per "Egemonia".

Crisi dei valori di riferimenti, paradigmi imposti, relativizzazione volgare e cinismo nella politica i temi al centro della nostra discussione. “E’ incredibile come anche oggi il tema del genocidio a Gaza porti a considerazioni volgari e ciniche nel dibattito politico”.

“Siamo nel pieno di una battaglia culturale enorme”, afferma Ernesto Limia Díaz all'inizio di un'analisi che arriva nel profondo dell’agire delle forze dominanti del sistema neoliberale mondiale, destrutturandolo e restituendolo completamente nudo.

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piccolenote

Il sangue di Rafah che impasta la terra

di Piccole Note

Haaretz: "È impossibile invadere Rafah senza commettere crimini di guerra". Le mani "sporche di sangue" dei leader occidentali

 

Israele attacca Rafah. Riprendiamo, da Haaretz, Gideon Levy: “Ora non ci resta che chiedere, implorare, gridare: non entrate a Rafah. Un’incursione israeliana a Rafah sarebbe l’attacco al più grande campo profughi del mondo. Trascinerà l’esercito israeliano a commettere crimini di guerra di una gravità che nemmeno esso ha ancora commesso. È impossibile invadere Rafah senza commettere crimini di guerra“.

 

I bambini di Gaza e gli appelli umanitari di Israele…

“Yarden Michaeli e Avi Scharf riferiscono che l’intera popolazione della Striscia di Gaza, 2,3 milioni di abitanti, dovrebbe essere evacuata [ad Al-Mawasi] in un’area di 16 chilometri quadrati (6,2 miglia quadrate), più o meno la dimensione dell’aeroporto internazionale Ben-Gurion. Immaginate tutta Gaza nell’area dell’aeroporto”.

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lafionda

A che ora è la fine del mondo?

di Giulio Di Donato

Si può essere ambientalisti in tanti modi, anche senza per forza sposare un riduzionismo elitario e apocalittico all’insegna del “Fate presto”. D’altra parte la storia più recente ci rende istruiti circa il segno regressivo di tale logica, non solo perché essa deprime la vitalità democratica e alimenta false polarizzazioni, ma anche perché, di austerità in decrescita, può essere facilmente curvata a vantaggio degli interessi di pochi privilegiati e declinata in termini di impoverimento generalizzato. Sullo sfondo il tentativo della macchina occidentale in crisi di strumentalizzare, ancora adesso, la questione green per rilanciare e rilegittimare se stessa sia sul fronte produzione-consumo, sia sul fronte ideologico e di lotta geopolitica. Senza dimenticare l’emergenzialismo come sottosuolo spirituale del nostro tempo circondato da un misto di chiusura asfittica di orizzonti e di “edonia depressa”. Soprattutto, l’emergenza – scrive Carlo Galli – “comprime il diritto di critica, le voci di dissenso, e implica una tendenziale uniformazione, la discriminazione del non-conforme, del nemico interno – l’accusa di essere «no-vax» ha colpito chiunque chiedesse spiegazioni, o eccepisse in qualsivoglia modo le misure decise dalla politica e legittimate dalla scienza -: il che è ovviamente pericoloso per la democrazia”.

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marx xxi

Lager italiani. Pulizia etnica e campi di concentramento fascisti per civili jugoslavi 1941-1943. Alessandra Kersevan

di Marco Pondrelli

Ci sembra giusto nella giornata del ricordo proporre un libro di Alessandra Kersevan uscito nel 2008. La storia sta diventando l’ancella della politica, l’europarlamento e il Parlamento italiano a colpi di maggioranza entrando dentro dibattiti storici di cui probabilmente i parlamentari ignorano l’esistenza. Quando nel 2004 venne approvata la legge che istituiva la ‘giornata del ricordo’ alla base si voleva trovare un crimine comunista pari agli orrori del nazismo, per poter giustificare la lettura del Novecento come il secolo dei due grandi totalitarismi: nazismo e comunismo. Matteo Salvini affermò che le foibe rappresentato la nostra Shoah, queste affermazioni non rendono giustizia alla verità storica ma sopratutto a chi il genocidio l’ha vissuto sulla propria pelle.

Purtroppo siamo abituati a un uso del linguaggio disinvolto e piegato alle proprie ragioni politiche, gli stessi che oggi inorridiscono di fronte all’accusa mossa a Israele di genocidio e criticano il Sudafrica per essersi permesso di muovere questo capo d’accusa, pochi mesi fa accusavano la Cina di genocidio nello Xinjiang.

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bastaconeurocrisi

Compromessi e assurdità

di Marco Cattaneo

Uno dei ritornelli più frequenti degli europeisti è che “l’integrazione politica è indispensabile altrimenti l’Europa diventa marginale, in un mondo in cui le nazioni più grandi hanno centinaia di milioni se non miliardi di abitanti. Ci sono visioni e interessi differenti, certo, ma occorre trovare una linea di compromesso accettabile per tutti e poi fondersi in un’entità unica”.

Di fronte a questa argomentazione, il mio primo commento è che le megapotenze di cui si parla sono tre. Gli USA, la Cina e l’India. Che certo, fanno il 40% della popolazione mondiale. Però poi ci sono una duecentina di altre nazioni che sul piano economico e anche demografico pesano in genere meno, spesso molto meno, dei singoli maggiori Stati europei.

Per cui, perché solo per noi europei dovrebbe essere vitale “integrarsi politicamente” ?

L’altro commento è che i compromessi sono utili e spesso anche indispensabili. Ma i compromessi hanno un senso se costituiscono una mediazione tra posizioni sufficientemente sensate.

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sinistra

Giovanni Pascoli e il Socialismo: un'indagine sulle radici politiche del poeta italiano

di Francesco Scatigno

 

Giovanni Pascoli e il socialismo

Nel panorama della letteratura italiana, Giovanni Pascoli emerge come una figura enigmatica e poliedrica, la cui opera poetica sfiora tematiche sociali e politiche di rilevanza storica. Questo articolo si propone di analizzare il rapporto complesso e spesso sottovalutato tra Pascoli e il socialismo, un legame che si intreccia profondamente con il tessuto della sua produzione letteraria. Al centro della nostra analisi vi è l'interrogativo su come le esperienze personali e il contesto storico- culturale di fine Ottocento e inizio Novecento abbiano influenzato il pensiero politico di Pascoli, orientandolo verso correnti di pensiero quali l'anarchismo e il socialismo. La morte prematura del padre e il conseguente periodo di reclusione costituiscono esperienze catalizzatrici che plasmano il suo percorso ideologico e poetico, portandolo a una riflessione profonda sulla società e sulla condizione umana. Questo articolo intende, quindi, analizzare come tali esperienze si riflettano nelle sue opere, ponendo in luce il dialogo tra la sua visione politica e la sua arte poetica. In particolare, esamineremo le influenze di pensatori come Bakunin, Marx, Mazzini e Carducci sulle sue concezioni politiche, e come queste si manifestino nelle sue produzioni letterarie.

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mondocane

Tucker Carlson da Putin. Che non gliela manda a dire

Cosa ha detto e cosa non ha detto

di Fulvio Grimaldi

Intervista di Francesco Capo per “L’Identitario” con il sottoscritto F.G., Gigi Lista, editore dell’”Identitario”, Mauro Belardi, russista: https://youtu.be/hJ6j0aR09bE

Grazie al più popolare e alternativo giornalista e conduttore statunitense, non per nulla cacciato dalla CNN, di sinistra finta e con le zanne, e dalla Fox, di destra trumpista, abbiamo ascoltato un uomo pensante, come natura vorrebbe che fosse e né un burattinaio, né un burattino, né una prostituta, né un lenone, né uno stracciarolo, né un mazziere con la baionetta tra i denti. Esperienza inedita e gratificante.

Quando i media falsi, bugiardi e venduti ti dicono che la guerra in Ucraina è iniziata il 22 febbraio del 2022, con l’ingresso dei russi in Ucraina, come a me, da Floris, asserì Pierluigi Bersani, e non nel febbraio 2014, colpo di Stato USA-Nazi e attacco al Donbass, come gli risposi io, coltivano l’inganno di tutta la strategia dell’imperialismo terrorista. Tolgono di mezzo il contesto e annientano la memoria che lo tiene in piedi.

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contropiano2

RAI e politici si ergono a difesa del genocidio… contro Ghali

di Gigi Sartorelli

Stop al genocidio“. Queste tre parole sono bastate a mettere in moto la macchina del servilismo sionista di questo paese contro il cantante Ghali. Il giovane rapper italo-tunisino, che nella serata conclusiva del Festival di Sanremo ha detto delle semplici parole di pace, ha ricevuto come risposta critiche e attacchi.

Per capire a pieno il disgusto che deve provocare questa situazione, bisogna fare una piccola premessa. Dal palco dell’Ariston Ghali non è stato l’unico a fare affermazioni legate agli attuali conflitti in giro per il mondo. Con grandi lodi sono stati presentati gli Antytila, uno dei più famosi gruppi pop-rock ucraini.

La loro canzone ha un titolo inequivocabile: Fortezza Bakhmut, la città presso cui si è svolta una delle principali battaglie tra le forze russe e della Repubblica Popolare di Donetsk e quelle ucraine. Giusto per ribadire l’evidente, al cantante è stato dato tutto lo spazio per ricordare che loro stanno combattendo una guerra che “non abbiamo iniziato noi“, per la “nostra libertà” e per i “nostri ideali in comune“.

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lantidiplomatico

Così fiorisce il principale baluardo yankee in Europa (anche grazie ai contribuenti italiani)

di Fabrizio Poggi

Se il Pentagono sta esaurendo le riserve per armare la junta di Kiev, decidendo di dirottarle su altri fronti di guerra, sono in discussione anche quei tipi di armamenti sulla presenza dei quali i nazigolpisti ripongono via via le sempre nuove ultime speranze. È così, ad esempio, per i fantomatici caccia F-16 che, nel migliore dei casi, dovrebbero arrivare in Ucraina a fine 2024.

Anche in questo caso, data la scarsità di risorse, pare che soltanto quattro piloti ucraini vengano attualmente addestrati in Arizona, complice anche l’incertezza su quale paese europeo – Olanda e Belgio, o Danimarca e Norvegia - debba infine fornire i velivoli a Kiev. Unito alla scarsità di munizionamento per le artiglierie e i sistemi razzo, ciò mette in dubbio le capacità ucraine di tenere la linea del fronte da qui all’estate.

Ma questo è ancora poco. Da Lugansk giungono “curiose” informazioni a proposito della “fame d’armi” delle truppe agli ordini di Aleksandr Syrskij. Ora, non da oggi si sentono qua e là voci, tra i “sostenitori” occidentali della junta, sulla necessità di condurre audit sulla fine dei fondi destinati all'Ucraina.

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comedonchisciotte.org

I tre filoni dello “sciame” di Biden’

di Alastair Crooke – Strategic Culture

Gli Stati Uniti sembrano voler trovare un modo per danneggiare le forze iraniane e della Resistenza quanto basta per dimostrare che Biden è "molto arrabbiato", scrive Alastair Crooke

Gli iraniani hanno una strategia e noi no“, ha dichiarato ad Al-Monitor un ex alto funzionario del Dipartimento della Difesa statunitense: “Ci stiamo impantanando in questioni tattiche – su chi colpire e come – e nessuno pensa in modo strategico“.

L’ex diplomatico indiano M.K. Bhadrakumar ha coniato il termine “swarming” (letteralmente, “sciamare”, N.d.T.) per descrivere questo processo di attori non statali che impantanano gli Stati Uniti nel logorio tattico – dal Levante al Golfo Persico.

Lo “swarming” è stato associato più di recente a un’evoluzione radicale della guerra moderna (più evidente in Ucraina) in cui, grazie all’uso di droni autonomi che comunicano continuamente tra loro tramite l’intelligenza artificiale, è possibile selezionare e dirigere l’attacco verso obiettivi identificati dallo sciame.