Print Friendly, PDF & Email

linterferenza

La morte di Navalny: una risposta all’intervista a Putin?

di Antonio Castronovi

L’intervista rilasciata da Putin a Tucker Carlson ha destabilizzato la narrazione della propaganda anti-putiniana portata avanti dell’apparato politico-mediatico occidentale, presentando un personaggio sconosciuto all’opinione pubblica soprattutto americana. Putin si propone così non più come il sanguinario dittatore, novello Attila, Gengis Kan o Ivan il Terribile, pronto a scatenare l’apocalisse e a distruggere la nostra superiore civiltà, ma come un uomo pacato e colto, fine ragionatore politico, paziente interlocutore nella ricerca di compromessi, ma fermo e risoluto tutore e difensore degli interessi del suo popolo. Dalla sua intervista emerge con chiarezza un uomo che ha cercato in tutti i modi di evitare il conflitto ricercando le soluzioni che potevano pacificare gli animi e ricomporre le divergenze e lo stato di guerra civile in cui era precipitata l’Ucraina con il Donbass russo dopo il colpo di Stato di piazza Maidan del 2014. È stato l’artefice degli accordi di Minsk che prevedevano l’unità del paese fuori dalla NATO con concessione di autonomia amministrativa a quelle regioni, rinunciando alla loro separazione.

Ha coltivato fino all’ultimo questa soluzione, nonostante il nuovo governo Zelensky si mostrasse riluttante a rispettare gli accordi e intensificasse invece una politica di militarizzazione che minacciava una soluzione militare alla crisi. Ha proposto ai curatori occidentali della NATO una nuova architettura di sicurezza reciproca in Europa che escludesse la possibilità di conflitti e il rispetto degli accordi di Minsk di cui si erano fatti garanti. La risposta non è arrivata. Solo un silenzio sprezzante che sfidava la Russia alla soluzione militare della crisi.

Di fronte a questo tradimento degli impegni presi, la Russia entra in Ucraina per difendere il popolo del Donbass, stremato da otto anni di guerra, minacciato dall’ imminente attacco dell’esercito ucraino deciso a risolvere la crisi con la guerra e l’occupazione militare del Donbass.

La Russia riprende il bandolo della trattativa a Istanbul dove viene firmato un accordo che riprende i contenuti del Protocollo di Minsk. In cambio la Russia ritira il suo esercito da Kiev come gesto pacificatore. La risposta a questo gesto è il ritiro del governo ucraino dalla trattativa su istigazione del premier inglese Johnson e la ripresa delle ostilità. Di fronte a questo secondo tradimento diventa chiaro che dietro il governo Zelensky c’è la NATO che vuole continuare cinicamente la guerra alla Russia tramite l’Ucraina e il suo popolo.

Quella che emerge da questa intervista è una narrazione completamente diversa da quella propalata per anni sulle cause della guerra ucraina e sulla vera figura di Putin.

Una narrazione incompatibile con l’esigenza di tenere mobilitata l’opinione pubblica occidentale sulla necessità politica e morale di continuare la guerra alla Russia elargendo ulteriori finanziamenti per alimentarla.

La morte di Navalny, indipendentemente dalle sue reali cause, si presenta come l’occasione ideale per rilanciare l’immagine sanguinaria di Putin e la necessità di sostenere la guerra per difendere la nostra civiltà minacciata dall’orco russo.

L’ accusa spregiudicata a Putin di essere un assassino viene così rilanciata irresponsabilmente a tutto spiano dall’intero apparato politico-mediatico servile dell’Occidente. La morte di Navalny vuole così azzerare e neutralizzare gli effetti sull’opinione pubblica dell’intervista a Putin di Tucker Carlson dei giorni scorsi, indicandolo pubblicamente di essere un assassino non credibile, ovviamente senza portare prove. La demagogia, come la propaganda, è un’arte che si esercita meglio senza prove: si regge infatti sulla menzogna. L’accusa di assassinio a Putin serve per delegittimare il giornalista Carlson, accusato di essere un complice antipatriottico che avrebbe fatto da zerbino a Putin legittimandolo come statista autorevole e come interlocutore ragionevole. Gli si rimprovera di averlo intervistato e di non averlo trattato come avrebbe meritato: cioè come un criminale assassino. Un’accusa del genere che Carlson non ha fatto nella sua intervista per il semplice motivo che è un vero giornalista che vuole informare l’opinione pubblica sulle posizioni e sulla natura dell’avversario che ci inducono a combattere. Ovviamente se penso ai “giornalisti” nostrani del Corrierone, di Repubblica e della Stampa, oltre a quelli che affollano le TV, che in queste ore stanno sbavando veleno contro Putin e la Russia, accuse simili sono invece felici di fare, come servi sciocchi che obbediscono entusiasti all’ordine del padrone. Infatti non sono giornalisti, ma zerbini del potere, felici nella loro idiozia di condurre il mondo verso una guerra da cui non usciremo vivi. In questa folle giostra russofoba non manca il sostegno elargito dai sepolcri imbiancati di varie sinistre, più o meno radicali, che accompagnano in coro salmodiante questo corteo di vassalli che si lamentano con lacrime di coccodrillo delle sorti della nostra decrepita civiltà. Ma questo non ci sorprende più. Dimostrano ancora una volta la loro inutilità politica e loro effettiva funzione di cavalier serventi più o meno consapevoli del discorso dominante.

Add comment

Submit