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aldous

Elettriche ma non libere

di Tiziana Miano

In quest’era del “post”: post covid, post-contemporaneo, post-verità, in breve del post – umano, i discorsi sul potere, le sue manifestazioni e molteplici implicazioni nelle nostre vite, mai come adesso hanno occupato spazi fisici e di pensiero. Riflettere sulle cose però, impone un’attenta osservazione delle cose stesse e suggestioni e interrogativi presenti nei romanzi distopici aiutano a cogliere, più spesso di quanto si possa credere, quelle “avvisaglie di futuro”, quei processi non manifesti, ma già in atto, che diversamente rimarrebbero celati alle menti dei più.

Parziale, se non perfino ingenuo, sarebbe però affrontare tal genere di letture senza guardare (qui il terzo occhio è d’obbligo!) al “come” e al “perché” certe pubblicazioni hanno il potere di sollecitare precisi settori delle società odierne che, prontamente, si affannano a celarne, quando non a manipolarne, i preziosi “rimandi” all’oggi. Infine, ma non ultimo, ecco arrivare certa cinematografia che, più di tutti, si è assunta l’arduo compito di “mettere a posto le cose” con sapienti operazioni di profondo restyling, paragonabili solo alla migliore chirurgia estetica, e garantire così soddisfacenti quote di politicamente corretto.

Si comprende quindi, perché in tempi da record, “The Power” di Naomi Anderman, giunto a noi col titolo di “Ragazze Elettriche” (le ragioni di un tale ossequio alla banalità rispetto al titolo originale restano sconosciute) edito da Nottetempo nell’anno 2016, sia stato anch’esso sottoposto all’ormai consueta “mutazione” della trasposizione cinematografica seriale di successo che lo ha assicurato a debita distanza dalle questioni più spinose.

Un romanzo che per il massiccio protagonismo femminile “votato alla lotta” e alla dura rivendicazione dei diritti delle donne va a rimpinguare, sebbene qualcuno si ostini a negarlo, la produzione letteraria distopica di stampo femminista soddisfacendo così, nel bene e nel male, già un’ampia, ma proprio ampia, fetta certa di lettorato. Una bella furbata questa di Anderman, alla quale va comunque riconosciuta la pretesa, in parte riuscita, e ben riscontrabile anche nel sottotesto, di voler superare la semplificazione di un libro dedicato alle donne e di converso agli uomini meritevoli di dura lezione, per approdare a una più articolata riflessione sul concetto di “potere”.

In un linguaggio snello, che in ampi tratti non disdegna di raggiungere forme e toni di una crudezza senza pari, ricorrendo all’espediente della metanarrazione, Anderman accompagna il lettore in un ipotetico futuro non troppo lontano le cui contraddizioni e i riprovevoli scenari politici, sociali, finanche confessionali, sono elementi cardine affinché il reale protagonista del romanzo, il “potere appunto”, sia disvelato in tutta la sua natura frattale. Il lettore si trova costretto a scrutare quindi, un potere agito in vari modi dalle altrettante differenti sensibilità/insensibilità dei personaggi principali, a loro volta espressione di distinte classi sociali. A questi personaggi (quattro), dai tristi e discutibili trascorsi, l’autrice affida così l’arduo compito di cavalcare (o testimoniare come nel caso del giornalista Tunde, unico maschio protagonista) ciò che si legge essere: “…Non è più una fottuta crisi. Questa è la nuova realtà”.

Una realtà nuova, dunque, derivante da una sovversione dell’ordine sociale, politico, dei ruoli e legata a doppio filo alle questioni di “genere”. La trama è ben congegnata: sullo sfondo di una società patriarcale, casualmente delle giovani donne scoprono, per una non meglio precisata mutazione genetica, di poter espellere dalle mani scariche elettriche, dunque di essere in grado di difendersi dalle aggressioni e dai soprusi perpetrati loro dagli uomini. Attraverso un accadimento quanto mai originale e bizzarro, dunque, Anderman segna l’ingresso di un fattore determinante che, sopprime ogni possibilità di mediazione tra le parti, ma anche tra singoli, e innerva l’esercizio del potere: la forza.

Senza troppi riguardi l’autrice ci costringe da subito a interrogarci sulla misura del rapporto esistente tra ragionevoli premesse, uso della forza e conseguente scollamento dall’umano. In sostanza, il quanto e il come si intersecano questi tre elementi in un’ottica di potere e facendoci cogliere, per rimandi, che questo quanto e questo come sono gli stessi che stanno a sottendere e giustificare gli atti di forza (seppur diversi nelle forme) cui spesso assistiamo: “interventi” chirurgici operati da un paese forte ai danni del più debole, i soprusi di una élite verso una specifica collettività, le ingiuste imposizioni dei governi rispetto ai propri cittadini. In più, la precisa scelta di affidare a un accadimento “naturalmente” casuale (la mutazione genetica) e non a una presa di coscienza civile, frutto di un “evoluto” confronto tra uomini e donne, la possibilità, per queste ultime di partecipare alla scrittura di una più giusta organizzazione sociale, non fa che evidenziare come persino la “casualità”, se pervasa dal fascino corruttibile del potere, finisca con l’essere generativa di scelte e atti che negano, ab origine, il valore modificativo di ogni giusta premessa.

Tutto è capovolto nel mondo distopico delle Ragazze Elettriche persino Dio - Padre muterà in Dio - Madre grazie a una nuova, strumentale rilettura dei testi sacri da parte di Eve, (uno dei personaggi principali, assassina del proprio padre adottivo e suo stupratore) che, riconosciuta nella sua valenza divina, getterà le basi di una nuova teocrazia.

Un passaggio non di poco conto qui, che per analogia ci consente un duplice rimando: alla storia odierna di certi paesi, interessati da forme teocratiche di governo che poco o niente differiscono nel loro fondamento dall’agire oppressivo e violento delle ragazze elettriche; alla storia di sempre, che vede ogni forma di potere ancorarsi a qualcosa di unico, che sia il Pensiero Unico, un capo unico o un Dio unico poco importa, purché esso non si riveli scardinabile e sappia assumere in sé, il carattere della incontestabilità.

Eppure, non è nel tratteggio della sola fisionomia del potere, il cui carattere della adattabilità ci è chiaro, che Anderman si supera, regalandoci l’ennesimo boccone amaro di verità, ma è nel narrarne la struttura sistemica (questa sì è qualcosa d’immutabile nel tempo e nella substantia) attraverso alcuni personaggi. Struttura sistemica del potere, che esige dunque: un leader indiscusso (Eve) che ne predichi e incarni la forza; dei fedeli accoliti che lo sostengano (le donne); un proprio braccio armato, che lo eserciti coerentemente ai “diktat” di chi lo detiene (Roxy) e infine di una vetrina che ne testimoni e amplifichi la forza (Tunde con i suoi reportages). In questa realtà distopica l’autrice paventa come alla sovversione di un “Ordine” (qui è quello patriarcale appunto) operata con la forza, non si ottiene un annullamento dello stesso ma una semplice sostituzione dei “soggetti” che lo compongono. Un apparente cambio di passo, che non direziona però alcun cambiamento. L’ulteriore conferma di come quel mostro tentacolare chiamato potere riesca a insinuarsi prepotentemente nelle menti, facendosi atto cinico e spietato che serve sé stesso, è la impressionante velocità di assuefazione/assoggettamento delle ragazze elettriche a esso. Sgomento, sorpresa e paura iniziali, infatti, prontamente vengono sostituiti dal senso di appagamento, di rivalsa, di godimento nel mero esercizio di potere incontrastato. E più quest’ultimo è incontrastato, per paradosso, più il suo esercizio diviene estremo, totalizzante, così da non lasciare posto ad alcun senso di equità, giustizia, senso di colpa né desiderio all’infuori di esso. L’affezione stessa alle cose e alle persone, che si connota come un tratto distintivo nell’uomo, qui viene abortita nei meandri del potere agito.

Nel leggere di questo mondo, dove agli uomini viene negato ogni diritto e spazio di libertà, dall’aggregazione alla possibilità di muoversi liberamente previo l’obbligo di un documento apposito recante il nominativo della propria guardiana; nello scorrere gli elenchi dei divieti loro indirizzati è impossibile, mutatis mutandis, non ravvisare verosimiglianze con la realtà da noi vissuta in tempo di Covid: il lockdown esteso persino alla possibilità di una solitaria passeggiata in una spiaggia deserta, pena l’inseguimento e la detenzione; la sospensione del diritto al lavoro e della retribuzione; il green pass, preziosissimo documento con il quale un potere forzuto, coercitivo e sordo a ogni ragione, ha operato una separazione all’interno delle masse tra meritevoli e non meritevoli, degni e indegni.

Tra le pagine di Ragazze Elettriche ci viene svelato il compito prioritario assunto dal potere, che non è nell’ignorare ma nell’espellere. Espellere dal consorzio umano (quando non dalla vita) coloro che non vogliono o persino non possono loro malgrado piegarsi a esso, ponendoli alla gogna e condannandoli al patimento e all’umiliazione. Lo sperimentano bene tutto ciò, nel subire il comportamento discriminatorio e violento che le ragazze elettriche, (quelle vere, quelle forti e potenti) riservano alle ragazze prive di “matassa elettrica” o che posseggono un’energia debole o che non sanno come farne un giusto uso. Lo sperimentiamo noi, come sul parametro della forza (quale ne sia la forma) si stabiliscano rapporti di superiorità tra individui e cosa comporta un potere che per sua natura non può ammettere il dubbio. Perché chi dubita è un sovversivo, un nemico dell’ordine costituito, che sia donna o uomo.

Ragazze elettriche, dunque, vuol essere un monito; non s’illuda l’uomo di poter esercitare alcun potere rimanendone indenne. Al potere non interessano le questioni umane né le ragioni di un’umanità che non vuole essere espropriata da sé stessa.

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