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Attacco al sistema!

Dream Theater

L’Euro è sotto assedio. Ed i motivi della speculazione sono sotto gli occhi di tutti. Come possiamo negare l’evidenza ed accettare ancora una volta l’ennesima truffa montata dal sistema parassita che sta speculando alle nostre spalle?

imperialismo 3Hedge fund, credit default swap e rating: lo scandalo continua

Ormai credo sia noto a tutti il fatto che contro l’Euro ci sia una presa di posizione violenta da parte della speculazione. Ma quanto sta uscendo fuori in questi giorni è la drammatica conferma di tutto quanto noi temavamo da tempo.
Ma andiamo con ordine, e riportiamo i fatti, indiscutibili e testimoni di quanto è accaduto.

Giorno 15 febbraio. Su IntermarketAndMore pubblico un post. Ma non un articolo come molti altri.
L’articolo era questo: si intitolava “Mercato incerto ma l’Euro ha la strada segnata”.

Un titolo come tanti altri, forse un po’ troppo retorico? Non proprio, perché poi, nell’articolo giustifico questa mia definizione. E la giustifico con questa frase: “La pressione è fortemente speculativa contro l’Euro".
Ma non solo. Riporto anche un grafico dove vengono rappresentati gli short speculativi.
Nell’aria c’era puzza di bruciato. Qualcosa evidentemente non funzionava. Mai si erano visti certi attacchi contro la moneta unica.
Oggi, dopo tanti mesi si viene a scoprire la verità.

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e l

Crisi, l’Europa guarda il dito

Rosita Donnini

Il vecchio detto “Il dito indica la luna, lo sciocco guarda il dito” si può applicare alle ricette delle istituzioni e dei governi dell’Unione, che non avranno altri effetti che ostacolare la già debole ripresa. Nulla verso le cause strutturali, la sperequazione del reddito e la mancanza di investimenti

casa pagliaLa crisi che ha colpito l'eurozona nelle ultime settimane - la cosiddetta "tragedia greca" - è stata apparentemente fronteggiata con una manovra che contiene due importanti novità o anomalie: a) l'utilizzazione forzata dell'articolo del Trattato che prevede un soccorso finanziario ad un paese membro solo nel caso di "calamità naturali" o di "eventi che non è in grado di padroneggiare"; b) la caduta del muro che aveva sinora impedito l'emissione di eurobonds, la cui utilizzazione era stata a suo tempo auspicata, fra gli altri, da Prodi e da Tremonti.

 Il fenomeno - peraltro ben lungi dall'essere esaurito - ha dato luogo ad una girandola di interpretazioni, diagnosi e terapie differenti, come quelle di Trichet, De Grawe, Attali e Roubini. Occorre però spiegare preliminarmente un vero e proprio giallo, che ha dato alla vicenda un aspetto paradossale nelle spiegazioni ufficiali; giallo che forse verrà chiarito dalla manovrina o manovrona di quello stesso Tremonti che, un mese fa, la bollava come impossibile. Le motivazioni ufficiali dell'intervento delle autorità dell'Unione sono state due: il pericolo del "default" greco e quello del "contagio". Giustificazioni che lasciano perplessi. L'equilibrio monetario dell'eurozona è ovviamente connesso alla dinamica della massa monetaria. Conseguentemente la pericolosità dei disavanzi e dei debiti pubblici andrebbe riferita al loro rapporto NON con i rispettivi redditi nazionali, ma con quello complessivo dell'eurozona stessa.

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cigno nero

La falange macedone

Leon Zingales

La falange macedone, configurazione ritenuta invincibile, fu sconfitta organizzando un fulmineo attacco ai lati. Durante la Seconda guerra mondiale, le truppe naziste superarono la linea Maginot (che i francesi credevano fosse una resistenza invincibile nei confronti delle armate tedesche) semplicemente aggirandola con un blitz noto come Fall Gleb invadendo Belgio ed Olanda.

La Storia è piena di esempi di come il pensiero creativo e divergente distrugga l’ortodossia rigida che erige dighe che si pensano indistruttibili. La BCE ha stanziato 750 Miliardi di Euro per bloccare i cali dei prezzi (e quindi l’aumento dei rendimenti) dei titoli sovrani dei paesi della moneta unica sotto l’attacco degli speculatori credendo di erigere un fortino invincibile. Poveri illusi pervasi da un dogmatismo senza limiti: la barriera è in procinto di essere raggirata e si sta preparando un altro assalto (che potrebbe essere fatale) contro la moneta unica.

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GEAB 44 (Aprile) Italiano, completo

Tradotto in esclusiva per Informazione Scorretta
A cura di Eleonora, Marco, Marko, Francesco, Martina di Informazione Scorretta

1- Prospettiva

Crisi sistemica globale / USA-UK.
L’esplosiva coppia della seconda metà del 2010: estate 2010
La battaglia della Banca d’Inghilterra / Inverno 2010
La Fed a rischio di bancarotta


Come anticipato da LEAP/E2020 parecchi mesi or sono, e in contrasto con i resoconti dei media e degli “esperti” delle ultime settimane, l’Eurozona ha effettivamente fornito alla Grecia sostegno e credibilità (in special modo riguardo a una buona gestione futura, la sola garanzia di fuga possibile dal circolo vizioso del crescente debito pubblico)[1]. Pertanto non vi sarà alcun default greco, anche se l’emotività riguardo alla situazione greca è un indicatore autentico di una crescente consapevolezza riguardo alla difficoltà di reperire il denaro necessario per finanziare l’enorme debito pubblico occidentale: una situazione ormai “insostenibile”, come sottolineato recentemente in un report della Bank of International Settlements.

Il polverone sollevato sulla Grecia dai media, in particolare inglesi e statunitensi, mirava a nascondere alla maggior parte dei protagonisti della scena economica, finanziaria e politica il fatto che il problema Grecia non era il segnale di una imminente crisi dell’Eurozona[2] bensì, in effetti, una prima avvisaglia del prossimo grande shock della crisi sistemica globale, vale a dire una collisione tra le economie virtuali britannica e statunitense da un lato, fondate su livelli insostenibili di debito pubblico e privato, e dall’altro la combinazione dei prestiti in scadenza dal 2011 in poi e della carenza globale di fondi disponibili per un rifinanziamento a basso tasso degli stessi.

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Se cade anche il muro dell'euro

Alberto Bagnai

La crisi fa emergere il problema originario dell'euro, da sempre ignorato dai politici: una moneta unica nello spazio economico europeo è insostenibile

La levata di scudi dei politici europei contro i “mercati” è prova di ingenuità o di ipocrisia. La crisi dell’euro non dipende tanto dai “mercati”, quanto dal fatto che adottando l’euro la classe politica ha deliberatamente ignorato l’avviso della maggior parte degli economisti, i quali da tempo avvertono che una moneta unica europea non sarebbe sostenibile. Questa scelta politica ha ragioni ideologiche che è necessario individuare per valutare le possibili vie di uscita dalla crisi. Cosa comporta la rinuncia alle monete (e quindi ai tassi di cambio) nazionali? A chi conviene? E perché? Per chiarirlo ripercorriamo gli snodi della crisi greca.


Debito pubblico e debito estero

Il problema della Grecia deriva non tanto dal fatto di avere un grande debito pubblico, quanto dal fatto che il suo debito è detenuto da non residenti, cioè è debito estero. A riprova che col debito pubblico si può convivere citiamo il Giappone, che ha, lui sì, un enorme debito pubblico, pari al 217% del proprio Pil, cioè al 17% del Pil mondiale (quello greco è appena lo 0.7%).

Perché questo debito non preoccupa i mercati? In effetti, in Giappone il settore privato risparmia tanto da prestare all’estero circa 2000 miliardi di dollari, oltre a quanto presta al proprio governo. Il Giappone è il più grande creditore estero mondiale: in caso di problemi potrebbe sempre finanziare la propria economia facendosi restituire i soldi prestati all’estero. Questo la Grecia non può farlo, perché è pesantemente indebitata con l’estero, per più del 100% del proprio Pil. Prestereste più volentieri 10 000 euro a un amico che ha dieci appartamenti, o 100 a un amico disoccupato?

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Ecofin, i risultati

Felice Capretta

Euforiche le borse mentre scriviamo rimbalzano tutte in area positiva.
Il comportamento ricorda il paziente maniaco-depressivo, probabilmente non a caso.

Le borse stanno rimbalzando perchè ieri, nel cuore della notte e dopo 14 ore di riunione, l’Ecofin ha partorito le misure di salvataggio della zona euro.

Si tratta di poco più che una grida manzoniana.

Il programma di salvataggio vale 720 MLD EUR, praticamente un trilione di dollari.

Anche se...guardando nel dettaglio la decisione dell’Ecofin, ci ricorda improvvisamente di qualcosa di già visto su due fronti: da una parte, ricorda molto da vicino il TARP di Hank Paulson, ex Goldman Sachs, all’indomani del crollo di Lehman Brothers. Dall’altra, ci ricorda il salvataggio in extremis delle sponde greche fatto dall’Unione Europea.

Si tratta in pratica dell’impegno da parte degli stati a sborsare 440 MLD EUR, più 220 MLD EUR da parte del FMI, più qualcosina dalla Commissione Europea. Più, l’impegno della BCE ad acquistare titoli di stato dei paesi in difficoltà.

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Fino all'ultimo respiro. Le borse festeggiano lo stadio maturo dell'indebitamento europeo

Nique la Police

Come sanno i lettori di Senza Soste della scorsa settimana, avevamo ampiamente previsto che alla seduta delle borse del lunedì il rialzo sarebbe stato il segno prevalente. Nelle ultime ore possiamo parlare di rialzi persino spettacolari, per chi ama codificare il rialzo degli indici come spettacolo. Al momento, se ci fermiamo allo scenario nazionale, dalla stampa di opposizione alla presidenza del consiglio prevalgono manifestazioni vicine al giubilo. A parte che, in questi casi, l’uso dei media come euforizzante per l’opinione pubblica è la norma (crollerebbero altrimenti consenso politico e fiducia nel risparmio), gli stati stanno facendo speculazione al rialzo per difendere i propri titoli e per questo servono tutti i mezzi e tutte le strategie di comunicazione. Poi c’è l’elettore del centrosinistra che guarda il Tg3, e magari legge Repubblica, e si convince che è in atto una strategia efficace di salvataggio dell’Europa. Ma non è oggetto di questo articolo occuparsi di fenomeni di credulità popolare né di chi ne abusa (come hanno fatto i Ciampi, i Veltroni, i Prodi imponendo negli anni ’90 dei “sacrifici per l’Europa” che oggi rivelano tutto il loro tratto di tragica inutilità).

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Le cause della crisi del debito sovrano Ue e dell'Euro

Domenico Moro

L'attacco alla periferia debole di Eurolandia appare come un tentativo di indebolire, disarticolandola, l'area euro, in funzione di una difesa degli Usa come centro finanziario mondiale, e può avere solo due sbocchi. O una accelerazione della Ue verso una integrazione politica o uno sfaldamento dell'area euro stessa

grecia riseupRicordano i lettori quella cena a Manhattan dell'8 febbraio,
quando negli uffici di un piccolo broker si ritrovarono gli uomini
del Soros Fund, di Sac Capital, di Greenlight Capital, di Brigade C.
e forse di Paulson? Tutti quei gestori si riunirono per studiare
un attacco combinato all'euro.

W. Riolfi, il Sole24ore 5 maggio 2010

Il piano di aiuti alla Grecia varato dalla Ue non sembra avere raggiunto i suoi obiettivi, cioè la messa in sicurezza dell'euro. L'euro è crollato sotto l'1,30 contro il dollaro, mentre, come titolano i quotidiani oggi in prima pagina, l'effetto contagio si estenderebbe alla Spagna. Si tratta un Paese molto più grande e importante, le cui difficoltà possono avere un impatto molto più pesante sull'area euro della piccola Grecia.

1. La crisi dell'economia è alla base della crisi del debito sovrano
La crisi di sovraccumulazione di capitale e merci, manifestatasi nel 2008 come crisi finanziaria, ha cambiato faccia e si presenta nella forma di crisi del debito statale, ovvero sotto forma di crescita incontrollata del debito e del deficit pubblico, che è aumentato mediamente dal 2,2% del 2007 al 10,1% di fine 2009. Questo perché lo Stato, come ha sempre fatto dinanzi ai fallimenti del mercato autoregolato, è dovuto correre al salvataggio di imprese e banche. Gli aiuti di Stato al settore bancario hanno superato i 14mila miliardi di dollari, una cifra, pari a un quarto del Pil mondiale, che non ha paragoni nella storia.

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comunisti italiani

Lo scontro euro-dollaro dietro la crisi del debito sovrano

 di Domenico Moro

Il debito Usa è un “riparo sicuro” allo stesso modo in cui era considerato un porto sicuro Pearl Harbour nel 1941. Niall Ferguson, Financial Times

Senza stabilità nell’unità monetaria non esistono facilità di credito né sicurezza per chi presta il proprio denaro al principe, né contratti nei quali si possa riporre fiducia. E senza credito non c’è grandezza né superiorità finanziaria. Fernand Braudel, I tempi del mondo

La guerra finanziaria ora è venuta ufficialmente alla ribalta sulla scena della guerra, una scena per millenni occupata unicamente da soldati ed armi con sangue e morte ovunque. Quiao Liang – Wang Xiangsui, Guerra senza limiti

 

1.      La crisi di sovrapproduzione è alla base della crisi del debito sovrano Il mercato autoregolato ha fallito

E ancora una volta, come è sempre accaduto nella storia del modo di produzione capitalistico, il “moderno principe”, lo Stato, è dovuto correre al salvataggio delle imprese e della banche. Gli aiuti di Stato al settore bancario hanno superato i 14mila miliardi di dollari, pari a un quarto del Pil mondiale, una cifra che non ha paragoni nella storia[1]. Tutto questo per evitare un collasso generalizzato del modo di produzione, che avrebbe riproposto i drammi della Grande Depressione.

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il grande bluff

Moral Hazard: anche in Italia tutti si sono fiondati ad investire sulla Grecia

Stefano Bassi

ANCHE IN ITALIA tutti si sono fiondati ad investire sulla Grecia per strappare rendimenti superiori alla media, aggiustare le performances, ottenere bonus e premi di rendimento, insomma per fare soldi dai soldi....il più possibile...

Lo dico da lungo tempo: TUTTO come prima, anzi peggio di prima
E perchè peggio di prima?
- A causa del Moral Hazard indotto dalle politiche monetarie: con il costo del denaro a livelli bassissimi e per un periodo prolungatissimo di tempo (come non mai nella storia) si spinge chiunque a cercare un RENDIMENTO UMANO su assets più rischiosi e dunque più redditizi.
- A causa del Moral Hazard indotto dal "bailout garantito": tutti sono convinti che ormai si salvano tutto e tutti, a qualunque costo.
Ed ecco che i comportamenti rischiosi si moltiplicano...
Le scommesse si fanno ardite nella convinzione che tanto un bailout non si nega mai a nessuno.
Le menti già orientate al gioco d'azzardo di molti "gestori" abbracciano senza esitazione il gioco della roulette russa...convinti (erroneamente) che il proiettile nella pistola non ci sia e che la pistola farà sempre click e mai bang...

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CREDIT DEFAULT SWAP: IL BALLO DEGLI AVVOLTOI!

Andrea Mazzalai

Un oceano di considerazioni e parole ha invaso i mercati in questi ultimi mesi a proposito dei famigerati CDS, Credit Default Swap, un oceano di parole che come spesso accade riesce a confondere l'acqua dolce con l'acqua salata di mare.

Ho più volte sottolineato in passato che non è tanto lo strumento in se stesso da demonizzare quanto l'uso che ne viene fatto, un uso che in questa crisi, nella madre di tutte le crisi, è sembrato più l'addestramento di un branco di avvoltoi che hanno festeggiato sul cadavere dell'economia mondiale, addestramento messo in atto dalla finanza internazionale.

Come è accaduto durante la fusione del sistema finanziario mondiale, durante il collasso di Lehman Brothers, Merrill Lynch e AIG, l'azione combinata degli avvoltoi finanziari, CDS & SHORT SALES, sta tentando di destabilizzare la zona euro, volteggiando sulle carcasse economiche della Grecia oggi e di chissà chi altro domani, un gioco al massacro che vede la Germania assistere dall'alto del suo canyon.

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L'innesco di una crisi sistemica

Pino Cabras

Con il precipitare della crisi greca si confermano le analisi di chi non era compromesso con la propaganda o con i pii desideri. La crisi si colloca nel solco di una crisi molto più vasta, una crisi sistemica. Si poteva comprendere da subito. Chi ha causato la crisi, ossia il sistema bancario ombra, punta ancora ai soliti suoi superprofitti, soverchiando i poteri collocati più alla luce del sole.

I giganti della speculazione di Wall Street sanno che il dollaro, l’architrave della finanza mondiale, dovrà cedere, perché allo stato è impossibile rifinanziare la valanga di titoli del debito pubblico statunitense che verrà a scadere fra pochi mesi. Perciò va fatta crollare l’alternativa monetaria disponibile, l’euro, e creare un bisogno forzoso ed estremo di dollari.

Nel frattempo, con i meccanismi delle "profezie che si autoadempiono", da loro dominati attraverso spaventose entità criminali (le agenzie di rating), gli speculatori decidono i tempi e i modi dei crolli, su cui hanno scommesso montagne di soldi con la certezza – a breve – di vincere.

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La Grecia contro tutti e tutto

Il capitalismo alla resa dei conti

Giuseppe Sottile

Greeks have been living beyond their means”. Sono oramai trent’anni che governi e istituzioni economico-finanziarie ripetono questo motivetto per ogni Paese. L’Europa si dotò di strumenti finalizzati a far fronte a questa presunta opulenza con il trattato di Maastricht, il quale ebbe come scopo principale quello di giustificare tagli alla spesa sociale in ragione di una crisi fiscale sorta a partire da un declino economico che ha la sua origine nei primi anni ’70. E’ chiaro che presunti “eccessi” di spesa hanno senso solo in ragione d’una riduzione relativa delle entrate fiscali. Negli ormai lontani anni ’50 e ’60 nessuno si lamentava della crescita della spesa pubblica e dunque del ruolo dello Stato nel computo del PIL, nel mentre le lamentele iniziano a fare la loro comparsa proprio quando questa crescita rallenta ed addirittura si riduce (esclusa la parte di spesa pubblica che sempre più in forma diretta o indiretta – ossia in uscita o entrata - si è rivolta al sostegno del settore privato).

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MAGNETAR TRADE: ERUZIONE VULCANICA!

Andrea Mazzalai

C'è voluta tutta la forza devastante e spettacolare di un vulcano islandese, per farci comprendere che in fondo il nostro quotidiano e frenetico errare ha bisogno di silenzio e riflessione, che in fondo la nostra vita è nulla in confronto al quotidiano spettacolo della Natura, c'è voluta tutta la rabbia popolare possibile per far esplodere il vulcano della finanza mondiale, un vulcano che promette scosse ed esplosioni da leggenda.

Mentre un squarcio di luce luce nel fine settimana ha perforato la fitta nebbia che ormai da oltre due anni grava sulla palude del sistema finanziario internazionale, il lamento di alcuni fantasmi immobiliari torna ad affacciarsi nelle stanze dei diroccati castelli della finanza mondiale.

Si fantasmi immobiliari perchè le vicende "politiche" sono solo un tassello di quello che in realtà la "nemesi immobiliare" è in grado di creare, ma di questo ne parleremo più avanti.

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Le prossime guerre europee del debito

I paesi dell'Unione Europea sprofondano nella depressione

Michael Hudson

Il debito governativo in Grecia è solamente la prima di una serie di bombe del debito europeo pronte ad esplodere. I mutui immobiliari nelle economie post-sovietiche e in Islanda sono ancor più esplosivi. Anche se questi paesi non si trovano nell’Eurozona, la maggior parte dei loro debiti è espressa in euro. All’incirca l’87% dei debiti della Lettonia è in euro o in altre valute straniere, e il paese è indebitato principalmente con banche svedesi, mentre Ungheria e Romania sono indebitate in euro soprattutto con banche austriache. Quindi i prestiti contratti dai membri non appartenenti all’euro sono serviti a sostenere i tassi di cambio per pagare questi debiti del settore privato alle banche straniere, non a finanziare i disavanzi di bilancio interni come in Grecia.

Tutti questi debiti sono insostenibilmente elevati perché la maggior parte di questi paesi sta avendo dei profondi disavanzi di bilancio e sta sprofondando nella depressione.

Ora che i prezzi reali dell’immobiliare stanno diminuendo, i disavanzi commerciali non sono più finanziati da un flusso interno di prestiti sui mutui immobiliari e da acquisizioni immobiliari in valuta straniera. Non c’è alcun modo tangibile per stabilizzare le valute (ad esempio, economie in buona salute). Nell’ultimo anno questi paesi hanno sostenuto i loro tassi di cambio prendendo a prestito dall’Unione Europea e dal Fondo Monetario Internazionale. I termini di questi prestiti sono politicamente insostenibili: forti tagli ai bilanci del settore pubblico, aliquote fiscali più alte per i lavoratori già tassati in modo eccessivo e piani di austerità che mandano a picco le economie e obbligano altri lavoratori ad emigrare.

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La Grecia, campanello d’allarme per l’Europa

Emiliano Brancaccio

In Grecia il governo trucca i bilanci, si dà alla finanza allegra, manda in pensione i lavoratori troppo presto e poi chiede aiuto all’Europa quando i mercati finanziari lo sfiduciano. In estrema sintesi è questa l’interpretazione della crisi finanziaria greca che in questi giorni va per la maggiore. Gli economisti Alesina e Perotti, tra gli altri, la sostengono apertamente (Sole 24 Ore, 27 marzo). Questa lettura fa indubbiamente parte del senso comune. Essa tuttavia non coglie alcuni problemi di fondo che riguardano non solo il caso della Grecia ma l’intero assetto della Unione monetaria europea.

Le principali difficoltà in seno alla zona euro riguardano più gli squilibri commerciali tra i paesi membri che l’andamento dei conti pubblici di ogni singolo paese. La superiore capacità dei capitali tedeschi di aggredire i mercati esteri è la causa principale di tali squilibri. In Germania l’elevato grado di organizzazione e di centralizzazione dei capitali determina una rapida crescita del valore della produttività oraria del lavoro. A ciò si è aggiunta, soprattutto negli ultimi anni, una politica di forte contenimento dei salari e della spesa interna. Conseguenza di questi andamenti è una dinamica dei costi unitari e delle importazioni molto più contenuta rispetto a quella che si registra in altri paesi europei. L’economia tedesca risulta quindi sempre più competitiva e riesce ad accumulare avanzi commerciali sistematici a fronte della strutturale tendenza al disavanzo estero in cui versano soprattutto Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna. Questi paesi vengono talvolta bollati con il poco diplomatico acronimo di “pigs”.

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Dalla crisi dei mutui subprime alla grande crisi finanziaria

Francesco Macheda*

big world1I. INTRODUZIONE

La crisi finanziaria iniziata nell’agosto 2007 scaturisce dall’interazione di tre forze: la liberalizzazione dei movimenti di capitale, la trasformazione bancaria seguita dall’innovazione finanziaria e le politiche monetarie perseguite nell’ultimo trentennio negli Stati Uniti ma non solo. L’abbondante liquidità convogliata nei mercati statunitensi in seguito alla liberalizzazione finanziaria all’indomani del crollo di Bretton Woods, da luogo a un lungo processo di deregolamentazione bancaria che sfocia nel 1999 nell’abrogazione dello Glass Steagall Act – la legislazione varata all’indomani della Grande Crisi del 1929. Il modello di banking che emerge – denominato ‘originate-to-distribuite’ – getta le basi per lo sviluppo di nuovi prodotti finanziari che, assieme alle politiche monetarie espansive adottate dalla Federal Reserve in seguito allo scoppio della bolla dei titoli tecnologici del 2000, accrescono ulteriormente la liquidità in circolazione.

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Moody's: il debito Usa è già una mina vagante

di Francesco Piccioni

7.000 miliardi di bond scadono nel 2012

«La crisi ci gira intorno», diceva qualche giorno fa il ministro Giulio Tremonti, con la faccia di chi teme sente arrivarsela alle spalle, mentre tutti ancora guardano il suo premier che ripete «stiamo messi meglio degli altri». Questa non è una crisi come le altre. E' iniziata da due anni e mezzo con la bollicina dei mutui subprime e nelle stanze di color che sanno si dice a denti stretti che ne dovranno passare almeno altri quattro. Per chi ci sarà arrivato vivo.

Ma è una strada così lunga che persino gli intoccabili stanno rischiando di andare in serie B. Accade che Moody's - una delle tre agenzie di rating che misurano (con metodi parecchio discutibili) sulla solvibilità del debito di paesi e società private - ha pubblicato ieri un report in cui, senza darlo per imminente, accenna al fatto che il debito inglese e soprattutto quello Usa potrebbero perdere la «tripla A» dell'affidabilità assoluta. Per evitarlo, la ricetta è quella sempre consigliata a paesi più piccoli e punibili, come la Grecia attuale: risanare i conti tagliando le spese.

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LA GRANDE CRISI E L’IMPERIALISMO GLOBALE*

Ernesto Screpanti

Relazione presentata alla IX Università Popolare di Attac Italia, tenuta a Roma, Città dell’Altra Economia, 1-3 Maggio 2009. Aggiornata a febbraio 2010

recession global financial crisisIntroduzione

Molti osservatori hanno paragonato la crisi iniziata nel 2007 a quella del 1929-33[1], avendo notato che esistono diverse somiglianze tra di esse. In realtà se guardiamo indietro nella storia del capitalismo ci accorgiamo che di grandi crisi come l’attuale ce ne sono state altre, oltre a quella del 1929-33. Per esempio ce ne fu una che scoppiò negli anni 1857-61. Un’altra si verificò nel 1836-38. Uno storico dell’economia potrebbe individuarne altre ancora, ma qui non sono interessato a una completa ricostruzione storica[2].

Quattro grandi crisi che si somigliano sono sufficienti per giustificare l’elaborazione di un concetto e di un modello che consentano di sviluppare una teoria capace di spiegare il fenomeno nella sua regolarità, e senza far ricorso all’ipotesi di shock esogeni eccezionali. Il concetto potrebbe essere appunto quello di “grande crisi”, intesa come evento non riducibile alle tipiche recessioni del normale ciclo economico e tuttavia rispondente e una ben definita logica che lo rende “eccezionale” solo per le dimensioni, non per le cause e le modalità.

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Cambiamenti nella distribuzione del reddito, disordine finanziario e crisi

Aldo Barba e Massimo Pivetti

Saggio preparato per il convegno LA CRISI GLOBALE. CONTRIBUTI ALLA CRITICA DELLA TEORIA E DELLA POLITICA ECONOMICA (Siena 26-27 Gennaio 2010)

Sommario
Questo lavoro riprende, ampliandole, le tesi contenute in un saggio sottoposto nel luglio 2007 al Cambridge Journal of Economics e pubblicato nel gennaio del 2009. Analizziamo in primo luogo le principali spiegazioni della crisi fornite dalla letteratura negli ultimi due anni, soffermandoci in particolare sulla tendenza ad individuarne l’origine negli errori di conduzione della politica monetaria, da un lato, e in squilibri nei flussi internazionali di risparmio, dall’altro. In entrambi i casi, bassi tassi di interesse avrebbero attivato fenomeni di ‘irrazionalità esuberante’ in un contesto finanziario eccessivamente deregolamentato, generando la crisi. Contrapponendosi a questa impostazione, l’origine della crisi viene da noi ricondotta all’insostenibilità del crescente indebitamento delle famiglie, a sua volta prodotto dai cambiamenti nella distribuzione del reddito avvenuti negli ultimi decenni: il debito delle famiglie è interpretato come un determinante della crescita dei consumi alternativo alla crescita salariale, argomentandosi che questa forma di sostegno dei livelli di attività non sarebbe stata sostenibile nel lungo periodo.

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Una moneta senza stato e fisco rende fragile tutta l'Europa

di Joseph Halevi

Esiste ormai una crisi generale in Europa senza visibili o credibili vie di uscita. Essa è evidenziata dal continuo accendersi di focolai di tensione: dalla vicenda greca alla penisola iberica e ritorno, fino alle sempre meno velate allusioni all'Italia o dal drastico voltafaccia di Parigi.

Fino a poco più di un mese fa Sarkozy era convinto di poter ritardare al 2012-13 la riduzione del deficit francese entro i livelli dei parametri di Maastricht e Dublino. Adesso invece si parla di un precipitoso rientro a breve termine. E' un nuovo crollo di Parigi di fronte alla Germania, generato dalla paura che «i mercati», cioè le banche, speculino sulle ingiunzioni di tagli al bilancio che da Berlino e da Bonn, sede della Bundesbank-Bce, vengono emanati nei confronti dei paesi della zona dell'Euro.

Parigi teme che l'aumento del deficit pubblico faccia schizzare in alto il premio di rischio sui titoli del tesoro francesi rispetto ai quelli tedeschi. Oltre alla solita instabilità finanziaria, un tale evento metterebbe in crisi la posizione della classe dirigente francese in Europa, che è poi il punto di forza del suo controllo sul paese, isempre più ferreo da Jospin a tutt'oggi. La prospettiva, già in atto, è quindi quella di tagli di bilancio che non elimineranno il deficit, pena l'aggravarsi della crisi sociale, ma ridurrano comunque i servizi pubblici e l'occupazione.

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La Grande Recessione e la Terza Crisi della Teoria Economica

Relazione per il convegno LA CRISI GLOBALE. CONTRIBUTI ALLA CRITICA DELLA TEORIA E DELLA POLITICA ECONOMICA (Siena 26-27 Gennaio 2010)

Riccardo Bellofiore and Joseph Halevi (Università di Bergamo e di Sydney)

Il capitalismo si modifica continuamente; non è mai uguale a se stesso. Questa integrazione globale di produzione e finanza in una teoria generale del processo capitalista sta ancora muovendo i primissimi passi; non viene mai trattata in modo esauriente. In Keynes vi sono alcuni accenni e anche Marx suggerisce qualcosa al riguardo, ma una vera e propria elaborazione teorica sarebbe avvenuta solo in una concreta fase storica che avrebbe reso necessaria la nuova teoria. E questo sta avvenendo oggi.
P. M. Sweezy

Il capitalismo è in una crisi ‘sistemica’. Iniziata nell’estate del 2007, a partire dalle difficoltà di un segmento particolare del mercato finanziario statunitense, l’instabilità finanziaria ha finito col contagiare l’intero pianeta. La crisi finanziaria si è tramutata in crisi bancaria, poi, nel giro di un anno, in crisi reale. La recessione sarà lunga. Ammesso e non concesso che la flebile ripresa si confermi, e che non si abbia un doppio salto nella depressione, il capitalismo potrebbe avere davanti a sé una prolungata stagnazione. Torna all’orizzonte la disoccupazione di massa. 

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GEAB 42 - parte II

Tre tendenze fondamentali che aggraveranno la crisi nella seconda metà del 2010


Per LEAP/E2020, dietro le “sofisticate” dissertazioni sull’uscita dalla crisi al termine delle politiche di sostegno all’economia e al settore finanziare si nasconde una verità molto semplice, ma una di quelle che governi e banche centrali sono incapaci di esprimere: non sanno cosa fare, quando farlo e come; ne' se dovrebberlo farlo da soli o insieme ad altri attori globali.

In verità, se la mancanza di preparazione al manifestarsi della crisi derivava dall’incapacità, da parte dei leader mondiali, d’immaginare il possibile palesarsi di una crisi, da molti mesi a questa parte è la loro incapacità di giudicare correttamente la reale situazione dell’economia mondiale e l’interazione di gran parte delle misure straordinarie prese in tutto il pianeta che li condanna, adesso, a rimanere passivi.

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Capitalismo 2009: la via verso il crollo

Antonio Carlo

tela di penelope1) 2009 l’anno orribile dell’economia mondiale; 2) L’inutile balletto dei G. I problemi insolubili del capitalismo; 3) La politica economica di Obama. Attivismo ed impotenza; 4) La risposta europea, ovvero l’Europa che non c’è; 5) La risposta italiana: galleggiare sulla crisi in attesa del miracolo-ripresa; 6) Cina e India: la fine del miracolo straccione. Giappone: l’impossibile “exit strategy”; 7) Prospettiva 2010: una ripresa inconsistente (o inesistente?); 8) La politica estera americana: di disastro in disastro; 9) Crisi economica insolubile e crescenti tensioni sociali. Verso la tempesta perfetta.

 

1) 2009 l’anno orribile dell’economia mondiale.

Il 2009, anno orribile del capitalismo mondiale, si apre con una notizia emblematica: nel primo trimestre dell’anno le 390 più grandi IM al mondo vedono calare i profitti del 75% e il fatturato del 26% su base annua1. L’OCSE e l’ONU ci fanno sapere che avremo nel corso dell’anno 40 milioni di nuovi disoccupati, prodotti dalla crisi a livello mondiale2, mentre l’esercito dei lavoratori che vivono già nel 2005 con uno-due dollari al giorno e che sono il 49,7% della forza lavoro mondiale3, crescerà di altri 200 milioni4.

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Nulla sara’ come prima. Dieci tesi sulla crisi finanziaria

di Andrea Fumagalli

Il saggio che presentiamo è il risultato di un processo di elaborazione del general intellect di movimento che ha visto la partecipazione di molti compagni e compagne delle rete Uninomade, prima in un seminario svoltosi a Bologna a settembre 2008 e poi a fine gennaio 2009 a Roma. In queste due occasioni, la discussione ricca e variegata sulle ragioni della crisi economica globale e sulle opportunità che ne possono scaturire ha messo in luce un comune orientamento che vale la pena sottolineare.

Non siamo di fronte alla crisi finale del capitalismo, pur essendo questa una crisi sistemica di tipo strutturale e non congiunturale, ma piuttosto ad una crisi di crescita all'interno del nuovo paradigma del capitalismo cognitivo. Una crisi che evidenzia la crisi della governance economica mondiale fondata sul ruolo centrale dei mercati finanziari sia nel sostenere il meccanismo di accumulazione cognitiva che nel determinare la distribuzione della ricchezza.

Proprio perché non vi è più alcuna separazione tra sfera reale e sfera finanziaria, lo spazio di un intervento riformista che definisca un nuovo new-deal istituzionale si èdefinitivamente chiuso. Solo andando oltre la struttura della proprietà privata in nome di una proprietà del comune che riconosca, valorizzi e remuneri la cooperazione sociale (tramite l'istituzione di un basic income) è possibile fuoriuscire dalle attuali secche della crisi.