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Perchè dobbiamo cambiare il capitalismo

Joseph Stiglitz

In un estratto del suo nuovo libro, Freefall, l'ex economista capo della Banca mondiale spiega perché le banche dovrebbero essere smembrate e perché l'Occidente dovrebbe ridurre i consumi

Nel corso della Grande recessione cominciata nel 2008 milioni di persone, negli USA e nel resto del mondo, hanno perso casa e lavoro, molti altri hanno temuto di dover subire la stessa sorte, e praticamente tutti quelli che avevano accantonato soldi per la pensione o per l'istruzione dei figli hanno visto i propri risparmi ridursi a una frazione del valore iniziale.

Una crisi scoppiata negli Usa è diventata ben presto globale, man mano che in tutto il mondo decine di milioni d'individui – venti nella sola Cina - perdevano il posto di lavoro e altrettanti si scoprivano poveri.

Non è così che si pensava sarebbero andate le cose. I moderni economisti, con la loro cieca fede nel libero mercato e nella globalizzazione, avevano promesso prosperità per tutti, e davano per scontato che la tanto decantata "Nuova economia", con le stupefacenti innovazioni (tra l'altro liberalizzazione e ingegneria finanziaria) che avevano marcato la seconda metà del XX secolo, avrebbe consentito una migliore gestione dei rischi e posto fine al susseguirsi dei cicli economici. Se la combinazione di Nuova economia e nuovi strumenti economici non poteva eliminare del tutto le fluttuazioni economiche poteva quanto meno tenerle sotto controllo. O almeno questo ci hanno raccontato.

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           E' disponibile il GEAB 42. Qui di seguito la parte gratuita con una piccola aggiunta.

GEAB 42 - Seconda metà del 2010: improvvisa intensificazione della crisi sistemica globale - rafforzamento di 5 trend negativi fondamentali


LEAP/E2020 ritiene che l'effetto dei miliardi spesi degli Stati per «contrastare la crisi» sarà un fallimento totale.

Tali somme hanno avuto l'effetto di rallentare l'evoluzione della crisi sistemica globale per diversi mesi, ma, come anticipato nelle precedenti relazioni GEAB, questa strategia sarà solamente servita alla fine a trascinare gli Stati in crisi causata dalle istituzioni finanziarie.

Pertanto il nostro gruppo anticipa, in questo numero 42 del GEAB, un improvviso intensificarsi della crisi nella seconda metà del 2010, causata da un doppio effetto di un ritorno di eventi che sono stati temporaneamente «congelati» nella seconda metà del 2009 e l'impossibilità di mantenere i rimedi palliativi degli anni passati.

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Il fattore G

I tempi cambiano, e i tormentoni pure. Una volta si diceva: speriamo di non fare la fine dell’Argentina. Oggi gli italiani fanno corno e bicorno, e ripetono: speriamo di non finire rovinati come la Grecia. Grecia che, in effetti, si ritrova in un mare di guai: ad Atene, il debito pubblico sta letteralmente esplodendo; e con i debiti stanno esplodendo anche le proteste di piazza. Una situazione caotica. Tanto caotica, che questa settimana i giornali di mezzo mondo - dal blasonato “New York Times” al nostrano “Corriere della Sera” - si chiedevano in coro se e quando sarebbe arrivato il momento del “sipario”, cioè del fallimento. Dubbio, per carità, atroce e legittimo. Ma che sarebbe stato bene accompagnare con una domanda davvero indispensabile.

Ovvero: chi - e soprattutto come - sta “scomettendo” sul fallimento della Grecia? Una domanda fondamentale. Perché - per dirla con una metafora - se non si conoscono i giocatori, è impossibile capire a che gioco si stia giocando.

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la grande crisi

Il PIL dell'Europa frena: rischio "Double-Dip"

di Stefano Bassi

Qualche tempo fa l'anemica crescita in area UE del PIL del 3° trimestre 2009 è stata accolta con fuochi d'artificio dai gossip-governanti e dai gossip-tiggì: giravano titoloni del tipo "la Recessione è finita", "Siamo in Ripresa", "Il peggio è alle spalle", etc etc.

Però in quei proclami non si faceva cenno al fatto che quel trimestrino di ripresina post-crollo epocale aveva ricevuto un contributo fondamentale dagli incentivoni (in particolare pro-automobile) a costo di sputtanare i debiti pubblici e da altri fattori "tecnici" come il re-stocking (ricostituzione scorte di magazzino).
Si sentivano solo rarissimi cenni alle "incognite" ed ai rischi di ricaduta...

Ebbene ecco i fulminanti dati di "crescita" del PIL UE (Eurozona a 16) nel 4° trimestre 2009:
+0,1% deludendo le attese per un già miserrimo +0,4%...
(la UE a 27, che include membri non-euro, ha fatto anch'essa +0,1%)

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Cosa sono i CDS Credit Default Swap

Felice Capretta

Oreste Lavolpe, Franco Sicuro e i CDS

Titoli, titoli, titoli.

Oggi ci sono titoli per ogni ben di dio: obbligazioni aziendali, titoli di debito pubblico, azioni, e ci sono anche i cosiddetti derivati.

In particolare, un derivato è un titolo che dipende da un altro titolo o da un’altra cosa, detta "sottostante". Ci sono derivati di ogni tipo su ogni tipo di sottostante: options su azioni, future sul petrolio e sul grano, swap su valute e mille altre cose.

Oltre la frontiera dei derivati ci sono contratti tra due parti, detti Credit Default Swap, i CDS, che sono cosa alquanto perversa in quanto la relazione con il sottostante è praticamente assente e si limita alla scommessa sul fallimento di qualcuno, solitamente di una terza parte.

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voci dalla strada

Verso il fallimento degli Stati

IAR Noticias

La crisi fiscale dell' Europa fa crollare i mercati mondiali

I segnali sono chiari: i fondi pubblici miliardari utilizzati per salvare il settore bancario ed industriale hanno generato un debito impagabile e un rosso cronico nei conti di bilancio delle nazioni dell'euro (soprattutto in Grecia, Spagna e Portogallo). L'ombra del mancato pagamento del debito europeo, si è aggiunto ai dati negativi sulla disoccupazione negli Stati Uniti, terminando giovedi con il crollo dei mercati di Wall Street fino al resto dei mercati azionari mondiali.

Le principali piazze borsistiche sono cadute giovedi al ribasso, nel mezzo dei timori per il massiccio debito nazionale di varie nazioni europee e l'aggravamento della crisi del mercato del lavoro statunitense. La tendenza è continuata questo venerdì.

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e l

La crisi e il lungo silenzio della sinistra

Antonio Lettieri

Era l’occasione per un profondo riesame culturale e politico, ma un lungo silenzio ha dominato i grandi partiti della sinistra europea. Il timore di uscire dall’ortodossia ha finora prevalso sulla voglia di indagare sullle origini sociali della crisi, sul fallimento delle teorie neo-conservatrici e sulla possibilità di aprire nuovi percorsi ideologici e politici

E’ passato poco più di un anno da quando il mondo fu scosso da quella che fu definita la crisi più grave dopo la Grande Depressione degli anni Trenta. La crisi, non diversamente da quella del 1929, era nata dal crollo delle banche. Ma questa volta fu chiaro che alla sua origine vi era, oltre alla speculazione finanziaria, l’esplosione degli squilibri sociali accumulati negli ultimi decenni. Con la stagnazione dei salari e la requisizione dei guadagni di produttività a vantaggio del venti per cento della popolazione più ricca, l’economia americana era cresciuta sull’indebitamento delle famiglie. E le banche avevano trovato il modo di realizzare una colossale speculazione sui mutui ipotecari, adottando i più sofisticati strumenti della finanza innovativa.

Ma, non ostante le loro responsabilità nella crisi, si fece strada l’idea che innanzitutto bisognasse salvare le banche per evitare una nuova Grande Depressione. “Troppo grandi per lasciarle fallire” divenne il principio direttivo di tutti governi occidentali. Si sarebbe pensato dopo a rimettere in movimento l’economia reale e ad arginare la disoccupazione che, intanto, cresceva a vista d’occhio.

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Stiglitz: "Fanno soldi sul disastro che loro hanno creato"

Stefano Lepri intervista Joseph Stiglitz

Il Nobel per l'Economia: paradosso assurdo, colpa degli speculatori che prendono di mira i governi più deboli

«E' un paradosso assurdo, da voi in Europa - si infervora Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’Economia 2001 - una ironia della storia. Non lo vede? I governi hanno contratto molti debiti per salvare il sistema finanziario, le banche centrali tengono i tassi bassi per aiutarlo a riprendersi oltre che per favorire la ripresa. E la grande finanza che cosa fa? Usa i bassi tassi di interesse per speculare contro i governi indebitati. Riescono a far denaro sul disastro che loro stessi hanno creato».

Che può succedere ora?

«Aspetti. Non è finita qui. I governi varano misure di austerità per ridurre l’indebitamento. I mercati decidono che non sono sufficienti e speculano al ribasso sui loro titoli. Così i governi sono costretti a misure di austerità aggiuntive. La gente comune perde ancora di più, la grande finanza guadagna ancora di più. La morale della favola è: colpevoli premiati, innocenti puniti».

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rassegna sind

Ancora lontani da una vera ripresa

Anna Avitabile intervista Pier Carlo Padoan*

Potremo dire di aver superato la crisi solo quando la ripresa, oggi trainata dalla politica monetaria e fiscale, sarà autonoma e basata su decisioni di spesa da parte del settore privato

debitone fantozziLa recessione mondiale sembra uscire dal tunnel, ma non si tratta di una ripresa stabilizzata”: così denuncia The Economist. Comincia da qui la nostra intervista con Pier Carlo Padoan, vicesegretario generale dell’Ocse, cui chiediamo se è d’accordo con questo punto di vista.

Padoan Nelle ultime settimane si sono manifestati vari segni di ripresa, nei mercati finanziari, nel grado di fiducia di consumatori e imprese e anche nella decelerazione della caduta della produzione dovuti soprattutto alla accumulazione di scorte. Ma siamo ancora lontani da una vera ripresa. Potremo dire di aver superato la crisi solo quando questa ripresa, che è soprattutto trainata dalla politica monetaria e fiscale, sarà una ripresa autonoma basata su decisioni di spesa da parte del settore privato. E questo difficilmente potrà avvenire prima del prossimo anno.

 

Rassegna Il Rapporto Ocse dedicato all’Italia (giugno 2009) osserva che la crisi colpisce questo paese sotto due profili, per la crisi del sistema creditizio e finanziario, anche se in misura inferiore ai paesi anglosassoni, e per la sua forte dipendenza dalla domanda estera. In che modo questi due aspetti interagiscono tra loro e quali possibilità abbiamo di riagganciare la ripresa mondiale quando la domanda estera inizierà risalire?

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Le parole che non ti ho detto. La crisi, come (non) ce l’hanno raccontata

Vladimiro Giacchè

 Perché nessuno se n’è accorto? Se queste cose erano tanto grosse com’è che tutti le hanno trascurate? È orribile! (Elisabetta II in visita alla London School of Economics, novembre 2008)

Se ci sarà una rivoluzione sociale in America farà bene a non contare sulla stampa. Anzi non sapremo neanche che è in corso per almeno sei mesi. (S. Hersh, “Il futuro dei giornali”, intervista di M. Calabresi, la Repubblica, 1° aprile 2009)

1. Comunicazione della crisi o crisi della comunicazione?

Chiunque osservi, anche superficialmente, le vicende della crisi generale che è esplosa nell’agosto 2007, difficilmente potrà sottrarsi all’impressione di essere stato informato poco e male su quanto stava (e sta) accadendo. In effetti, la comunicazione offerta dai media mainstream si è contraddistinta per tre caratteristiche: 1) è stata eufemistica e minimizzante; 2) è stata costantemente in ritardo sugli avvenimenti; 3) è stata - ed è - sostanzialmente elusiva.

1) Per quanto riguarda l’aspetto minimizzante dell’informazione sulla crisi, hanno certamente concorso incomprensione della reale portata della crisi, speranza che si risolvesse in tempi brevi e con “effetti collaterali” limitati, e anche - almeno dopo i primi mesi - una buona dose di mistificazione: tutte caratteristiche che accomunano il mondo dell’informazione e quello della politica e dell’economia (del resto ovunque strettamente intrecciati).

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infoaut

Ripresa in corso?!

di Infoaut

[Una nota sui catastrofisti del Centro Einaudi e sulle difficoltà del Berluska]

La presentazione di un libro - il XIV Rapporto sull'economia globale e l'Italia curato dal gruppo di Mario Deaglio - in un luogo pubblico ma non direttamente mediatico (www.centroeinaudi.it/appuntamenti/alla-scuola-della-crisi.html)) e la sobrietà, magari un po' grigia, del milieu intellettuale sabaudo del centro einaudi: sono gli ingredienti di una riflessione sullo stato attuale della crisi globale - aggiornata nei dati rispetto alla stessa pubblicazione che risale a qualche mese fa - che non lascia nulla, ma proprio nulla agli ottimismi di facciata e ai patinati annunci televisivi.

Il succo della lezione - A scuola della crisi. Il titolo, tra il consolatorio e il velleitario, del rapporto - è questo. Della attesa, e da molti già decantata, ripresa economica mondiale a V non c'è traccia, tanto più se si guarda a quanto necessiterebbe per far fronte alle ferite profonde che la crisi ha inciso nel tessuto economico e sociale. Certo, non c'è stato il collasso paventato nell'autunno 2008. Ma il malato resta assai grave e, soprattutto, il virus della crisi ha subito una mutazione trasferendo il rischio sistemico dai mercati finanziari direttamente agli stati.

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Mercati, un 2010 con poche illusioni

di Giuseppe Turani

"Questi mercati hanno ancora il 56 per cento di aumento da portare a casa. Poi verso metà febbraio si ferma tutto, si fa un bel crollo (magari anche del 20 per cento) in attesa dei risultati delle trimestrali e poi ci si guarda negli occhi. E ognuno deciderà che cosa fare da grande".

L'operatore milanese che fa questa previsione quasi millimetrica sa benissimo che può sbagliarsi, e anche di grosso, come peraltro è già accaduto in passato. E infatti aggiunge (non richiesto): "Di rialzi sballati ne ho visti tanti, ma questo in un certo senso li batte tutti». «Per quanto ci si sforzi di trovare una spiegazione razionale al boom del 20/30 per cento dei mercati in piena crisi, non ci si riesce. Non esiste una sola ragione al mondo che giustifichi questo boom. E infatti anche noi che siamo qui (e che stiamo guadagnando mica male) siamo perplessi. E' come essere oggetto delle cure di un corteo di Babbi Natale, tutti con le gerla pieni di doni. Doni che sappiamo benissimo di non avere meritato. Semmai, noi abbiamo fatto solo casino e abbiamo messo in piedi una crisi enorme».

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La crisi e il ritorno agli anni Ottanta

di Vladimiro Giacché

La notizia è di fine dicembre, e la maggior parte dei giornali l’ha confinata in poche righe. Ma avrebbe meritato maggiore attenzione: il servizio studi della Banca d’Italia, in una ricerca sulla crisi internazionale e il sistema produttivo italiano, ha fatto piazza pulita di tutte le fandonie di questi mesi sulla presunta buona tenuta della nostra economia. Con queste parole: “Rispetto ai massimi toccati all’inizio del 2008, nel secondo trimestre dell’anno in corso l’indice della produzione ha segnato una diminuzione cumulata prossima al 25 per cento, con il risultato che, nella scorsa primavera, il volume delle merci prodotte si era riportato al livello della metà degli anni Ottanta. Nella media dell’area e nei suoi principali paesi, il calo è stato inferiore. Misurato in termini di trimestri persi, cioè di quanto indietro nel tempo sono tornati i livelli della produzione, la maggiore gravità della situazione italiana risulta evidente: i 12 e i 13 trimestri di Francia e Germania si confrontano con i quasi 100 dell’Italia”. I trimestri perduti sono per l’esattezza 92: la produzione a metà 2009 si è quindi attestata agli stessi livelli del secondo trimestre del 1986. Fanno 23 anni: non abbiamo perso il lavoro di una generazione, ma poco ci manca.

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cigno nero

Il 2010: tutti i nodi vengono al pettine

Leon Zingales

In queste vacanze mi sono riposato ed ho evitato di proposito articoli di Economia e Matematica. Ma casualmente mi è capitato di leggere un articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 30 Dicembre nel quale si riportava un intervista a Domenico Siniscalco, ex Ministro dell’Economia ed ora vicepresidente di Morgan Stanley (lasciamo stare, per questa volta, i commenti sulla stretta correlazione tra governi e banche d’affari).

Siniscalco si è fatto scappare la seguente frase: ”l’ondata di inflazione è sempre una soluzione ... pessimo rimedio, ma sempre meglio degli altri due possibili: insolvenza o il prelievo di fatto forzoso”. Insomma, buon anno a tutti….

Personalmente sono convinto che l’iperinflazione non è affatto una soluzione (spiegherò il perché nel prossimo post) e di conseguenza non rimangono che le altre due alternative.

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La specificità italiana nella crisi in atto

di Pierluigi Ciocca

[Intervento alla Tavola Rotonda dell’Accademia dei Lincei su La crisi: aspetti economici e sociali (10 dicembre 2009)]

La crisi dell’economia italiana non si identifica con quella mondiale. Soprattutto, una volta superata la crisi mondiale, non sarà per ciò stesso risolto il problema economico italiano. Questo è ben più grave e ha natura specifica. E’ risalente nel tempo. A differenza di quello mondiale, è reale e non anche finanziario, strutturale più che ciclico. I suoi diversi aspetti vanno affrontati con un impegno che sinora è mancato.

1. – Sulla scorta di preesistenti squilibri – fra cui, il difetto di risparmio negli Stati Uniti, l’eccesso in Cina ed Europa – la contrazione mondiale è stata innescata dalla fragilità della finanza internazionale, è principiata da quella anglosassone. Dalla finanza il cedimento di credito e di fiducia si è esteso alla domanda, al commercio, alla produzione. Per il 2009 il FMI stima ora una regressione del prodotto del globo dell’ordine dell’1% (-12% il volume del commercio), rispetto a un trend di crescita pre-crisi del 4% l’anno.

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american thinker

Il 2010 sarà peggiore

di Monty Pelerin*

Il 2010 sarà probabilmente l'anno di svolta in cu igli esperti smetteranno di riferirsi alla recessione e cominciano a parlare apertamente di depressione.

Il problema economico è piuttosto semplice da descrivere: c'è troppo debito rispetto al reddito e / o alla ricchezza prodotta. Di seguito è riportato il grafico che rappresenta la situazione dell’ economia americana, nel quale viene mostrato il debito complessivo degli Stati Uniti come percentuale del PIL dal 1870 in avanti. I dati sul debito comprendono tutti i debiti pubblici e privati e  non comprende gli oneri legati al mandato del governo, come la Social Security e la Sanità, che non vengono finanziate.

(Nota: Secondo i depositari di questi fondi fondazione negli Stati Uniti il valore attuale delle passività sarebbe di circa 106 mila miliardi di dollari, che se venissero incluse farebbero aumentare il rapporto Debito/PIL fino al 1.000%).

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Gli economisti di ventura

Intervista di Cosima Orsi a Marcello De Cecco

La cancellazione della leggi che impedivano alle banche di investimento di fare i loro comodi è avvenuta sotto Carter, Reagan, Bush padre e figlio. E proseguita da Clinton, i cui uomini sono tornati alla Casa Bianca con Obama nonostante le responsabilità avute nel preparare le condizioni che hanno provocato la crisi. L'Europa deve cercare assieme alla Russia una strada autonoma per confrontarsi alla pari con la Cina

Ci sono forti analogie tra la crisi del '29 e quella attuale. Ma l'aspetto che colpisce di più è che i responsabili della crisi sono ancora al loro posto, continuando ad arricchirsi, cosa che non accadde con Roosevelt.

Un'altra differenza è il ritorno sulla scena mondiale delle economie orientali, mentre l'Europa continua a inseguire il modello statunitense, invece che diventare un polo «autonomo» che attiri a se la Russia e gli altri paesi dell'ex-socialismo reale. Marcello De Cecco, rispondendo alle domande che annodano i fili di questa serie su «il capitalismo invecchia?», invita però a sviluppare un punto di vista «forte» sulla crisi economica.

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Capitalismo, Big Crisi e piccola sinistra

di Joseph Halevi

In Italia la sinistra ufficiale ed i suoi frammenti a sinistra non hanno alcuna visione sistematica della crisi. Per ovvi motivi di compartecipazione al potere, quella ufficiale parla solo di regole, spesso credendo nel mercato - senza peraltro averne una teoria appropriata - molto di più della destra, come con originalità ha sottolineato Riccardo Bellofiore. Le sinistrate frange "radicali" pur pensando che la crisi sia di sistema, hanno il cervello altrove, concentrato sulla mera sopravvivenza politica.

Il 2009 è stato l'anno del travaglio della crisi che continuerà anche nel 2010, basti pensare a tutte le imprese che nel mondo occidentale - dalla Finlandia alla Grecia ed al Portogallo, dall'Italia agli Stati uniti e travalicando l'Oceano Pacifico fino al Giappone - sono in fase di ristrutturazione o di chiusura definitiva, generando comunque disoccupazione e sottoccupazione.

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Il capitalismo invecchia?

intervista di Cosima Orsi a Christian Marazzi

L'asse dominante del capitalismo andrà da Est a Sud del pianeta. Le risposte alla recessione non sono però da cercare in una nuova geografia economica, ma passano attraverso il conflitto del lavoro vivo per redistribuire la ricchezza prodotta Il prezzo della crisi è molto alto. Ma possiamo farlo pagare al capitale finanziario, perché è in gioco la nostra sopravvivenza come soggetti capaci di lottare

La crisi ha reso evidente il fatto che la politica è ostaggio del capitale finanziario. La possibilità di una risposta degli Stati nazionali è quindi limitata. Ma difficoltà sono emerse quando il cosiddetto G20 ha provato a individuare misure adeguate alla radicalità della crisi, riuscendo alla fine a proporre strumenti che hanno rafforzato il processo di finanziarizzazione dell'attività economica. Ma ciò che è emerso in questo ultimo anno è che la finanza è diventato il cuore del capitalismo contemporaneo.

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Un convegno per capire la crisi

Emiliano Brancaccio

Il 26 e 27 gennaio prossimi, alcuni tra i principali esponenti del pensiero economico critico si riuniranno presso l’Università di Siena per interrogarsi sugli sviluppi della grande recessione in corso, e sul futuro della teoria e della politica economica.

Il convegno è organizzato con la collaborazione di
Economia e politica. Tutte le informazioni sono sul sito www.theglobalcrisis.info.

Nel 2006, chiamato ad esprimersi sui criteri di valutazione della ricerca universitaria, l’attuale rettore della Bocconi Guido Tabellini dichiarò che bisognava respingere le procedure tese a salvaguardare i filoni di ricerca alternativi al mainstream, poiché queste avrebbero finito per «proteggere sette di ricercatori in via di estinzione»[1].

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 ripensare marx

GEAB N ° 40

Primavera 2010 - Nuovo punto di flessione della crisi sistemica globale: Quando il cappio dei disavanzi pubblici strangolerà gli Stati e i sistemi sociali occidentali


Secondo LEAP/E2020, la crisi sistemica globale conoscerà un nuovo punto di flessione da partire dalla primavera del 2010. Infatti, in questo periodo, le finanze pubbliche dei principali paesi occidentali diventeranno ingovernabili perché sarà simultaneamente ovvio che nuove misure di sostegno all’economia si imporranno in base al fallimento dei vari stimoli del 2009 (1) e che l'ampiezza dei disavanzi di bilancio proibirà una nuova spesa significativa. Se questo “cappio„ dei disavanzi pubblici che i governi si sono volontariamente messi attorno al collo nel 2009, rifiutando di fare assumere al sistema finanziario il prezzo dei suoi difetti (2), peserà molto sull'insieme delle spese pubbliche, esso influirà particolarmente sui sistemi sociali dei paesi ricchi impoverendo sempre più la classe media ed i pensionati, lasciando i più svantaggiati alla deriva (3). Parallelamente, il contesto di insolvibilità di un numero crescente di stati e di Comunità locali (regioni, province, stati federati) comporterà un doppio fenomeno paradossale di risalita dei tassi d'interesse e di fuga dalle valute in direzione dell’oro.

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la grande crisi

Il Grande Vecchio della FED

Stefano Bassi

Però scusate...non è colpa mia!
Molti dicono che sono un pessimista inveterato e cosmico...
Io mi definisco solo un'inguaribile realista con la "tendenza maniacale" ad esaminare i DATI interpretandoli in modo coerente tra di loro e con una "grave fobia" nei confronti dei proclami di istituzioni e gossip-tiggì ;)....
Ecco che allora provo a "guarirmi" assecondando per un attimo tutto quell'ottimismo che ci somministrano quotidianamente: venerdì scorso sono usciti un po' di dati USA "meglio del previsto" che combaciavano tra di loro componendo una "figura" che potrebbe, dico potrebbe, rappresentare un abbozzo di Ripresa...ed ho scritto "Segnali di Ripresa dagli USA" (con molti se e molti ma: il realismo è una brutta malattia...;)).

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manifesto

Una vita activa fondata sul debito

Intervista di Cosma Orsi ad Andrea Fumagalli

Il modello dominante di attività economica, basato sulla finanza e sulla conoscenza, ha la sua genesi nella deregulation dei mercati e i suoi necessari corollari sono la privatizzazione dei servizi sociali e una flessibilità produttiva e del lavoro La compressione dei salari aggrava la crisi. Servono interventi mirati a garantire continuità di reddito, l'accesso alla formazione e all'apprendimento

La genesi della crisi attuale sta nella deregulation dei mercati finanziari degli anni Ottanta, che ha segnato il tramonto di un regime di accumulazione fondato sulla grande impresa, su un mercato del lavoro incentranto su un compromesso sociale tra lavoro e capitale. Da allora, il confine tra sfera produttiva e sfera finanziaria si è progressivamente dissolto e il capitale finanziario e la conoscenza sono divenute gli assi su cui far ruotare la produzione della ricchezza e, cosa più importante, a una precariazzazione dei rapporti di lavoro e una privatizzazione dei servizi sociali. La tesi presentata in questa intervista da Andrea Fumagalli, che si aggiunge a quelle già pubblicate nella serie «il capitalismo invecchia?», cerca di individuare anche delle forme di resistenza al capitalismo cognitivo.

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Il bilancio in rosso della democrazia

interv. di Cosima Orsi a Duccio Cavalieri

La minaccia ai diritti politici, sociali e civili non viene solo da una attività finanziaria senza regole, ma dalla natura stessa del capitalismo, dove il potere è esercitato da chi ha più denaro Per uscire dalla crisi serve un aumento del potere d'acquisto dei salariati e lo sviluppo di settori produttivi che favoriscano la crescita dell'occupazione. In tutto il mondo sono state invece aiutate le banche, le società finanziarie e le grandi agenzie di mutui immobiliari, che hanno utilizzato a proprio esclusivo vantaggio gli aiuti ricevuti dallo Stato

La crisi è sia finanziara che «reale», ma non prospetta una fuoriuscita dal capitalismo. È piuttosto la crisi di una forma specifica di capitalismo, quello selvaggio e predatorio basato sulle rendite parassitarie e speculative.

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E' ora disponibile la seconda parte del GEAB Report n. 39.
Se avete perso la prima parte con il report gratuito, potete leggerla qui: GEAB 39 parte I

GEAB 39 - Crisi sistemica globale - II parte


La fine del consumatore come lo abbiamo conosciuto negli ultimi 30 anni

Il consumatore americano, incarnazione del Sogno Americano dai tempi di Ford, è deceduto.
Ma anche il consumatore occidentale (fuori dagli USA) come lo conosciamo negli ultimi 30 anni si sta consumando.
Oltre a questo, LEAP / E2020 ritiene che sarebbe sbagliato pensare che gli asiatici e i latinoamericani rimpiazzeranno queste "macchine da consumo".