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gasparenevola

Re-inquadrare. Funzione intellettuale, cornice e istigazione (in una società di like e influencer) (Seconda parte)

di Gaspare Nevola

The Country Hams Paul McCartney with Floyd Cramer Chet Atkins Walking in the Park with Eloise1. Sulla funzione intellettuale critico-provocativa e sulla solida persistenza della cornice acquisita

La funzione intellettuale critico-provocativa, va detto, è fisiologicamente esposta all’insuccesso. Questo tende a condizionare la figura dell’intellettuale che la interpreta, portandolo a interrogarsi su quale senso possa mai avere lasciarsi scivolare nella corrente dei “predicatori nel deserto”. La “cornice”, che la funzione intellettuale intende “provocare” mettendola in discussione, trae la sua tendenza a persistere da una solidità che non deriva da fattori banali[1]. Questo argomento merita un minimo di approfondimento.

Filosofi, psicologi, antropologi e sociologi hanno cercato, da tempo immemore, di spiegare le profonde, buone o comprensibili ragioni del perché gli esseri umani e le società siano inclini ad adagiarsi in schemi di pensiero e pratiche di vita accomodanti e dati-per-scontati, evitando di spezzarli almeno fino a quando tali schemi e pratiche non arrivano a opprimerli o a soffocarli[2]. Per dirla in termini semplici, individui, gruppi e società nel suo complesso vivono (perlopiù) di routine a automatismi. Non potrebbero presumibilmente vivere e sopravvivere se dovessero continuamente inventare, ripensare e pensare ex-novo in che modo fare o vedere una cosa: ciò sarebbe poco sostenibile nella vita quotidiana. Ma altro dovrebbe essere il beruf intellettuale (e che qui interessa).

Come ha efficacemente sintetizzato Etzioni con diretto riferimento alla sfera delle idee, all’interno di una società gli individui conducono la loro vita facendo riferimento a idee e conoscenze “stabili” e sono normalmente poco inclini a consentire a idee e conoscenze “trasformative” di mettere in discussione i presupposti di base e “dati per scontati” su cui sono fondate le loro idee e le loro conoscenze sul mondo, sui molteplici aspetti della vita (di ciascuno e collettiva).

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iltascabile

Chi ha scritto la regola del gioco?

Alessandro Lolli intervista Raffaele Alberto Ventura

La comunicazione ai tempi del politicamente corretto. Una conversazione con Raffaele Alberto Ventura a partire dal suo La regola del gioco

Josefa de Ayala The Sacrificial Lamb Walters 371193.jpgAll’inizio del decennio scorso consigliai a un amico un blog che seguivo da un po’. La sua risposta la ricordo ancora oggi. Si trattava di Eschaton, un blog di commento obliquo all’attualità da una prospettiva… particolare. L’autore si chiamava Raffaele Alberto Ventura, aveva appena trent’anni, si era laureato con una tesi in epistemologia sulle dispute eucaristiche e osservava la modernità con sospetto, con uno sguardo insieme conservatore e postmoderno. Il mio amico invece era -ed è - un punk anarchico individualista e, leggendo queste riflessioni così ai suoi antipodi, mi disse: “un bellissimo blog di controcultura”.

Mi è rimasto impresso quel giudizio, un punk che conferiva la medaglia della “controcultura” a un conservatore. E lo trovavo pertinente: entrambi, da posizioni diverse, si trovavano ai ferri corti con una certa egemonia culturale. Di acqua ne è passata sotto i ponti da allora, Ventura oggi è un autore affermato con quattro libri all’attivo. L’ultimo, appena uscito per Einaudi, si chiama La regola del gioco e, dopo averlo letto, per la prima volta in tutti questi anni, ho avuto l’impressione che Raffaele non si meritasse più quella medaglia. Mi sembrava infatti che avesse scelto consapevolmente di difendere quell’insieme di norme, consuetudini, ingiunzioni esplicite e implicite che regolano il nostro mondo in modo molto più strutturato di dieci anni fa e che insomma si fosse arreso a quella cultura con cui un punk anarchico lo aveva giudicato incompatibile. Allora ho deciso di parlargliene. Questa è la discussione che abbiamo avuto.

* * * *

Alessandro Lolli: Chi è il target di questo libro?

Raffaele Alberto Ventura: Il “lettore ideale” del libro è qualcuno che non ha mai letto un mio libro e che mai lo leggerebbe, qualcuno che non cerca una “teoria” astratta ma uno strumento concreto.

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gasparenevola

Re-inquadrare. Funzione intellettuale, cornice e istigazione (in una società di like e influencer) (Prima parte)

di Gaspare Nevola

fumatore 915x790.jpeg(IN SALA IL BRUSIO E’ ANDATO CRESCENDO…)

Mmm… Siate comprensivi, per favore, un po’ di silenzio. Diamo subito la parola a George Orwell. Grazie.

GEORGE ORWELL PRENDE LA PAROLA…  (SIAMO NEL 1948  – No, ma se volete divertitevi pure a invertire gli ultimi due numeri o a immaginare di essere nel 2023).

Gentili signore e gentili signori…

Voglio solo sottolineare che il tipo di Stato che ci governa dipende necessariamente, almeno in parte, dall’atmosfera intellettuale dominante… Sono interessato all’effetto che le idee politiche e la necessità di schierarsi politicamente producono sulle persone di buona volontà.

Questa è un’età politica…

L’autentica reazione a un libro, ammesso che ci sia una reazione, di solito è “questo libro mi piace” oppure “non mi piace”… “questo libro sta dalla mia parte, quindi devo trovarci dei pregi”. Naturalmente, quando elogiamo un libro per ragioni politiche possiamo essere emotivamente sinceri, nel senso di approvarlo davvero in modo convinto; ma spesso capita che anche la fedeltà di partito richieda una palese menzogna… A ogni modo, innumerevoli libri a favore o contro la Russia…, a favore o contro il sionismo, a favore o contro la Chiesa cattolica e così via vengono giudicati prima di essere letti, e in realtà ancor prima che siano scritti. (…)

In noi si è sviluppata… una coscienza delle enormi ingiustizie e miserie del mondo (…)

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ilrovescio

L’ULTIMO 25 NOVEMBRE. Contro la variante fucsia del disciplinamento sociale

di Il Rovescio

luna.jpgDopo quest’ultimo 25 novembre, proponiamo due testi diversi, che ci sembrano consonanti nel loro essere fuori dal coro. Il primo è della Coordinamenta femminista e lesbica, ed è già stato pubblicato sul loro blog https://coordinamenta.noblogs.org/. Il secondo, scritto da una compagna comunista, è inedito.

Se condividiamo l’allergia di queste compagne verso tutte le proteste comandate, nonché la denuncia della evidente strumentalizzazione istituzionale-poliziesca della vicenda di Giulia Cecchettin (e prima ancora dello stupro di Caivano), aggiungiamo da parte nostra una nota problematica.

Se dietro le mobilitazioni dello scorso 25 novembre (e più in generale dietro la riscoperta di massa, negli ultimi anni, delle questioni di genere) è difficile non scorgere una energica e interessata spinta mediatica, ci pare anche che la questione dei femminicidi e dell’oppressione patriarcale sia tanto reale1 quanto sentita. Mentre a dircelo è innanzitutto la vastità delle manifestazioni, attraversate da centinaia di migliaia di persone di ogni sesso e genere, «le piazze più sincere e arrabbiate» sembrano covare (e a tratti comunicare) anche una eccedenza, un bisogno di stravolgimento degli attuali rapporti sociali. Ce lo dicono sia alcuni slogan (a partire dal «se non torno a casa, bruciate tutto» nato dalle parole di Elena Cecchettin, la sorella di Giulia), sia alcune azioni (come il meritorio infrangimento delle vetrine dell’associazione antiabortista Pro Vita durante la manifestazione a Roma). Insomma, pare che ormai molte persone, specialmente giovani, identifichino come patriarcato la totalità della presente organizzazione sociale, esigendo, in un modo o nell’altro, il suo superamento…

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lariscossa

Pandemia e complottismo: la zoonosi

di Alessandro Bartoloni

22223 403x210.jpgI commenti pubblicati su Sinistrainrete alla relazione del compagno Alessandro Pascale intitolata Le menzogne sulla pandemia COVID ben testimoniano lo stato dell’analisi da parte della cosiddetta sinistra. Per molti, troppi, compagni, pensare che il SARS-CoV-2 sia un prodotto artificiale è ancora sinonimo di complottismo e irrazionalismo antiscientifico. Un po’ perché a rilanciare per primi la tesi dell’origine artificiale del virus sono stati gli esponenti della peggior destra (ad es. Matteo Salvini), dimostrando con ciò che anche tra le nostre fila c’è chi guarda il dito e non la Luna. Un po’ perché la sinistra più o meno antagonista ha da tempo abbracciato il paradigma epistemico popperiano che contrappone la scienza ad una presunta “teoria cospiratoria della società”[1]. E poi perché, dettaglio non da poco, prove concrete dell’origine artificiale del virus non ne sono ancora emerse.Pertanto, la maggior parte delle voci critiche predilige la teoria che vuole il SARS-CoV-2 nato tra i pipistrelli e arrivato all’uomo attraverso il cosiddetto “salto di specie” (zoonosi o spillover, che dir si voglia), con la complicità di qualche pangolino e del mercato di Wuhan. In pratica, saremmo di fronte ad un fenomeno naturale la cui probabilità di accadimento è aumentata a causa delle attività umane. Una posizione apparentemente inoppugnabile e chiaramente espressa dagli specialisti. «Se il momento esatto e la natura della comparsa di una malattia non può essere previsto, è necessario considerare seriamente l’aumentata probabilità di rilevare e affrontare una precipitazione degli eventi fino all’emergenza a causa di ambienti antropizzati»[2]. Così alcuni ricercatori nel 2018 che hanno studiato proprio l’interazione tra pipistrelli, Coronavirus e deforestazione e per i quali «la probabilità di insorgenza del rischio di infezione è in aumento a causa dei cambiamenti ambientali e della maggiore pressione sull’ambiente».

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Oppressione ed emancipazione della donna

di Alessandra Ciattini*

immagine per articolo sulle donne.pngIl recente e tragico fatto di cronaca, che ha visto l’uccisione di un’altra giovane donna da parte del suo fidanzato, un giovane probabilmente depresso e fortemente disorientato – condizione assai diffusa nella società contemporanea –, ha fatto ritornare alla ribalta l’irrisolto problema dell’oppressione della donna e della sua emancipazione, ma a mio parere è stato mal posto e interpretato – come avviene da molto tempo – in maniera strumentale.

In primo luogo, stupiscono le espressioni del tipo: è possibile che nella modernità postindustriale accadano fatti di questo genere che fanno riaffiorare forme primitive di comportamento legate a un supposto mai scomparso patriarcato? Stupiscono perché non colgono che gli avanzamenti scientifici, tecnologici, sociali, politici avvenuti negli ultimi decenni sono stati dialetticamente accompagnati da forme di profondo imbarbarimento delle relazioni umane, legate soprattutto alla cancellazione di molti diritti conquistati in precedenza dai lavoratori, allo svuotamento dei cosiddetti valori democratici, al drammatico squilibrio tra le varie regioni del mondo, dalla costante violazione dei diritti più elementari, dalla formazione di un’oligarchia internazionale che ci governa e ci plasma a suo piacimento. Insomma da arretramenti sostanziali documentati per esempio dalla volgarità dei falsimedia, dalla perenne presenza della violenza sempre più spietata sia nei prodotti subculturali che nella vita reale, dalla continua riproposizione della mercificazione dell’essere umano e in particolare della donna (si veda l’uso della sessualità nella pubblicità), ai quali questa società offre due sole alternative tra loro collegate: vendere o comprare. E come si sa si vendono e si comprano solo oggetti.

Una prima osservazione: chiamare in causa il patriarcato, che rappresenta solo una forma storica di famiglia, vuol dire eternizzare qualcosa che eterno non è, è decontestualizzare e destorificare, evitando così di mettere in questione la struttura della società attuale.

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quotidianoweb.png

"Il patriarcato è superato, la guerra tra i sessi è in atto"

Giulia Bertotto intervista Andrea Zhok

Zhok ok.jpgAndrea Zhok, professore di Filosofia Morale presso l’Università degli Studi di Milano, collabora con numerose testate giornalistiche e riviste. Tra le sue opere ricordiamo le più recenti: “Critica della Ragione Liberale” 2020, “Oltre Destra e Sinistra: la questione della natura umana”, quest’ultima opera è stata data alle stampe dalla coraggiosa casa editrice Il Cerchio, che ha pubblicato anche “La Profana Inquisizione e il regno dell’Anomia. Sul senso storico del Politicamente Corretto e della Cultura Woke” (2023).

In quest’ultimo, agile ma densissimo saggio, dotato di straordinaria forza critica, spiega come il potere della censura, una volta detenuto dalle istituzioni ecclesiastiche, sia oggi appannaggio di quel movimento liberal soprattutto americano, che condiziona anche il nostro sistema categoriale e valoriale.

Questo “atteggiamento di ispezione poliziesca del linguaggio” spiega, nasce in ambito accademico per non offendere alcuna minoranza oppressa, e si fonda su un importante scollamento intellettuale dal registro e dal linguaggio popolare. Ma si badi bene -non è solo una questione formale- perché le parole sono ontologicamente caricate e perché ai trasgressori del comandamento politicamente corretto viene resa inagibile la partecipazione al dibattito pubblico su temi fondanti come “l’educazione, la famiglia, la struttura della società, la procreazione, l’affettiva, la natura e la storia umane”. Così ben presto la difesa delle categorie lese diventa strumento di diffamazione contro chiunque intenda argomentare il dogma della vittima.

Nella società della Profana Inquisizione “Non esiste propriamente alcun valore, ma un unico disvalore: la violazione dello spazio altrui”.

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resistenzealnanomondo

La realtà ostaggio da smontaggi e ricostruzioni artificiali

di Silvia Guerini

DALL.E representation of Donna HarawaysLe teorie post-moderne proseguono l’opera di decostruzione della realtà rendendola ostaggio del discorso, ma oggi siamo ben oltre questo processo di decostruzione e risignificazione della realtà: sono l’esistenza stessa della realtà e della verità a essere sotto attacco, assediate da costruzioni sintetiche e artificiali che senza il bisogno di imporsi diventano l’unico orizzonte di senso possibile e immaginabile. Una realtà de-fatticizzata trasformata in un processo rimodellabile a piacimento. Una realtà proteiforme, fluida, instabile, volatile, effimera e istantanea: le caratteristiche del presente cibernetico e transumano. Nulla che dia solidità e appiglio, nulla in grado di reggere questi tempi di disgregazione e cancellazione, nulla su cui soffermarsi, nulla che possa trattenere. Tutto scivola e viene inghiottito nell’universo-Macchina.

Hannah Arendt descrive la verità come la “terra sulla quale stiamo e il cielo che si stende sopra di noi”1, verità che possiede la solidità dell’essere. Una solidità che oggi svanisce. La verità oggettiva si sgretola, si scompone in molteplici forme e le sensazioni soggettive prendono il posto delle realtà oggettive. La verità, da questione ontologica, diventa mero sentire soggettivo infinitamente scomponibile e ricomponibile dai riprogettatori dell’umanità sintetica.

In assenza di tensione per la verità la società si può reggere solo sulla menzogna, come insegna Simone Weil. La verità è fondamento esistenziale dell’umano, la sua disintegrazione corre parallela con la disgregazione della società.

Dall’assedio ai corpi e al vivente nei suoi più intimi processi arriviamo all’assedio della stessa realtà. La grande battaglia oggi è per l’esistenza stessa della realtà. Il punto di non ritorno è più vicino che mai, ma quando ci arriveremo molti non ne saranno consapevoli. Ciò che dai più è stato accettato oggi sarà la condizione necessaria di quello che sarà accettato domani.

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sinistra

Iran: quale rivoluzione?

A un anno dalla morte di Masha Amini

di Alessandro Mantovani

Donne Iran 2.jpgUn anno è passato dalla scintilla che ha innescato la più recente e imponente ondata di manifestazioni contro il regime iraniano. L’impressionante movimento, che ha visto migliaia di proteste coinvolgenti più di 160 città, come si sa, è stato iniziato dalle donne e questo è un fatto di enorme importanza non solo per l’Iran e i paesi islamici, ma si può ben dire alla scala internazionale. Non in quanto sia il primo movimento che veda le donne protagoniste (altri ve ne sono stati), ma in quanto un movimento femminile per i propri diritti ha fatto da battistrada, da detonatore a una mobilitazione che si è estesa a più ampi strati popolari e anche proletari, dapprima in solidarietà con le donne, poi e sempre più con rivendicazioni generali che si riassumono nella richiesta della fine del regime degli ayatollah.

Decine di migliaia di persone, in maggioranza giovani (soprattutto ragazze, spesso appoggiate dai loro coetanei o familiari maschi), si sono riversate nelle piazze con gesti altamente simbolici e mai riscontrati in precedenza, bruciando lo hjiab e tagliando i capelli in pubblico.

Altro fatto di estrema rilevanza è che subito dopo le donne, a ribollire siano state le minoranze etniche, i curdi, i turchi, gli arabi, i baluci, e che ciò, forse per la prima volta, abbia creato nella società persiana (dove il nazionalismo ha sempre potuto far leva sul timore di una disgregazione dello stato per linee etniche) un afflato di solidarietà e simpatia verso tali minoranze, ossia un riconoscimento della loro situazione di oppressione. Non per nulla il movimento è esploso dapprima nel Kurdistan iraniano: Masha Amini, la giovane la cui morte tra le grinfie della “polizia morale” ha acceso la miccia della rivolta, era curda, doppiamente esclusa quindi dai diritti civili, e l’accanimento dei suoi aguzzini contro di lei non è stato certo estraneo a questa identità).

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lavoroesalute

Vita, terra e libertà per la Palestina

Alba Vastano intervista Bassam Saleh, giornalista palestinese

immagine 70.png“Il conflitto c’è sempre stato, non solo dal 7 ottobre, tra il popolo palestinese e la potenza occupante. Una potenza sostenuta e appoggiata dall’Occidente capeggiato dagli Usa, per tenere tutta la regione del Medio Oriente in stato di instabilità e avere l’egemonia sulle risorse naturali, per la posizione geopolitica, quindi al servizio del capitalismo malvagio, ai produttori e fabbricanti di armi. Sono gli interessi dell’imperialismo americano e occidentale che perseguitano il popolo palestinese, vogliono togliere il diritto di resistere per esistere e vivere libero come tutti i popoli” ( Bassam Saleh)

A Gaza è in atto un genocidio, il massacro di un popolo in sofferenza da decine di anni, privato dei basilari diritti umani. Un popolo che per Netanyahu, primo ministro di Israele, e per i suoi seguaci non deve avere un territorio, né identità giuridica, né indipendenza, né alcuna forma autonoma di sostentamento. Nulla che gli consenta una vita dignitosa e il diritto di essere riconosciuti come popolo di uno Stato indipendente. il massacro in atto oggi con l’escalation dell’invasione a terra della Striscia di Gaza sta mietendo continuamente vittime fra i civili. I media ci presentano ogni minuto la visione di piccole vittime straziate sotto i bombardamenti.

Le piccole vittime palestinesi si sommano alle decine di giovanissime vittime israeliane causate da Hamas. ‘L’Unicef denuncia che oltre 2300 bambini sarebbero stati uccisi in due settimane di bombardamenti a Gaza. Più di 5300 sarebbero stati invece feriti’.. Adele Khodr, direttore generale Unicef per il Medio oriente e il Nord Africa denuncia“L’uccisione e la mutilazione di minori, gli attacchi su ospedali e scuole e la negazione dell’accesso umanitario costituiscono gravi violazioni dei diritti dei bambini. L’umanità deve prevalere”.

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sinistra

Mille nomi per Lady Society

di Patrizio Paolinelli

Le immagini della società orientano il modo in cui individui e gruppi interpretano il mondo in cui vivono. Ma come orientarsi quando tali immagini si moltiplicano senza sosta? Mille nomi per Lady Society costituisce un iniziale tentativo di risposta. Allo scopo fa un primo punto della situazione, problematizza la proliferazione di immagini della società e sollecita l’apertura di nuovi spazi di comunicazione tra la sociologia e il suo oggetto di studio.

  1. silhouette arte concettuale psiche umane.jpgLavoro di nominazione

Il nome è un’immagine. Società arretrata. Ecco un nome attribuito a una popolazione umana osservata dalle scienze sociali. Il nome presenta il vantaggio di “fotografare” tale popolazione colta in un determinato spazio-tempo. Tra le discipline che hanno la legittimità di coniare nomi per identificare una società la sociologia si è conquistata da tempo il posto d’onore. Ieri come oggi i sociologi analizzano le società e individuano dei tipi. Ai tipi di società impongono un nome con cui rimandano a un’immagine sintetica in modo da qualificarli e stabilire delle differenze: società agricola, società industriale; società tradizionale, società moderna; società di massa, società individualizzata e così via.

Il nome è un evento. E l’evento è il libro con cui si attribuisce un nuovo nome alla società. Il libro può avere diversi destini determinati dalle porte girevoli con cui il testo entra ed esce dai circuiti di lettori specializzati e da quelli dei lettori non specializzati. Due casi: un libro può registrare più vendite fuori che dentro la comunità scientifica e suscitare un’attenzione elevata nelle pagine culturali del mondo dell’informazione; oppure può registrare poche vendite tra il pubblico dei non addetti ai lavori, ma godere di un’alta attenzione del mondo universitario e di un’attenzione relativa del mondo dell’informazione. Si tratta di due tipi di successo che possono essere analizzati da diversi punti di vista: commerciale, culturale, politico.

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lafionda

Sul risveglio del “mostruoso”

di Francesco Prandel

itten.jpgÈ mai possibile tracciare una vera distinzione tra i mezzi di comunicazione di massa come strumenti di informazione e di divertimento, e come agenti di manipolazione e di indottrinamento?

Herbert Marcuse

Nei circuiti elettrici come nell’atmosfera, la polarizzazione dovuta all’accumularsi di cariche di segno opposto ingenera tensioni. Nella misura in cui si avvicinano a una certa soglia, queste tensioni preludono a scariche elettriche violente e incontrollabili.

Negli ultimi tre anni il servizio offerto dalla maggior parte dei media ha subito un mutamento che non è passato inosservato. A partire da 2020 la polarizzazione dell’informazione – una sua caratteristica certamente tipica, che presenta oscillazioni storiche – è cresciuta in maniera vistosa. Parallelamente, e in modo altrettanto evidente, si sono polarizzate le vedute dei vertici istituzionali, della classe dirigente, dell’uomo della strada. Indipendentemente da come la pensano, presumo che in molti abbiano avvertito gli sbalzi di tensione che ne sono conseguiti. Chi con la pandemia, chi con la guerra in Ucraina, chi con quello che sta accadendo in Medio Oriente, in tanti hanno osservato la crescente tendenza dell’informazione generalista ad amplificare certe campane e a silenziarne altre. Così, nel mentre un pezzo di società – di cui fa parte quella che conta – si arrocca su una posizione, l’altro si barrica dietro alla posizione antipodale.

Si potrebbe obiettare che non c’è niente di nuovo sotto il sole, che l’informazione è sempre stata più o meno tendenziosa, che le spaccature sociali sono una costante storica. È vero.

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lafionda

L’intelligenza artefatta

di Leonardo Noschese

abstract orange blue light effects illustration generative ai 438099 20292.jpgNella storia umana, l’innovazione tecnologica è una costante. Dalle punte di selce alle sonde spaziali, l’umanità ha sempre realizzato strumenti e macchine (dal greco antico μαχανά: mechanè). Spesso, con conseguenze più ampie di quelle previste. La stampa è nata per abbassare i costi dei documenti scritti, ma è divenuta soprattutto uno straordinario propulsore culturale. L’utilizzo dell’energia elettrica ha consentito l’illuminazione notturna, ma ha portato anche a nuove possibilità di socializzazione. Molte tecnologie hanno avuto effetto non solo sulla prosperità di chi le ha adottate, ma anche sul suo modo di comunicare, di pensare e di agire.

Pertanto, ora che ci troviamo di fronte a quell’innovazione dirompente che comunemente viene chiamata Intelligenza Artificiale, attorno alla quale sono nati tanti entusiasmi quante paure, è utile interrogarsi su cosa effettivamente essa sia e su cosa possa rappresentare per l’umano. Perché forse, nel dibattito attuale e spesso polarizzato, ci sono aspetti che non stiamo guardando.

 

Definizione

L’IA viene spesso descritta come un sistema in grado di assolvere funzioni riconosciute come umane, quali il compiere azioni complesse, il ragionare o l’interagire linguisticamente. A questa definizione si associano i moderni Chatterbot, quali Bard o ChatGPT, ma è proprio tale paragone a rivelare quanto essa sia fuorviante.

Il primo Chatterbot mai realizzato, ELIZA, risale al 1966 e venne descritto dal suo creatore J. Weizenbaum come l’imitazione parodistica di un terapeuta. Traendo spunto dall’approccio psicoterapico di Carl Rogers, ELIZA venne programmata per rispondere alle domande riformulando le stesse frasi dell’utente (“Oggi mi sento giù di morale.” – “Raccontami. Perché ti senti giù di morale?”).

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paroleecose2

A cosa serve ricordare? Di memoriali, guerre e, si parva licet, angeli della storia

di Matteo Bortolini

memoriale.jpgNon resta più ricordo degli antichi, ma neppure di coloro che saranno si conserverà memoria presso quelli che verranno in seguito.

Qoelet 1:11.

Ogni mattina accompagno a scuola Ester Emilia e torno verso il centro. Ogni mattina supero la folla di liceali che aspettano la campanella fumando e chiacchierando e attraverso il ponte della stazione. Ogni mattina, fermo al semaforo di via Carracci, incontro il memoriale della Shoah di Bologna[1]. Sta lì dal 27 gennaio 2016. Un’ampia piazza chiara dominata da due grandi parallelepipedi rossastri divisi da un passaggio che si fa sempre più stretto via via che dalla periferia si cammina verso il centro città[2]. Scabro e compatto all’esterno, al suo interno il memoriale rivela una serie di alloggiamenti che rimandano ai letti a castello che abbiamo visto coi nostri occhi ad Auschwitz e Mauthausen[3]. Per chi percorre il memoriale tra i due blocchi, la luce viene dalla stazione, la Bolognina rimane alle spalle.

Il luogo, ha spiegato il presidente della Comunità Ebraica Daniele De Paz il giorno dell’inaugurazione, non è casuale. Shoah e strage di Bologna sono due momenti in cui la dignità umana è stata umiliata. Pur nella loro differenza abissale, i due eventi contribuiscono a costruire una medesima coscienza e un medesimo sentire. “La memoria,” ha detto De Paz alla cerimonia, “è universale, perché appartiene a tutti ed è essa stessa identità”. Da quel momento in poi ricordare la Shoah a Bologna diventa parte dell’identità cittadina e insieme (e senza cesura) una riflessione universale[4]. Perché, a ben vedere, il movimento della parola incarnata nell’acciaio va dal singolare—quell’evento, devastante nella sua unicità—al generale—una riflessione su cosa può significare “essere umani”—che si sofferma su un’altra singolarità—la memoria delle stragi di Bologna.

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roars

Elogio dei reietti

di Martina Bastianello

I Magnifici 7: 1. La Lezione frontale, 2. Il Libro-libro, 3. I Contenuti (volevo solo insegnare i Fenici…), 4. L’Alfabeto, 5. Distillati, 6. La Cartina muta, 7. W “I Mona”! (senza certificazione)

magnifici 7.png1. La Lezione frontale.

Non potevo che iniziare da Lei. Da oltre vent’anni – da quando, in buona sostanza, ho iniziato le prime supplenze – Lei viene bistrattata, offesa, vituperata, considerata fonte di sciagure: alla stregua della bella Elena – responsabile d’aver scatenato la guerra di Troia – la Lezione frontale pare abbia inflitto infiniti lutti… non agli Achei, questa volta, ma a generazioni di sfortunati studenti. Sembra che tutti, insomma, siano convinti che sia arrivato, oggi, il momento di liberarsi definitivamente della scellerata: la maggioranza dei genitori, dei docenti, dei formatori, degli opinionisti, delle aziende e dei rappresentanti del Miur forma un nutrito quanto deciso plotone di esecuzione.

Ma con chi/con cosa se la prende chi se la prende con la Lezione frontale?

“Se la prende con un fantoccio, uno spettro, un nemico costruito appositamente per poterlo combattere”, mi sono risposta – sempre più allibita – nel corso degli anni. Forse è arrivato il momento di condividere la mia risposta, sperando che a essa si unisca un nutrito coro di risposte affini.

Primo: la Frontalità è un valore che solo i valorosi riconoscono come tale e proteggono. Per stare di fronte a qualcuno (agli studenti, nel nostro caso) ci vuole coraggio perché ci stai solo, tutto intero, con quel poco che ti sembra di sapere e quell’oceano di non-sapere che ti circonda e preme da ogni lato. Ci stai con il tuo corpo (faccia struccata, calvizie incipiente, rughe, pancetta da birra, calze smagliate, patta semiaperta…); ci stai con la tua voce che è lo strumento (scordato, stridente, tremulo, sfiancato) che racconta storie, snocciola dati, propone metafore, presenta teorie, richiama, rimprovera, elogia, interroga, grida e sussurra.

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iltascabile

Sogni algoritmici di intelligenze disincarnate

di Diego Viarengo

Una riflessione sul rapporto tra macchine, corpo, esperienza e limiti dell’IA

IA 3.jpgAd Hollywood sceneggiatori e attori erano in sciopero: oltre che per questioni economiche, hanno protestato contro l’uso indiscriminato dell’intelligenza artificiale nel cinema e nelle arti. Ciò che rivendicavano è il ruolo del corpo nel lavoro creativo, un ruolo minacciato dagli algoritmi. Sostituire il corpo, parti del corpo, è infatti il cuore del concetto di intelligenza artificiale. Anzi, come scrive il filosofo Daniel Dennett in Dai Batteri a Bach (2018), è il suo assunto operativo classico:

L’assunto operativo classico dell’intelligenza artificiale è sempre stato che ogni organo vivente è in realtà soltanto un sofisticato dispositivo basato sul carbonio che può essere rimpiazzato, un pezzo alla volta o tutto insieme, da un sostituto non vivente che ha lo stesso profilo di input e output – fa tutte le stesse cose e solo quelle con gli stessi input e nello stesso tempo senza perdite di funzionalità.

Se ogni parte del corpo umano può essere sostituita da un analogo non vivente con almeno pari prestazioni, la parte più interessante – e più difficile – da sostituire è il cervello. Del resto se il cervello è come immagina Dennett un “elaboratore di informazioni”, l’informazione è indifferente alla propria consistenza, “neutrale rispetto al mezzo” che la esprime. Una delle idee popolari nella nostra epoca è che il cervello faccia quello che fa un computer, solo che è costruito di materiale organico. Per esempio Richard Masland, neurobiologo specializzato negli organi della vista, ha pochi dubbi e in Lo sappiamo quando lo vediamo (2021) si fa portavoce della comunità scientifica: “io, come quasi tutti gli scienziati, penso che il cervello sia un computer”.

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roars

Ologramma 4.0

di Martina Bastianello

ologramma.jpg1. Premessa sentimental-metodologica

Ricordate gli ologrammi in 2D inflazionati negli anni Ottanta? Ci troviamo davanti una figura che se osserviamo da una posizione frontale presenta determinate caratteristiche, ma se la osserviamo assumendo un punto di vista laterale, cambia. Ricordo alcuni santini cangianti (spuntavano dalle borsette delle nonne) con il santo di turno che si presentava a mani giunte se osservato frontalmente, benedicente se osservato lateralmente. Con il Piano Scuola 4.0 succede qualcosa di simile: guardato frontalmente può apparire come un’occasione imperdibile, facendo slittare la prospettiva la visione cambia. E la seconda immagine, quella che si produce grazie allo slittamento laterale, diffonde un bagliore inquietante. L’inquietudine si amplifica quando considero che in questi mesi – da quando cioè il testo del Piano Scuola 4.0 ha cominciato a circolare nelle scuole – non si è delineata alcuna reazione degna di nota tra i docenti.

Stupita dal silenzio e dalla mancata reazione del corpo docente, ho cercato comunque di confrontarmi con i colleghi poiché non riuscivo e non riesco a capacitarmi di questo atteggiamento: il Piano Scuola 4.0 è il testo che accompagna e contestualizza la gestione dei fondi PNRR destinati alle scuole, fondi che, è bene ricordarlo, non sono una vincita alla lotteria, ma un ulteriore aggravio del nostro debito. Chi ha letto il documento con un minimo di attenzione sa bene che quel testo esplicita non solo il modo in cui devono essere spesi quei fondi, ma veicola chiaramente una determinata visione della Scuola, visione che si può condividere o criticare, ma che nel corso di questi mesi non è mai stata discussa, visione rispetto alla quale non si è aperto alcun confronto.

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lantidiplomatico

Perché i nostri movimenti di massa popolari falliscono

di Chris Hedges – Scheerpost

720x410c50.jpgDal 2010 fino alla pandemia globale del 2020 ci sono stati dieci anni di rivolte popolari. Queste rivolte hanno scosso le fondamenta dell’ordine globale. Hanno denunciato la dominazione delle corporation, i tagli delle politiche di austerità e chiesto giustizia economica e diritti civili. Ci sono state proteste a livello nazionale negli Stati Uniti incentrate sugli accampamenti Occupy durate 59 giorni. Ci sono state sollevazioni popolari in Grecia, Spagna, Tunisia, Egitto, Bahrein, Yemen, Siria, Libia, Turchia, Brasile, Ucraina, Hong Kong, Cile, la Rivoluzione delle candele della Corea del Sud. Politici screditati furono cacciati dalle loro cariche in Grecia, Spagna, Ucraina, Corea del Sud, Egitto, Cile e Tunisia. Le riforme, o almeno la loro promessa, ha dominato il discorso pubblico. Sembrava annunciare una nuova era.

Poi la reazione negativa. Le aspirazioni dei movimenti popolari furono schiacciate. Il controllo statale e la disuguaglianza sociale si espansero. Non c'è stato alcun cambiamento significativo. Nella maggior parte dei casi le cose sono peggiorate. L’estrema destra è emersa trionfante.

Quello che è successo? In che modo un decennio di proteste di massa che sembravano annunciare l’apertura democratica, la fine della repressione statale, l’indebolimento del dominio delle multinazionali e delle istituzioni finanziarie e un’era di libertà si sono trasformati in un ignominioso fallimento? Che cosa è andato storto? Come hanno fatto gli odiati banchieri e politici a mantenere o riprendere il controllo? Quali sono gli strumenti efficaci per liberarci dal dominio aziendale?

Vincent Bevins nel suo nuovo libro “If We Burn: The Mass Protest Decade and the Missing Revolution” racconta come abbiamo fallito su diversi fronti.

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Educazione e violenza: parliamone. Alcuni elefanti nella stanza

di Andrea Muni
Judit y Holofernes por Caravaggio 1536x1161.jpg

La morale insegnata senza precauzioni diventa una cattedrale deserta che [gli educati] temono, e di cui spaccano le vetrate, in spregio a questa vita collettiva che li esclude
(F. Deligny)

Che sorpresa! La gente – repressa, isolata, stordita da droghe legali, inselvatichita dallo sfruttamento e da tre anni di reclusioni – è “tendenzialmente” più infelice e più violenta

Sembra difficile negare che dal presunto ritorno alla normalità post-covid gli episodi di violenza siano in drammatico ed esponenziale aumento. Dai dati Eurispes del 2022 sui crimini violenti a quelli di Federfarma sull’abuso diffuso di psicofarmaci (per tacere di alcol e droghe), arrivando fino alle aberranti notizie della recentissima attualità, sono fin troppi gli indicatori di una vera e propria escalation. Non si tratta di allarmismo, ma dell’urgenza di inquadrare un fenomeno che, purtroppo, non si esaurirà nel giro di qualche mese. La violenza di genere, purtroppo sempre in auge, è senza dubbio l’ambito in cui ne vediamo emergere il lato più spaventoso, frequente e giustamente mediatizzato. Un secondo importante ambito di esacerbazione della violenza riguarda invece la zona grigia delle lesioni personali – dai furti violenti alle estorsioni, dalla gelosia (non solo sentimentale, ma anche in famiglia, tra compagni di lavoro o tra amici) alle aggressioni per futili motivi, dalle risse al bar o in discoteca ai litigi tra vicini e automobilisti per precedenze o parcheggi “rubati”. In terzo luogo troviamo il dato sugli omicidi volontari e preterintenzionali rilasciati dal Viminale il 23 luglio di quest’anno, che segnala un incremento del 4%.

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C’era una volta un chatbot

di Andrea Daniele Signorelli

Joseph Weizenbaum acts out Eliza at a computer with printing output photograph 1966.pngTra i tanti ruoli che ChatGPT ha rapidamente iniziato ad assumere nelle vite dei milioni di utenti che lo utilizzano su base quasi quotidiana, ce n’è uno probabilmente inatteso. Per molti, il sistema di OpenAI con cui è possibile conversare su ogni argomento, e spesso in maniera convincente, è diventato un amico, un confidente. Addirittura uno psicologo. Una modalità non prevista (almeno esplicitamente) da OpenAI, ma scelta da un numero non trascurabile di utenti, che si relazionano a ChatGPT come se davvero fosse un analista. Per impedire un utilizzo giudicato (per ragioni che vedremo meglio più avanti) improprio e pericoloso, OpenAI impedisce al suo sistema di intelligenza artificiale generativa di offrire aiuto psicologico, che infatti di fronte a richieste di questo tipo si limita a fornire materiale utile da consultare. Ciò però non ha fermato gli “utenti-pazienti” che, su Reddit, si scambiano trucchi e tecniche per sbloccare ChatGPT affinché fornisca loro consigli psicologici.

 

Joseph Weizenbaum e il suo chatbot ELIZA

Un risvolto che potrebbe sorprendere molti. Uno dei pochi che sicuramente non si sarebbe sorpreso e che avrebbe avuto moltissimo da dire sull’argomento è Joseph Weizenbaum, scienziato informatico e docente al MIT di Boston, scomparso nel 2008. Colui che già parecchi decenni prima della sua morte aveva preconizzato – o meglio, affrontato e approfondito in prima persona – molti degli aspetti che portano le persone a relazionarsi in maniera intima con le macchine e le cause di questo comportamento.

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lantidiplomatico

La pedagogia del potere: come le classi dominanti operano per impedirti di comprendere chi comanda

di Chris Hedges*

720x410c507unb3w.jpgMi trovo in un'aula di un carcere di massima sicurezza. È la prima lezione del semestre. Ho di fronte 20 studenti. Hanno trascorso anni, a volte decenni, in prigione. Provengono da alcune delle città e comunità più povere del paese. La maggior parte di loro sono persone di colore.

Nei prossimi quattro mesi studieranno filosofi politici come Platone, Aristotele, Thomas Hobbes, Niccolò Machiavelli, Friedrich Nietzsche, Karl Marx e John Locke, quelli spesso liquidati come anacronistici dalla sinistra culturale.

Non è che le critiche rivolte a questi filosofi siano errate. Erano accecati dai loro pregiudizi, come noi siamo accecati dai nostri. Avevano l'abitudine di elevare la propria cultura al di sopra delle altre. Spesso difendevano il patriarcato, potevano essere razzisti e, nel caso di Platone e Aristotele, appoggiavano una società schiavistica.

Cosa possono dire questi filosofi sui problemi che affrontiamo: il dominio aziendale globale, la crisi climatica, la guerra nucleare e un universo digitale in cui le informazioni, spesso manipolate e talvolta false, viaggiano istantaneamente in tutto il mondo? Questi pensatori sono reliquie antiquate? Nessuno nella facoltà di medicina legge testi medici del 19 ° secolo. La psicoanalisi è andata oltre Sigmund Freud. I fisici sono passati dalla legge del movimento di Isaac Newton alla relatività generale e alla meccanica quantistica. Gli economisti non sono più radicati a John Stuart Mill.

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Malanova. La violenza sulle donne ha origine da un archetipo primordiale

di Alba Vastano

Malanova 4.jpgMalanova in dialetto calabrese vuol significare cattiva notizia, sventura. Per la gente di San Martino di Taurianova (frazione di Taurianova-Reggio Calabria) Anna Maria Scarfò era ‘la malanova’. Era la puttana che se l’è cercata. Anna Maria non voleva essere omertosa e aveva denunciata il branco composto da tre aguzzini che per tre anni avevano abusato sessualmente di lei. Aveva tredici anni all’epoca e nessuno che le mostrasse attenzione quando, terrorizzata, raccontava l’accaduto. Le era stata sottratta, da un branco di uomini infami, l’adolescenza, la dignità e il sorriso. Infine, con la forza della disperazione, ha uno scatto di ribellione e denuncia i suoi aguzzini. Avviene quando intuisce che anche la sorellina minore, l’affetto più caro che ha, sta per finire nelle grinfie di quelle belve.

E così denuncia alle forze dell’ordine gli abusi subiti. Interviene un’avvocatessa, di quelle tenaci quando si tratta di difendere le donne abusate e riesce a mandare al gabbio gli infami, dopo un lungo processo che si conclude con la condanna degli aguzzini. Anna Maria, però, continuerà a pagarla cara. Tutto il paese le si rivolta contro ed emette una sentenza assurda: ‘Anna Maria ha screditato l’onore dei suoi paesani’. La giovane inizia a ricevere minacce continue, anche di morte ed è costretta, a causa di stalking a lasciare il paese. Dal 2010 vive sotto scorta per proteggersi da nuove minacce, dopo essere stata abusata per più volte sia fisicamente dai suoi stupratori che moralmente dalla gente omertosa del paesello natìo.

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L’AI non è un Paese per pochi

di Carola Frediani*

Pubblichiamo qui l’introduzione di Carola Frediani al primo e-book di Guerre di rete, dedicato all’intelligenza artificiale, dal titolo Generazione AI. Per ricevere l’e-book basta seguire le indicazioni sul sito (che aveva avviato un crowfunding anche a questo scopo).

ai paese per pochi.pngPer anni, agli occhi del grande pubblico e dei media, il termine intelligenza artificiale (IA o all’inglese AI, Artificial Intelligence) ha avuto lo stesso fascino e la medesima concretezza dell’espressione Big Data. Un guscio utile per convegni e paper, con pochi effetti visibili sul quotidiano o la società.

Poi nell’autunno 2022 sono arrivati ChatGPT, la corsa al lancio di prodotti basati su AI generativa, la possibilità di giocare o sperimentare con una miriade di strumenti – spuntati come funghi giorno dopo giorno – e la competizione fra le grandi aziende tech per rilanciare i propri servizi all’insegna di questa tecnologia.

È così iniziato un ciclo industriale e mediatico, fatto di annunci, investimenti, hype e dichiarazioni di ricercatori, che ha alzato una cortina fumogena su quel che è nuovo e quel che esiste da tempo; su quel che è rivoluzionario e quello che invece è reazionario; sui rischi effettivi e quelli presunti; su chi fa progredire il settore e chi è pronto a speculare; su chi trarrà vantaggio e chi verrà sfruttato.

Siccome le cortine fumogene non fanno mai bene all’informazione occorre ripartire dunque da alcuni elementi fondamentali. Quali sono le aziende in gioco e quale il ruolo di multinazionali consolidate come Microsoft, Google, Facebook? Quali elementi sono di novità e quali rischiano di essere gonfiati dalla grancassa che si è sviluppata attorno al settore? Che ruolo hanno la società civile, la politica, gli Stati di fronte a un panorama fatto di aziende private, concentrazione geografica, nonché di ricercatori in netto contrasto fra di loro sulla capacità, l’impatto e i rischi conseguenti a questa rivoluzione, sempre che si possa definire in tal modo?

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roars

Il falso miracolo dell’università italiana dopo un quindicennio di riforme

di Alberto Baccini

gatto mammone3.jpgSono ormai passati oltre 10 anni dalla riforma dell’università italiana nota come legge Gelmini (L. 240/2010). Essa ha dispiegato pienamente i suoi effetti, modificando in modo profondo il funzionamento del sistema universitario italiano. Ci sono ormai diversi elementi fattuali e analisi che permettono di tentare un bilancio degli effetti della riforma. In particolare ci sono ormai dati ed analisi che permettono di mettere nella giusta luce critica la ‘storia’ ufficiale della riforma Gelmini e dei suoi effetti.

 

La preparazione

La riforma Gelmini fu preceduta da una campagna di stampa che preparò il terreno all’accoglimento della legge. Almeno a partire dal 2005 iniziarono a susseguirsi nei maggiori quotidiani italiani articoli che dipingevano l’università italiana come ostaggio di una corporazione di baroni schierati a difesa di professori assenteisti (Petrovich, 2022). Nel 2006, l’allora ministro dell’università e della ricerca Fabio Mussi (Partito Democratico della Sinistra) dichiarava in una intervista che “l’università è un bordello” (QN, 20/09/2006) annunciando prossimi provvedimenti per modificare la governance delle università e introdurre la “valutazione del merito”. Due anni dopo, su il Tempo Silvio Berlusconi si scagliava contro i privilegi e gli sprechi annunciando: “basta baroni all’università” (06/11/2008). A fare da background alla discussione pubblica c’era un fiorente filone di letteratura, dedicata in gran parte agli scandali nei concorsi (Carlucci & Castaldo, 2009). In questa letteratura l’università italiana veniva variamente aggettivata: “università dei tre tradimenti” (Simone, 2000), era “malata e denigrata” (Regini, 2009), “truccata” (Perotti, 2008), “in declino” (Monti, 2007), “irriformabile” (Gagliarducci et al., 2005).

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carmilla

Note brevi (e inconcludenti) sulla violenza giovanile

di Giovanni Iozzoli

note violenza giovanile.jpgChe pena. Che desolazione. L’oppressione interiore dell’impotenza; il senso di inutilità della riflessione, della parola. Eppure pensare si deve, e continuare a parlare anche, essendo tra le poche cose che ancora ci distinguono dagli altri regni di natura. Da dove possiamo re-iniziare una discussione sulla condizione giovanile, senza rimasticare i luoghi comuni più triti, stanchi e inutili – mentre le tracce del cadavere del giovane musicista Giovanbattista Cutolo sono ancora sul selciato di p.zza Municipio, a Napoli, e l’orrore di Caivano è diventato palestra di ogni retorica sulle periferie nemiche da ricolonizzare?

I giovani e la violenza. Non c’è un punto di vista di classe o antagonista, su questa merda. Non c’è perché si fermerebbe alle enunciazioni di principio più eteree: la società capitalista produce mostri e devianza, ergo noi anticapitalisti abbiamo la coscienza a posto, non c’entriamo. Nel mondo ideale che sta nelle nostre teste, patriarcato, classismo, sessismo, machismo e tutto il Male del mondo, non esisteranno più, il giorno in cui avremo abbattuto l’idra imperialista. Come ogni corrente religiosa, guardiamo con scettica amarezza verso i samsara quotidiani che siamo costretti ad attraversare; e rimandiamo ad un mondo a venire il riscatto dei torti, delle brutture e delle nostre confuse ragioni.

Ma qui e ora, oggi, nel presente, questi esercizi retorici non bastano; dobbiamo andare più a fondo col nostro sguardo – imitando la spietatezza degli assassini -, se non vogliamo ridurci a giaculatorie ed esorcismi di segno opposto a quelli reazionari. I quali sognano un mondo in cui una divisa e un fucile sorveglino ogni angolo di strada, ogni condominio; mentre noi ci culliamo nella speranza di un mondo in cui la violenza si estingua per magia, per consunzione, e il lupo e l’agnello vivano in pace nello stesso prato. Utopie reazionarie ed utopie umanitarie.