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sinistra

Marx "populista''

Costruzione di un giallo fantapolitico

di Alessandro Mantovani

S. V. Ivanov. Yuris Day. 1908Nel fantapolitico di Diego Gabutti Un'avventura di Amadeo Bordiga (Milano, Longanesi, 1982), ambientato nel primo dopoguerra, il rinvenimento di una lettera comprovante mercanteggiamenti tra Marx e Bismarck getta sbalordimento e scompiglio nell'ambiente dell'appena nata Internazionale Comunista: la lettera deve rimanere segreta, altrimenti tutta la narrazione su cui i comunisti fondano la loro costruzione crollerebbe come un castello di carte. La satira di Gabutti sbeffeggia così, d'un sol colpo, tanto il vezzo dei marxologi per gli inediti che ribalterebbero, di tempo in tempo, l'interpretazione di Marx, quanto il filisteismo dell' ''ortodossia marxista'', alla quale, come noto, lo stesso Marx, di fronte alle dilettantistiche semplificazioni con cui alcuni suoi zelanti discepoli avevano schematizzato il suo pensiero, si era sempre ironicamente sottratto, giungendo sarcasticamente ad affermare: «io non sono marxista».

Ho il sospetto che per immaginare la sua esilarante storia, Gabutti si sia ispirato, oltre che al ritrovamento, dopo la rivoluzione russa, della famosa Confessione di Bakunin allo zar, anche alla scoperta, nel 1923, di una lettera di Marx a Vera Zasulič sul destino della comune rurale russa. Il giallo consisterebbe, in questo caso, nel fatto che la missiva sarebbe stata niente po' po' di meno che occultata dai cosiddetti fondatori del marxismo russo, Georgi Plechanov, Vera Zasulič e Pavel Axelrod, per i motivi che vedremo appresso.

La storia è già nota da tempo1, ma ogni tanto alcuni marxologi la ripropongono, secondo la sequenza: Marx distante dal ''marxismo'', Engels dogmatizzatore dello stesso, Plechanov discepolo di Engels e maestro di Lenin, Lenin allievo di Plechanov e padre di Stalin; ed ogni volta che succede, qualche sprovveduto critico del bolscevismo, ignaro fino a quel momento, si mette a far grancassa2.

La questione, come si vedrà, non è meramente storiografica, anzi, ha un preciso valore politico. Ma torniamo alla storia della lettera scomparsa. Per narrarla, dobbiamo fare un passo indietro.

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strisciarossa

Valentino Gerratana: il filosofo militante che ci ha ridato Gramsci

di Antonio Floridia

gramsci“L’uomo che ci ha ridato Gramsci”, così Guido Liguori, presidente della International Gramsci Society, nell’intervento conclusivo del convegno che ha ricordato, nel centenario della nascita, la figura di Valentino Gerratana, e che si è tenuto a Modica, città di origine dello studioso, il 15 e il 16 giugno.

Il convegno modicano, organizzato da una “scuola di formazione politica” intitolata alla memoria di Virgilio Failla (storico leader e a lungo deputato del Pci nel ragusano, in quella che a lungo è stata la “provincia rossa” della Sicilia), in collaborazione con l’Istituto Gramsci siciliano e quello nazionale, nonché con la Gramsci International Society, ha avuto il merito di collocare la figura di Gerratana nel contesto della sue radici (a partire dalla relazione di Giancarlo Poidomani, storico dell’università di Catania, su “la costruzione del Partito nuovo nella provincia iblea”) e di illuminare passaggi della biografia di Gerratana che sono rimasti a lungo poco conosciuti, quasi oscurati dall’imponente lavoro per l’edizione critica dei Quaderni di Gramsci, a cui il nome di Gerratana rimarrà indubbiamente legato.

Un momento culminante, e anche molto toccante, del convegno si è avuto con una lunga video-intervista di Emanuele Macaluso. Lo storico leader del PCI ha ricordato i suoi rapporti con Valentino Gerratana, conosciuto in Sicilia nei primi anni del Dopoguerra, quando Macaluso era segretario della Cgil siciliana e Valentino – inviato in Sicilia dal partito per affiancare Calogero Li Causi – era il direttore, di fatto, de “La voce della Sicilia”, il quotidiano voluto dal Pci per sostenere la battaglia politica durissima di quegli anni per la democrazia e la “terra ai contadini”. La testimonianza di Macaluso ha sottolineato, tra l’altro, la grande stima che Togliatti aveva maturato nei confronti del giovane intellettuale siciliano.

 

L’amicizia con Giaime Pintor

La relazione generale introduttiva del sen. Concetto Scivoletto ha ricostruito l’intero percorso biografico di Gerratana.

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consecutiorerum

Paradigma della Tecnica e paradigma del Capitale

Editoriale del n. 6 di Consecutio rerum

di Roberto Finelli*

steve johnson 1298771 unsplash 600x459Il numero 6 di «Consecutio rerum» è dedicato a Techne, Tecnica, Tecnologia, con lo scopo di riaprire un discorso di antropologia critica sulla nostra contemporaneità, alla luce della gigantesca rivoluzione digitale che sta connotando sempre più il nostro vivere sociale e individuale.

A proposito di questa tematica va ricordato che alla fine degli anni ’70 del secolo scorso il marxismo e gli studi su Marx scomparvero improvvisamente e improvvidamente dall’ambito degli insegnamenti e delle ricerche universitarie italiane e, di conseguenza, dal dibattito culturale e politico dell’intero paese. Le cause di quella decadenza ed estinzione di quella che era stata una vera e propria Weltanschauung, una organica visione del mondo, nella cui koinè di valori, di linguaggio, di costumi e pratiche, una certa parte, più avanzata e civilmente più impegnata, della popolazione italiana si era riconosciuta, sono state di diversa e complessa natura.

Nel nostro ambito, che è quello di una rivista filosofica, oltre alle insufficienze del marxismo storicistico italiano, che da Antonio Labriola in poi si era voluto troppo autosufficiente e in sé concluso, e dello stalinismo democratico che limitava profondamente il dibattito delle idee nel PCI, vale ricordare due di quelle cause, più propriamente teoretiche e filosofiche: da un lato l’estenuazione della scuola dellavolpiana, insidiata fin dal suo sorgere da una troppo semplicistica riduzione della tradizione dialettica e della filosofia di Hegel a una presunta tematica occultamente religiosa e arcaicamente neoplatonica, e dall’altro, per quello che qui maggiormente c’interessa, dalla repentina sostituzione delle analisi di Marx, sull’organizzazione moderna del lavoro di fabbrica e sulla tecnologia nella sua intrinseca dipendenza dall’accumulazione del Capitale, con la teoria della tecnica, avanzata da Martin Heidegger, come rivelazione e destinazione dell’Essere.

Già l’incapacità di elaborare criticamente i limiti e le aporie della tradizione dialettica aveva spinto buona parte dell’intellettualità di sinistra durante la prima metà degli anni ’70, a gettarsi nelle braccia di L. Althusser, senza avere la chiara consapevolezza di quanto lacanismo ci fosse alle spalle del pensatore francese e senza ben comprendere quanto il processo senza soggetto e la critica strutturalista alla totalità dialettica di L. Althusser implicasse una rinuncia definitiva a intendere il Capitale come Soggetto Unitario della modernità e la sua destinazione strutturale a generare processi di totalitarismo sociale.

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consecutiorerum

Il mondo mistico del Capitale: scienza, critica e rivoluzione in Lucio Colletti

di Gianluca Pozzoni*
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shahzaib khan 783642 unsplash 300x1871. Introduzione

Nel 1984, la University of California Press dava alle stampe il saggio Marxism and Totality di Martin Jay, storico delle idee a Berkeley e già autore di una imprescindibile biografia della Scuola di Francoforte intitolata L’immaginazione dialettica (1973, pubblicata in italiano nel 1979: Jay 1979). In Marxism and Totality, Jay metteva a tema, come dichiarato nel sottotitolo, le avventure di un concetto– quello di «totalità» – da Lukács a Habermas: per l’autore, la centralità di questo concetto all’interno dell’elaborazione teorica costituiva il tratto più distintivo del cosiddetto “marxismo occidentale”. Come notava già Perry Anderson (1979) nel testo che ha dato popolarità al termine[1], il “marxismo occidentale” era rappresentato prevalentemente da esponenti di estrazione borghese – con l’unica eccezione di Gramsci – la cui produzione intellettuale era caratterizzata da un taglio per lo più accademico e non rivolto immediatamente a quella “classe operaia” in cui il marxismo tradizionalmente identificava il potenziale soggetto rivoluzionario[2]. Per Jay, proprio un tale distacco era l’elemento che forniva a questi teorici marxisti la libertà di pensiero e la spregiudicatezza necessarie ad avanzare la pretesa di poter raggiungere un punto di vista complessivo sulla totalità del reale, e sulla società in primis.

Ciò che a prima vista può stupire del testo di Jay è l’inclusione nella sua rassegna di un capitolo interamente dedicato a quello che viene definito marxismo scientifico dell’Italia postbellica, ossia alla rielaborazione originale dei fondamenti della teoria marxista fornita da Galvano Della Volpe e dal suo allievo Lucio Colletti (cfr. Jay 1984, 423-461). Per quanto riguarda il secondo, in particolare, l’inclusione stessa nel campo del “marxismo occidentale” è resa immediatamente problematica dalla critica esplicita che Colletti muove a questa tradizione, considerata affine più che alternativa al “marxismo orientale” in virtù di una comune – e aborrita – ascendenza hegeliana. Nella seconda parte de Il marxismo e Hegel (1969) si legge infatti a proposito di Lukács:

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resistenze1

Due marxismi?

di Greg Godels

karl marx 1971 07 01Google sa che nutro un costante interesse per il marxismo. Di conseguenza, ricevo spesso link ad articoli che gli algoritmi di Google selezionano come popolari o influenti. Sistematicamente, in cima all'elenco figurano articoli di o sull'incontenibile Slavoj Žižek. Žižek padroneggia alla perfezione le arti dell'intellettuale pubblico - è divertente, pomposo, offensivo, deliberatamente oscuro e ricercato. L'aspetto trasandato e la barba lo fanno assomigliare a una caricatura del professore europeo che dona al mondo grandi idee avviluppate in strati multipli di astrusità - un metodo di sicuro effetto per apparire profondi. E di sicuro effetto anche per promuovere il proprio potenziale commerciale di intrattenimento.

I più fedeli seguaci del «maestro» pubblicano perfino video di Žižek che divora hot-dog - tenendone uno in ciascuna mano! Attualmente sta incassando alla grande con un dibattito pubblico con un pallone gonfiato di destra - a quanto si dice, i biglietti di ingresso costano una fortuna. Il marxismo come attività imprenditoriale.

Žižek è tra le più recenti incarnazioni di una lunga successione di accademici, perlopiù europei, che si sono costruiti una modesta fama pubblica attraverso l'identificazione con il marxismo o con la tradizione marxista. Da Sartre e l'esistenzialismo, attraverso lo strutturalismo, il postmodernismo e il post-essenzialismo, fino a giungere al post-fordismo e alla politica identitaria, vari accademici si sono impossessati di frammenti della tradizione marxista e hanno preteso di rielaborare tale tradizione, mantenendosi nel contempo a distanza di sicurezza da qualsiasi movimento marxista. Sono marxisti quando questo serve loro ad attirare un pubblico, ma di rado reagiscono agli appelli all'azione.

L'aspetto curioso di questo marxismo intellettuale, di questo marxismo dilettante da salotto, è che non è mai marxismo e basta; è sempre un marxismo «con riserva». Il marxismo va bene se è quello del «primo» Marx, il Marx «hegeliano», il Marx dei Grundrisse, il Marx senza Engels, il Marx senza classe operaia, il Marx prima del bolscevismo o prima del comunismo.

È comprensibile: chi aspira a essere il prossimo grande «interprete» di Marx deve distinguersi dalla massa, deve ripensare il marxismo, riscoprire il «vero» Marx, individuare dove Marx ha sbagliato.

Nel passato, intere generazioni di studenti universitari benintenzionati ma confusi sul concetto di classe si sono fatte sedurre da pensatori «radicali» che offrivano loro un assaggio di ribellione confezionato in un'accattivante veste accademica.

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cambiailmondo

La nuova stagione del comunismo

Ripensare Marx, riscoprire la lotta di classe, rilanciare i movimenti

di Giovanni Bruno

109165Marx 201. Ripensare l’alternativa è il titolo del bel convegno, estremamente ricco e variegato, che si è svolto a Pisa da mercoledì 8 a venerdì 10 maggio. Si è trattato di una tre giorni, con nove sessioni di discussione, organizzata da Alfonso Maurizio Iacono, filosofo e professore ordinario dell’Università di Pisa, e da Marcello Musto, uno tra i più significativi studiosi attuali di Marx su scala internazionale: l’idea fondamentale è stata quella di ripercorrere e recuperare alcune definizioni del pensiero di Marx, a partire da categorie e tematiche fondamentali, “depurandolo” dalle incrostazioni derivanti dalle interpretazioni e dalle piegature storico-politiche novecentesche dei molteplici marxisti e marxismi, per tornare alle radici del suo pensiero. L’altro aspetto che ha caratterizzato il convegno è la volontà di coniugare la dimensione politica con quella teorico-scientifica, mettendo in relazione le analisi e la visione della storia di Marx con alcuni della variegata galassia dei movimenti e delle forme di resistenza al dominio del capitale che si sono manifestate in questo scorcio di inizio XXI secolo.

È in questo contesto che vi è stato l’intervento di Álvaro Garcia Linera, intellettuale e sociologo impegnato nei movimenti guerriglieri boliviani, e oggi Vicepresidente della Bolivia di Evo Morales, nonché vera e propria eminenza grigia del governo boliviano e del MAS (Movimiento Al Socialismo), organizzazione con cui insieme a Morales ha vinto le elezioni nel 2005. Al suo attivo numerosi libri teorici e politici, tradotti in inglese ad attestare lo spessore internazionale del suo profilo di intellettuale di sinistra e marxista, tra cui Las Tensiones Creativas De La Revolución, La Potencia Plebeya, A Potência Plebeia. Ação Coletiva e Identidades Indígenas, Operárias e Populares na Bolívia.

L’ampia relazione di Linera, dal titolo: Marx en América Latina. Nuevos caminos al comunismo, ha sviluppato una riflessione sul pensiero rivoluzionario di Marx, a partire dalla sottolineatura della differenziazione tra la società dell’America Latina, a base prevalentemente contadina e rurale, rispetto alle società industriali come quella europea o nordamericana: si percepiscono sullo sfondo, filtrate e rielaborate, categorie del pensiero gramsciano, che in America Latina è peraltro conosciuto e studiato a fondo.

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consecutiorerum

Dall’anima semovente al ‘soggetto automatico’

Stratificazioni filosofiche nel concetto di ‘capitale’ e nell’analisi marxiana del sistema di macchine

di Luca Micaloni*

mr tt 628115 unsplash 300x2001. Introduzione

Nel corso dei capitoli XII e XIII del Libro primo del Capitale l’applicazione delle macchine alla produzione acquisisce una crescente centralità teorica. Se nell’indagine dedicata al “periodo” della manifattura le macchine svolgono un ruolo ancora secondario rispetto al principio “architettonico” della «divisione del lavoro», esse divengono invece elemento decisivo nell’analisi della grande industria, sia ove la si consideri come specifica fase evolutiva del modo di produzione capitalistico, sia quando si abbia di mira una connotazione rigorosa del suo ruolo “sistematico” come tappa dell’esposizione del Capitale.

Il passaggio d’epoca e il mutamento del principio strutturante sono riferiti già dai titoli: Divisione del lavoro e manifattura per il cap. XII, Macchine [Maschinerie] e grande industria per il capitolo XIII. Mentre la funzione economico-politica della Maschinerie (come anche della divisione del lavoro) si annuncia già nella collocazione dei capitoli: entrambi, assieme al capitolo XI sulla Cooperazione, compongono infatti la sezione quarta del Libro primo, che ha per oggetto La produzione del plusvalore relativo. Già capace di sussumere la forza-lavoro “formalmente” attraverso l’anticipazione del salario e di estrarre, mediante l’uso della forza-lavoro, un plusvalore «assoluto» in seguito al prolungamento della giornata lavorativa ripartita in «lavoro necessario» e «pluslavoro», ora il capitale è in grado – in forza di successive ottimizzazioni o “rivoluzioni” tecnologiche – di massimizzare il plusvalore «relativo» (diminuire, cioè, il lavoro necessario attraverso l’intensificazione del lavoro e la maggiore efficienza dei processi, mantenendo costante la durata della giornata lavorativa); il capitale riesce, inoltre, a perfezionare la sussunzione della forza-lavoro sottraendo ai suoi portatori il controllo dell’attività lavorativa, affidandone la regolazione alla quota della sua parte “fissa” costituita dalle macchine, prodotte e impiegate grazie alle «potenze intellettuali [geistige]» che si separano dal lavoro esecutivo e gli si contrappongono come «poteri del capitale sul lavoro» (Marx 1991, 381; trad. it. 462).

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euronomade

General Intellect e individuo sociale nei Grundrisse marxiani

di Toni Negri

Conferenza alla Volkshbühne, Berlino, 29 aprile 2019. Questa conferenza non è stata tenuta per malattia dell’autore. La pubblichiamo qui

trasferimento1. Non so dirvi quanto sia lieto di presentare e commentare alla Volkshbühne la traduzione tedesca di Marx oltre Marx per la prestigiosa casa editrice berlinese Dietz Verlag. È un libro scritto alla fine del lungo decennio ’68-’79, nel quale fui immerso nella lotta di classe in Italia e in Europa, a partire da lezioni tenute nel 1978 a Parigi all’École normale supérieure, su invito di Louis Althusser.

Questo libro nacque da una rilettura dei Grundrisse per mettere Marx all’altezza delle lotte di quegli anni, nella speranza di una rivoluzione di classe operaia. Questo libro ha attraversato le lotte e si è conquistato un destino, riaffermando Marx come sorgente di soggettivazione rivoluzionaria. È il caso di dire: habent sua fata libella.

 

2. Riprendere questo libro oggi (e con esso questo Marx) che cosa ci dice? O, se vogliamo dirlo in termini meno legati a questo volume e alle vicende che lo ispirarono, che cosa possono dirci i Grundrisse nella/della situazione del capitalismo oggi?

Per rispondere è necessario preliminarmente riconoscere le caratteristiche precipue, fondamentali, del capitalismo nel XXI secolo.

Ricorderemo essenzialmente, in primo luogo, il dominio del capitale finanziario; in secondo luogo, le dimensioni estrattive, logistiche e biopolitiche dell’accumulazione capitalista oggi; e in terzo luogo cercheremo di definire i nuovi spazi della soggettivazione anticapitalista e della lotta di classe oggi.

2.1. Sul primo punto. È chiaro che, integrando la teoria del capitale finanziario che si legge nel III volume del Capitale e il “Capitolo sul denaro” dei Grundrisse, si apre ad un aspetto fondamentale del capitalismo odierno.

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rifonda

Ripensare Karl Marx e la lotta di classe, i nuovi movimenti reali

di Giovanni Bruno

marx blues 28743 210x210Marx 201. Ripensare l’alternativa” è il titolo del bel convegno, estremamente ricco e variegato, che si è svolto a Pisa da mercoledì 8 a venerdì 10 maggio. Si è trattato di una tre giorni, con nove sessioni di discussione, organizzata da Alfonso Maurizio Iacono, filosofo e professore ordinario dell’Università di Pisa, e da Marcello Musto, uno tra i più significativi studiosi attuali di Marx su scala internazionale: l’idea fondamentale è stata quella di ripercorrere e recuperare alcune definizioni del pensiero di Marx, a partire da categorie e tematiche fondamentali, “depurandolo” dalle incrostazioni derivanti dalle interpretazioni e dalle piegature storico-politiche novecentesche dei molteplici marxisti e marxismi, per tornare alle radici del suo pensiero. L’altro aspetto che ha caratterizzato il convegno è la volontà di coniugare la dimensione politica con quella teorico-scientifica, mettendo in relazione le analisi e la visione della storia di Marx con alcuni della variegata galassia dei movimenti e delle forme di resistenza al dominio del capitale che si sono manifestate in questo scorcio di inizio XXI secolo.

È in questo contesto che Alvaro Garcia Linera, intellettuale e sociologo impegnato nei movimenti guerriglieri boliviani, e oggi Vicepresidente della Bolivia di Evo Morales, nonché vera e propria eminenza grigia del governo boliviano e del MAS (Movimiento Al Socialismo), organizzazione con cui insieme a Morales ha vinto le elezioni nel 2005. Al suo attivo numerosi libri teorici e politici, tradotti in inglese ad attestare lo spessore internazionale del suo profilo di intellettuale di sinistra e marxista, tra cui Las Tensiones Creativas De La Revolución, La Potencia Plebeya, A Potência Plebeia. Ação Coletiva e Identidades Indígenas, Operárias e Populares na Bolívia.

L’ampia relazione di Linera, dal titolo: Marx en América Latina. Nuevos caminos al comunismo, ha sviluppato una riflessione sul pensiero rivoluzionario di Marx, a partire dalla sottolineatura della differenziazione tra la società dell’America Latina, a base prevalentemente contadina e rurale, rispetto alle società industriali come quella europea o nordamericana.

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osserv.anticap

Introduzione al Manifesto del Partito Comunista

di Stefano Garroni*

MG 7608 1024x10242xCom'è ben noto Il Manifesto fu scritto da Marx ed Engels su commissione della Lega dei comunisti, organizzazione londinese, che però raccoglieva anche lavoratori di altri paesi e che aveva una consistente rete di rapporti internazionali.

Lo scopo dell'opuscolo - perché di questo si trattava - era di propagandare un unitario orientamento politico, che fosse, nello stesso tempo, capace di rinserrare le file dei più decisi e combattivi rivoluzionari europei, come anche di fornire a quell'orientamento uno spessore storico e teorico. Insomma, si trattava anche - e forse fondamentalmente - di organizzare un effettivo argine contro il dilagare, nel movimento rivoluzionario, di orientamenti utopistici, spesso costruiti su ispirazioni di tipo francamente religioso e, generalmente, tanto roboanti sul piano verbale, quanto inconcludenti su quello effettivamente pratico e politico.

Ricordiamo che tutta la vicenda si ambienta nel 1848, in un'epoca, dunque, ricca di fermenti rivoluzionari, ma pure caratterizzata ancora dal fatto che il movimento proletario e persino gli ambienti rivoluzionari più solidi, mancano di una propria autonomia teorica, non sanno discriminare adeguatamente tra le critiche alla società presente che esprimono i rimpianti delle classi tramontate; e quelle, invece, che rappresentano un nuovo punto di vista, legato al moderno proletariato di fabbrica.

È un'epoca, dunque, di incertezze teoriche, che si esprimono sia in oscillazioni politiche, sia nella proclamazioni di tesi francamente utopistiche e spesso "colorate" - lo ripeto - in senso religioso e sentimentale.

La battaglia per dare al movimento rivoluzionario un orientamento teorico diverso, che fosse fondato dal punto di vista critico-scientifico, già aveva visto nettamente impegnati sia Marx che Engels: l'incarico, dunque, ottenuto dalla Lega dei comunisti era anche una loro personale vittoria. Tuttavia, il compito assegnato era sempre - e solo - quello di scrivere un opuscolo agitatorio. Ricordare ciò può sembrare bizzarro, quasi si insistesse su un'ovvietà.

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marxismoggi

Vitalità della riflessione marxiana e marxista sull’ideologia

di Alessandra Ciattini*

1553106031609 1499438924308 1499438941 735x439 1553106033098Premessa

In un mondo, nel quale a detta di alcuni, stiamo assistendo al trionfo della cosiddetta post-verità, in cui siamo intrisi sino alle midolla di ideologie invisibili che si presentano come l’effettiva rappresentazione dei fatti, in cui il paese più potente del mondo legge la storia attuale e futura come il dispiegamento del “secolo americano”, in cui trova spazio l’estremismo islamico, in cui risorge il populismo neofascista e neonazista, non possiamo in nessun modo accantonare la nozione di ideologia.

E ciò soprattutto perché si tratta di un’idea pericolosa, come dice il titolo italiano della traduzione del libro dello studioso britannico Terry Eagleton Ideologia. Storia e critica di un’idea pericolosa (2007) (il titolo in inglese invece è Ideology. An Introduction, 1991)[1]. Idea pericolosa perché stabilisce una correlazione, complessa e articolata, tra certe idee e una certa struttura di potere. Oltre a queste considerazioni teniamo in conto che, dopo la caduta del muro di Berlino, alcuni non sprovveduti, cui i mass media hanno dato notevole e continua risonanza, hanno anche osato parlare di fine delle ideologie, evidentemente ignorando che la verità è solo un processo interminabile di paziente studio e ricerca, sul cui sfondo sta il nostro modo di concepire la vita sociale.

Un’altra considerazione che ci consiglia di tornare a riflettere sull’ideologia e le sue molteplici valenze è rappresentata dal fatto che costituisce un nodo problematico del pensiero marxista, sul quale molti si sono divisi, accusandosi di riproporre con l’opposizione struttura / sovrastruttura l’antico dualismo positivistico, di ricadere nel volgare economicismo per l’uso della categoria del riflesso o di finire nell’idealismo per l’accento posto con enfasi sulle idee rispetto alla dimensione materiale.

Ispirandosi a Eagleton, anche due autori latinoamericani sottolineano la necessità di tornare a riflettere sulla nozione di ideologia, la quale a loro parere rappresenta

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materialismostorico

Ideologie, superstrutture, linguaggi nei Quaderni del carcere di Antonio Gramsci

di Fabio Frosini (Università di Urbino)

grr«Marx irride le ideologie, ma è ideologo in quanto uomo politico attuale, in quanto rivoluzionario. La verità è che le ideologie sono risibili quando sono pura chiacchiera, quando sono rivolte a creare confusioni, ad illudere e asservire le energie sociali, potenzialmente antagonistiche, ad un fine che è estraneo a queste energie. […] Ma come rivoluzionario, cioè uomo attuale di azione, non può prescindere dalle ideologie e dagli schemi pratici, che sono entità storiche potenziali, in formazione»1.

1. Che cosa è il marxismo ortodosso?

Il punto di attacco per un’esposizione del nesso tra ideologia e superstrutture nel pensiero di Gramsci non può che essere il modo in cui questo nesso interviene nell’elaborazione del marxismo suo per un verso, per un altro nella più ampia e generica discussione teorica e culturale in corso in Italia e in Europa nei primi decenni del Novecento. Sul primo versante, ciò che sopratutto caratterizza l’approccio gramsciano è l’insistenza sul carattere non univoco dell’ideologia, sul suo poter essere cioè tanto nascondimento e illusione della situazione reale, quanto conoscenza vera.

Gramsci si inserisce cioè nella discussione marxista sull’ideologia mettendone profondamente in discussione l’accezione canonica, depositatasi nella definizione engelsiana di «falsa coscienza» (falsches Bewusstsein)2.

Sul secondo versante, della discussione teorica e culturale nello scenario italiano e continentale, l’intervento di Gramsci è di polemica contro le concezioni caricaturali del materialismo storico, patrocinate – a partire dagli anni Venti – sopratutto da Benedetto Croce e tendenti a ridurre la nozione di “superstruttura” a un mero epifenomeno della “necessità” economica, di un’“Economia” sostanzializzata che opera come un “dio ascoso”, muovendo tutti i fili della storia.

Questa duplice incombenza – riscattare il marxismo dalla liquidazione crociana e sviluppare in positivo una teoria dell’ideologia come fatto irriducibile a mera “falsità” gnoseologica – è parte di una strategia di contrasto a quello che Gramsci considera il fenomeno duplice e correlato: la volgarizzazione del marxismo come coprodotto della sua espansione di massa, e il lungo ciclo del revisionismo, avviato nell’ultimo lustro dell’Ottocento da Bernstein, Croce, Sorel, e proseguito con grande lucidità e determinazione da Croce (con oscillazioni congiunturali) per tutto il primo trentennio del Novecento, come strategia borghese di riconquista dell’iniziativa egemonica.

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sinistra

Note in merito al libro di Ferrero e Morandi su Marx

di Luigi Ficarra

Paolo Ferrero, Bruno MorandiMarx oltre i luoghi comuni, editore Derive Approdi

mar 768x384Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare ”, dice Seneca in un passo delle ‘Lettere a Lucilio’ citato da Ferrero (p. 228). Passo che si può anche leggere così: ‘ Non esiste vento favorevole per il marinaio che segua una rotta sbagliata’, la quale in tal caso tale rimane. Citazione su cui tornerò più avanti.

 

Da leggere con cura la parte scritta da Morandi , di cui, per chi non ha approfondito la conoscenza della teoria dello Stato in Marx, (come ha fatto chi scrive, sia per motivi personali di studio, che, soprattutto, per impegno politico), consiglio una lettura approfondita, perché fa comprendere l’errore d’impostazione che sul tema commise Engels. Il quale nella sua opera “ L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato ”, parla delle caratteristiche dello Stato in generale, affermando in modo astorico una teoria valida per tutti i tempi, e quindi non coglie la natura specifica dello Stato borghese che nasce dalla scissione fra società civile e società politica, determinata dal modo di produzione capitalistico. Scissione, separazione che, ripeto, è - come spiega Marx - la fondamentale caratteristica della società capitalistica e della sua specifica ‘funzionale’ democrazia. Infatti, lo Stato di diritto kantiano, che come diceva Della Volpe, in polemica col revisionismo dei Bernstein e Mondolfo, trova il suo fondamento nel ‘ Contratto sociale ’ di Rousseau, è reso necessario dai rapporti di produzione capitalistici, alla cui gestione esso è funzionale (v. Marx in ‘ Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico ’, in ‘La questione ebraica’, anche ne ‘Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850, e nella ‘Critica del programma di Gotha’, ed. di Mosca, 1947, p. 37, in cui scrive che ‘la presente radice dello Stato è la società borghese’).

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materialismostorico

L’estensione del concetto di ideologia in Gramsci e la genesi delle sue articolazioni

Gianni Francioni (Università di Pavia)

Queirolo Il disinganno 7 665x5411. Seguendo il «ritmo del pensiero in isviluppo»1 nelle pagine dei Quaderni del carcere, vorrei mostrare come nascono, tra il giugno 1929 e il novembre 1930, gli elementi costitutivi della famiglia concettuale dell’ideologia.

Quella che indico come “famiglia concettuale” è appunto un insieme di concetti correlati fra loro. Come tutte le famiglie, ha una forma ristretta e una allargata, se vi si includono anche i parenti meno vicini. Se limitiamo al massimo le relazioni di parentela, possiamo dire che appartengono certamente alla famiglia concettuale dell’ideologia, oltre al termine che le dà il nome, lemmi come: soprastruttura, filosofia, concezione del mondo (e le sue varianti: concezione del mondo e della vita, concezione della vita o, nell’originale tedesco dell’espressione, Weltanschauung, che però Gramsci usa pochissime volte nei suoi quaderni); e ancora: religione, senso comune, folklore. La famiglia può essere ampliata includendovi egemonia, conformismo, linguaggio, utopia, mito ecc.

Per Gramsci, come per ogni buon marxista, l’ideologia è innanzi tutto una soprastruttura: secondo le notissime espressioni usate da Marx nella Prefazione del 1859 a Per la critica dell’economia politica, l’insieme dei rapporti di produzione costituisce la «struttura economica della società», «base reale sulla quale si eleva una superstruttura giuridica e politica e alla quale corrispondono determinate forme sociali della coscienza»: «forme giuridiche, politiche, religiose, artistiche o filosofiche», definite nella loro generalità «forme ideologiche»2. D’altro canto, come ogni marxista del suo tempo, Gramsci impiega spesso in tutti i quaderni il termine ideologia sia in un’accezione negativa, sia in un’accezione neutra, descrittiva (entrambe erano usuali all’epoca in cui egli scrive).

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consecutiorerum

L’accumulazione originaria: genesi del modo di produzione capitalistico tra storia e struttura

di Sebastiano Taccola*

steve johnson 643285 unsplash 300x200

«il capitale viene al mondo grondante sangue e sudiciume
dalla testa ai piedi, da tutti i pori». (Marx 2011)

«Il ‘moderno’: l’epoca dell’inferno. Le pene dell’inferno sono
ciò che più di nuovo di volta in volta si dà in questo ambito.
Non si tratta del fatto che accada ‘sempre lo stesso’, ancora
meno si può qui parlare di eterno ritorno. Si tratta, piuttosto,
del fatto che il volto del mondo non muta mai proprio in ciò che
costituisce il nuovo, che il nuovo, anzi, resta sotto ogni
riguardo sempre lo stesso. – In questo consiste l’eternità
dell’inferno. Determinare la totalità dei tratti, in cui il
‘moderno’ si configura, significherebbe rappresentare l’inferno».
(Benjamin 2002)

«We’re all Frankies
We’re all lying in hell».
(Suicide, Frankie Teardrop).

1.

Chiunque abbia anche solo un minimo di familiarità con i testi di Marx avrà ben presente quella loro peculiarità di stile che, contaminando la prosa del trattato filosofico o economico con immagini dal gusto letterario, riesce a sedurre il lettore, spesso anche attraverso una pungente ironia antiborghese, in cui è percepibile l’influenza di modelli elevati, come Shakespeare, Goethe e, soprattutto, Heine[1]. Una straordinaria esemplificazione di questo stile la possiamo trovare proprio nella prima pagina del capitolo del primo libro del Capitale che qui ci proponiamo di analizzare – il capitolo ventiquattresimo intitolato La cosiddetta accumulazione originaria:

Nell’economia politica quest’accumulazione originaria gioca all’incirca lo stesso ruolo del peccato originale nella teologia: Adamo dette un morso alla mela e con ciò il peccato colpì il genere umano. Se ne spiega l’origine raccontandola come aneddoto del passato. C’era una volta, in un’età da lungo tempo trascorsa, da una parte una élite diligente, intelligente e soprattutto risparmiatrice e dall’altra c’erano degli sciagurati oziosi che sperperavano tutto il proprio e anche più.

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la citta futura

Il ruolo del marxismo nella ricostruzione del movimento comunista internazionale

di Alessandro Bartoloni

Intervento introduttivo della conferenza “cambiare il mondo”

47d514db89ba887685b2b44bb3616e00 XLIl comunismo quale “movimento reale che abolisce lo stato di cose presente” [Marx, Engels, l’ideologia tedesca] per realizzarsi ha bisogno dell’incontro di condizioni oggettive e soggettive, vale a dire di una realtà cui la coscienza deve aggrapparsi per velocizzarne la trasformazione. Pertanto, per realizzare il comunismo, c’è bisogno di un lavoro rivoluzionario che, in quanto tale, non può non essere accompagnato da una teoria rivoluzionaria. Obiettivo di questo articolo è ribadire il ruolo e l’importanza della teoria.

Nella sua opera principale, Marx ci dimostra che qualunque processo lavorativo umano presuppone la capacità di astrazione: “Il ragno compie operazioni che assomigliano a quelle del tessitore, l'ape fa vergognare molti architetti con la costruzione delle sue cellette di cera. Ma ciò che fin da principio distingue il peggiore architetto dall'ape migliore è il fatto che egli ha costruito la celletta nella sua testa prima di costruirla in cera. Alla fine del processo lavorativo emerge un risultato che era già presente al suo inizio nella idea del lavoratore, che quindi era già presente idealmente. Non che egli effettui soltanto un cambiamento di forma dell'elemento naturale; egli realizza nell'elemento naturale, allo stesso tempo, il proprio scopo, che egli conosce, che determina come legge il modo del suo operare, e al quale deve subordinare la sua volontà” [il capitale, cap. V].

Anche il lavoro politico, dunque, ha bisogno di una teoria che lo guidi. E questo, la borghesia lo ha capito già da molto tempo, tanto che per instaurare il suo dominio ai danni della nobiltà feudale e del clero in quanto classi dominanti non ha esitato a promuovere lo sviluppo del pensiero teorico (si pensi alle pubblicazioni di importanti intellettuali contemporaneamente uomini politici e d’affari quali Niccolò Machiavelli, Adam Smith e David Ricardo). Ma da quando la borghesia ha definitivamente conquistato il potere politico, “la lotta tra le classi ha raggiunto aspetti sempre più netti e minacciosi, sia in pratica che in teoria”.

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materialismostorico

Filosofia della praxis e democrazia nei Quaderni del carcere

Un’attualità inattuale?

André Tosel (Université de Nice)1

030818 15 Antonio Gramsci History ScienceIntroduzione

Non ho la pretesa di elaborare un Ciò che è vivo e ciò che è morto del pensiero di Gramsci; più modestamente, vorrei interrogare alcuni punti vivi, dotati di un grandissimo valore anche per noi, che oggi viviamo una seconda rivoluzione passiva mondiale la quale, dopo gli anni 1980- 90, è succeduta alle forme studiate da Gramsci – il cesarismo regressivo del fascismo e l’americanismo-fordismo liberale.

Questi punti vivi riguardano la filosofia e la politica considerate in rapporto alla democrazia sostanziale.

 

1. Filosofia e politica come termini di un ossimoro

Una prima osservazione s’impone: la filosofia e la politica democratica interagiscono secondo la modalità dell’ossimoro, cioè della giustapposizione fra due tesi contraddittorie, che dà luogo non alla «vera sintesi», in un senso speculativo, dei due termini, bensì alla loro messa in tensione feconda e pratica.

1.1 La “sequenza” filosofica

Quanto alla filosofia, Gramsci accetta, per un verso, la tesi di Croce: «Ogni uomo è un filosofo […] perché determinate proposizioni filosofiche sono condivise dal senso comune» (QC 8, § 173, p. 1043). Ma il senso comune rimane il livello il più elementare e disgregato del pensiero e non è coerente. Sempre in quanto si tratta degli uomini-massa moderni, dei subalterni, il senso comune accoglie e contamina elementi delle filosofie tradizionali tolemaiche e delle moderne concezioni del mondo che sono in lotta per l’egemonia culturale (positivismo antimetafisico e neoidealismo conservatore). D’altra parte, i subalterni che lottano, sentendo e pensando, per il riconoscimento della loro posizione entro la vita economica, sociale e politica, possono partecipare all’elaborazione della filosofia della praxis che il partito e gli intellettuali in senso «tecnico» stanno costruendo mediante la riappropriazione critica del lascito marxiano e leniniano, non senza “lavorare” su altri materiali che permettono di comprendere il tempo storico come tempo della rivoluzione passiva: il pragmatismo anglosassone e l’elitismo politico italiano.

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materialismostorico 

Senso comune/buon senso

di Giuseppe Cospito*

de chirico indovino1. Prima dei Quaderni

Prima di affrontare il tema nei Quaderni, farò un breve cenno all’uso dei termini che ci interessano negli scritti di Gramsci precedenti la carcerazione e nella cultura italiana ed europea del tempo.

1.1 Gli scritti politici

Negli articoli giornalistici fin dal 1916 troviamo numerose occorrenze dei lemmi buon senso e senso comune . Non si tratta di accezioni particolarmente rilevanti in quanto non si distaccano sostanzialmente dall’uso corrente, che le considera sostanzialmente sinonime. Si possono ricondurre ad alcune tipologie che esemplifico citandone la prima occorrenza significativa, nell’ordine cronologico con cui compaiono negli scritti gramsciani:

  a) connessa al comune sentire estetico-morale (intesi rispettivamente come buon gusto e senso del pudore), frequente nelle recensioni della rubrica Teatri: per esempio, di una commedia si dice che «è un’offesa al buon gusto e al senso comune»1;

   b) vicina all’accezione invalsa nel lessico filosofico moderno da Descartes in avanti (bon sense, common sense), come quando Gramsci scrive che «la religione è un bisogno dello spirito. Gli uomini si sentono spesso così sperduti nella vastità del mondo, si sentono così spesso sballottati da forze che non conoscono, il complesso delle energie storiche così raffinato e sottile sfugge talmente al senso comune, che nei momenti supremi solo chi ha sostituito alla religione qualche altra forza morale riesce a salvarsi dallo sfacelo»2

  c) contrapposta alle astrusità e ai tecnicismi degli pseudo-saperi scientifici, contro i quali si chiede «meno pseudo-scienza, e più senso comune, e soprattutto più affetto e sincerità»3

  d) ancora più generica e corriva, come quando Gramsci invoca «parole che siano condite di buon senso»4;

A partire dal 1917 si aggiunge alle precedenti (che continuano a ricorrere negli scritti gramsciani) un’ulteriore accezione:

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consecutiorerum

Divagazioni intorno al 25° capitolo del I Libro del Capitale

di Edoarda Masi (1927 – 2011)*

Abstract: This paper deals with Marx’s theory of colonization. It is argued that – in constrast with E.G. Wakefield’s view – Marx proposed a complete a consistent approach to the role of colonization in the dynamics of capital reproduction. In particular, he emphasized the transformation of free men in “underdeveloped” economies into wage workers.

Darío de Regoyos estación del norte madrid1. Una lettura

Non riassumo il capitolo 25°, che è abbastanza breve e – mi sembra – di facile lettura. Marx è interessato a indagare come il capitale agisca sempre secondo la sua logica interna, e si propone qui di mostrare che nelle colonie si riproducono i suoi meccanismi fondamentali: specificamente, nella trasformazione di uomini liberi in salariati sfruttati. Per semplificare il discorso utilizza polemicamente un testo di E.G. Wakefield, un teorico della colonizzazione. Il discorso è chiaro e coerente, la sua logica incontestabile, una volta che si accettino i presupposti – per la verità non tutti accettabili (come quello che nelle terre da colonizzare il capitale trovi, all’inizio, liberi produttori).

Partire dal massimo livello di astrazione può valere contro la realtà storica? Al di là di questa logica, mi limiterò ad alcune osservazioni in certo senso fuori tema.

Quando Marx scrive queste righe, siamo in pieno Ottocento – il secolo nel corso del quale le terre emerse colonizzate degli europei passano dal 35% all’85%. È quanto meno singolare che un osservatore acuto (diciamo pure, un genio) come lui non si curi di questo evento macroscopico, una volta che abbia deciso di scrivere un capitolo sulla colonizzazione. Né si domandi per quali motivi tale fenomeno sia in corso, da dove parta e quali risultati produca nella madrepatria (cioè nel luogo centrale della sua indagine sul capitale).

Non solo. Come esempio di colonia sceglie gli Stati Uniti d’America, che da un pezzo hanno raggiunto l’indipendenza; anche se – come si precisa in nota – «economicamente parlando […] sono ancora terra coloniale dell’Europa».

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ilcomunista

Epitaffio per l'Urss: un orologio senza molla

di Christopher J. Arthur✴

Probabilmente si tratta del punto centrale all'origine del crollo dell'URSS e dei paesi socialisti: non vi era un vero e proprio modo di produzione, perché il sistema fabbrica (base materiale) non armonizzava il sistema della gestione per la quale è stato creato (accumulazione). Ma c'è da riflettere sul fatto che se, come è plausibile, il modo di produzione sovietico non era né capitalistico né socialista, ma è definito da Arthur "economia amministrata", una sorta di economia formata da capitali ma senza produzione di plusvalore e senza capitalisti, "un orologio senza molle", allora c'è da chiedersi con il 1989 che cosa sia veramente crollato. Altro punto importante è se sia possibile evitare, e come, il crearsi di una "burocrazia" privilegiata quale forma di nuova borghesia. Anche questo non potrà che riproporsi in futuro. L'ideologia dominante ripete che il socialismo è fallito perché non può funzionare, e purtroppo questa frase è fatta propria dal 99% delle persone, compresi i lavoratori. Ma in realtà che cosa è veramente fallito? Se non c'era il socialismo né il capitalismo, il primo non è crollato ma è ancora tutto da costruire (il collettivo)

kandinsky In the Blue Wassily Kandinsky E' importante comprendere il “crollo” dell’Urss perché il dibattito sulla natura dell’Unione Sovietica riguarda ancora la teoria e la pratica socialiste. L’analisi del socialismo non-più-realizzato ha un significato generale dal momento che, chiaramente, la lezione che se ne può trarre non riguarda unicamente la situazione russa ma è rilevante per la teoria e la pratica della transizione in generale. Infatti, essa rende più pressante una domanda: cosa è richiesto per un reale e permanente superamento del capitalismo? Chiunque sia interessato a tale questione deve imparare dalla lezione di questo tentativo fallito, e chiunque si dica marxista deve dare conto di “cosa è andato storto”, in coerenza con la teoria marxista stessa1 . Nella seconda parte di questo scritto, abbozzo alcune considerazioni su questi problemi. Nella terza parte, prendo in considerazione le opinioni di Istvàn Mészàros, contenute nel suo più voluminoso lavoro, Beyond Capital (Oltre il capitale). Ma per prima cosa fissiamo la scena per la nostra analisi della transizione dal capitalismo all’Urss, affrontando la questione della dialettica tra forma e contenuto.

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il rasoio di occam

Per una nuova teoria del valore

di Tommaso Redolfi Riva

Per Riccardo Bellofiore, che ha esposto questa tesi nel suo ultimo "Le avventure della socializzazione. Dalla teoria monetaria del valore alla teoria macro-monetaria della produzione capitalistica" (Mimesis), non è più possibile procedere a una semplice interpretazione dell’opera di Marx. È invece necessario guardare ai punti alti della teoria economica, svilupparli e incorporarli in una critica dell’economia politica che sia al contempo economia politica critica: messa in discussione del rapporto sociale capitalistico e indagine sulla sua forma di movimento

9788898971237 Una Ragionevole Asimmetria Bonelli GiovanniNella critica dell’economia politica, la legge dell’accumulazione capitalistica – che ha il suo principio nella valorizzazione del valore – rappresenta la forma di moto specifica che caratterizza il modo di produzione capitalistico. Il rapporto di produzione, che è sempre un modo particolare nel quale si realizza l’unione tra i lavoratori e i mezzi di produzione, una volta che ha assunto la forma capitalistica, una volta cioè che si è costituito come rapporto di capitale, “costringe senza scrupoli l’umanità alla produzione per la produzione[1]. Non è certo un caso che questa frase di Marx riappaia nella Dialettica negativa là dove Adorno vuole presentare il dominio dello spirito del mondo sulle azioni individuali, della storia sugli individui storici, dell’universale sul particolare: l’autonomizzazione della società, il farsi obiettivo del vincolo sociale, rappresenta un tema centrale della sua riflessione matura[2]. Nel modo di produzione capitalistico, il rapporto sociale che lega gli individui gli uni agli altri, il modo cioè in cui la società produce e riproduce se stessa, si rende indipendente dagli individui, i quali si trovano nella necessità di fungere da semplici momenti di un processo che ha una propria dinamica specifica e che si impone loro come contrainte esteriore. Per Adorno, l’individuo, che la sociologia comprendente vorrebbe sostanziale, decade a semplice luogo di un’azione che si svolge alle sue spalle e di cui diviene semplice portatore. Ma se la sociologia comprendente non coglie la costrizione esteriore che la società esercita sull’individuo, quella funzionalista la assume come dato, eternizzando, di fatto, l’autonomizzazione della società. Compito della teoria critica della società è quindi quello di superare l’unilateralità di entrambi gli approcci e mostrare “come quei rapporti che si sono resi indipendenti e impenetrabili per gli uomini, derivino proprio da rapporti fra gli uomini”[3].

La comprensione dell’autonomizzazione della società, della totalità che retrocede gli individui a meri portatori della sua riproduzione, del dominio e della violenza dell’universale sul particolare, risiede per Adorno, nell’analisi del processo di scambio. Esso si presenta da un lato, mediazione totalizzante, dall’altro, astrazione obiettiva capace di ridurre la differenza qualitativa di ogni oggetto alla comparabilità quantitativa del valore.

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euronomade

Sulle “operations” di Mezzadra-Neilson

di Toni Negri

Recensione letta alla riunione di EuroNomade, Bologna, 15 marzo 2019

progetto stadio roma 440x264Nel Capitale, il “modo di produzione capitalista” è dato in una postura definitiva, è lì. Nei Grundrisse, invece, Marx introduce un discorso su Die Formen (che precedono la produzione capitalista) proprio nel momento nel quale dovrebbe passare dalla definizione della teoria del plus-valore (punto centrale e scoperta fondamentale, proprio qui, di Marx) alla teoria della circolazione, quindi alle teorie del capitale sociale e del General Intellect ecc. Perché fa questa sosta (confessiamolo, talora imbarazzante per la genericità nella quale mondo antico e civiltà asiatiche sono trattati) proprio quando ha scoperto nel plus-valore il cuore del modo di produzione capitalista e l’analisi potrebbe procedere velocemente verso la piena esposizione di quella scoperta?

Mi è sempre sembrato che ciò avvenga perché la scoperta del plus-valore apriva due piste decisive per la critica dell’economia politica: la determinazione del modo di produzione capitalista come movimento antagonista (il capitale come rapporto sociale antagonista) e, d’altra parte, la dialettica di soggettivazione che dal rapporto di capitale sorgeva e che poteva innescare la ricerca politica rivoluzionaria. Così, nei Grundrisse, proponendo dentro quell’insieme problematico, il programma cui il Capitale non riuscirà a dare definitiva risposta – ivi mancando appunto il libro sul salario e quello sullo Stato.

Il libro di Sandro Mezzadra e Brett Neilson (The Politics of Operations. Excavating contemporary capitalism, Duke University Press, 2019) si propone di percorrere quelle due piste, a partire da un approccio analitico al capitalismo globalizzato contemporaneo, e di muoversi nella transizione verso le forme che seguono il modo di produzione capitalista classico, così come l’abbiamo conosciuto: industriale, keynesiano, nazionale, sviluppista, socialista, ecc., inaugurando l’epoca della globalizzazione. Inseguono dunque le operazioni capitaliste (meglio, le “politiche delle operazioni”) che definiscono, oggi, il quadro spaziale e dinamico (temporale) dello sviluppo, dal punto di vista del complesso gioco delle istituzioni e delle soggettività che sono in campo e del processo che, contemporaneamente, si apre sia al “nuovo modo di produrre” sia ad una nuova formazione sociale.

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intrasformazione

Marx a Parigi

di Antonino Morreale

marx200L’impresa può riuscire o no. In ogni modo sarò a Parigi alla fine del mese”

 

Marx tedesco

 

1. Il problema

Dal commento della “Prefazione del ‘59”, era risultato che quella narrazione autobiografica di Marx era fortemente condizionata dal tentativo di accreditare, da un lato, un precoce e compatto curriculum da economista (dal ’42!), e di nascondere, dall’altro, le fondamentali scoperte degli anni ‘57-‘58. Quella autobiografia non era quindi affidabile, e bisognava de-costruirne il percorso. Né più convincente era la proposta – cito solo quella che negli anni ’60 fece il più forte rumore - di un importante studioso francese, Althusser, il quale ha sostenuto l’esistenza di due Marx, uno “ideologico” ed uno ”scientifico”. Lo scarto tra i due sarebbe avvenuto intorno al 1846 con “L‘ideologia tedesca”, un po’come il passaggio dall’alchimia alla chimica per merito di Lavoisier. Fra il primo e il secondo ci sarebbe stata una “rottura epistemologica”, solo asserita e mai dimostrata: un bel giorno Marx si coricò “ideologo” hegeliano e feuerbachiano e si svegliò “scienziato”. Poiché non crediamo ai miracoli, nemmeno se c’è di mezzo Marx, ci è parso obbligatorio l’approccio più terra-terra, empirico, del “cambio di residenza” che, per un apolide quale Marx fu, qualche cosa significa; a meno di non volerlo lasciare sradicato anche da morto. Bisognava quindi lasciare che il “romanzo” della sua formazione si srotolasse tappa dopo tappa. Avremo così un Marx tedesco, uno parigino, uno belga e uno inglese. Tanto meglio, se poi, giusto nel periodo “parigino”, le influenze esterne su Marx pesarono più che in qualsiasi altro. Su questa ipotesi analizzerò quel “romanzo” molto rapidamente cercando di mostrare la non originale tesi che, in un tempo brevissimo, appena 15 mesi, Marx prende le decisioni fondamentali della sua vita privata, politica, scientifica.

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palermograd

Una spirale in continuo sviluppo

Rosa Luxemburg e l'accumulazione del capitale

di Giovanni Di Benedetto

Luxemburg Accumulazione 472x330Ciò che Marx presuppone non è la fantasia bambinesca di una società capitalistica sull’isola di Robinson, che fiorisce nel chiuso, «isolata» da continenti con popoli non-capitalistici, di una società in cui lo sviluppo capitalistico ha raggiunto il più alto grado immaginabile (…) e che non conosce né artigianato né contadiname e non ha rapporti col mondo circostante non-capitalistico. Il presupposto di Marx non è un assurdo della fantasia, ma un’astrazione scientifica. Marx anticipa la tendenza realedello sviluppo capitalistico; ammette come già raggiunto quello stato di dominio generale assoluto del capitalismo su tutto il mondo, quell’estrema dilatazione del mercato mondiale e dell’economia mondiale, verso cui il capitale e l’intero suo sviluppo economico e politico odierno realmente tende.

(Rosa Luxemburg, Ciò che gli epigoni hanno fatto della teoria marxista. Una anticritica)

Quando, all’inizio del proprio discorso, nel mese di Gennaio del 1919, alcuni giorni dopo l’assassinio di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, Grigorii Zinoviev, presidente del Soviet di Pietrogrado, li commemorò, ebbe a dire, pressappoco, che la Luxemburg era appartenuta a quella rara schiera di affiliati al movimento dei lavoratori che aveva avuto non solo il merito di divulgare le idee di Marx ma anche di contribuire, con la propria parola e il proprio pensiero, all’arricchimento della stessa teoria marxiana della critica dell’economia politica.

Allo scoccare del secolo dal terribile eccidio del 15 Gennaio 1919, ordinato dal socialdemocratico Gustav Noske ed eseguito dai Freikorps, questo lapidario e solenne giudizio non sembra, col passare del tempo, aver perso di vitale veridicità. Tutt’altro, considerato che, a partire dalla metà degli anni ’20 del secolo scorso, l’ortodossia stalinista aveva condannato all’oblio e a una sostanziale rimozione, l’eredità luxemburghiana. Eppure, oggi, l’opera intellettuale di Rosa Luxemburg dimostra una forza e una lucidità non comuni e, forse, una produttività, agli occhi di molti, inaspettata.

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marxismoggi

Il comunismo come “potenzialità ontologica”

Breve saggio sul marxismo critico di Costanzo Preve

di Gabriele Rèpaci

48384880 274023679950291 7223595861807202304 n 2«Il recupero della filosofia significa recupero dello spirito filosofico. Il sistema capitalistico è talmente violento, anche se si presenta apparentemente come tollerante e liberale, che la gente cerca istintivamente il contrario. Lo spirito filosofico risponde a questa esigenza quasi sempre inespressa di conversazione e di comunicazione, che poi è anche il solo possibile antidoto alla perversa dialettica fra rassegnazione apparente e scoppio improvviso di rabbia repressa, che tutti gli osservatori possono riscontrare nei posti di lavoro, nelle discoteche e negli stadi»

(Costanzo Preve)

Costanzo Preve è un autore divenuto noto ai più, soprattutto dopo la sua prematura scomparsa avvenuta all’età di settant’anni, per essere stato il maestro e l’ispiratore del filosofo Diego Fusaro nonché uno dei presunti ideologi di quella galassia politica nota oggi con il nome di “rossobrunismo”. Ma come osservava saggiamente Hegel a suo tempo «ciò che è noto, non è conosciuto. Nel processo della conoscenza, il modo più comune di ingannare sé e gli altri è di presupporre qualcosa come noto e di accettarlo come tale». Questo breve saggio senza alcuna pretesa di sistematicità vuole fare luce sul contributo di Preve alla teoria marxista novecentesca evidenziandone l’elemento di discontinuità in vista di una rifondazione filosofica e politica della prospettiva comunista¹.

La riflessione di Costanzo Preve va distinta in almeno due periodi. Negli anni ’80, in una congiuntura teorica caratterizzata dalla liquidazione differenzialista e positivista della dialettica, i cui esiti sono l’enfasi sulla pluralità disseminata dei saperi e la lettura della modernità in chiave di secolarizzazione, Preve fa riferimento ai punti alti del marxismo novecentesco per mostrare l’esistenza di alternative alle grandi narrazioni dello storicismo e dell’operaismo e per prendere le distanze da un lessico filosofico che civetta con la weberiana gabbia d’acciaio, con l’heideggeriano destino della tecnica, con il prospettivismo nietzscheano, con la complessità sistemica, per alludere all’intrascendibilità dell’universo capitalistico.