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coku

Aristotele e Marx

di Leo Essen

dialecticaI

Agli occhi degli economisti del XVIII secolo gli individui indipendenti della moderna società borghese appaiono come un ideale la cui esistenza appartiene al passato. Non come un risultato storico, dice Marx (Introduzione del 57), ma come il punto di partenza della storia. Il lavoratore indipendente conforme a natura non è infatti, secondo la concezione della natura umana degli economisti, originato storicamente, ma posto dalla natura stessa. Quanto più risaliamo indietro nella storia, dice Marx, tanto più l’individuo – e quindi anche l’individuo che produce – ci appare non autonomo. La produzione ad opera dell’individuo isolato è un non senso. Allo stesso modo è mitologico pensare che l’origine dell’idea di Economico sia spuntata in testa bella e fatta e sia stata poi applicata.

A questo punto, dice Marx, poiché ogni periodo storico è una singolarità diversa da tutte le altre, sarebbe impossibile parlare, in riferimento a periodi diversi, di Economico, di Lavoro, eccetera, perché nel tempo l’attimo scorre e non si fissa in niente.

In ogni caso, continua Marx, tutte le epoche hanno certi caratteri in comune, certe determinazioni comuni. La produzione in generale – ad esempio – è un’astrazione che ha un senso, in quanto mette effettivamente in rilievo l’elemento comune, lo fissa e ci risparmia una ripetizione. Allo stesso modo il lavoro in generale.

In quanto generalità, dice Marx, il lavoro è una categoria antichissima. D’altra parte, dice, questa astrazione del lavoro in generale non è soltanto il risultato mentale di una concreta totalità di lavori. L’indifferenza verso un lavoro determinato corrisponde a una forma di società in cui il genere determinato del lavoro è fortuito e quindi indifferente.

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sinistra

«Herr Vogt»: una battaglia di Marx poco nota (e quasi sempre fraintesa)

di Eros Barone

0 elDFgNmy g0w1KMuLo stesso Vogt afferma che il suo proposito... era quello di chiarire «lo sviluppo del suo personale atteggiamento nei confronti di questa cricca» (Marx e compagnia). Abbastanza curiosamente, egli descrive solamente conflitti che non ha mai vissuto e vive solo conflitti che non ha mai descritto. È quindi necessario porre a confronto le sue panzane con un pezzo di storia reale.

Karl Marx, Herr Vogt. 1

Oltre al suo talento di oratore, Kossuth possiede anche quello altrettanto grande di saper starsene in silenzio appena l’uditorio dà chiari segni di insofferenza... Al pari del sole, conosce perfettamente l’arte di eclissarsi. In una sua recente lettera a Garibaldi ha dimostrato di saper essere coerente con se stesso almeno una volta nella vita: in essa ammonisce Garibaldi a non attaccare Roma, per non offendere l’imperatore dei francesi, «l’unico sostegno per le nazionalità oppresse».

Karl Marx, Herr Vogt. 2

  1. Il signor Vogt: chi era costui?

Nella primavera del 1859 vide la luce, nel mondo di lingua tedesca, uno scritto intitolato Studi sulla situazione attuale dell’Europa, nel quale si sosteneva il punto di vista del partito bonapartista in politica estera. Questo scritto recava la firma di Carl Vogt, rappresentante della sinistra nell’Assemblea nazionale di Francoforte durante il cruciale periodo 1848-1849, esule in Svizzera dopo gli anni rivoluzionari e professore di scienze naturali a Ginevra. 3 Nello stesso anno apparve a Londra un volantino anonimo che denunciava le mene di Vogt per creare consenso intorno alla figura di Napoleone III e alla sua politica europea che proprio in quel periodo compiva un salto di qualità con l’appoggio francese all’unificazione italiana.

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coku

Critica dell'economia politica del segno. Baudrillard e Marx

di Leo Essen

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L’obiettivo dichiarato di Per una critica dell’economia politica del segno di Jean Baudrillard è la decostruzione della distinzione tra valore-uso e valore-scambio che apre il Capitale. L’opera di Marx ha come sottotitolo Critica dell’economia politica. Dunque, il libro di Baudrillard, sin dal titolo, si inscrive nella storia del marxismo, nonostante ne contesti un argomento considerato da Marx elementare, dunque basilare: la distinzione, appunto, tra valore-uso e valore-scambio.

La merce è in primo luogo una cosa – dice Marx (Capitale I, 1.1). Una cosa che soddisfa bisogni umani. Il modo d’uso delle cose non è definito una volta per tutte. La proprietà della calamita di attrarre il ferro, dice Marx, divenne utile solo quando fu scoperta per suo mezzo la polarità magnetica. È compito della storia scoprire i molteplici modi d’uso delle cose. Come è compito della storia definire i termini e i modi di quantificazione di questi oggetti.

L’utilità della cosa è ciò che fa di essa un valore-uso.

Ma che cos’è l’utilità?

Marx ha già chiarito che l’utilità è legata alla proprietà della cosa.

Mentre la proprietà è data (o fabbricata), l’utilità, in ogni caso, è prodotta dalla storia. Ma la storia la produce a partire dalla proprietà della cosa, dalla sua attitudine naturale (qui Marx cita a sostegno Locke) ad appagare un qualche bisogno umano.

L’utilità, dice Marx, non aleggia nell’aria. È legata alle proprietà del corpo dell’oggetto, e non esiste senza di esso. La calamita diventa utile con l’invenzione della bussola. Prima di questa invenzione, la proprietà del magnete di indicare il nord non aveva alcuna utilità. Pertanto, l’utilità non è un carattere permanente e fisso della cosa, non è un carattere naturale. Si potrebbe dire, forzando un po’ la mano, che solo nel suo utilizzo in quanto bussola, la calamita manifesta la sua proprietà.

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chartasporca

Althusser, maledetto!

di Andrea Muni

althusser scaledNon avendo un’esistenza veramente mia, un’esistenza autentica, dubitando di me stesso fino all’estremo […], non sono mai stato altro che un essere artificiale, fatto di nulla, un morto.
(Althusser, L’avvenire dura a lungo)

Trent’anni fa sei morto, Louis Althusser. Uno dei più grandi filosofi marxisti del secolo breve, uno di quelli che hanno dovuto vedere, e patire nella carne, il tramonto di un grande sogno. Sei morto pazzo, graziato parzialmente da una supposta infermità mentale attribuita a un delitto tra i più orribili che una persona possa commettere. Un femminicidio brutale, a mani nude, che hai raccontato nelle tua toccante e sconcertante autobiografia postuma L’avvenire dura a lungo (Guanda, 1992). L’omicidio della persona che si ama, l’omicidio di chi non possiamo accettare di perdere. Se non è follia questa… Hai ucciso una grande donna, e lo sapevi. Una donna che non meriterebbe di essere ricordata sempre e solo all’ombra del tuo nome e del tuo crimine, una donna sopravvissuta alla resistenza che ha dovuto soccombere alla violenza del tuo amore malato. Sono anche i quarant’anni dalla sua scomparsa, ed è giusto, prima di tutto, ricordare lei: onore alla memoria di Hélène Rytmann-Legotien.

Quello che cercavo era la prova, la contro-prova, della mia non-esistenza. La prova che ero già bello che morto a ogni speranza di vita e salvezza. Ma la mia autodistruzione doveva passare simbolicamente per la distruzione degli altri, compresa quella della donna che amavo più di ogni altra cosa.

(Althusser, L’avvenire dura a lungo)

Un comunista, un marxista, un filosofo sempre pronto a mettere in dubbio i propri presupposti. Sei diventato da un giorno all’altro un “maledetto”.

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rproject

In ricordo di Sebastiano Timpanaro

Intervista a Luca Baranelli

Con la partecipazione di Fiamma Bianchi Bandinelli

Bcha32ah 400x400Nel novembre 2000 moriva Sebastiano Timpanaro jr, uno dei massimi protagonisti del dibattito culturale e politico del dopoguerra. Filologo e latinista di fama mondiale, uomo schivo e appartato, insegnante in scuole medie e professionali e poi, per tantissimi anni, “correttore di bozze” com’egli amava definirsi, marxista e materialista, militante del Psi e poi del Psiup con simpatie per Trotsky, intellettuale attentissimo e appassionato alle vicende politiche e culturali italiane e internazionali, autore di testi sul materialismo, lo strutturalismo, la psicoanalisi, accolti dal silenzio degli specialisti eppur fondamentali, studioso massimo del Leopardi.

Per ricordarlo pubblichiamo una intervista rilasciata da Lu­ca Ba­ra­nel­li per la rivista “una città” nel 2001 alla cui con­ver­sa­zio­ne ha par­te­ci­pa­to an­che la rimpianta Fiam­ma Bian­chi Ban­di­nel­li.

Luca Baranelli è stato un esponente del movimento della nuova sinistra e ha collaborato con il gruppo di Quaderni rossi. Ha fatto parte successivamente anche della direzione della rivista Quaderni piacentini diventando poi redattore a Torino delle case editrici Einaudi e Loescher.

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Tu sei sta­to ami­co di Se­ba­stia­no Tim­pa­na­ro. Un aspet­to che im­pres­sio­na è con­sta­ta­re quan­to egli sia sta­to im­por­tan­te per tan­tis­si­mi in­tel­let­tua­li e mi­li­tan­ti del­la si­ni­stra e quan­to po­co fos­se in­ve­ce co­no­sciu­to. Ce ne puoi par­la­re?

Pro­vo a di­re per­ché è sta­to im­por­tan­te per me, an­che se non bi­so­gne­reb­be par­ti­re da sé per par­la­re di una per­so­na del suo li­vel­lo in­tel­let­tua­le, cul­tu­ra­le e mo­ra­le. In que­ste set­ti­ma­ne, do­po la sua mor­te, ri­pen­sa­vo a quan­do l’ho co­no­sciu­to: po­te­va es­se­re il ’59 o il ’60. Sa­pe­vo chi era, per­ché mio pa­dre, un pit­to­re na­to nel 1895, ave­va co­no­sciu­to il pa­dre di Tim­pa­na­ro, ami­co di tan­ti ar­ti­sti, e co­no­sce­va il fi­glio.

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voxpopuli

Intervista a Wolfgang Streeck

di Bollettino Culturale

1b2d2770197875e9c9a7a8e1632119e1Wolfgang Streeck, nato a Lengerich il 27 ottobre del 1946, studia sociologia all’Università Goethe di Francoforte, proseguendo i suoi studi alla Columbia University tra il 1972 e il 1974. A Francoforte studia nel contesto dell’omonima scuola marxista, fondamentale per lo sviluppo del marxismo occidentale. Dopo aver insegnato in alcune università tedesche, nel 1995 diventa direttore dell’Istituto Max Planck per lo studio delle società mentre insegna sociologia all’Università di Colonia.

Dal 2014 è direttore emerito dell’Istituto Max Planck.

Nei suoi lavori è centrale l’analisi dell’economia politica del capitalismo, usando un approccio dialettico applicato all’analisi istituzionale. Feroce critico del neoliberismo e della struttura imperialista chiamata Unione Europea, negli ultimi anni ha anche cercato di definire le modalità con cui potrebbe collassare il capitalismo.

In italiano è stato tradotto nel 2013 Tempo guadagnato. La crisi rinviata del capitalismo democratico. Segnaliamo inoltre: How Will Capitalism End?: Essays on a Failing System; Re-Forming Capitalism: Institutional Change in the German Political Economy; e Politics in the Age of Austerity.

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1. Professor Streeck, come Samir Amin e Giovanni Arrighi lei parla di una crisi del capitalismo che dura dagli anni ’70. In Gekaufte Zeit. Die vertagte Krise des demokratischen Kapitalismus conduce un’analisi interessante del capitalismo dagli anni ’70 ai giorni nostri. Vorrei chiederle se la sua lettura accetta l’analisi di Arrighi, che interpreta il predominio nel capitalismo del capitale fittizio come parte finale del ciclo di accumulazione aperto dagli Stati Uniti.

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marxismoggi

Marx a cent’anni dalla Rivoluzione d’Ottobre

Un seminario del 2017 di Domenico Losurdo

di Gabriele Borghese

112721685 9b4f9dea 042e 429d 8677 dbe773b77060Il presente testo costituisce una sintesi degli argomenti affrontati nel corso delle tre giornate di seminari tenuti da Domenico Losurdo dal 4 al 6 dicembre 2017 a Napoli, presso l’Istituto italiano per gli Studi Filosofici. Durante il seminario Losurdo concentrò l’attenzione, oltre che sul bilancio storico della Rivoluzione d’Ottobre, anche su punti più prettamente teorici della filosofia marxista, tra i quali il dibattito che si è sviluppato nel Novecento riguardo alla concezione dello sviluppo delle forze produttive e alla relazione che questo sviluppo ha con la natura; e la definizione operata da Marx ed Engels del socialismo scientifico rispetto alle altre correnti utopiche del socialismo.

Le considerazioni di merito presentate nel testo seguente intendono tutte riferire il ragionamento di Losurdo, non sono giudizi o conclusioni dell’autore di questo testo.

Nella prima giornata di seminari intitolata Decrescita o sviluppo delle forze produttive, Losurdo ha trattato da un punto di vista critico la posizione di Serge Latouche, che ha sostenuto l’idea della decrescita felice (S. Latouche – 2006, Le pari de la décroissance) in contrapposizione alla teoria di Marx, che invece poneva l’enfasi proprio sullo sviluppo delle forze produttive considerandolo decisivo per la propria teoria della rivoluzione. Secondo Latouche non sarebbe sostenibile, anche dal punto di vista ecologico, una nuova crescita impetuosa del PIL. In quest’ottica non è opportuno seguire Marx che criticava il modo di produzione capitalistico perché esso blocca lo sviluppo delle forze produttive e distrugge la ricchezza sociale.

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materialismostorico

Gramsci in translation: egemonia e rivoluzione passiva  nell’Europa di oggi

di Fabio Frosini*

Materialismo Storico. Rivista semestrale di filosofia, storia e scienze umane è una pubblicazione dell'Università di Urbino con il patrocinio della Internationale Gesellschaft Hegel-Marx, n. 1 2019

mb w p2014a002 resterai poli tela 70x100cm1. La fine dell’egemonia

Se analizzato con categorie gramsciane, il secondo dopoguerra europeo può essere descritto come una trentennale guerra di posizione, il cui il risultato è stata l’integrazione delle organizzazioni di massa delle classi lavoratrici dentro la trama del potere pubblico da un lato, dall’altro il forte condizionamento del mercato da parte di istanze depositate nelle costituzioni, nel complesso normativo e nella serie di pratiche di patteggiamento sviluppate tra Stato, capitale e lavoro mediante una serie molto ampia di corpi intermedi, come la giustizia sociale e l’ eguaglianza, che esprimevano le rivendicazioni di quelle stesse classi lavoratrici come rappresentanti dell’intera nazione1. Questa guerra di posizione può essere vista pertanto come un compromesso, una rivoluzione passiva in termini gramsciani2, che è entrato in crisi dagli anni Settanta e che è stato abbandonato unilateralmente dalle classi dominanti negli anni Ottanta.

Le ragioni di questo abbandono sono complesse da enumerare e argomentare. Dal nostro punto di vista importa solamente notare che i presupposti della crescita economica del dopoguerra furono messi in discussione non dalla dinamica puramente interna dello sviluppo, ma dal fatto che non si riuscì a separare questa dinamica – a livello delle forze sociali organizzate e, di riflesso, a livello dei vari Stati europei – dalla prospettiva dell’accumulazione capitalistica. La crisi esplose per volontà degli Usa, che dinnanzi all’assottigliarsi dei profitti inaugurarono una politica economica di carattere neo-protezionistico, iniziando a usare il dollaro non più come fattore di stabilizzazione ma come strumento flessibile per drenare risorse e per ottenere un vantaggio competitivo3.

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carmilla

Reading Capital Politically

di Harry Cleaver

RCPTurkishEdCover2[Uscito sul finire degli anni Settanta, Reading Capital Politically (1979) di Harry Cleaver propone una lettura politica dell’opera marxiana al servizio della lotta di classe. Tradotto in svariate lingue, il testo è stato diffuso in italiano nel corso degli anni Novanta dalla rivista vis-à-vis – Quaderni per l’autonomia di classe. Nonostante alcuni riferimenti al contesto politico-economico internazionale siano inevitabilmente dettati dal periodo in cui il testo è stato steso, l’analisi proposta dall’autore mantiene inalterata la sua efficacia politica ed è per tale motivo che si riproduce di seguito l’apertura del libro.
Harry Cleaver ha insegnato economia alla statunitense University of Texas di Austin, ha pubblicato numerosi articoli su riviste scientifiche e politiche sui temi dello sviluppo economico, sulle politiche economiche, sulle teorie della crisi, su Marx e sul marxismo, è stato redattore della rivista statunitense Zerowork ed ispiratore e curatore, insieme ad altri, del Texas Archive of Autonomist Marxism- ght].

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Introduzione

In questo libro vengono riesaminate le analisi sul valore condotte da Marx mediante uno studio dettagliato del Primo Capitolo del Volume I de Il Capitale. L’oggetto di questo studio si propone di trovare un’utilità politica all’analisi del valore situando i concetti astratti del Primo Capitolo all’interno dell’analisi globale fatta da Marx della lotta di classe nella società capitalista. Ci si propone di tornare a quello che si consida il proposito originario di Marx: Il Capitale è stato scritto come arma data nelle mani dei lavoratori. In quest’opera egli ha presentato una dettagliata analisi delle dinamiche fondamentali della lotta tra la classe capitalista e quella operaia1. Dalla lettura de Il Capitale come documento politico, i lavoratori potranno approfondire tanto le diverse forme con cui sono dominati dalla classe capitalista quanto le modalità con cui essi lottano contro tale dominio.

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la citta futura

Plusvalore e autocrazia di fabbrica

di Marco Beccari e Domenico Laise

È trascorso circa un secolo e mezzo dal Capitale di Marx, ma la natura della fabbrica capitalistica è rimasta, nella sostanza, la stessa: un'organizzazione gerarchica dispotica. L’articolo trae spunto dal seminario “L’organizzazione del lavoro nella fabbrica capitalistica” tenuto da Domenico Laise per l’Università Popolare A. Gramsci nell’anno accademico 2018-2019 [1]

fcc674c9aea15c292f8b296612164388 XLNel celebre capitolo tredicesimo del Primo Libro del Capitale− dal titolo Macchine e Grande IndustriaMarx descrive quelle che sono le principali caratteristiche organizzative del lavoro di fabbrica. Tra le tante, Marx sottolinea e si sofferma sulla natura "autocratica" (dispotica) della gerarchia organizzativa di fabbrica. Egli osserva che nella "fabbrica il capitale formula come privato legislatore e arbitrariamente la sua autocrazia" [2]. Il potere autocratico del capitalista è fatto osservare dai sorveglianti, che, per conto dei capitalisti, somministrano le multe e le ritenute sul salario, quando gli operai non osservano il "codice della fabbrica".

Oggi, come ai tempi di Marx, i sorveglianti si chiamano "foreman (caporeparto)" o "controller (controllore)". La sostanza delle cose non è cambiata: la fabbrica non è il luogo dove si afferma e si respira la "democrazia industriale". Il nucleo operativo della fabbrica (operai) è escluso, infatti, dall'ambito delle decisioni strategiche, che competono solo ai top-manager, nominati ed eletti dagli azionisti, che sono i proprietari della fabbrica e dei mezzi di produzione. In sintesi, in fabbrica vige, tuttora, la "dittatura degli shareholder" (azionisti-proprietari) [3]. Dall'epoca in cui scriveva Marx ad oggi non ci sono state modifiche di rilievo. La fabbrica è, ancora, un "Panottico", in cui aleggia quello che, un competente come Taiichi Ohno, ha definito "lo Spirito della Toyota". Come osserva Marx, "La direzione capitalistica ... allo stesso modo di un esercito ha bisogno di ufficiali superiori (manager) e sottufficiali (foremen) i quali comandano in nome del capitale" [4].

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voxpopuli

Come applicare una teoria al capitalismo contemporaneo, in molteplici crisi

di Makoto Itō

Prezioso e gentile contributo dell’economista giapponese Makoto Itō

economic bubbleCaratteristiche della teoria di Uno

La teoria di Uno fu elaborata dall'economista politico marxiano giapponese Kozo Uno (1897–1977). Aveva tre caratteristiche principali, come ho riassunto nel mio libro Value and Crisis. La prima è una chiara distinzione tra l'ideologia socialista e il ruolo dell'economia marxiana come scienza sociale oggettiva. La seconda è la differenziazione sistematica di tre livelli di ricerca - vale a dire i principi dell'economia politica come nel Capitale di Marx, mette in scena la teoria dello sviluppo capitalista (come in Uno 1971; per seguire Lenin 1917), e l’analisi concreta del capitalismo mondiale contemporaneo dopo la Prima guerra mondiale. La terza comprende i tentativi teorici di completare il Capitale, come principi dell'economia politica. Attraverso queste tre caratteristiche, la teoria di Uno intende leggere l'essenza del Capitale di Marx come una solida base della ricerca scientifica nell'economia politica, che può essere applicata in modo flessibile al capitalismo contemporaneo, nelle crisi attraverso la teoria degli stadi intermedi dello sviluppo capitalista.

Secondo la mia comprensione, l'essenza teorica del Capitale di Marx è composta principalmente dalla teoria del valore e della crisi.

Sulla teoria del valore, Uno ha sistematicamente sottolineato la scoperta originale di Marx della forme-valore nelle relazioni tra merci, denaro e capitale, che è stata trascurata dalla teoria del valore-lavoro della scuola classica rappresentata da Smith (1776) e Ricardo (1817). Uno ha sottolineato il riconoscimento teorico di Marx secondo cui "lo scambio di merci inizia laddove le comunità hanno i loro confini, a contatto con altre comunità o con i membri di queste ultime".

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blackblog

Karl Marx sul populismo contemporaneo

di Anselm Jappe

Jappe150 anni fa, Marx ha pubblicato il suo Capitale. Agli occhi dei pensatori borghesi e di quello che era il mainstream accademico e mediatico, oggi Marx è del tutto superato. Dove sono i proletari straccioni? Oggi viviamo in un mondo di democrazia e di libero mercato. La sinistra tradizionale a sua volta potrebbe obiettare che il capitalismo è tornato, che esiste di nuovo un enorme divario tra ricchi e poveri, e che esistono anche un altro tipo di persone che sono subalterne e oppresse. Io ritengo che invece ci sia un altro modo per valutare oggi la teoria di Marx: In 150 anni la superficie del capitalismo è cambiata un bel po', ma il suo nucleo rimane ancora lo stesso. Il nucleo è quello che Marx ha analizzato soprattutto nel primo capitolo del Capitale: merce e valore, denaro e lavoro astratto. Al fine di evitare equivoci e confusione tra lavoro astratto e lavoro immateriale, è maglio partire dal lato astratto del lavoro, della sua duplice natura. Marx stesso considerava la sua analisi relativa alla «duplice natura del lavoro» - astratto e concreto - come una delle sue più importanti scoperte. [*1] Ogni singolo esempio di lavoro, in condizioni capitalistiche (ma solo nel capitalismo, dal momento che non c'è niente di naturale in tutto questo), è allo stesso tempo sia astratto che concreto. In quanto lavoro concreto, ogni singola attività produce beni o servizi, ma la medesima attività è anche allo stesso tempo semplice dispendio di energia umana che, misurata in unità di tempo, è una pura quantità di tempo, indipendentemente da ciò che durante quel tempo è stato fatto. Il lato concreto del lavoro corrisponde al valore d'uso ed il lato astratto corrisponde al valore (rappresentato dal denaro) di quella stessa merce. Nel capitalismo, il lato astratto del lavoro, e di quello che è il suo prodotto, prevale sul lato concreto, ed è questa la radice più profonda di quella che è l'assurdità del modo capitalistico di produzione.

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ilponte

Karl Marx e la religione come «oppio dei popoli»

di Franco Livorsi

0004E3C5 karl marxReligiosità, redenzione e rivoluzione costituiscono un nodo importante del marxismo sin dalle origini. Emerge già da una decisiva pagina di Marx in cui compare la famosa apostrofe sulla religione come oppio dei popoli, compresa nel suo saggio del 1844 Critica della Filosofia del diritto di Hegel. Introduzione (1844)1. Intendere quel che si dice lì può ancora darci una chiave interpretativa non priva d’importanza.

Al proposito ritengo importante dire due parole preliminari sul contesto storico e filosofico, in funzione della comprensione del testo in oggetto.

Prima c’era stato l’Illuminismo, e più in generale il XVIII secolo: con la sua costante tensione a illuminare il reale con la ragione e soprattutto a razionalizzarlo; col suo rifiuto dei dogmi, e con la messa in discussione radicale di ogni rivelazione e dello stesso cristianesimo, in nessun periodo anteriore mai avvenuta in tale forma radicale e su così vasta scala; con la valorizzazione della scienza unita alla tecnica sin dalla famosa Enciclopedia delle scienze, delle arti e della tecnica curata da D’Alembert e soprattutto da Diderot (1751-1765, in 17 volumi); con la prima rivoluzione industriale inglese e poi europea e, last but not least, con la Rivoluzione francese del 1789 e degli anni successivi. Poi era arrivato Napoleone, che aveva portato, sulla punta delle baionette della sua Armata nazionale, l’idea dell’uguaglianza giuridica tra i cittadini, propria della Gran Rivoluzione, e il proprio Codice civile moderno, privatistico e borghese, dappertutto, sino a Mosca, sia pure con tratto autoritario e con intento imperialistico.

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materialismostorico

Lenin e la Rivoluzione

di Gianni Fresu (Universidade Federal de Uberlândia)

Materialismo Storico. Rivista semestrale di filosofia, storia e scienze umane è una pubblicazione dell'Università di Urbino con il patrocinio della Internationale Gesellschaft Hegel-Marx, n. 1 2019

20525841 1932125470376283 3541526657014649581 nIl centenario della Rivoluzione d’ottobre è trascorso in un clima culturale e politico non certo favorevole al libero confronto intellettuale e ben poco disponibile a valutare ragioni ed eredità di un evento che, qualunque possa essere il nostro giudizio, ha rappresentato un radicale cambio di passo nella storia dell’umanità dal quale non si può prescindere. In un quadro nel quale comunismo e nazismo sono presentati come fratelli gemelli figli della stessa degenerazione (il trauma della Prima guerra mondiale), il principale protagonista della Rivoluzione russa è generalmente considerato come l’origine di ogni moderno fanatismo ideologico. Se il Novecento è stato archiviato come il secolo degli orrori, delle dittature e dei totalitarismi, all’interno di questo quadro apocalittico Lenin è l’arcidiavolo cui vanno imputate tutte le calamità di un secolo insanguinato, fascismo incluso1.

Non solo nel mondo liberale, ma anche a sinistra, la principale accusa mossa alla Rivoluzione d’ottobre sarebbe anzitutto da ricercare nella mancata estinzione dello Stato. Al contrario, l’ipertrofia delle sue funzioni e attività necessarie a dirigere questo inedito processo storico, che avrebbe svuotato il concetto di libertà individuale fino a impedirne l’esistenza, spiegherebbe la natura liberticida del socialismo storico. È l’idea di un rapporto inversamente proporzionale tra sfera delle libertà e estensione delle attività dello Stato, un’idea che accomuna la concezione del “governo limitato” di Locke alle teorie sul totalitarismo di Hannah Arendt.

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la citta futura

Orientamenti politici e materialismo storico

di Roberto Fineschi

Il nesso fra il livello strutturale e quello sovrastrutturale non è immediato. È un errore accettarne l’identità immediata e pensare che lottando contro uno dei due lati, immediatamente si lotti anche contro l’altro. Chiarito ciò è possibile comprendere il carattere non rivoluzionario o addirittura reazionario di alcuni movimenti politici attuali

34c96fc26927fda6b9e4654ad88c4272 XLIl seguente articoletto mira a esporre in termini inevitabilmente schematici ma spero chiari e orientativi alcuni posizionamenti politici a livello sia strutturale che sovrastrutturale [1]. Ciò permette di descrivere almeno a grandi linee fenomeni in atto. Gli schieramenti politici indicati riflettono orientamenti individuali che non immediatamente corrispondono a partecipazione attiva a un partito, ma a un modo di vedere. Tutte le mediazioni vanno ovviamente svolte per fornire un’analisi più adeguata. Qui, schematicamente, si pongono delle basi per procedere in questo senso.

Nella tabella che segue, nelle colonne si considerano cinque questioni di fondo, 3 a livello strutturale, 2 a livello sovrastrutturale. Per il livello strutturale: A1) essere favorevoli o meno al (per adesso non meglio specificato) capitalismo, A2) essere favorevoli o meno a una sua regolamentazione che includa l’intervento diretto dello Stato (o altra istituzione per lui) nella gestione della riproduzione sociale, ma senza uscire dal contesto capitalistico. Come accessoria, si aggiunge una terza posizione A3), vale a dire essere o meno favorevoli alla presenza dello stato sociale (o in subordine di soli ammortizzatori sociali). A livello sovrastrutturale tutto è ridotto a due nozioni base: B1) essere favorevoli o meno all’universalità del concetto di persona, B2) essere favorevoli o meno alle istituzioni rappresentative parlamentari e alla divisione dei poteri classica borghese. Nelle righe invece si hanno 10 posizionamenti politico-ideologici possibili (numerati progressivamente da 1 a 10). Negli incroci tra righe e colonne, la “V” sta per “sì”, la “X” sta per “no”.

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jacobin

Rosa Luxemburg critica dell’economia politica

In questo centenario dalla morte della rivoluzionaria polacca pochi hanno approfondito il suo apporto alla teoria economica, che è stato invece fondamentale per lo sviluppo del marxismo

rosa luxemburg jacobin italia 990x361Nel centenario della morte, Rosa Luxemburg (1871-1919) è stata ricordata come socialista, per il suo ruolo nel pensiero femminile e per la straordinaria personalità che viene fuori dal suo epistolario. Qui vogliamo ricordare anche il suo fondamentale contributo alla critica dell’economia politica, in primo luogo con i libri L’accumulazione del capitale (1913) e Introduzione all’economia politica (1912 ).

L’accumulazione è senz’altro da considerare l’opera principale di Rosa Luxemburg. Lo scopo dell’opera era rispondere al quesito «dove sono i consumatori del plusvalore?». La risposta della rivoluzionaria polacca è che dentro un sistema puramente capitalistico sarebbe impossibile reperire la domanda per il consumo di merci prodotte in regime di accumulazione. Tale domanda dovrebbe ricercarsi altrove. E proprio per trovare questa domanda aggiuntiva nasce secondo Rosa Luxemburg l’imperialismo. Infatti, la conquista di nuove colonie da parte degli Stati a economia capitalistica andò di pari passo con la concorrenza, militare ed economica, per accaparrarsi nuovi spazi di accumulazione dopo la saturazione delle economie interne. Ma la lotta per la spartizione di queste zone pre-capitalistiche porta prima o poi alla saturazione dell’intera economia globale, in un mondo divenuto integralmente capitalistico. A quel punto si verifica il crollo del sistema per la carenza della domanda del sovrappiù.

Per questa sua teoria Rosa Luxemburg è stata accusata – anche da illustri marxisti come Lenin o Sweezy – di «crollismo sottoconsumista». Ma andiamo con ordine. Alla fine proveremo a spiegare come si difende da queste accuse e perché il suo contributo fu sottovalutato dai marxisti suoi contemporanei e successivi.

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materialismostorico

Domenico Losurdo, alla testa del marxismo militante

di Joào Quartim de Moraes1

Materialismo Storico. Rivista semestrale di filosofia, storia e scienze umane è una pubblicazione dell'Università di Urbino con il patrocinio della Internationale Gesellschaft Hegel-Marx, n. 1 2019

36Coincidenza non casuale, nello stesso momento in cui si riuniva per la prima volta a Sào Paulo il gruppo fondatore di “Critica marxista”, Domenico Losurdo pubblicava Dalla rivoluzione d’Ottobre al nuovo ordine internazionale (novembre 1993). Erano gli anni infausti nei quali lo smantellamento del blocco sovietico poneva fine a quattro decadi di equilibrio strategico USA/URSS, favorendo il predominio incontrastato del blocco occidentale riunito nell’alleanza militare del Patto Atlantico. Lunghe colonne di disertori aderivano alla Democracy e alla Globalization Made in USA e giustificavano il loro cambio di fronte con il pretesto della nuova fase storica, convinti che l’insuccesso di Gorbaciov e il golpe di Eltsin fossero solo l’ultima conferma del definitivo fallimento del marxismo. Tristi pappagalli del pensiero unico neoliberale preconizzavano, con la scomparsa dell’URSS, l’inizio di un’era di pace senza più muri né frontiere.

Non mancava, tuttavia, chi si sforzava di tener salda la propria posizione davanti alla valanga reazionaria che rovinava sul blocco sovietico e sotterrava sotto le sue macerie anche l’eurocomunismo. Tra questi, Domenico Losurdo: nel gennaio del 1991, al culmine dello smottamento, pubblicava il primo di una lunga serie di articoli in difesa del lascito della rivoluzione d’Ottobre del 1917. Losurdo aveva già ottenuto un vastissimo riconoscimento accademico internazionale per i suoi studi di filosofia e di storia politico-culturale della Germania (Kant e, principalmente, Hegel) realizzati tra il 1983 e il 1989. In seguito, aveva pubblicato La comunità, la morte, l’Occidente: Heidegger e l’“ideologia della guerra” (Torino, 1991) e Hegel e la libertà dei moderni (Roma, 1992). Ma a consacrarlo come uno dei maggiori storici e teorici del marxismo del nostro tempo era stato certamente Democrazia o bonapartismo, pubblicato nel 1993.

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coku

Marxismo napoletano. Augusto Graziani

di Leo Essen

Immagine GrazianiI

Nel 1983, per il centenario della morte di Marx, l’Istituto Gramsci invita a parlare i più importanti e rappresentativi marxisti. La conferenza si tiene a Roma dal 16 al 19 Novembre, e ha carattere ecumenico. Sono presenti autorità internazionali del marxismo terzomondista, ecologista, operaista, neoricardiano, sraffiano, liberale, strutturalista, keynesiano e nostrano. C’è anche un economista napoletano, Augusto Graziani.

Graziani si laurea nel 1955 in Giurisprudenza alla Federico II, con una tesi in Economia politica con Giuseppe Di Nardi, economista di scuola neoclassica. A metà degli anni Cinquanta si trasferisce alla London School of Economics (LSE) dove studia sotto la supervisione di Lionel Robbins. Un anno dopo si sposta ad Harvard e incontra Wassily Leontiev. Al Massachusetts Institute of Technology (MIT) frequenta Paul Rosenstein-Rodan. Nel 1962 ritorna in Italia, dove gli viene assegnata la cattedra di Economia politica a Catania e poi a Napoli.

Da Robbins, dice Graziani (Intervista), ho appreso quella che sinteticamente si potrebbe definire la grandezza della scuola neoclassica, e cioè la sua rigorosa coerenza interna. Ritengo, dice, che questo insegnamento mi sia rimasto, dal momento che anche negli anni successivi, quando mi sono discostato dalla scuola neoclassica, l'ho fatto senza mai formulare critiche interne, proprio perché ritengo che quello sia uno dei castelli teorici in sé più perfetti. Ho sempre cercato di formulare critiche esterne, e cioè dissociazioni sul terreno dei postulati di partenza e delle ipotesi di base. Da Leontief, dice, credo di aver appreso un principio di prudenza nella ricerca applicata, il non credere mai ciecamente ai dati empirici.

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lanatra di vaucan

Il “Manifesto contro il lavoro” venti anni dopo

Postfazione alla quarta edizione

di Norbert Trenkle

manifest gegenPubblichiamo qui la post-fazione alla IV edizione tedesca del Manifesto contro il lavoro, apparsa in Germania quest’anno a distanza di venti anni dalla prima, uscita nel 1999 (in Italia nel 2003 per i tipi di DeriveApprodi).

Norbert Trenkle prova, con questo scritto, ad “aggiornare” le tesi del Manifesto, molte delle quali comunque non invecchiate ed anzi forse più attuali oggi di allora. Le condizioni che resero quasi “necessario” quel famoso libro non sono certo venute meno, al contrario si sono inasprite e approfondite. Il lavoro (che è qui inteso come una forma storicamente specifica di attività della società capitalistica, come attività che produce merci) è sempre più raro ed opprimente. Al tempo stesso , la crisi si è fatta più acuta e la forma-capitale più folle e devastante. Proprio per questi motivi, più forte si è fatta anche l’esigenza di emanciparsi una volta per tutte da questo sistema omicida, esigenza che però fatica a prendere forma e viene piuttosto incanalata verso vicoli ciechi sovranisti, antisemiti, razzisti, classisti e sessisti.

Il Manifesto contro il lavoro è stato e continua ad essere un tentativo che va nella direzione opposta, nella direzione cioè di dare forma ad un progetto di liberazione di cui si sente veramente la necessità e la mancanza. Per questa ragione resta un testo ancora attuale, e in modo stringente.

* * * * 

Da quando abbiamo pubblicato il Manifesto contro il lavoro, quasi 20 anni fa, non solo la crisi fondamentale del capitalismo si è rapidamente intensificata dal punto di vista economico, ma sta mettendo sempre più in discussione l’esistenza stessa della società della merce nel suo insieme.

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Buscar el Levante por el Ponente

Lenin da “Materialismo ed empiriocriticismo” ai “Quaderni filosofici”

di Eros Barone

hez 2605877«Il mondo, l’unità di tutte le cose, non è stato creato da nessuno degli dèi o degli uomini, ma è stato, è e sarà un fuoco eternamente vivo, che secondo misura si accende e secondo misura si spegne»... Un’ottima esposizione dei princìpi del materialismo dialettico.

Lenin, Quaderni filosofici. 1

1. Tra la guerra imperialista e la repressione del partito bolscevico: genesi dei Quaderni filosofici

All’inizio della prima grande guerra imperialista Lenin viveva a Cracovia, allora regione polacca dell’Impero austro-ungarico, dove aveva scelto di espatriare per mantenere un collegamento diretto con la Russia in séguito all’ondata di persecuzioni politiche abbattutasi sul partito bolscevico. Sarà poi costretto a spostarsi in Svizzera a Berna, dove potrà lavorare con profitto avendo a disposizione il ricco materiale presente nelle biblioteche di questo importante centro culturale. In questa situazione di isolamento politico, che lo priva di ogni possibilità di influire direttamente sul movimento rivoluzionario, Lenin utilizzerà al massimo grado l’opportunità di svolgere uno studio teorico tendenzialmente sistematico della dialettica, di Hegel e dell’imperialismo. Si tratta di un momento estremamente importante nella maturazione complessiva del pensiero di Lenin, il cui frutto saranno le centinaia e centinaia di pagine dei Quaderni filosofici e dei Quaderni sull’imperialismo. Per usare un’immagine icastica, se è vero che Marx aveva caricato la bomba della rivoluzione, è altrettanto vero che Lenin la fece esplodere e che l’innesco di questa bomba fu fornito, alla fine del primo decennio del Novecento, dal saggio su Materialismo ed empiriocriticismo e, sei anni dopo, dalla lettura della Scienza della logica di Hegel.

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Lavoro di massa senza valore

di Norbert Trenkle e Ernst Lohoff

emergentiA prima vista, potrebbe sembrare che l'industrializzazione su larga scale dei paesi emergenti nel mercato mondiale - innanzitutto la Cina, l'India ed il Brasile, ma anche quella di altre regioni dell'Asia e dell'America Latina - fornisca le prove concrete che a livello mondiale non si può più parlare di una contrazione della sostanza del lavoro e del valore [*1]. Ma guardando la cosa più da vicino, tutto questo si rivela una mera finzione. Da un lato, se vista alla luce delle numerose perdite di posti di lavoro industriali nei paesi capitalisti del centro, ed ancor più nei paesi del defunto «socialismo reale», la crescita del lavoro di massa può essere relativizzata. Perfino in Cina, il paese del boom, a partire dagli anni '90 si registra un saldo negativo di quelli che sono i posti di lavoro industriali, fra l'altro perché il settore pubblico sottoproduttivo ha perduto più posti di lavoro di quanti ne siano stati creati nel settore privato [*2]. Questo fenomeno viene deliberatamente nascosto, dal momento che le imprese industriali pubbliche appaiono, viste attraverso gli occhiali ideologici del neoliberismo e quelli della sinistra tradizionale, come se facessero parte di un sistema differente, sebbene non rappresentino altro che è un'altra forma di valorizzazione nazionale capitalista. In realtà, in primo luogo, si tratta solamente dell'estromissione di queste imprese da parte di un capitale maggiormente produttivo.

Dall'altro lato - ed è questo il punto essenziale - il lavoro di massa nelle fabbriche del mercato mondiale, nelle imprese di subappalto, nelle fabbriche al nero dei paesi emergenti e nei luoghi di produzione a basso salario non rappresenta affatto in alcun modo una quantità di valore e di plusvalore così tanto elevata come si potrebbe credere a prima vista.

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omniasuntcommunia

Il capitalismo delle piattaforme1

di Antonio Savino

dismaland1Dal capitalismo immanente, quello delle ciminiere, delle sirene che chiamano al lavoro migliaia di persone, si è passati al capitalismo trascendentale, un capitalismo simil-finanziario, che trae profitto creando centri (monopolisti) di servizi e “miners”, relazioni, collegamenti e estrazione di dati: sono le nuove piattaforme che internet e le nuove tecnologie digitali consentono; il loro core business è tanto la prestazione di un servizio (spesso retribuita, ma non sempre), quanto l’estrazione di valore dalle interazioni sociali che ne derivano.

Le piattaforme fino a ieri erano delle strutture piane e resistenti che servivano come base di appoggio per un trasbordo di merci e rendono possibili dei passaggi. Le recenti piattaforme digitali sono un agglomerato di hardware e software (con uso di intelligenza artificiale e big data) che si collocano in modo tendenzialmente monopolista, tra due entità fisiche come produttori e consumatori (es. Amazon), tra parlanti e riceventi (es. Facebook) o tra macchine e operatori (es. Siemens, GE) che permettono di svolgere determinate operazioni. Sono dispositivi con strutture e norme che regolano flussi, passaggi, spostamenti ed operazioni varie di informazioni e merci.

Fin qui tutto sembra normale, le piattaforme più o meno tecnologiche ci sono sempre state, svolgevano un servizio spesso legale e “utili” (il virgolettato del dubbio) come la grande distribuzione, notai, ecc, altre volte meno legali come i sistemi mafiosi, i quali ponendosi da monopolisti tra produttori e consumatori (nei settori droga, ortofrutta, caporalato, costruzioni, ecc.) traggono profitto dalla transazione.

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conflitti e strategie 2

Un passaggio essenziale nella teoria di Marx

di Gianfranco La Grassa

20079Si tratta di un brano, un semplice e solo brano delle migliaia di pagine scritte da Marx e spesso pubblicate dai suo successori, magari con aggiunte non sempre messe in evidenza nella loro non stesura (o almeno non completa e letterale) fatta proprio da lui. Ma non m’interessa nulla di tutto questo. L’importante è fissare le parti salienti di una teoria scientifica e mostrarne la rilevanza ancora attuale e, ancor più, laddove essa va rielaborata alla luce dell’esperienza storica di un secolo e mezzo! Riporto quindi un brano tratto dal III Libro de “Il Capitale”, cap. XVII.

«Trasformazione del capitalista realmente operante in semplice dirigente, amministratore di capitale altrui, e dei proprietari di capitale in puri e semplici proprietari, puri e semplici capitalisti monetari. Anche quando i dividendi che essi ricevono comprendono l’interesse e il guadagno d’imprenditore, ossia il profitto totale (poiché lo stipendio del dirigente è o dovrebbe essere semplice salario di un certo tipo di lavoro qualificato, il cui prezzo sul mercato è regolato come quello di qualsiasi altro lavoro), questo profitto totale è intascato unicamente a titolo d’interesse, ossia un semplice indennizzo della proprietà del capitale, proprietà che ora è, nel reale processo di riproduzione, così separata dalla funzione del capitale come, nella persona del dirigente, questa funzione è separata dalla proprietà del capitale. In queste condizioni il profitto (e non più soltanto quella parte del profitto, l’interesse, che trae la sua giustificazione dal profitto di chi prende a prestito) si presenta come semplice appropriazione di plusvalore altrui, risultante dalla trasformazione dei mezzi di produzione in capitale, ossia dalla loro estraniazione rispetto ai produttori effettivi, dal loro contrapporsi come proprietà altrui a tutti gli individui REALMENTE ATTIVI NELLA PRODUZIONE, DAL DIRIGENTE ALL’ULTIMO GIORNALIERO [maiuscolo mio].

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La filosofia come «Kampfplatz» e l’intervento di Lenin nella “crisi delle scienze”1

di Eros Barone

lenin e bogdanovNeppure una parola di nemmeno uno di questi professori – capaci di produrre le opere più preziose in campi particolari della chimica, della storia, della fisica – può essere creduta quando si passa alla filosofia. Perché? Per la stessa ragione per la quale neppure una parola di nemmeno uno dei professori di economia politica- capaci di produrre le opere più preziose nel campo delle indagini particolari condotte sui fatti – può essere creduta quando si passa alla teoria generale dell’economia politica. Poiché quest’ultima, nella società contemporanea, è una scienza di parte, come la gnoseologia.

V.I. Lenin, Materialismo ed empiriocriticismo, Editori Riuniti, Roma 1970, pp. 336-337.

Il libro di Lenin contro l’empiriocriticismo è, secondo me, davvero eccellente.

K.R. Popper, Alla ricerca di un mondo migliore, Armando Editore, Roma 2002, p. 104.

  1. La lotta teorica marxista in una congiuntura storica controrivoluzionaria

Materialismo ed empiriocriticismo fu scritto da Lenin nel 1908, in esilio, dopo la sconfitta della rivoluzione del 1905-1907. Sotto l’imperversare del terrore controrivoluzionario, in condizioni estremamente dure, i bolscevichi lottavano per dare ordine alla ritirata, per indietreggiare senza panico e sbandamento, per conservare i quadri, raggruppare le forze, ricostituire le file. Allora, nel momento in cui, battuta la rivoluzione, maggiore era la disgregazione tra i ‘compagni di strada’ della classe operaia e più profondi l’abbattimento e la confusione tra gli intellettuali, l’offensiva controrivoluzionaria venne sferrata anche sul fronte teorico e ideologico. Nel giro di poco tempo si moltiplicarono i tentativi di revisione del marxismo e la ‘critica’ del materialismo dialettico divenne un fatto alla moda.

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Marx e l'ornitorinco1

di Antonio Savino

Break      Il mondo popolato da spiriti

Il metodo: guardare le cose è diverso dal guardare le relazioni tra le cose. Le prime sono visibili con gli occhi le seconde con la mente.

Nel passato si chiamavano “spiriti” (fantasmi) perché esiste una realtà dietro le apparenze e queste sono le vere causali che muovono il mondo visibile. Anche nelle realtà umane esistono relazioni sociali che sono invisibili ma non per questo meno vere.

Sulla natura di questi spiriti i filosofi e studiosi si sono dati da fare: dal delirio di onnipotenza di Nietzsche all'inconscio di Freud fino all'economia di Marx (tralasciando gli spiriti religiosi o animisti).

L’economia per Marx

Nella teoria di Marx nella società capitalista, lo sfruttamento non avviene a forza d'imposizione, di virtù di razze, di norme morali ed etiche, di regole religiose ecc., ma attraverso lo scambio di prodotti del lavoro. I rapporti di dipendenza tra gli individui assumono l'apparenza di rapporti tra cose, tra prodotti del lavoro.

Il dominio capitalistico è un meccanismo impersonale perché mediato dai rapporti di scambio.

Per Marx l'economia è lo spirito che ben rappresenta la forma di relazione sociale dominante nella modernità, l'economia segna il passaggio epocale tra il mondo pre-moderno e moderno.

Il nocciolo della sua analisi era la teoria del valore. Intorno a questa tesi di Marx, da centinaia d'anni si sono imbastite teorie, carriere, sudore, partiti, guerre, sangue, e tante rotture di capo di molte persone.