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La critica del valore come confezione ingannevole

di Thomas Meyer

1 fritz Lang poster 1 11 1040x6791. Introduzione

Sono già passati alcuni anni dalla scissione di Krisis e dalla conseguente dissoluzione di quello che era il suo contesto precedente (cfr. Kurz, 2004). Anni durante i quali i testi di Krisis (e di Streifzüge) sono stati criticati più volte da Exit. [*1] Sia che si trattasse di una critica riduttiva del lavoro, o che nascondessero ed ignorassero le critiche al sessismo, all'antisemitismo e al razzismo, sia che esprimessero un punto di vista della classe media degli uomini precarizzati (cfr. Scholz, 2005). Con il riferimento positivo al «software libero», insieme allo scandalo delle merci che si presume non siano più tali, vale a dire, con la propaganda dei cosiddetti «beni universali», così come con la presunta «sorella delle merci», divenne evidente la fissazione sulla sfera della circolazione e l'adesione all'individualismo metodologico (cr. Kurz, 2008).

A partire dalla pubblicazione del libro "La Grande Svalorizzazione" (Lohoff; Trenkle 2012), il termine di «merci di second'ordine» (obbligazioni, prodotti finanziari, ecc.) ha cominciato a circolare in diversi testi di Ernst Lohoff, nei quali le merci di prim'ordine rappresentano i beni di consumo abituali (mele, automobili, armadi, ecc.). Le «merci di second'ordine» sarebbero la «nuova merce di base», in quanto nuova «base della valorizzazione del valore» al posto ed in sostituzione della forza lavoro (Lohoff 2016, 17) e, infine, le merci di second'ordine sarebbero la nuova «merce-denaro» che avrebbe sostituito l'oro (Lohoff 2018, 11). Mentre la nuova merce denaro « [esiste] solo dal lato delle attività di bilancio della banca centrale» (ivi, 38). La crisi del capitalismo viene negata a partire dal fatto che si afferma, in tutta serietà, che l'accumulazione di capitale fittizio non è affatto fittizia, e che il lavoro non è assolutamente l'unica fonte di produzione di plusvalore.

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Le risposte che è difficile trovare

Marco Diani intervista Nicos Poulantzas

E se accettassimo l'idea di una tensione strutturale tra la teoria e la pratica? Di fronte a problemi nuovi non troviamo soluzioni bell'e pronte nè in Marx, nè in Lenin, nè in Gramsci. Le difficoltà dei partiti operai non riguardano tanto la "forma" organizzativa, quanto il rapporto tra politica e società. Classe operaia e democrazia formale: una questione teorica cui guardare senza miti

4481061cf8dd31d43cd1ca905d39e270Questa intervista a Nicos Poulantzas è apparsa sul settimanale comunista Rinascita il 12 ottobre 1979, pochi giorni dopo la morte dell'autore, e può essere considerata la sua ultima espressione pubblica. Nel corso dell'intervista emergono i temi centrali della sua analisi: l'irrisolta questione del potere e della teoria dello stato moderno nel pensiero marxista e l'inadeguatezza delle forme di rappresentanza e di organizzazione politica affermatesi nei partiti del movimento operaio occidentale.

Il testo, riprodotto di seguito, ci è stato segnalato da Marco Diani, che ringraziamo, ed è stato ricavato da una lunga conversazione da lui tenuta con Poulantzas, che avrebbe dovuto costituire il prelundio a un libro.

* * * *

Nel dibattito sulla « crisi del marxismo », o meglio dei marxismi, è stato ripreso e sviluppato il tema della « responsabilità della teoria ». Da parte tua, hai spesso ricordalo che non sì possono attribuire alla teoria responsabilità che non ha bisogna dedurne che sei propenso a separare i presupposti teorici dalla pratica e dalle realizzazioni polìtiche?

Precisiamo. In un primo momento, ho voluto intervenire nel pieno di una polemica, quella dominata dall’antimarxismo isterico dei nouveaux philosophes, in cui il marxismo era identificato puramente e semplicemente con il gulag. Mi sembra sempre più urgente abbandonare la concezione, impressa da Lenin al marxismo e ancor molto resistente, fondata sulla adeguazione tra teoria e pratica, e in base alla quale si riconoscono e si classificano i « ritardi » e gli « scarti » attribuiti alle peripezie della storia.

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omniasuntcommunia

Uscire dall'economia

di Antonio Savino

Filosofia economica. La crisi economica ed ecologica del pianeta è la conseguenza dell'elevata capacità produttiva di merci raggiunta, come mai nella storia, merci che devono passare dalla cruna dell'ago della loro valorizzazione per trasformarsi in denaro. Se non sopraggiungono strategie per abolire questo stato di cose, non si avrà nessun cambiamento e l'arma delle crisi e dei conflitti mondiali sarà sempre carica (Parafasi art. in Krisis)

Premessa

breakingDSe nel precapitalismo il sistema egemone era la religione che a sua volta aveva preso il sopravvento sul precedente sistema della città-impero (la Roma sacralizzata) nella modernità invece il sistema egemone è l'economia. Il valore che si valorizza ha preso il sopravvento sia sulle precedenti relazioni ed ha egemonizzato ogni altra forma di relazione sociale, è la grammatica della modernità. Essa ha messo l'intelligenza umana, l'intelligenza collettiva, al servizio del valore privato.

Il capitalismo non ha niente di “naturale”, ma è il frutto storico di relazioni e reazioni spontanee che si sono succedute nel tempo (da quasi 800 anni). Nato in un Occidente medioevale da una serie di coincidenze; è frutto di una “tempesta perfetta', come si dice in scienze. Conseguenza di una concatenazione di eventi particolari verificatesi in una particolare zona del mondo, si ha attecchito ed ha avuto successo.

La forma capitalista si è affermata in Occidente e poi ovunque e da qui ha segnato la storia dell'umanità degli ultimi secoli.

Per questo il capitalismo non va considerato come frutto di qualche progresso naturale, e neppure come un epifenomeno tecnologico, ma è una idea di uomo e di mondo mutuata dall'economia.

Il capitalismo nelle sue invarianti antropologiche, è un insieme di dispositivi sociali, un complesso sistema di relazioni che formano un insieme di canali, dighe e cascate dove scorre il fluido dell'economia, “liquido” su cui nuota tutta la civiltà attuale.

Dispositivi niente affatto “naturali”, ma prodotti dall'uomo, e per questo fanno parte integrante del suo “patrimonio” culturale. Un ordine sociale che ha plasmato il senso comune, e l'inconscio collettivo.

Ovunque nel mondo, sui fili portanti della società capitalista, si hanno le medesime reazioni di fronte ai medesimi stimoli si è un insieme omogeneo almeno sul fronte economico.

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Democrazia e potere

di Salvatore Bravo

59C5AECC 3BAA 4C54 8302 58A970ABA47ADiritto e violenza

Il Marx di Maurizio Ricciardi in “Il potere temporaneo Karl Marx e la politica come critica della società” è il Marx della prassi (dal gr. πρᾶξις «azione, modo di agire», der. di πράσσω «fare»), in cui la cristallizzazione del potere capitalistico opera capillarmente e nel contempo si irrigidisce in istituzioni che eternizzano il potere politico. Le istituzioni che in Hegel erano il luogo etico nel quale il diritto esplicava l’universale, in Marx non solo sono storicizzate, ma non vi è nessun diritto che precede la prassi, il diritto si forma nella storia, nella relazione tra struttura e sovrastruttura. Le istituzioni ed il diritto, se rappresentate come astoriche, sono il mezzo con cui i sistemi perpetuano se stessi e legittimano la violenza. Con la genealogia storica si denuncia la modalità ideologica con cui il potere si afferma nel quotidiano. La ricostruzione storica curvata nell’ideologia, nella difesa degli interessi particolari a cui si doveva “necessariamente” giungere è già violenza, perché si vorrebbe inibire il pensiero, la critica radicale e la prassi. La storia collassa su se stessa, si chiude al futuro, ed il passato diventa il despota del presente1:

Ciò che preme a Marx è mettere in discussione l’ipoteca del passato sul presente, il cui effetto è la radicale destoricizzazione dei rapporti tra gli uomini, che non vengono interpretati per ciò che sono, ma per ciò che si presume siano sempre stati e di conseguenza dovranno essere sempre, legittimando in questo modo la necessaria e indiscutibile trascendenza del potere”.

 

Astoricizzazione e gerarchia

Storicizzare è riportare il fenomeno storico alla sua genetica storica. Con la categoria della comprensione si materializza l’attività del soggetto storico resistente che in quanto tale “si umanizza”, mentre la naturalizzazione del presente, per mezzo della sua astoricizzazione preserva e conserva “l’antiumano”, il dominio della forma merce sulla persona.

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marxdialectical

Un nuovo Marx

di Roberto Fineschi

[Trascrizione, con revisione minima, della conferenza inaugurale del ciclo “Officina Marx 2018”, tenutosi presso Le stanze delle memoria il 22 ottobre 2018. Per una trattazione più dettagliata di molte delle questioni toccate, si veda: R. Fineschi, Un nuovo Marx. Interpretazione e prospettive dopo la nuova edizione storico-critica (MEGA2), Roma, Carocci, 2008]

MARX locandina 0011. Il titolo del mio intervento è “Un nuovo Marx”. Da una parte è un titolo un po’ paradossale perché Marx è un autore ben noto, molto letto, molto interpretato. Su di lui si sono scritti fiumi di inchiostro e non solo: la sua faccia era impressa su bandiere politiche, il suo nome è stato utilizzato da molti e in molte direzioni come bagaglio politico ideologico per legittimare movimenti storici, addirittura Stati.

In questo senso, nella misura in cui lo si utilizzava politicamente, era in una certa misura inevitabile creare una ortodossia, perché i movimenti politici che diventano istituzioni hanno bisogno di una verità ufficiale, eterna che, chiaramente, per esigenze di identità e di autolegittimazione , tende irrimediabilmente ad irrigidirsi in formule che piano piano perdono appiglio alla realtà e si trasformano in un formulario da ripetere negli anniversari e nelle celebrazioni.

Sicuramente questo è in parte il destino che l’opera di Marx ha subito in Unione Sovietica o nell’est Europa dove era una dottrina ufficiale di una istituzione e non poteva che essere vera, immodificabile, sicura in secula seculorum. Il diamat ne è l'esempio per antonomasia. Tra gli elementi cardine di queste varie formulazioni avevamo ovviamente che il socialismo reale costituiva l’inveramento delle teorie di Marx: il socialismo reale realizzandosi verificava le previsioni di Marx, l’esistenza di una intrinseca necessità storica per cui alla fine lì si doveva arrivare. Il presunto esito della evoluzione storica era quello che si era verificato.

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coku

Lucio Colletti. Marxismo e Lotta di classe

di Leo Essen

Lucio CollettiLucio Colletti è stato uno dei più raffinati marxisti italiani. La sua conoscenza di Hegel era pari a quella di Jean Hyppolite. Ma a differenza di quest’ultimo, il quale ebbe come allievi (diretti e indiretti) Deleuze, Derrida, Foucault, Balibar e Althusser, Colletti lasciò poche tracce del suo passaggio, se si escludono le influenze su Napoleoni e Orlando Tambosi. La sua posizione mediana era incuneata tra i computisti neo-ricardiani partoriti da Sraffa, e gli operaisti legati a Marcuse, Schmitt, Heidegger, Lukács, Korsch e compagnia bella.

Insegnava filosofia teoretica all’università di Roma, era iscritto al Partito Comunista Italiano (PCI), e collaborò con la rivista del Partito «Società» fino al 1962, anno in cui il PCI, impaurito dalla linea troppo leninista e marxista della rivista, ne decise la chiusura. Nel 1964 uscì anche dal PCI.

Mi trovai sempre più emarginato all’interno del partito - disse nel 1974, nella famosa intervista alla New Left Review (Intervista politico-filosofica) -, mi si permetteva quasi soltanto di pagare la tessera. La militanza nel PCI non ebbe più senso per me, e lasciai il partito in silenzio.

Colletti sarebbe potuto diventare una Star della filosofia europea, e avere una caterva di discepoli e seguaci, se non si fosse incaponito nella demolizione del Diamat, combattendo una guerra solitaria e inutile che lo allontanò da Hegel e dai nuovi e giovani marxisti. Il disgusto per il Diamat lo portò ad abbandonare Hegel e ad arretrare verso Kant e l’empirismo. Da un punto di vista strettamente epistemologico, disse, c’è solo un grande pensatore moderno che può aiutarci, ed è Kant.

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intrasformazione

Per un altro Marx

di Michele Figurelli

Marx 5488x2048L’einaudiano Karl Marx biografia intellettuale e politica 1857-1883 è una prima felicissima conclusione di un lungo viaggio compiuto da Marcello Musto dentro il laboratorio di Marx. La prima novità del libro è proprio questa: lo scavo tra manoscritti anche inediti, quelli preliminari e poi di scrittura e riscrittura e di correzioni continue del Capitale, lo scavo tra i 200 quaderni di appunti delle sue ricerche multidisciplinari e delle sue tantissime letture, che accende una luce nuova anche sui moltissimi suoi articoli di analisi degli avvenimenti vicini e lontani della sua epoca. Si tratta di un mare magnum di scritti che mediante riscontri continui sono stati da Musto contestualizzati in quelle straordinarie registrazioni che l’ epistolario completo contiene sia dello svolgimento dei fatti sociali politici e culturali sia della militanza e della lotta politica sia della drammatica sua esistenza di esule e della “vita senza pace”(p. 55) di una famiglia molto amata : Jenny sua moglie, la più bella di Treviri, e le figlie Eleanor (detta Tussy), Laura e Jenny, e “la pupilla dei suoi occhi” (p. 171) il nipotino Johnny.

I riscontri e le contestualizzazioni di Musto consentono di leggere Marx dentro il work in progress ma senza fine della sua critica dell’economia politica, dentro il divenire di una ricerca tanto appassionata quanto tormentata, dentro le sue domande, i suoi ripensamenti, e le revisioni continue, risultato dopo risultato, di un lavoro antidogmatico per eccellenza. Il libro ci fa vedere un Marx vivo, quasi come quello del bel film di Raoul Peck tanto applaudito dai giovani per la capacità di trasformare una riproduzione filologicamente accurata di documenti e di testi in scene ed immagini assai suggestive, come ad esempio quelle di un bosco, il bosco dei cosiddetti furti di legna, dove immediatamente si riconoscono le differenze tra quelli che erano raccoglitori dei rami caduti e quelli che invece distruggevano gli alberi e li facevano a pezzi.

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operaviva

Ricchezza della forza lavoro

Salario, prezzo e profitto di Karl Marx

di Adelino Zanini

Anticipiamo qui l’introduzione di Adelino Zanini alla nuova edizione di Salario, prezzo e profitto di Karl Marx, in uscita in questi giorni per ombre corte. Ringraziamo l’editore e l’autore per la disponibilità

Claire Fontaine Change 2006 Courtesy of the artist and galerie Neu Berlin Foto Studio Lepkowski 1000x667 940x627Ci sono molte ragioni per riproporre alla lettura un testo breve e molto noto quale Salario, prezzo e profitto. E ci sono, anche, molte possibili letture del testo medesimo. Ricordiamo, anzitutto, come si tratti di un lavoro da Marx scritto nel 1865, per una situazione particolare e uno scopo specifico: rispondere, durante le assise del Consiglio generale dell’Associazione internazionale dei lavoratori, alle tesi propugnate dall’owenista John Weston, secondo il quale qualsiasi aumento dei salari monetari ottenuto dagli operai sarebbe stato annullato da un equivalente aumento dei prezzi. La risposta di Marx fu molto ampia e articolata, al punto da valutarne, in una lettera a Engels del 24 giugno 1865, la possibile pubblicazione, poi scartata per non anticipare inadeguatamente l’uscita del Libro I de Il capitale, che avvenne due anni dopo. Questa è la ragione per la quale il breve testo sarà pubblicato postumo nel 1898, dopo che Eleanor Marx ne rinvenne il manoscritto, redatto in lingua inglese. Molte possibili letture, dicevamo. Quella più ovvia non può che muovere da quanto lo stesso autore afferma nella lettera ora citata, ove è detto che il testo conterrebbe “parecchio di nuovo”, tolto dal manoscritto de Il capitale. Sul punto, si è molto insistito, cogliendo la possibilità di intendere Salario, prezzo e profitto non solo come un’anticipazione, ma anche come uno scritto divulgativo in sé compiuto e capace di sintetizzare, con efficacia, le prime tre sezioni de Il capitale.

Di qui due complementari linee interpretative, per nulla contrapposte, l’una più attenta alla tautologia da Marx discussa e insita nella formulazione classica della teoria del valore-lavoro, l’altra intesa a spingersi oltre, sino a cogliere la funzione svolta nel testo marxiano dalla domanda aggregata.

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bollettinoculturale

Althusser e Poulantzas: egemonia e stato

di Bollettino culturale

Althusser4Althusser incontra Gramsci

L'incontro di Althusser con il lavoro di Gramsci nei primi anni '60 fu un evento importante nel suo sviluppo teorico. Althusser scoprì Gramsci insieme a Machiavelli ed era inizialmente entusiasta di queste scoperte. Dalla sua corrispondenza con Franca Madonia sappiamo che ha letto Gramsci durante l'estate del 1961 e che è tornato a Gramsci durante la preparazione del suo corso su Machiavelli del 1962. Nel gennaio del 1962, durante la preparazione del corso su Machiavelli, la "scrittura forzata" come la descrive, ricorda di nuovo "quella facilità che avevo trovato in Gramsci". Questo primo corso su Machiavelli è stato intenso per lui, sia a livello filosofico che personale, Althusser insisteva sul fatto che «era su di me che avevo parlato: la volontà del realismo (volontà di essere qualcuno di reale, di avere qualcosa da fare con la vita reale) e una situazione "de-realizzante" [déréralisante] (esattamente il mio attuale delirio) ». Althusser mantenne questo rispetto per la lettura di Gramsci su Machiavelli, facendo riferimenti positivi a Gramsci in Machiavelli e Noi, il suo manoscritto degli anni '70 su Machiavelli, in cui accetta sostanzialmente la posizione di Gramsci secondo cui la sfida teorica e politica che Machiavelli affrontava era quella della formazione di uno stato nazionale in Italia. L'importanza di questo incontro iniziale con Gramsci è evidente in "Contraddizione e surdeterminazione".

«La teoria dell'efficacia specifica delle sovrastrutture e di altre "circostanze" resta in gran parte da elaborare; e prima della teoria della loro efficacia o simultaneamente (poiché è formulando la loro efficacia che la loro essenza può essere raggiunta) ci deve essere elaborazione della teoria dell'essenza particolare degli elementi specifici della sovrastruttura. Come la mappa dell'Africa prima delle grandi esplorazioni, questa teoria rimane un regno abbozzato in contorni, con le sue grandi catene montuose e fiumi, ma spesso sconosciuto nei dettagli al di là di alcune regioni ben note. Chi ha davvero tentato di seguire le esplorazioni di Marx ed Engels? Posso solo pensare a Gramsci ».

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intrasformazione

Novità su Marx, novità da Marx

di Antonino Morreale

karl marx 1967 06 15Nostalgie?

Se mai qualcuno della generazione che ha avuto i suoi primi contatti con Marx negli anni ’60 e ‘70, ritornasse oggi a rileggerlo, avrebbe di che meravigliarsi, scoprendo che tutto è cambiato.

I 35 anni che ci separano dal centenario della morte di Marx nel 1983 al bicentenario della sua nascita nel 2018 (che abbiamo festeggiato in allegria qui al Gramsci con una banda musicale al suono dell’Internazionale), hanno consumato molte illusioni.

Abbattuti muri che andavano abbattuti, altri ne sono stati costruiti che non andavano costruiti. E il mondo non si presenta più oggi come una marcia trionfale nel regno della libertà capitalistica finalmente realizzata; così come l’URSS allora e tutte le guerre di liberazione, dall’Algeria, al Vietnam, dall’Angola a Cuba, e il maggio francese, non erano una marcia trionfale verso il socialismo.

Il mondo è cambiato, noi con lui, e anche Marx è cambiato nel frattempo, ma diversamente da molti di noi è cambiato in meglio, e può aiutarci a decifrare il nostro diverso presente.

Certo, non basta tirar giù dagli scaffali più alti le vecchie edizioni Rinascita o Editori Riuniti, perché, ed è questa la novità, oggi il Marx che può aiutarci è molto diverso dal Marx che ci aiutò e guidò allora.

A questa premessa, diciamo così, generazionale, devo aggiungerne una più personale.

È per me una occasione singolare e fortunata parlare di questo libro di Musto K. Marx. Una biografia intellettuale e politica (1857-1883)”, perché è con un suo precedente lavoro Ripensare Marx del 2011 che mi è capitato di tornare a questo tipo di studi dopo molti anni dedicati ad altro.

Bisognava tornare a leggere Marx, ed è a questo punto che ho incontrato i lavori di Musto.

Anche per questo il libro che discutiamo non è per me uno dei tanti buoni libri che si possono leggere sull’argomento.

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Requiem per il Plusvalore

di Leo Essen

Reeve and SerfsSecondo la legge del valore-lavoro, il valore delle merci si fonda sul lavoro speso nella loro produzione. Le merci devono essere scambiate in proporzione al lavoro in esse incorporato.

Se l’operaio fannullone della fabbrica A produce un frigorifero in 12 ore, mentre l’operaio diligente della fabbrica B produce lo stesso modello di frigorifero in 6 ore, il frigorifero A avrà un valore di 12 unità, mentre il frigorifero B avrà un valore di 6 unità. Se la legge del valore incorporato regolasse sul mercato lo scambio dei beni in modo necessario e universale, il lavoratore fannullone (oppure il capitalista al suo posto) incasserebbe il doppio del lavoratore diligente. Ma ciò contrasta con ogni fatto empiricamente osservabile. Le scelte individuali dei consumatori – le loro motivazioni psicologiche, ridotte al mero calcolo di convenienza – indirizzerebbero le domande verso l’offerta della fabbrica B, costringendo la Fabbrica A a chiudere e a licenziare il fannullone e a spostare i capitali verso la fabbrica B.

Il prodotto quotidiano di un ingegnere meccanico non ha un valore uguale, ma di gran lunga superiore a quello di un semplice operaio industriale, quantunque in entrambi sia incorporato lo stesso tempo di lavoro. Come equiparare i due lavori?

Il lavoro definisce la quantità pura nella quale si esprimono i valori di grandezza. La quantità pura misurata da una bilancia è la pesantezza, mentre i chilogrammi esprimono la grandezza (il Quanto) della pesantezza di un oggetto determinato. Allo stesso modo, il lavoro esprime la quantità pura del valore, mentre i minuti e le ore ne esprimono la grandezza. Pertanto, per commisurare il lavoro dell'ingegnere a quello dell’operaio occorre trovare la quantità pura per esprimere la grandezza nella quale il primo lavoro sta in rapporto al secondo.

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La Dialettica della natura di Engels

Tra metodo e sistema, filosofia e scienza

di Eros Barone

racheleAd ogni passo ci vien ricordato che noi non dominiamo la natura come un conquistatore domina un popolo straniero soggiogato, che non la dominiamo come chi è estraneo ad essa, ma che noi le apparteniamo con carne e sangue e cervello e viviamo nel suo grembo: tutto il nostro dominio sulla natura consiste nella capacità, che ci eleva al di sopra delle altre creature, di conoscere le sue leggi e di impiegarle nel modo più appropriato.

Friedrich Engels, Dialettica della natura.

1. Significato e costruzione di una “dialettica della natura”

Per valutare il significato storico e teorico del modo in cui Engels ha esteso la dialettica dal campo delle scienze storico-sociali a quello delle scienze fisico-naturali occorre considerare nel suo significato complessivo la elaborazione teorica da lui sviluppata, che comprende la scienza, la dialettica e il materialismo, e individuare nel contempo lo sfondo storico-culturale di tale elaborazione. Né si può prescindere, per un verso, dai limiti storici inerenti allo stadio di sviluppo delle scienze che offrono ad Engels la base di appoggio per la sua costruzione di una “dialettica della natura” e, per un altro verso, dal fine che egli in generale attribuisce a tale dialettica, quindi alla funzione che essa svolge nella prospettiva del comunismo. Questo duplice aspetto è stato al centro dell’attenzione critica e della ricerca teoretica che, nell’àmbito del marxismo italiano, hanno contraddistinto i contributi forniti da Ludovico Geymonat e dalla sua scuola.

La feconda vitalità del pensiero di Geymonat nasce da una riflessione originale sul materialismo dialettico. Tale concezione, oltre ad occupare un posto centrale e prioritario nelle indagini svolte dal pensatore torinese sulla storia del pensiero filosofico e scientifico, chiarisce anche in quale senso si muova la stessa battaglia culturale condotta da Geymonat per affermare il valore conoscitivo della scienza e contrastare le molteplici forme di irrazionalismo e di “reazione romantica contro la scienza”.

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L'altro Marx

Perché il Manifesto Comunista è obsoleto

di Norbert Trenkle (Krisis)

chaplin1 -

È almeno a partire dalla crisi finanziaria del 2008 che Karl Marx viene di nuovo riconosciuto, abbastanza giustamente, come altamente attuale. I suoi nuovi e vecchi amici, ad ogni modo, si sono concentrati su quella parte della sua teoria che è ormai da lungo tempo superata: la teoria della lotta di classe tra la borghesia ed il proletariato. Diversamente, l'«altro Marx», quello che ha criticato il capitalismo in quanto società basata sulla produzione generale di merci, sul lavoro astratto, e sull'accumulazione del valore, ha ricevuto ben poche attenzioni serie. Ma invece è proprio questa parte della teoria di Marx che ci permette di analizzare adeguatamente la situazione attuale di quello che è il sistema capitalistico globale ed il suo processo di crisi. La teoria della lotta di classe, al contrario, non contribuisce in alcun modo alla nostra comprensione di quello che sta attualmente accadendo, né è in grado di riuscire a formulare una nuova prospetta di emancipazione sociale. Per tale ragione, bisogna dire che oggi il Manifesto del Partito Comunista è obsoleto, e conserva solo un valore storico.

 

2 -

Ad una prima occhiata, tutto ciò può sembrare sorprendente. A leggere, estrapolandoli, alcuni passaggi del Manifesto suonano come se fossero delle diagnosi altamente attuali del nostro tempo. Ad esempio, quando Marx ed Engels scrivono che la borghesia, nella sua incessante urgenza di espandersi, ha «dato un'impronta cosmopolitica alla produzione e al consumo di tutti i paesi» e «ha tolto di sotto i piedi dell'industria il suo terreno nazionale» (Marx/Engels 1848), questo si legge come una diagnosi in anticipo di quella che sarà la cosiddetta globalizzazione.

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La teoria marxista dello Stato socialista e del diritto

di Mario Cermignani

Il concetto di “democrazia socialista” e la funzione delle regole giuridiche in Marx, Lenin e nell'ottobre 1917

4d96fe40c105840404e90be230b090a5Raw 0 0 620x360Processo rivoluzionario, questione della proprietà e Stato socialista. La visione marxista ed il ruolo del Partito comunista

Alla base della teoria marxista dello Stato vi è la contraddizione ultima ed insanabile (che, nella logica “dialettica” del reale, costituisce il fondamento oggettivo della necessaria e razionale evoluzione socialista del processo storico) fra sviluppo delle forze produttive della società e rapporti di produzione/proprietà capitalistici: cioè l'inconciliabile contrasto, scoperto dalla scienza marxista, tra l'oggettiva e progressiva “socializzazione” (interconnessione/correlazione/interdipendenza generale e “collettiva”) della produzione, della capacità e dei processi lavorativi, da un lato, e, dall'altro, i rapporti di appropriazione “privata”, da parte di una esigua minoranza dell'umanità, del prodotto sociale generato dal medesimo lavoro collettivo.

Sul punto è illuminante Lenin, in “Che cosa sono gli amici del popolo”:

“Le cose vanno in un modo del tutto diverso quando si giunge, grazie al capitalismo, alla socializzazione del lavoro. (…) Ne risulta che nessun capitalista può fare a meno degli altri. E' chiaro che il detto 'ognuno per sé' non è più applicabile in nessun modo ad un simile regime: qui oramai ognuno lavora per tutti e tutti lavorano per ciascuno (…). Tutte le produzioni si fondono in un unico processo sociale di produzione, mentre ogni produzione è diretta da un singolo capitalista, dipende dal suo arbitrio, e gli dà i prodotti sociali a titolo di proprietà privata. Non è forse chiaro che la forma di produzione entra in contraddizione inconciliabile con la forma dell'appropriazione? Non è forse evidente che quest'ultima non può non adattarsi alla prima, non può non divenire anch'essa sociale, cioè socialista?”.

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La libertà è solo nella verità

Trockij, Lenin, Stalin

di Salvatore Bravo

phpThumb generated Democrazia e capitalismo assoluto

I processi di dominio ed alienazione sono la verità del capitalismo assoluto, la pratica del capitalismo assoluto agisce secondo due direzioni convergenti: la struttura e la sovrastruttura speculari l’una all’altra: il fine è non lasciare tempo e spazio per il pensiero e sostituirlo con il calcolo. La fase del rispecchiamento del capitalismo diviene così totalitaria, in assenza di discrepanze tra struttura e sovrastruttura non resta che il pensiero omologato e la necrosi della democrazia. Se la democrazia sopravvive perché è usata come mezzo ideologico contro i sovvertitori dell’ordine mondiale, la motivazione è da riscontrarsi nella sua riduzione a forma giuridica privata di ogni partecipazione sostanziale. La “democrazia del capitale” rende sostanziale i diritti delle merci ed il loro feticismo, infatti possono circolare senza limiti nello spazio concreto e virtuale, attraversano l’etere per colonizzare le menti mediante le tecnologie. L’”atmosfera” al tempo del capitalismo assoluto è inquinata dall’invisibile circolazione di frequenze che trasportano messaggi commerciali; il capitalismo non lascia nessuno spazio libero: visibile ed invisibile si ritrovano accumunati nella densità quantitativa e calcolante. Nel Timeo il Demiurgo soffiava nel corpo del cosmo per vivificarlo, donandogli un’anima unica che tutti accomuna, il capitalismo assoluto soffia nello spazio e nel tempo per dividere, per frammentare e lasciare dietro di sé un mondo di solo cose. L’effetto di tale pratica non è solo la divisione e la formazione di individui anticomunitari, ma una miriade di specializzazioni che consentono di acquisire un numero notevole di informazioni tecniche, ma inibiscono ogni pensiero della totalità. Democrazia senza verità e prassi e, pertanto, non resta che il calcolo nichilistico delle tecniche di produzione e controllo, a cui si è passivamente sussunti.

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intellettuale collettivo

Marxismo creativo, libertà e "linea rossa"

di Alessandro Pascale

[Quella che segue è la relazione tenuta da Alessandro Pascale in occasione dell’assemblea pubblica sull’effetto di sdoppiamento svoltasi al Centro culturale Concetto Marchesi (Milano), il 14 settembre 2019 a Milano. All’assemblea, moderata da Massimo Leoni, hanno partecipato come relatori anche Roberto Sidoli, Giorgio Galli, Marco Rizzo. Nella foto da sx a dx: Sidoli, Leoni, Rizzo, Galli, Pascale]

WhatsApp Image 2019 09 15 at 09.28.14 980x735Contro il determinismo economico

La teoria dell’effetto di sdoppiamento pone la questione di una rivalutazione della Politica sull’Economia. Ad un primo sguardo superficiale sembrerebbe una messa in discussione del materialismo storico ma questa, per l’appunto, non è altro che una visione volgare della questione. In realtà, come emerso in maniera netta dalla relazione di Roberto Sidoli, tale teoria non è altro se non un’adeguata interpretazione che si innesta nel solco tracciato dal pensiero dei grandi classici del socialismo scientifico.

Per mostrare queste affermazioni leggiamo un breve estratto del Dizionario dei termini marxisti, curato da Ernesto Mascitelli nel 1977 e disponibile gratuitamente sul sito Resistenze.org. Alla voce “determinismo economico” ecco quanto si riporta:

«È la concezione che ritiene che lo sviluppo storico sia rigidamente ed esclusivamente determinato dallo sviluppo delle forze produttive e delle componenti “tecniche” della società. Il determinismo economico esclude la possibilità che l’organizzazione cosciente della classe operaia possa in qualche modo influire sullo sviluppo storico. È il fondamento teorico di alcune delle più importanti correnti opportuniste della II Internazionale. La teoria secondo cui avrebbe dovuto verificarsi “il crollo inevitabile del capitalismo” per motivi esclusivamente economici, ampiamente diffusa nella socialdemocrazia tedesca negli ultimi anni dell’Ottocento, fu una delle espressioni più classiche di questa concezione. Il determinismo economico fu criticato dai principali esponenti del movimento comunista in quanto rappresentava un’incomprensione dei fondamentali principi del materialismo storico. Spesso si accompagnava all’affermazione della necessità di una “revisione” del marxismo. Inoltre, dal punto di vista politico, si manifestò come rinuncia alla difesa degli interessi della classe operaia».

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sollevazione2

In difesa del marxismo

di Giulio Bonali

324 3247890 download transparent png karl marx y lenin pngGiorni addietro abbiamo pubblicato la prefazione di Carlo Formenti e Onofrio Romano al loro libro Tagliare i rami secchi del marxismo.  Un lavoro teorico di revisione del pensiero marxista che Giulio Bonali contesta alla radice...

Scrivono Carlo Formenti e Onofrio Romano

«Pensiamo che sia più utile cercare di capire quali concetti - presenti tanto in Marx quanto nelle varie tradizioni marxiste, anche se con diverse sfumature – vadano archiviati, in quanto non servono più alla trasformazione rivoluzionaria dell’esistente o rischiano addirittura di contribuire alla sua conservazione. Questa nostra provocazione non nutre intenzioni liquidatorie nei confronti del marxismo; al contrario: siamo convinti che tagliare i rami secchi della teoria, e abiurare certi articoli di fede delle ideologie che ha ispirato, significhi riattivarne la carica sovversiva nei confronti della società capitalista e ridare energia e prospettive alla speranza rivoluzionaria».

Concordo.

Il marxismo ha “da sempre” ambito ad essere scienza (per quanto “umana”, e dunque con fondamenti epistemici pur sempre razionali ed empirici ma senz’altro meno incontrovertibili e soprattutto con oggetti di studio e di ricerca molto meno quantificabili e “matematicamente calcolabili” rispetto alle scienze naturali; ma non é qui il caso di approfondire la questione).

Dunque, come ogni teoria scientifica, umana e/o naturale, non solo tollera o ammette, ma addirittura esige una continua riconsiderazione critica e messa in dubbio metodica di fronte ai fatti empiricamente rilevabili (e da comprendere razionalmente, per quanto umanamente possibile).

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Necessità, tempo e lavoro

di Moishe Postone

Immagine6542Si può dire che il pioniere che ha elaborato una revisione del lavoro astratto e della categoria del valore in Marx è stato senz'altro Moishe Postone, nel 1978, e che la Critica del Valore è emersa a partire dal suo pensiero. In questo testo, dal titolo «Necessità, Tempo e Lavoro», Postone dà inizio ad una problematizzazione circa quelli che sono gli equivoci del marxismo tradizionale. Dal momento che il capitalismo si struttura come libero mercato, rendendo così possibile lo sviluppo del capitalismo industriale, le sue condizioni intrinseche di accumulazione, di competizione e di crisi hanno dato origine a delle tecniche di pianificazione centralizzata, di concentrazione urbana del proletariato industriale, così come di centralizzazione e do concentrazione dei mezzi di produzione, e alla separazione fra diritto formale alla proprietà e proprietà reale ecc.. Tali tecniche, tipiche della produzione industriale, hanno creato un livello di ricchezza inimmaginabile fino ad allora, e brutalmente iniquo. A fronte di quadro simile, il marxismo che Postone definisce «tradizionale» aveva intravvisto la possibilità di un nuovo modo di distribuzione, equo e corretto, e regolato in maniera cosciente. Perciò, sebbene i marxisti sembrassero avere una teoria della produzione sociale, in realtà quello che portano avanti è una critica storica del modo di distribuzione. Di conseguenza, il marxismo, secondo Moishe Postone, per poter essere ripreso senza i suoi tradizionali equivoci, va riletto concentrandosi sull'aspetto della distribuzione. Secondo lui, questo errore non può essere attribuito a Marx, bensì a quella che è la sua errata interpretazione. nel rivisitare i Grundrisse, Postone asserisce che Marx era a conoscenza della centralità del lavoro, quando affermava che tutto il modo di produzione capitalistico si trovava ad essere fondamentalmente basato sul lavoro salariato. Secondo lui, Marx considerava già il valore come il centro della produzione borghese, e sapeva che le relazioni di valore avvengono nella produzione in sé, e non si limitano solo alla circolazione e alla distribuzione. È per questo che Roswitha Scholz considera Postone come un classico di quella che è la critica fondamentale del valore, anche se egli non ha mai fatto uso di una simile espressione.

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ist onoratodamen 

Brevi note sulla introduzione del '57 ai Grundrisse

di Laura Ruocco

labirintÈ noto come la gestazione de Il Capitale abbia impegnato un lungo tratto della travagliata esistenza di Karl Marx. Nondimeno è possibile individuare diversi punti cruciali all’interno della riflessione marxiana, non omogenea né progressiva, ma piuttosto impegnata in una inesausta riflessione relativa alle “tre fonti e tre parti integranti del marxismo[1], una delle quali riteniamo abbia una certa rilevanza relativa agli aspetti metodologici che, sin dai Manoscritti economico-filosofici del 1844, non ha mai smesso di occupare parte cospicua dell’analisi di Marx. Ci riferiamo al patrimonio del pensiero filosofico tedesco, in particolare alla pesante eredità esercitata dalla ricerca hegeliana con cui, è possibile dire, l’autore del Manifesto si è costantemente misurato durante tutta la sua esistenza.

Si suole affermare, certamente non a torto, che il comunismo scientifico abbia operato un rovesciamento del pensiero di Hegel, tale da riportare la dialettica con i piedi per terra in modo da scoprire la reale fonte delle implicazioni e delle conseguenze della logica applicata alla analisi della formazione economico-sociale[2]. Tuttavia tale affermazione, pur suffragata dalle parole dello stesso Marx, rischia di impoverire, se non fraintendere, le modalità, da una parte di filiazione, dall’altra di superamento, intercorrenti fra la concezione di Hegel e quella di Marx, specificamente per quanto concerne la riflessione da entrambi dedicata alla dottrina della logica. Snodo fondamentale, relativo a quest’ultimo aspetto, si ritrova nella Introduzione del 1857 ai Lineamenti fondamentali della critica dell'economia politica, sinteticamente denominati Gründrisse, opera preparatoria alla stesura de Per la critica dell’economia politica pubblicata nel 1859. La prefazione in questione non sarà mai pubblicata da Marx, sostituita da quella composta nel 1859, priva degli aspetti metodologici esposti in quella precedente.

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azioni parallele

Enrique Dussel, Metafore teologiche di Marx

di Orlando Franceschelli

Enrique Dussel: Metafore teologiche di Marx, traduzione dallo spagnolo e cura di Antonino Infranca, Inschibboleth Edizioni, Roma 2018

dussel marx1. Metafore che “hanno una logica”.

Arricchito da una puntuale Introduzione di Antonino Infranca, curatore di questa edizione italiana e tra i maggiori esperti del pensiero di Dussel, Metafore teologiche di Marx offre al lettore le acquisizioni più interessanti a cui l’Autore è pervenuto grazie al suo pluriennale confronto con Marx. Al pari di tutta la produzione di Dussel, anche queste acquisizioni hanno avuto ampia risonanza. E di esse questo libro rivendica non a torto l’attualità (pp. 53-4, 96), offrendo così anche una significativa conferma di quanto Infranca precisa nell’Introduzione: veramente non è un caso se Dussel “mentre scriveva i suoi quattro libri su Marx, lentamente abbandonava le sue posizioni vicine a quelle della Chiesa latinoamericana, passava vicino alla Teologia della Liberazione, per arrivare oggi su posizioni decisamente marxiste” (p. 31).

Per risparmiare al lettore l’equivoco forse più insidioso, giova richiamare subito un punto che lo stesso Autore tiene a precisare fin dalle Parole preliminari (pp. 33-50) e dal Prologo all’edizione italiana (pp. 51-63), che illustrano egregiamente la genesi, gli scopi e il “senso” di questo libro: il suo intento non è dimostrare “che Marx ed Engels fossero credenti” (p. 59). E neppure che Marx abbia avuto una qualche “intenzione di produrre una teologia formalmente esplicita” (p. 46). Al contrario: Dussel si propone di affrontare il problema che sorge proprio dopo aver riconosciuto, da un lato, che Marx “non fu nel senso stretto del termine un teologo” e, dall’altro, che proprio per questa ragione egli “aprì l’orizzonte per una nuova teologia” (ibidem).

Com’è noto, nella Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico Marx ha scritto che la “critica della teologia [si trasforma] nella critica della politica”.

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tempofertile

Paul Baran, “Saggi marxisti”

di Alessandro Visalli

s l225Paul Alexander Baran è stato uno dei più rilevanti economisti marxisti del novecento, nato in Ucraina nel 1909, da genitore socialista e menscevico, e morto in California nel 1964, negli ultimi tredici anni della sua vita fu l’unico docente ordinario marxista dell’accademia americana. Nel suo primo libro di grandissima rilevanza, de “Il surplus economico e la teoria marxista dello sviluppo”, viene formulata da “teoria della dipendenza” che identifica nell’arretratezza del terzo mondo il sostegno decisivo ai processi di accumulazione nei paesi industrializzati, superando la loro tendenza intrinseca alla stagnazione. Del resto questa tesi si connette sia con la ricostruzione della teoria marxista proposta da Paul Sweezy un decennio prima, sia con la sistemazione della teoria del capitalismo monopolistico. La permanente tendenza alla stagnazione è combattuta appunto con l’estrazione di risorse dai paesi tenuti in stato semi-coloniale: tesi che sarà sistemata nel suo libro del 1966 (postumo) con lo stesso Sweezy “Il capitale monopolistico”.

La sua formazione avviene in Europa, a Berlino, Francoforte sul Meno dove incontra Rudolf Hilferding e Parigi; quindi nel 1939 si trasferisce negli Stati Uniti e continua gli studi ad Harvard dove acquisisce il master in economia. Fa anche un’esperienza come ricercatore alla Federal Reserch bank di New York. Dal 1949 collabora alla rivista Montly Review, dalla quale sono tratti i presenti saggi, che coprono praticamente l’intero arco della sua produzione. Durante questi studi Baran si reca a Cuba, nel 1960, a Mosca, in Iran ed in Jugoslavia.

La raccolta dei saggi pubblicati nel 1976 nella collana viola dell’Einaudi, e tratti da Montly Review durante un giro decisivo degli anni cinquanta e sessanta, comprende il saggio “Sulla natura del marxismo”, del 1958, poco dopo la pubblicazione del suo primo capolavoro, e l’anno dopo quello “Riflessioni sul sottoconsumo”. Ma prima del capolavoro del 1957 si trovano “Meglio meno ma meglio”, del 1950, sull’avvio della guerra fredda ed il suo significato, e “Progresso economico e surplus economico”, del 1953, come “Riflessioni sulla programmazione e lo sviluppo economico in India”, del 1956.

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ilcomunista

Karl Marx fra storia, interpretazione e attualità (1818-2018)

Introduzione

di Luca Mocarelli, Sebastiano Nerozzi

lenin22Nel 2018 l’opera e la figura di Karl Marx sono tornate, ancora una volta, al centro dell’attenzione. Il bicentenario della sua nascita ha suscitato un intrecciarsi di riflessioni intorno alla rilevanza, al significato e alla attualità del suo pensiero. Numerose conferenze internazionali sono state organizzate già nel 2017 (per i 150 anni del primo libro del Capitale e i 100 anni della rivoluzione d’ottobre) e molte altre sono seguite nel 2018. Marx è stato celebrato anche sulle pagine del «Financial Times»1 e dell’«Economist»2 , con articoli dai toni a volte paradossali, ma tutt’altro che critici, in ogni caso concordi nel riconoscere la perdurante importanza del suo pensiero nel mondo di oggi. A Marx sono state dedicate opere cinematografiche di un certo pregio.

In questa temperie si sono rianimati alcuni dei filoni di ricerca che avevano composto il dibattito intellettuale nel marxismo del secondo dopoguerra: economisti, storici, filosofi sono tornati ad interrogarsi intorno al pensiero di Marx e ai suoi possibili sviluppi, offrendo nuove prospettive o consolidando e sviluppando quelle esistenti. La stessa riedizione, ancora in corso, delle opere di Marx ed Engels, frutto di un meticoloso lavoro di sistemazione editoriale e di ricostruzione filologica, ha stimolato nuove letture del suo complesso pensiero e della sua tortuosa evoluzione. Il cantiere del pensiero marxiano è tornato, insomma, a brulicare di nuova vita.

Un recente convegno, organizzato da alcune fra le maggiori università lombarde (Università Cattolica del Sacro Cuore, Università di Milano-Bicocca; Università di Bergamo; Università di Pavia), ha contribuito a questo rinnovato dibattito ospitando un ricco confronto fra studiosi di diverse discipline e di diversi orientamenti teorici intorno alla complessa eredità del pensatore di Treviri3 . Questo volume mira, appunto, a raccogliere alcune delle relazioni esposte in quella occasione e a presentare nuovi spunti di ricerca e tentativi di sintesi che aiutino a fare un bilancio, inevitabilmente parziale e provvisorio, del pensiero di Marx e del suo impatto sulla storia degli ultimi due secoli. Ma, prima di addentrarci nelle tematiche affrontate dagli autori, ci sembra necessario chiederci: perché questo ritorno di interesse per Marx? Perché continuare ancora, dopo due secoli, a parlare di lui?

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Verstand e Vernunft nei Grundrisse

di Salvatore Bravo

karl marx pablo lobatoL’introduzione nei Grundrisse di Marx (in tedesco: Grundrisse der Kritik der politischen Ökonomie 1857 1858) è un esempio vivo della pratica filosofica. Nell’introduzione Marx delinea il campo di ricerca ponendo tra parentesi certezze, valori e “metodologie ideologiche”, il cui scopo è eternizzare lo stato presente. La filosofia non può rinunziare alla ragione (Vernunft), in quanto è la pratica della stessa, essa coglie il complesso per definire il percorso argomentativo e logico che deve condurre alla verità. La Filosofia non è gnoseologia, teoria del rispecchiamento che legittima le scienze e l’economia analizzando limiti e possibilità della conoscenza scientifica, non è servile a nessun sapere, perché utilizza la ragione dialogica per rimettere in discussione dogmi, postulati e saperi cristallizzati in formule socialmente prospettiche. La filosofia non usa l’intelletto astratto (Verstand), il quale, invece, è delle scienze che devono separare per analizzare. Con l’intelletto l’essere umano cade nella ingenua rappresentazione dell’oggetto (Object), con la ragione il soggetto umano è consapevole che il sistema è la rappresentazione prodotta da una comunità (Gegenstand), per cui è trasformabile, ci si apre all’orizzonte della prassi.

 

Le robinsonate

La prima certezza da scardinare è che l’essere umano è un individuo, un atomo che si relaziona solo in funzione dei valori di scambio. Non solo, ma l’economia classica e l’empirismo inglese insegnano che esiste l’individuo quale postulato da cui ogni analisi economica e sociale deve partire. Postulato ideologico, poiché si parte dall’individuo competitivo ed acquisitivo per giustificare la naturalità del modo di produzione capitalista. il dio mondano è l’individuo che genera e distrugge, si occulta con l’astratto che l’individuo non è un miracolo della natura che è posto da se stesso in modo autotetico, ma è poligenetico, è interno al modo di produzione, vive, agisce e reagisce in esso. L’individuo astratto giustifica meriti e demeriti riferendoli unicamente a stesso, è isolato e narcisista, in questa maniera si vuole celare che non esiste l’individuo, ma egli è parte integrante di una comunità, è intenzionalità relazionale senza la quale il soggetto non esisterebbe:1

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materialismostorico

Filosofia, democrazia, Stato-nazione nei Quaderni del carcere

di Francesca Izzo (già Università L’Orientale, Napoli)

24bcfe78 b565 477d 8360 a831e7a767d11. Teoria del moderno

I termini che compaiono nel titolo meriterebbero, anche singolarmente presi, una trattazione specifica ben più ampia di quella che è possibile in questa sede. Per delimitarne l’ambito, mi concentrerò sulla concezione della modernità elaborata da Gramsci: la sua genesi, la sua natura, le sue contraddizioni e la sua crisi. Il suo profilo emerge pienamente proprio nel nesso che tiene assieme filosofia, democrazia e Stato-nazione.

Né umanistica (la modernità sarebbe l’epoca dell’affermazione del regnum hominis, con l’inversione del rapporto Dio-mondo di contro alla trascendenza medievale) né “nichilistica” (la modernità sarebbe l’epoca della dissoluzione di ogni sostanzialità, destinata a consumare ogni fondamento stabile e ad affermare la libertà come decisione), la teoria del moderno di Gramsci si nutre, o meglio è un frutto originale, della sua rielaborazione/revisione del materialismo storico in termini di filosofia della prassi. E per anticipare quello che svilupperemo analiticamente nel prosieguo, per Gramsci l’epoca moderna non è “infondata”perché ha un soggetto, ma si tratta di un soggetto non umanistico: è lo Stato-nazione.

 

2. Filosofia della prassi (filosofia, politica, storia)

Come ampiamente mostrato dalla letteratura critica più recente, nei Quaderni Gramsci giunge, attraverso un percorso complesso e per nulla lineare, a maturare la sua interpretazione/revisione del materialismo storico in termini di filosofia della prassi, cioè di un’autonoma e integrale concezione della storia (una filosofia che è politica in quanto è integralmente storia) che non prende a prestito né dal materialismo filosofico né dall’idealismo elementi per “completarsi”; insomma, Gramsci rifiuta il cosiddetto “marxismo in combinazione”1. Il “ritorno a Marx” si inserisce appunto in questa ricerca di totale autonomia determinata da ragioni non astrattamente teoriche, ma altamente politiche.

A Gramsci appare sempre più evidente che la necessità della filosofia - in particolare di quella elaborata da Marx nelle Tesi su Feuerbach – discenda dal fatto che si tratta di rifondare su basi nuove la soggettività rivoluzionaria, il nuovo soggetto storico.

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Da Stalin a Churchill: marxismo, linguistica e glottofagia

di Eros Barone

phpThumb generated thumbnailNon imiterò che me stesso, Pasolini. Più morta di un inno sacro / la sublime lingua borghese è la mia lingua. / Non conoscerò che me stesso / ma tutti in me stesso. La mia prigione / vede più della tua libertà.

Franco Fortini, da Composita solvantur, 1994.

  1. Il contributo di Stalin sul rapporto fra la teoria linguistica e il marxismo

È comunemente ammesso che nessuna scienza può svilupparsi senza una lotta di opinioni, senza libertà di critica.*

Gli scritti di Stalin sulla linguistica sono costituiti da una serie di risposte che Stalin dètte ad alcuni giovani comunisti sui problemi riguardanti il rapporto tra la linguistica e il marxismo, risposte che furono pubblicate sulla «Pravda», il principale quotidiano sovietico, tra il giugno e l’agosto del 1950. Le domande rivolte a Stalin concernevano soprattutto il problema dei rapporti tra la lingua e la struttura economica della società, e si possono così riassumere: la lingua è una sovrastruttura determinata dalla base economica? la lingua è il prodotto di una determinata classe sociale? quali sono gli elementi che definiscono una lingua nell’àmbito della vita sociale?

Rispondendo a queste domande, Stalin ebbe l’opportunità di intervenire nel dibattito che si era aperto sulle colonne della «Pravda» per confutare la teoria, dominante da circa un ventennio, del linguista Nikolaj Jakovlevič Marr, il quale sosteneva l’esistenza di un diretto rapporto di determinazione tra la base economica di una società e la sua lingua. Partito da studi specialistici di filologia armena e georgiana e di lingue caucasiche, Marr era noto soprattutto per la sua teoria ‘jafetica’ secondo cui esisterebbe un’affinità genealogica tra le lingue del gruppo caucasico e quelle semitiche, affinità che, in via di ipotesi, sarebbe estensibile non solo a tutte le lingue preindoeuropee del bacino del Mediterraneo, ma perfino a tutte le lingue del mondo in cui, dall’Asia all’Africa e all’America, il linguista russo cercò di individuare le tracce della famiglia jafetica. 1

In séguito alla rivoluzione d’ottobre e alla lettura di Marx, Engels e Lenin, Marr si propose di dare un nuovo fondamento filosofico marxista alla teoria generale del linguaggio, cui era approdato applicando meccanicamente lo schema materialistico secondo il quale le sovrastrutture di una società sono determinate dalla struttura economica ed estendendo la nozione di sovrastruttura sino ad includervi la lingua, la quale, essendo determinata dalla base economica, recherebbe il marchio della classe che l’ha prodotta.