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maggiofil

Pane e tulipani, ovvero così non parlò Piero Sraffa

Cronache marXZiane n. 8

di Giorgio Gattei

Marx religiao opio do povo trier museu karl marx1. Con l’accumulazione del profitto realizzato in moneta viene messa in gioco la sorte del pianeta Marx. Ma come procedere per comprenderlo? Vale pur sempre la regola esposta dal suo primo “mappatore” per cui, davanti ad un fenomeno complesso, «si deve sempre partire dal presupposto che le condizioni reali corrispondano al loro concetto o, ciò che significa la stessa cosa, che le condizioni reali vengano esposte solo in quanto coincidano con il tipo generale ad esse corrispondenti» – insomma che il concetto sia adeguato all’oggetto secondo la sua necessità logica, mentre le altre condizioni, che sul momento sono state trascurate, potranno poi esservi aggiunte. Ciò vale soprattutto per l’argomento conclusivo da considerare, e cioè che il pianeta Marx, a differenza di ogni altro corpo celeste, ad ogni rotazione cresce di dimensione per l’accumulazione del profitto indirizzandosi verso un esito finale, una sorte o un destino che si possono almeno congetturare. Si sa che Marx ne aveva previsto la fine per la “caduta tendenziale” del saggio generale del profitto: essendo «il vero limite della produzione capitalistica il capitale stesso», esso entra «in conflitto con i metodi di produzione a cui deve ricorrere per raggiungere il suo scopo e che perseguono l’accrescimento illimitato della produzione, la produzione come fine a se stessa, lo sviluppo incondizionato delle forze produttive sociali del lavoro», cosicché «il modo di produzione capitalistico, che è un mezzo storico per lo sviluppo della forza produttiva materiale e la creazione di un corrispondente mercato mondiale, è al tempo stesso la contraddizione costante tra questo suo compito storico e i rapporti di produzione sociali che gli corrispondono».

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bollettinoculturale

La ricchezza improduttiva, l'"economia di carta" e la teoria del valore

di Andrea Pannone

images4erfvgbnjiPremessa

In un articolo su Bollettino Culturale del 2021 ho affrontato il problema della forma valore in Marx in modo esplicitamente non convenzionale rispetto a come il tema è stato affrontato nella letteratura economica marxista. La non convenzionalità, per essere chiari, è stata quella di raggiungere in modo formalmente rigoroso le stesse conclusioni raggiunte da Marx nel primo libro del Capitale - prima di tutto quella di ricondurre l’origine del profitto al pluslavoro, ossia a un rapporto di sfruttamento – facendo riferimento, però, a una rappresentazione dell’economia capitalistica piuttosto diversa da quella adottata dal filosofo di Treviri, almeno per ciò che attiene al modo di produrre e all’organizzazione dei mercati. Questi due aspetti, infatti, sono stati rappresentati nel nostro schema teorico in modo estremamente coerente ad un sistema economico moderno, anche ricorrendo, seppur solo parzialmente, ad alcune idee di autori molto distanti dal pensiero di Marx (in primo luogo Keynes). 

In questo scritto integrerò le assunzioni portanti del suddetto schema teorico con il meccanismo di circolazione monetaria proposto da Marx nel terzo libro del Capitale (vedi Marx 1894), opportunamente modificato per essere maggiormente coerente con la realtà de sistemi economici e finanziari moderni. Lo scopo è quello di spiegare – in modo fortemente compatibile con l’approccio da me seguito nel mio primo articolo su Bollettino - il fenomeno dell’enorme espansione dei guadagni (earnings) derivanti dal possesso di asset non riproducibili (come ad esempio titoli, azioni, beni immobili ecc.), che sta caratterizzando le economie capitalistiche da almeno 25 anni.

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sinistra

Diritto e metodo marxista in Pashukanis*

di Carlo Di Mascio

Prova HD 01 AltaIl pensiero come tale non può implicare mai e poi mai il processo di formazione del concreto stesso.
Karl Marx, Grundrisse

1. Il diritto quale costruzione storicamente determinata dalle condizioni della produzione capitalistico-borghese

L’eccezionale radicalità della critica marxista di Pashukanis, risiede principalmente nella tesi secondo cui quando si procede allo studio del diritto, prima di catturare il suo contenuto politico, occorre interrogarsi rispetto alla sua forma, e ciò in quanto, per il giurista sovietico, il diritto e il suo formalismo rappresentano il fondamento strutturale, e non meramente sovrastrutturale, del dominio dell’economico, nonché della sua assunzione a giustificazione universale della società moderna. Ora, interrogarsi sulla forma del diritto, come «disciplina teoretica autonoma»1 e non come prodotto ideologico, significa affermare che il diritto è un’astrazione che tuttavia non altera la verità concreta, per cui non va affatto confuso con un semplice meccanismo con il quale il dominante inganna il dominato, bensì identificato con «un principio realmente operante nella società borghese [che si fonda sulla merce] un processo reale di giuridicizzazione dei rapporti umani, che accompagna lo sviluppo dell’economia mercantile-monetaria (e, nella storia europea, lo sviluppo dell’economia capitalistica)»2. Questa premessa conduce Pashukanis ad assegnare al diritto, piuttosto che lo status di una mera categoria dell’ideologia borghese, quello di un vero e proprio «fenomeno sociale oggettivo»3 che opera concretamente nella società, indipendentemente da una volontà di classe, e comunque non con immediati obiettivi di falsificazione. Esso, contrariamente a come appare immediatamente, con le sue generalità e astrattezze, con i suoi principi eterni ed immutabili, non comanda se non all’interno di una relazione, che altro non è che una relazione di mercato tra possessori di merce, tra chi compra e chi vende, tra chi detiene i mezzi di produzione e chi solo la merce «forza-lavoro».

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sinistra

Prefazione a Karl Marx: Scritti di critica dell'economia politica

di Giovanni Sgrò

Karl Marx: Scritti di critica dell'economia politica, Pgreco/Filo Rosso, 2022

Visual Arts1. Presentazione dei testi

Il presente volume ripropone in veste invariata la raccolta di testi marxiani, allora veramente “inediti” in Italia, pregevolmente curata da Mario Tronti nel 1963. I testi sono i seguenti:

1) Il commento di Marx agli estratti, risalenti al 1844-1845, dalla traduzione francese del libro di James Mill, Elemens d’économie politique (Paris 1823).

2) La parte superstite (risalente al periodo settembre-ottobre 1858) del secondo e del terzo capitolo, dedicati rispettivamente al denaro e al capitale, del “testo primitivo” (Urtext) di Per la critica dell’economia politica (1859).

3) L’appendice sulla forma di valore per i lettori “non dialettici”, che Marx su consiglio di Friedrich Engels (1820-1895) e di Louis Kugelmann (1828-1902) preparò per la prima edizione del primo libro de Il capitale (1867). Nella seconda edizione (1872) Marx fuse poi insieme il primo capitolo della prima edizione e l’appendice per i lettori “non dialettici” nell’unica nuova versione del primo capitolo, che sarà alla base anche dell’edizione francese (1872-1875) e della terza (1883) e quarta (1890) edizione, pubblicate queste ultime due postume da Engels.

4) Le glosse, risalenti al 1881, alle parti della seconda edizione (1879) del Manuale di economia politica del “socialista della cattedra” Adolph Wagner (1835-1917), in cui erano contenuti riferimenti espliciti alla prima edizione del primo libro de Il capitale (1867).

5) L’inchiesta operaia preparata personalmente da Marx nel 1880 per il movimento rivoluzionario francese.

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la citta futura

La parabola dell’economia politica

Parte V: Marx, la crisi e le leggi di movimento del capitalismo

di Ascanio Bernardeschi

L’ultimo articolo su Marx riguarda la spiegazione della crisi economica e le leggi di movimento del modo di produzione capitalistico: concentrazione e centralizzazione dei capitali, finanziarizzazione, polarizzazione della ricchezza e impoverimento relativo dei lavoratori. Qui la parte I, qui la parte II, qui la parte III, qui la parte quarta

97570b1315a96c3f4a203c16a45c2b14 XLLe cause delle crisi

Ai tempi di Marx, gli economisti borghesi ortodossi erano convinti che la crisi non potesse esistere. Ciò vale non solo per l’economia volgare, ma anche per i primi, grandi economisti classici. Secondo Adam Smith, per esempio, i meccanismi del mercato sono perfetti: dobbiamo il nostro benessere all’egoismo degli operatori economici e alla mano invisibile del mercato, mentre lo Stato, per non compromettere questo idillio, dovrebbe limitarsi a svolgere alcune funzioni, pur importanti, quale l’istruzione, la difesa ecc., astenendosi dall’interferire nell’economia.

David Ricardo, da parte sua, aderisce alla cosiddetta legge di Say, o legge degli sbocchi, secondo cui le crisi generali di sovrapproduzione sono impossibili in quanto ogni offerta di prodotti crea la propria domanda. Possono esserci quindi solo sovrapproduzioni settoriali, non generali, e per i brevi periodi necessari al raggiungimento di un equilibrio tra domanda e offerta.

Nei precedenti articoli abbiamo avuto occasione di esporre la confutazione marxiana della legge di Say e quindi la possibilità della crisi.

Tuttavia essa, per Marx, non è solo possibile, ma necessaria, un dato fisiologico del modo di produzione capitalistico, è anche il modo violento con cui tale sistema economico risolve le sue contraddizioni. Quindi occorre esporre gli argomenti di Marx che spiegano come questa possibilità sia anche effettualità. L’argomento fondamentale è che il profitto, la valorizzazione del capitale, l’accumulazione di ricchezza astratta, è l’unico scopo perseguito dai capitalisti e che essi interrompono la loro attività, tolgono il denaro dalla circolazione, non lo reinvestono in attività produttive, lo tesaurizzano o lo investono in attività puramente finanziarie e speculative, quando non ci sono le condizioni per una sua sufficiente remunerazione, innescando effetti a catena per cui le disgrazie di qualche capitalista si ripercuotono con un effetto domino su altri capitalisti che vedono restringere la loro fetta di mercato.

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Marx, marxismi e decrescita

di Paolo Cacciari

andre amaral xavier tABAti6Qko4 unsplash 1320x1054Il problema che il mondo ha di fronte, dicono il pensiero femminista e quello ecofemminista, va oltre il capitalismo. In ogni caso, per cambiare l’ordine delle cose oggi non basta mettere in discussione il valore economico in una società di mercato: si tratta di immaginare, prendendo spunto da movimenti e pensieri diversi, un’economia ecologica post-crescita. «La possibilità che un futuro sempre più artificiale, distopico e autoritario non si realizzi – scrive Paolo Cacciari – non dipenderà tanto dal fatto che il capitale potrebbe implodere sbattendo nei “limiti planetari” della biosfera, ma dalla nostra (dell’umanità) capacità di opposizione, di ideazione, di progettazione e sperimentazione di sistemi socioeconomici diversi…». Abbiamo bisogno di costruire ponti tra l’ecologia politica e l’eco-marxismo. Appunti verso un prezioso seminario su Marx, marxismi e decrescita.

* * * *

“Non aduliamoci troppo tuttavia per la nostra vittoria umana sulla natura. La natura si vendica di ogni nostra vittoria. (…) Ad ogni passo ci vien ricordato che noi non dominiamo la natura come un conquistatore domina un popolo straniero soggiogato, che non la dominiamo come chi è estraneo ad essa ma che noi le apparteniamo con carne e sangue e cervello e viviamo nel suo grembo: tutto il nostro dominio sulla natura consiste nella capacità, che ci eleva al di sopra delle altre creature, di conoscere le sue leggi e di impiegarle nel modo più appropriato”
Engels (1876).

In preparazione dell’incontro di settembre a Venezia (www.venezia2022.iy), il prossimo venerdì 17, il gruppo dei Pensionati critici di Mestre ha organizzato un seminario su Marx, marxismi e decrescita (Decrescita e marxismi – Verso Venezia 2022 | 7-8-9 settembre 2022).

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la citta futura

La parabola dell’economia politica

Parte IV: Marx, la caduta tendenziale del saggio del profitto

di Ascanio Bernardeschi

Nella spietata competizione fra capitali, ognuno cerca di abbassare i propri costi per vincere la concorrenza introducendo innovazioni che risparmiano lavoro. Così facendo il capitale, che si può valorizzare solo attraverso l’eccedenza di lavoro, il pluslavoro, va incontro, sia pure fra alti e bassi, alla caduta del saggio del profitto e al proprio declino. Qui la parte I, qui la parte II, qui la parte III.

b61d1c0d95fe000c263f309c4d54cd77 XLIl plusvalore, che ha nel lavoro l’unica fonte, è limitato dal numero di lavoratori impiegati e dalla durata della giornata lavorativa, che ovviamente non può superare le ventiquattro ore; anzi dura molto meno, viste le ovvie necessità fisiologiche dei lavoratori. Se si rapporta questa grandezza, che ha dei limiti oggettivi, al lavoro incessantemente crescente già oggettivato in passato nel capitale impiegato, possiamo già intuire l’esistenza di una tendenza alla diminuzione del saggio del profitto che consiste proprio nel rapporto tra queste due grandezze (il plusvalore e il valore del capitale impiegato).

Marx evidenzia già nei Grundrisse che il capitale tende da un lato, con l’introduzione di metodi e tecnologie sempre più prestanti, a ridurre il tempo di lavoro necessario, mentre deve misurare il valore in termini di tempo di lavoro. In un passaggio profetico sul macchinismo, sottolinea come questa tendenza avrebbe ridotto il ruolo del lavoro a misera cosa rispetto alla potenza produttiva delle macchine. E tuttavia questa contraddizione fra la progressiva diminuzione del tempo di lavoro necessario in rapporto al capitale costante impiegato e il bisogno del capitale di estrarre plusvalore, di “succhiare” lavoro vivo, per valorizzarsi, avrebbe condotto al superamento della legge del valore e a una società in cui il benessere sia dato non dal tempo di lavoro, ma dal tempo libero di cui ogni uomo possa disporre grazie ai servizi delle macchine. Questo sbocco è tuttavia impossibile all’interno del modo di produzione capitalistico e infatti, dopo la parentesi di alcune conquiste della classe lavoratrice, la tendenza è quella di un inasprimento di orari e ritmi di lavoro, proprio per la fame crescente di plusvalore.

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Tra 1 abito e 10 braccia di tela: il problema dell'equivalenza

di Frank Grohmann

Lacan«È questo ciò di cui si tratta, ed è questo che voglio proporre oggi alla fine di questa lezione: gli è che la Metonimia, a rigor di logica, costituisce quel luogo dove noi dobbiamo posizionare qualcosa che è primordiale, e questo qualcosa è talmente primordiale ed essenziale nel linguaggio umano al punto che noi, qui, al contrario, lo assumiamo secondo la dimensione del senso. Voglio dire che, partendo dalla diversità di questi oggetti - che sono già costituiti a partire dal linguaggio, e in cui viene introdotto il campo magnetico del bisogno di ciascuno, con le sue contraddizioni - la risposta che ho introdotto precedentemente a questo qualcos'altro, che forse qui potrebbe sembrare paradossale, è stata quella della dimensione del valore.

E questa dimensione del valore, è per l'appunto qualcosa che possiede una sua dimensione di senso in relazione a esso. Si pone e si impone in quanto essere in contrasto, a partire dal fatto che si tratta di un altro versante, di un altro registro. Se qualcuno di voi ha abbastanza familiarità; non dico con tutto il Capitale - chi ha letto il Capitale! - ma con il primo libro del Capitale, che in generale hanno letto tutti, vi chiederei di andare alla pagina in cui Marx, nel formulare quella che, in una nota, viene chiamata la teoria della forma particolare del valore della merce, appare come un precursore della fase dello specchio. In questa pagina [N.d.T.: sulla forma di equivalenza del valore della merce] - in questo suo prodigioso primo libro, che ce lo mostra, cosa rara, nelle vesti di uno che tiene un discorso filosofico articolato - Marx fa questa osservazione eccessiva e sovrabbondante, egli fa la seguente considerazione: che prima di intraprendere qualsiasi tipo di studio delle relazioni quantitative di valore, come prima cosa è necessario presupporre che non può essere stabilito nulla, se non sotto forma dell'istituzione di una specie di equivalenza fondamentale che non si riferisce semplicemente ai tanti tessuti uguali, ma alla metà del numero degli abiti; cioè, esiste già qualcosa che va strutturato nell'equivalenza tela-vestito - vale a dire che gli abiti possono rappresentare il valore della tela, nel senso che essa non è, come un abito, qualcosa che può essere indossato; e che all'inizio dell'analisi c'è qualcosa per cui l'abito può diventare il significante del valore della tela.

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La parabola dell’economia politica

III. Marx, la trasformazione del plusvalore in profitto, interesse e rendita

di Ascanio Bernardeschi

I capitalisti commisurano il plusvalore estratto non al solo capitale variabile, ma a tutto il capitale: in tal modo il plusvalore si trasforma in profitto. Avvicinandoci alla complessità del reale e alla concorrenza fra diversi capitali si vede che il plusvalore viene ripartito fra i capitalisti di tutti i comparti, produttivi e improduttivi, in ragione all’incirca proporzionale al capitale anticipato. I prezzi che ne scaturiscono differiscono dai valori, ma è la legge del valore a determinarli con le opportune mediazioni. Qui la parte I, qui la parte II

d7d4debeacc031b761decd6f6d9d20bb XLLa trasformazione del plusvalore in profitto, del saggio del plusvalore in saggio del profitto e dei valori in prezzi di produzione

Dal punto di vista dei capitalisti il risultato economico, che sappiamo scaturire dal solo plusvalore, corrispondente al lavoro non pagato, deve essere valutato in rapporto all’intero capitale anticipato e non al solo capitale variabile. Lo scopo del capitale è la sua autovalorizzazione, e la si misura confrontandola con tutto il capitale. Diviene perciò, da quel punto di vista del capitale, cruciale il saggio di incremento del capitale, ΔD/D. Il plusvalore, in quanto rapportato all’intero capitale prende così la forma di profitto e l’efficienza delle imprese è misurata dal saggio del profitto, cioè il rapporto fra i profitti realizzati e tutto il capitale anticipato. Tale rapporto è espresso dalla seguente relazione

r=pv/(c+v) (1)

dove r è il saggio del profitto, c il capitale costante, v il capitale variabile, e il profitto in questa fase dell’analisi viene identificato con il plusvalore, pv. Questa relazione produce l’illusione che tutto il capitale, e non solo la forza-lavoro, contribuisca a produrre profitti.

Essendo questa la misura del rendimento di un capitale, i capitalisti cercheranno di investire i loro capitali nei settori che consentono di realizzare il maggiore saggio del profitto, che comporta, a parità di valore del capitale anticipato, anche maggiori profitti assoluti. Questa tendenza fa sì che accresca la competizione fra i capitali allocati nei settori maggiormente profittevoli, con un conseguente aumento dell’offerta di prodotti di quei settori, determinando una tendenza alla diminuzione dei valori di mercato dei rispettivi prodotti e quindi dei corrispondenti profitti e un aumento in quelli dove invece la competizione va diminuendo.

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la citta futura

La parabola dell’economia politica

II. Marx, il processo di circolazione del capitale

di Ascanio Bernardeschi

I presupposti dell'accumulazione del singolo capitale non coincidono con i presupposti dell'accumulazione per l'intera società. Questi ultimi non possono essere assicurati dalla mano invisibile del mercato ma vengono realizzati solo al prezzo di crisi e fallimenti. Qui la parte I

383a36c17eafaeefd59fc7a88edd42c7 XLLa rotazione del capitale

Il secondo libro del Capitale tratta del processo di circolazione. Parlando della metamorfosi del capitale, D-M-D’, abbiamo visto che la circolazione, per esteso D-M(Fl,Mp)...P...M’-D’, è interrotta dal tempo di produzione, P. Tale tempo a sua volta si suddivide in tempo di lavoro, tempo di pausa (le notti, le festività, le interruzioni ecc.) e tempo occorrente perché si sviluppino processi naturali, come nel caso delle colture agricole, delle fermentazioni, delle trasformazioni chimiche ecc. Il tempo di circolazione a sua volta si suddivide in tempo d’ordine, tempo di consegna e tempo di pagamento e si riferisce sia alla fase D-M, l'acquisto di mezzi di produzione e forza-lavoro che alla fase M'-D', la vendita del prodotto.

La sommatoria di tutti questi tempi costituisce il tempo di rotazione del capitale, cioè il tempo che trascorre dall'anticipazione del denaro per acquistare i fattori produttivi D-M(Fl,Mp) fino al ritorno, con la vendita del prodotto, di una somma di denaro maggiore di quello anticipato, M'-D’. In uno stesso capitale tuttavia i tempi di rotazione delle singole componenti differiscono. La materia prima “ritorna” come denaro dopo l'unico solo ciclo di circolazione in cui viene acquistata, trasformata e venduta; invece una macchina che cede gradualmente il suo valore al prodotto, via via che si logora, viene in genere interamente rimpiazzata dopo un certo numero di cicli produttivi e per ognuno se ne determina, sotto la voce “ammortamento” l’entità della sua perdita di valore, coincidente con il valore trasferito al prodotto. Astraendo per semplicità dal capitale fisso, quanto più breve è il tempo di rotazione, tante più rotazioni effettua un determinato capitale nel corso dell’anno.

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la citta futura

La parabola dell’economia politica dalla scienza all’ideologia

Marx, il salario e l'accumulazione

di Ascanio Bernardeschi

Il salario appare come il compenso per il lavoro ma è la forma fenomenica con cui si manifesta il valore della forza-lavoro. Il capitale e la sua accumulazione poggiano interamente sullo sfruttamento del lavoro. La legge fondamentale dell'accumulazione capitalistica prevede la presenza di un esercito industriale di riserva. L'accumulazione originaria è basata sulla rapina. Qui la prima parte

ceee4096d5685eeea05189db7dc04044 XLLa funzione della teoria del valore in Marx

La teoria del valore, nell’analisi di Marx, è uno strumento per indagare i rapporti sociali e le caratteristiche specifiche delle società contemporanee e le sue “leggi di movimento”.

Nelle comunità primitive, così come avviene all'interno di una famiglia, gli uomini organizzavano il lavoro e lo ripartivano fra i vari obiettivi (per la produzione dei beni di consumo ritenuti maggiormente utili, per realizzare degli strumenti di lavoro, per la cura della prole ecc.) in base a una pianificazione, sia pur elementare, così come nella futura società comunista il lavoro verrà distribuito in base a un piano consapevole dei “produttori associati”. Nella società capitalistica, invece, l’allocazione del lavoro e la sua ripartizione fra i vari rami produttivi avviene in base alla legge del valore e al criterio di massimizzazione dei risultati individuali da parte dei singoli capitalisti. Il risultato complessivo è dato dalla somma di queste azioni non coordinate a priori e la smithiana “mano invisibile del mercato” non sempre funziona al meglio.

Caratteristica di questo modo di produzione, in cui predomina l’accumulazione di valore astratto, è che il processo lavorativo con cui si producono oggetti utili non è altro che il mezzo per tale accumulazione, mentre il fine è il processo di valorizzazione del capitale. La produzione, la realizzazione e l'accumulazione di plusvalore divengono fine a sé stessi. Vengono prodotti beni utili solo in quanto ciò è un mezzo per valorizzare il capitale. Il lavoro interessa solo come produttore di plusvalore, sorgente unica della valorizzazione del capitale, e la sua attitudine a produrre determinati beni utili, di valori d’uso, è solo una necessità per raggiungere lo scopo della valorizzazione del capitale.

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letture

“La logica del capitale. Ripartire da Marx”

intervista a Roberto Fineschi

Roberto Fineschi: La logica del capitale. Ripartire da Marx, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici Press, 2021

a94dfff6f328b3b3fb36c05ac1dc4c87 XLProf. Roberto Fineschi, Lei è autore del libro La logica del capitale. Ripartire da Marx edito dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici: quali condizioni consentono oggi una nuova lettura dell’opera di Karl Marx?

Le condizioni sostanziali sono due. La prima è di carattere scientifico: la nuova edizione storico-critica delle opere di Marx ed Engels (la seconda Marx-Engels-Gesamtausgabe, MEGA2) sta mettendo a disposizione per la prima volta nella storia della ricezione marxiana una serie di testi fondamentali prima inaccessibili. Essi hanno cambiato la faccia di alcune delle opere fondamentali di Marx come i cosiddetti Manoscritti economico-filosofici del ‘44, L’ideologia tedesca e, soprattutto, Il capitale. Il Marx che possiamo leggere oggi non è quello che è stato letto fino ad oggi.

La seconda è di carattere storico-politico. Senza esprimere sommari giudizi sulla storia novecentesca, è un dato di fatto che qualunque movimento politico organizzato ha bisogno di una dottrina certa e immutabile su cui basare la propria azione. Il marxismo inevitabilmente aveva ingessato il pensiero di Marx. L’ortodossia sovietica aveva poi finito per influenzare anche le posizioni anti-sovietiche o eclettiche. Al di là della valutazione che si voglia dare di queste esperienze (e sarebbe insensato liquidarle con sufficienza), è evidente che il venir meno di questo contesto nel suo complesso ha senz’altro permesso un più libero approccio al testo di Marx.

 

Quali nuove interpretazioni un’analisi filologicamente rigorosa della teoria marxiana?

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lanatra di vaucan

Introduzione a “Il capitale mondo”

di Massimo Maggini

capitale mondo page 0001La fase terminale volge sempre in farsa,
anche se, in ultima analisi, in una farsa sanguinosa
Robert Kurz

Con la pubblicazione de Il capitale mondo esce finalmente in Italia uno dei libri più interessanti ed importanti di Robert Kurz.

Kurz, insieme a pochi altri (fra cui Roswitha Scholz, Norbert Trenkle e Ernst Lohoff), è stato il fondatore della corrente di pensiero chiamata Wertkritik (Critica del valore),1 una rilettura del pensiero marxiano che privilegia gli aspetti rimasti in ombra nella ricezione di Marx da parte del marxismo classico. Quest’ultimo, infatti, ha focalizzato l’attenzione sulla lotta di classe, sulla soggettività operaia e sulla richiesta di una più equa distribuzione del prodotto e della redditività sociale – tutti temi sicuramente presenti nell’opera marxiana – trascurando però quasi completamente, tranne qualche insufficiente e temporanea eccezione, una parte altrettanto presente ed importante, se non anche più dell’altra, che analizza la struttura di fondo del sistema del capitale e ne rintraccia le contraddizioni interne e i limiti invalicabili, verso i quali questo sistema è necessariamente indirizzato per un proprio moto interno ineludibile.

Non è un caso, infatti che Kurz parli di un “duplice Marx”,2 distinguendo fra un Marx “essoterico”, quello appunto della “lotta di classe” (un “rampollo e dissidente del liberalismo, il politico socialista della sua epoca ed il mentore del movimento operaio, che si limitava ad esigere diritti di cittadinanza e un ‘equo salario per una giornata di lavoro equa’ ”, come lo definisce Kurz),3 dove il capitale non è letto come un rapporto sociale storicamente determinato ma viene “ontologizzato”, e l’obiettivo principale diventa il rovesciamento dei rapporti di potere, non del sistema nelle sue fondamenta, e quello “esoterico”, critico impietoso della struttura capitalistica e del suo ottuso feticismo, della forma-valore, che presiede al movimento del capitale, e del tanto osannato – specie dai paladini del marxismo classico – “lavoro astratto” che ne è, diciamo, l’“esecutore materiale”.4

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intrasformazione

Marx, Il Capitale, I, (5-9). Una guida per principianti

di Antonino Morreale

AO2kzM4gzN5gDO4cTONel primo libro del Capitale, col capitolo 4, la “trasformazione del denaro in capitale”, Marx ha chiuso la sua vacanza “logico-deduttiva”, “hegeliana”, per scaraventarsi nel mondo. Il “denaro” si è trasformato in “capitale”, grazie al casuale ritrovamento di qualcosa di particolare, la forza-lavoro che lo ha fatto crescere. Una volta afferrato il concetto del capitale è possibile riconoscerlo nella storia ed esporne lo sviluppo. La logica ha guidato la ricerca storica. Giunti a questo, il capitale ormai non si può più permettere di lasciare ai ritrovamenti casuali del plusvalore “assoluto” il proprio destino storico, perciò ha creato il proprio presupposto, il proprio plusvalore specifico, unico “relativo” a sé. Ha provato a chiudere il cerchio per garantirsi un’esistenza eterna, circolare, una “circulata melodia”. Da adesso, è di questo che Marx si occuperà.

 

Cap.5 Processo lavorativo e processo di valorizzazione

“L’uso della forza-lavoro è il lavoro stesso. Il compratore della forza-lavoro la consuma facendo lavorare il venditore di essa. Per tale via, quest’ultimo diviene actu forza-lavoro che si attua, lavoratore, ciò che prima era solo potentia”1.

Anche se, come si vedrà, è faticoso e poco lineare, questo capitolo ha una importanza speciale. Marx vi svela il sorgere del “plusvalore assoluto”.

Processo lavorativo

Ripartiamo da lì, dal finale del cap. 4; dal teatrino messo in scena dal capitalista. Da una parte l’acquisto di forza-lavoro da parte del “sorridente e significativamente compiaciuto”, “possessore di denaro”, che “marcia in testa come capitalista”; dall’altra, “il possessore della forza-lavoro”, “timido, riluttante” che “non ha da aspettarsi altro che la -concia”2.

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la citta futura

La parabola dell’economia politica dalla scienza all’ideologia

di Ascanio Bernardeschi

1159f95dad2c700aebdcc3993541e6d0 XLI. La fisiocrazia

Questa prima parte è dedicata ai fisiocratici e in particolar modo al Tableau économique di Quesnay

Anche se già nell’antichità non mancarono riflessioni sull’attività umana volta a produrre e riprodurre la società, come per esempio con Aristotele che tese a distinguere fra economia e crematistica, quest’ultima intesa come accumulazione di ricchezza misurata in denaro e considerata attività innaturale, Marx aveva ben chiaro che si può parlare di economia politica come scienza autonoma solo con l’affermarsi del modo di produzione capitalistico. Nelle società precedenti, infatti, la riproduzione sociale era governata da regole fisse, i rapporti di dipendenza erano rapporti personali stabiliti per legge o per volontà divina e inderogabili e lo sfruttamento era ben visibile, senza la necessità di dotarsi di una scienza: 

“La corvée si misura col tempo, proprio come il lavoro produttore di merci, ma ogni servo della gleba sa che quel che egli aliena al servizio del suo padrone è una quantità determinata della sua forza-lavoro personale. La decima che si deve fornire al prete è più evidente della benedizione del prete” [1].

Con l’affermarsi del modo capitalistico di produzione, i rapporti sociali perdono la caratterizzazione di rapporti di dipendenza personale, gli uomini sono tutti liberi e uguali di fronte alla legge e occorre la scienza per indagare come, sotto la superficie di rapporti paritari nel mercato, sussista la dipendenza di carattere economico e lo sfruttamento. Per questo motivo gli albori dell’economia politica coincidono con l’affermazione di questo modo di produzione.

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lordinenuovo

La critica marxiana del misticismo logico hegeliano e la critica antirevisionista del feticismo democratico

di Eros Barone

marxcop 660x4002xLa fortuna del giovane Marx e il suo uso revisionista

Gli opportunisti del nostro tempo ripetono cose che i revisionisti della Seconda Internazionale avevano già scoperto. Per questo le critiche che Lenin fece ai Kautsky, ai Vandervelde, agli Otto Bauer, colpiscono giusto anche oggi. Anzi, come oggi il riformismo ha accentuato la sua funzione di agente del capitalismo e dell’imperialismo in seno alla classe operaia, nel senso che questo legame è diventato diretto e immediato, così ha perso in gran parte quella capacità teorica che distingueva pur sempre i revisionisti dell’epoca di Lenin. Oggi la mistificazione della essenza rivoluzionaria del marxismo è più grossolana e assai meno ‘dialettica’ di un tempo.

Per quanto concerne le opere giovanili di Marx e, segnatamente, la Critica della filosofia hegeliana e i Manoscritti economico-filosofici del 1844, occorre rilevare innanzitutto che esse sono state edite soltanto nei primi decenni del ventesimo secolo, cioè in un periodo in cui il marxismo si identificava praticamente con l’Internazionale Comunista e con la dittatura del proletariato in Unione Sovietica. Immediatamente, fin da quegli anni, e poi ancora più clamorosamente in séguito, il “giovane Marx” ebbe una fortuna insospettata in Europa occidentale e particolarmente in Germania. Intorno al 1930 il giovane Marx fu preda degli intellettuali socialdemocratici e non marxisti, che lo usarono in funzione anticomunista e antisovietica. Accadde così che per combattere la concezione, allora dominante (grazie alla grandiosa opera di Lenin e, poi, di Stalin) del marxismo come scienza e del socialismo come movimento rivoluzionario tendente ad instaurare la dittatura del proletariato, fu “scoperto” un Marx “umanista”, “democratico”, “storicista”, “moralista”. Il terreno favorevole a questa operazione, del resto, era già stato inconsapevolmente preparato con successo negli anni Venti dall’“ultrasinistrismo” di filosofi (“piccolo-borghesi”, secondo il giudizio di Stalin) come György Lukács e Karl Korsch, che avevano teso a sottolineare gli aspetti soggettivistici, volontaristici, antipositivistici, del pensiero marxiano.

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machina

Lavoro e tempo di lavoro in Marx

di Franco Piperno

Dopo aver analizzato la nozione di tempo nel pensiero di Aristotele, Franco Piperno si rivolge ora a un'indagine sullo sviluppo del rapporto tra tempo e lavoro nelle opere di Marx

0e99dc 9f02e60675fb4041a65888fbbe1252f7mv2I) Cento anni dopo

A più di un secolo dalla morte, Marx viene trattato, tanto nell’opinione quanto nell’accademia, come «un cane morto». La situazione è quindi ottima per riprendere lo studio dei suoi testi, per rifare i conti con lui. Procedere su questa strada, comporta,in primo luogo, sgombrare il terreno dall’ovvio, rifiutare la relazione di causalità tra l’attuale discredito di cui gode il Nostro e il crollo del socialismo di stato nell’Europa dell’Est. L’inconsistenza logica della dottrina marxista, così come la cattiva astrazione sulla quale si fondava la legittimità dei regimi socialistici, erano nascoste solo agli occhi di chi non voleva vedere. Tutto era chiaro già da prima, da molto prima. A testimonianza che il senso comune non ha atteso il crollo del muro di Berlino per formulare un giudizio sulla teoria del socialismo scientifico e sulla natura del socialismo di stato riproponiamo, qui di seguito,un breve commento a riguardo, scritto nel 1983, in occasione del centenario della morte di Marx, quando il Paese dei Soviet esisteva ancora[1]:

La celebrazione di K. Marx, nel centenario della morte, costituisce quel piccolo dettaglio più illuminante che un intero discorso. Innanzi, tutto chi celebra chi? Giacche’ bisognerà bene augurarsi che esista qualche differenza tra il Marx celebrato dal compagno Andropov, attuale primo ministro sovietico ed ex-capo del K.G.B.; e quello di cui si ricorda il militante dell’Autonomia nelle prigioni italiane. Non che ci siano celebrazioni illegittime; è solo che, forse, Marx, il nostro Marx, non merita d’essere celebrato[2] né dagli agenti segreti,né dai professori universitari e nemmeno dai militanti di Autonomia.

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maggiofil

Così parlò Saggio Massimo. Cronache marXZiane n. 7

di Giorgio Gattei

Cubo di ZarathustraSul pianeta Marx, questo corpo celeste improvvisamente comparso nella costellazione dell’Economia sul finire del XVIII secolo, è presente una estrema periferia dove non si pagano salari (così si dice, ma non è proprio così come vedremo). Qui abita Saggio Massimo (del profitto) che logicamente consegue, in un sistema di prezzi di produzione, da un Netto Y che si spartisce tra Salario W e Profitto P, con quest’ultimo misurato da un saggio generale del profitto r sul capitale K complessivamente impiegato:

Y = W + P = W + rK

quando il salario W risulta pari a zero:

max r = R = Y / K

(il che sembrerebbe una pacchia per i capitalisti perché i lavoratori non consumano nulla, ma nella condizione di Saggio Massimo tutto il profitto deve essere risparmiato per essere investito in accumulazione, così che nemmeno i capitalisti consumano nulla). Così Saggio Massimo misura quel rapporto tra Netto e Capitale che nella Cronaca marXZiana precedente abbiamo visto coincidere, mediante l’espediente sraffiano del “sistema tipo”, con quel Rapporto-tipo (R = R*) che prescinde dai prezzi e siccome nella periferia di Saggio Massimo il salario è nullo, R* non è influenzato nemmeno dalle variazioni della distribuzione del reddito che non possono esserci.

Si capisce perciò come quel luogo sia il più insolito del pianeta Marx e dove devono valere regole così particolari di funzionamento che quando Piero Sraffa nella sua esplorazione del pianeta ha incontrato Saggio Massimo, ha voluto farsele spiegare in un colloquio personale.

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materialismostorico

L’eredità di Rosa Luxemburg

di Giovambattista Vaccaro (Università della Calabria)

rosaluxemburg targa1. Introduzione

Il pensiero di Rosa Luxemburg non ha mai riscosso un particolare interesse nel nostro paese, probabilmente perché, come ha rilevato il suo maggiore studioso e diffusore italiano, Lelio Basso, su di esso hanno pesato due diversi approcci: quello socialdemocratico, che fa della rivoluzionaria polacca il grande avversario di Lenin e il grande difensore della democrazia, e quello comunista, per il quale – specularmente – la Luxemburg aveva sempre torto e Lenin sempre ragione1. Così, nonostante si sia visto in lei uno dei migliori esegeti e volgarizzatori del marxismo2 e l’esponente di un marxismo creativo e ricco di contributi originali3, il giudizio che ha prevalso è stato quello per cui il suo pensiero rimane caratterizzato da un economicismo4 in cui l’analisi slitta dal piano economico a quello geografico, producendo così «acrobazie in materia economica»5 e argomentazioni economiche deboli. Un pensiero che non contribuisce a una teoria politica della rivoluzione, inoltre, perché manca in esso l’attenzione per l’aspetto politico-istituzionale della rivoluzione e la distinzione tra avanguardia e masse6. Questo giudizio non è sostanzialmente cambiato negli anni del ripensamento del marxismo e della strategia del movimento comunista successivi alla catastrofe del ’56, anche se sulla base di argomentazioni diverse, come ad esempio quella, tipica dell’operaismo italiano, che chiama in causa il tramonto della figura dell’operaio professionalizzato e il parallelo sorgere dell’operaio-massa; una novità che avrebbe reso del tutto inattuale e astratta l’ipotesi politica dei consigli operai formulata dalla Luxemburg e ripresa da tutto il Linkscommunismus tedesco degli anni Venti, incapace di scorgere nella ristrutturazione del ciclo capitalistico che modificava l’assetto della forza- lavoro la risposta del capitale all’insubordinazione operaia7.

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sinistra

Lenin e la pratica filosofica*

di Carlo Di Mascio

lenin filosoficosLa verità non sta all’inizio, ma alla fine, o, più esattamente, nella continuazione. La verità non è l’impressione iniziale
Lenin, Quaderni filosofici

Bisogna ribadire ‘ad nauseam’ […] il fatto che l’idealismo di Hegel non implica la tesi secondo la quale lo scibile è posto da un ‘io’, vale a dire da un sé che è l’essenza di ogni autoscienza, o addirittura da un isolato soggetto-coscienza.
Hans-Friedrich Fulda, Dialektik in Konfrontation mit Hegel

I.

Louis Althusser, nel suo Lenin e la filosofia, analizzando la distanza tra Lenin e la filosofia ufficiale, quella professorale, accademica, distanza che tende ad annullarsi ogni volta che la filosofia si trova costretta a fare i conti con l’urgenza dell’azione politica e della sua inesorabile relazione con essa, commentava come Lenin, «un naïf e un autodidatta in filosofia […] semplice figlio di maestro, piccolo avvocato diventato dirigente rivoluzionario», avesse avuto l’ardire di confrontarsi con la filosofia ufficiale e tutto questo con l’obiettivo preciso di promuovere «una pratica veramente cosciente e responsabile della filosofia»1. Ora, tuttavia, ciò che maggiormente colpisce di questa premessa è il fatto che Lenin, con tutte le inadeguatezze del caso, abbia inteso occuparsi – in un momento storicamente decisivo, connotato dalle conseguenze del fallimento rivoluzionario del 1905, dal disorientamento «ideologico» di molti intellettuali marxisti del tempo2, dalla singolare parabola della Seconda Internazionale, dal 1889 sino al suo crollo nel 19143, nonché dall’avvicinarsi di un conflitto mondiale e di una rivoluzione proletaria inevitabile – proprio di filosofia, ed in particolare tra il 1908 e il 19164, pur riconoscendo a più riprese, come sottolineato in una lettera a Gorki del 7 febbraio 19085 di non essere un filosofo, di essere impreparato, ma purtuttavia di non fare filosofia come quelli che la fanno di professione, i quali, invece, si limitano a «ruminare nella filosofia.

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sebastianoisaia

La relazione capitale-lavoro come rapporto di classe

di Sebastiano Isaia

kpÈ il capitale che impiega il lavoro. Già questo rapporto,
nella sua semplicità, è personificazione delle cose e
reificazione delle persone. In questo modo, il capitale
diventa un essere incredibilmente misterioso (K. Marx).

La relazione Capitale-Lavoro è in primo luogo e fondamentalmente un rapporto di classe, non un fatto meramente economico che si esaurisce sul mercato del lavoro o dentro il luogo di lavoro. Quella relazione, che caratterizza la società capitalistica, presuppone e pone sempre di nuovo l’esistenza del rapporto capitalistico di produzione, il quale si fonda sulla separazione dei produttori diretti (i lavoratori) dai mezzi di produzione e, quindi, dal prodotto del loro lavoro. I lavoratori posseggono solo la loro capacità lavorativa, che essi offrono sul mercato del lavoro al miglior offerente per riceverne in cambio un salario; i mezzi di produzione (macchine, edifici, materie prime, ecc.) e i mezzi di sussistenza comprati dai lavoratori con il salario ricevuto sono invece di esclusiva proprietà del Capitale – non importa in quale forma giuridica esso si presenti dinanzi al lavoratore: capitale privato, capitale pubblico, azionario, “misto” pubblico-privato, cooperativistico, e quant’altro.

Riprendendo ironicamente la celebre frase di Proudhon («La proprietà è un furto»), Marx definisce la proprietà specificamente capitalistica nei termini di un «furto di lavoro altrui». «La proprietà di capitale possiede la qualità di comandare sul lavoro altrui» (1).

Apro una piccola parentesi a proposito della fenomenologia giuridica del Capitale. Nel Manifesto del partito comunista del 1848, Marx ed Engels scrivono: «I comunisti possono riassumere la loro dottrina in quest’unica espressione: abolizione della proprietà privata» (2).

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jacobin

Il Capitale, per molti e non per pochi

di Sebastiano Taccola

Roberto Fineschi riesce a tenere insieme complessità e divulgazione della teoria di Marx, disegnandola come una «cassetta degli attrezzi» per analizzare il modo di produzione capitalistico

marx jacobin italia 1 1536x560Negli scorsi anni, anche grazie alle celebrazioni del bicentenario della nascita, in Italia (e nel mondo) si è assistito a un intensificarsi delle pubblicazioni su Karl Marx. Testi nuovi e di carattere diverso – divulgativo e scientifico, ammesso che sia possibile fare una distinzione netta tra questi due piani – hanno riportato Marx e il marxismo sugli scaffali delle novità delle nostre librerie e biblioteche. Una simile vitalità ha probabilmente un valore duplice: da un lato, ha rappresentato un’espressione dell’esigenza di un «ritorno a Marx» fortemente avvertita con la crisi economica del 2007-2008; dall’altro lato ha tentato di dare nuovi spunti critici in grado di entrare in sinergia con i fermenti del presente e dare loro nuova forza. 

Se all’estero sono stati soprattutto studiosi come David Harvey o Michael Heinrich a tentare di riportare all’attenzione del grande pubblico la teoria dell’autore del Capitale, in Italia, invece, c’è stata più timidezza (con alcune eccezioni, come ad esempio il Karl Marx di Marcello Musto e la Storia del marxismo curata da Stefano Petrucciani). Del resto, gli addetti ai lavori conoscono bene la difficoltà di sciogliere e rendere comprensibili i nodi e i passaggi più complessi della teoria marxiana del Capitale, pur essendo altrettanto consapevoli della necessità di compiere questo lavoro. Non si tratta tanto di divulgare Il capitale di Marx, ma di operare nelle maglie della società e della cultura contemporanee per radunare un nuovo pubblico per quest’opera: un’opera di scienza, le cui categorie possono aiutarci a spiegare la riproduzione e l’ampliamento delle più diverse forme di sfruttamento oggi in atto. Le sfruttate e gli sfruttati non mancano. Si tratta di tentare di tessere i fili nella direzione giusta.

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perunsocialismodelXXI

Rileggere Marx con gli occhi di Lukàcs

di Carlo Formenti

gyorgy lukacs“Ombre rosse”, che sarà a giorni in libreria per i tipi di Meltemi, è un saggio atipico rispetto ai miei libri precedenti, nella misura in cui prende di petto alcuni nodi teorico-filosofici che altrove erano appena abbozzati, o rimanevano sullo sfondo rispetto all’analisi sociologico-politica. L’esigenza di imbarcarmi in questa impresa è nata un paio d’anni fa, subito dopo l’uscita di un volumetto (1) che conteneva la registrazione di una lunga conversazione fra chi scrive e Onofrio Romano, nel corso della quale tentavamo di capire di quali limiti la teoria marxista dovrebbe sbarazzarsi per riacquistare tutto il suo potenziale rivoluzionario. L’intento non era, come troppo spesso capita, riscoprire l’autentico pensiero di Marx per contrapporlo alle falsificazioni degli epigoni. “Il punto di vista adottato dagli autori di questo libro, scrivevamo, è diverso: partendo dal presupposto che l’originario corpus teorico marxiano - accanto a straordinari elementi di attualità sia sul piano teorico che su quello politico - contiene tesi datate, incomplete e contraddittorie, assume che non lo si possa contrapporre né separare dai tentativi storici di calarlo nella realtà. Pensiamo che sia più utile cercare di capire quali concetti - presenti tanto in Marx quanto nelle varie tradizioni marxiste, anche se con diverse sfumature – vadano aggiornati o addirittura archiviati, in quanto non servono più alla trasformazione rivoluzionaria dell’esistente, se non rischiano di contribuire alla sua conservazione.”

Nella nostra conversazione venivano indicati una serie di punti di criticità: in particolare, affermavamo la necessità:

1) di problematizzare la visione ottimista secondo cui, una volta superata l’estraneità del lavoratore al prodotto del proprio lavoro attraverso il processo di ri-appropriazione dei mezzi di produzione, si passerà automaticamente dal regno della necessità al regno della libertà;

2) di criticare l’ideologia progressista che accomuna certe parti delle opere di Marx al culto liberale della missione “civilizzatrice” della società capitalista;

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carmilla

Althusser, quel filoso… vietico

di Nico Maccentelli

AlthusserPer Marx edito da Editori Riuniti (1973), è una raccolta di saggi di Luis Althusser che in questo caso non tratterò come filosofo, bensì nella sua dimensione politica dell’epoca, quando l’URSS, nel bene e nel male, rappresentava un’alternativa di carattere socialista al sistema capitalista per una bella fetta di umanità. Ho sempre pensato che questa questione non vada trattata con le sole lenti dell’ideologia, né per essere esegeti di quell’esperienza, né per demonizzarla a priori. Sulle lenti di una analisi politica c’è ancora molto da fare. Quello che però qui mi interessa è vedere l’impostazione althusseriana di quegli anni (stiamo parlando degli anni ’60, fino alla metà) in merito a questa questione. Per questo, dei saggi contenuti in questo pregevole libro da bancarella (trovato fortuitamente), mi interessa affrontare solo il capitolo relativo all’URSS, ossia al socialismo reale e all’analisi di classe che Althusser ne trae, per formulare il concetto di “umanesimo socialista”.

Luis Althusser è stato un grande intellettuale e filosofo marxista, che tuttavia risentì sul piano dell’analisi concreta del socialismo dei limiti che l’intellettualità come la militanza comuniste dell’epoca avevano.

Riporto due sue frasi che riguardano la sua adesione al passaggio kruscheviano allo “Stato di tutto il popolo”, che si sarebbe poi cristallizzato nella Costituzione Sovietica del 1977:

«L’Unione Sovietica, impegnata oggi sulla via che dal socialismo (a ciascuno secondo il suo lavoro) la porterà al comunismo (a ciascuno secondo i suoi bisogni), lancia la parola d’ordine: tutto per l’Uomo, e affronta temi nuovi: libertà dell’individuo, rispetto della legalità, dignità della persona.1

(…)

Per più di quaranta anni, in URSS, attraverso lotte gigantesche, l’«umanismo socialista», prima di esprimersi in termini di libertà della persona, si è espresso in termini di dittatura di classe. La fine della dittatura del proletariato apre nell’URSS una seconda fase storica.

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rproject

Michal Kalecki e il marxismo economico del ‘900

di Joseph Halevi e Peter Kriesler (1)

Michal KaleckiI quindici anni che vanno dalla fine del XIX secolo allo scoppio della prima guerra mondiale, formarono forse il periodo più ricco nella storia dell’economia marxiana. Questa ricchezza – magistralmente presentata e resuscitata da Paul Sweezy nel suo insuperabile classico (1942) The Theory of Capitalist Development (1951 edizione italiana) – era stata molto stimolata dalla natura non unicamente accademica del dibattito. I partecipanti, provenienti dall’Europa di lingua tedesca e dall’impero zarista, che in quegli anni includeva anche la Polonia, si sforzavano di capire le dinamiche di accumulazione del capitale in un contesto che sicuramente non era quello di Marx. Il principale sviluppo tra il periodo in cui scriveva Marx e quello dei dibattiti russo-tedeschi fu il cambiamento della natura del sistema capitalista. Il riferimento è alla forza della concorrenza come intesa da Marx quando scriveva:

Inoltre, lo sviluppo della produzione capitalistica rende costantemente necessario aumentare la quantità del capitale investito in una data impresa industriale, e la concorrenza fa sì che le leggi immanenti della produzione capitalistica siano sentite da ogni singolo capitalista, come leggi coercitive esterne. Essa lo costringe ad estendere costantemente il suo capitale per conservarlo, ma egli non può estenderlo se non per mezzo dell’accumulazione progressiva (tradotto da: Karl Marx, Il Capitale, Vol. 1, cap. 24, https://marxists.architexturez.net/archive/marx/works/1867-c1/ch24.htm, visitato il 3/12/20021).

Questa legge coercitiva della concorrenza si manifesta attraverso la “Legge generale dell’accumulazione capitalistica” che Marx sviluppa nel capitolo 25 del primo volume del Capitale(edizione di Mosca) dandogli il medesimo titolo. La legge consiste nel fatto che: (a) il tasso di profitto e il tasso del salario si muovono, l’uno rispetto all’altro, rigorosamente in direzione inversa, (b) tutto il plusvalore viene automaticamente investito indipendentemente dal fatto che il suo ammontare sia alto o basso.