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Il ritorno di Trump

di Gianandrea Gaiani

110624 President Donald Trump AP CMDonald Trump è il trionfatore nella corsa alla Casa Bianca sia per i voti incassati tra i “grandi elettori” e nel voto popolare sia per il successo del Partito Repubblicano nelle elezioni del Congresso. Prima ancora dell’Amministrazione Biden e di Kamala Harris, a uscire sconfitti dal voto americano è il circuito mediatico che ha dimostrato la sua totale inattendibilità e partigianeria.

Pronostici, valutazioni e sondaggi resi noti negli Stati Uniti ma anche in Europa e in Italia hanno dato fino all’ultimo i due rivali testa e testa con un leggero vantaggio per Kamala Harris. Previsioni rivelatesi talmente infondate da alimentare il sospetto che fossero indirizzate più a influenzare il voto degli americani che a fotografarne l’orientamento. Pura propaganda alimentata da media, mondo della cultura e dello spettacolo fin troppo chiaramente schierati con il Partito Democratico che però aveva sollevato ancora una volta un polverone per denunciare (complici anche diversi “zelanti” alleati europei) la “disinformazione russa” tesa a influenzare il voto a favore di Trump.

Difficile credere che coloro che davano Trump e Harris testa a testa nel voto americano si siano tutti sbagliati: appare quindi più probabile che la disinformazione (la nostra, non quella russa) abbia prevalso ancora una volta come è apparso chiaro seguendo alcune “maratone” televisive nostrane.

In queste come in altre elezioni il tema dell’inaffidabilità e dell’informazione (anzi, della disinformazione) attuata da gran parte del circo mediatico occidentale è emerso in modo talmente eclatante da rappresentare paradossalmente una minaccia per l’opinione pubblica e per la democrazia. Specie in un contesto in cui, dalle due sponde dell’Atlantico, si moltiplicano appelli e iniziative tese a limitare o sopprimere la libertà di espressione nel nome della “lotta alla disinformazione”.

In realtà, a determinare il successo del candidato repubblicano sembrano essere stati gli elementi emersi il 5 novembre in un sondaggio effettuato tra gli elettori dalla CNN che ha rivelato come solo il 5% ritenga che l’economia americana sia in uno stato di forma eccellente, mentre circa il 70% ritiene che non versi in buono stato.

Mentre giornali e tv “mainstream” ci ricordavamo come Biden avesse risollevato l’economia USA dopo i disastri ereditati dal primo mandato di Trump, solo il 25 per cento degli elettori afferma di vivere meglio rispetto a quattro anni fa, il 45% che afferma di stare peggio e un elettore su cinque ritiene che l’inflazione sia la causa di gravi difficoltà nell’ultimo anno.

In base alla stessa rilevazione il 43% degli elettori si sono detti “insoddisfatti” dell’andamento degli USA, il 29% di “arrabbiati” contro il 19% di “soddisfatti” e il 7% di “entusiasti”. Per il 61% degli intervistati, i giorni migliori per l’America sono “nel futuro”, e per il 34% “nel passato”. A conferma del pesante giudizio sull’Amministrazione uscente, il 58% degli intervistati ha detto di “disapprovare” l’operato del presidente Joe Biden, rispetto al 41% di “approvazione”.

Possibile che gli umori degli americani siamo rimasti così a lungo invisibili? Che per mesi non siano stati “percepiti” dai media durante la lunga campagna elettorale?

Per valutare come Trump affronterà le tre grandi crisi politiche e militari internazionali (Ucraina, Medio Oriente e Cina/Taiwan) occorre rifarsi alle dichiarazioni del presidente e a quanto fatto nel suo primo mandato tenendo presente che la contingenza potrebbe mutare l’approccio enunciato in campagna elettorale.

In Ucraina Trump ha sempre sostenuto che interromperà il conflitto in breve tempo e una bozza del suo piano di pace è stata affidata da tempo al premier ungherese Viktor Orban che l’ha promossa a Kiev, Mosca, Ankara e Pechino incassando la quasi generale riprovazione dell’Unione Europea.

Non a caso ieri Orban ha detto che la vittoria dei repubblicani e di Donald Trump negli Stati Uniti significano che sarà necessaria una nuova strategia europea nei confronti dell’Ucraina. Secondo Orban, dopo il voto americano l’Europa da sola difficilmente sarà in grado di mantenere il sostegno militare e finanziario all’Ucraina. “Ci sono seri dubbi su questo tema, ed è per questo che sarà necessaria una nuova strategia europea”.

Orban è il leader europeo più vicino a Trump e il più lontano dalle politiche della Commissione Ue rispetto a diversi temi inclusa l’Ucraina. Un motivo in più per temere l’approccio di Trump all’Europa che potrebbe rivelarsi più incline a puntare su relazioni bilaterali con i singoli stati che con una Commissione von der Leyen orientata verso “green e guerra”.

Al di là del tifo espresso in Europa da fans e detrattori di Trump, è meglio non farsi troppe illusioni. Nessun presidente USA curerà mai gli interessi dell’Europa, come hanno dimostrato negli ultimi 15 anni il ruolo di Washington e soprattutto delle amministrazioni de Partito Democratico, nella destabilizzazione di Nord Africa, Medio Oriente e Ucraina.

Trump punterà a negoziare la fine del conflitto in Ucraina (puntando forse sui suoi vecchi alleati dell’entourage dell’ex presidente Pretro Poroshenko) soprattutto perché non intende investire altro denaro americano nella guerra e del resto non ha nascosto in più occasioni la scarsa considerazione nei confronti di Volodymyr Zelensky (che si è complimentato ieri con il neo-presidente) a cui ha ricordato persino i suoi ottimi rapporti con Vladimir Putin.

In che tempi e con quali termini proporrà la fine delle ostilità in Ucraina lo vedremo dopo l’insediamento alla Casa Bianca, dove Trump entrerà il 20 gennaio 2025 salvo sorprese: non è detto infatti che i tentativi di assassinarlo cessino dopo il voto. Sui campi di battaglia è però presumibile che i russi sfrutteranno i prossimi due mesi e mezzo per accelerare il più possibile la loro avanzata in Donbass (compatibilmente con le piogge autunnali) cercando di provocare il tracollo delle forze di Kiev.

Durante il suo primo mandato Trump ha rafforzato l’apparato militare statunitense ma non ha scatenato guerre, anzi ha trattato con i Talebani il disimpegno dall’Afghanistan e aveva aperto le trattative con il presidente nordcoreano Kim Jong Un. In ogni caso è immaginabile che Trump lascerà agli europei il conto salato del dopoguerra, della ricostruzione dell’Ucraina e il costo economico e militare della gestione dei rapporti post-bellici con la Russia.

Nella consolidata visione di Trump, la NATO è utile solo se gli europei pagano per mantenere la protezione dell’ombrello nucleare statunitense, con nuove spese militari tese per lo più ad acquistare armamenti “made in USA”. Da uomo d’affari guarderà presumibilmente più a portare a casa lucrose commesse che a lanciarsi in guerre costose in termini finanziari e di vite umane, anche tenendo conto dell’enorme debito pubblico statunitense.

In Medio Oriente, Trump ha promesso il massimo supporto a Benjamin Netanyahu (i due si sono sentiti ieri), sempre più in difficoltà sul fronte interno come sui fronti bellici, sostenendo Israele come o più di dell’Amministrazione Biden che in un anno di guerra ha fornito a Israele quasi 9 miliardi di dollari di aiuti militari extra.

Il presidente israeliano Isaac Herzog ha scritto sui social che “Trump è un vero e caro amico di Israele e un campione di pace e cooperazione nella nostra regione”. Il neo-ministro della Difesa Israel Katz, ha detto che con Trump “riporteremo indietro gli ostaggi” “e resteremo fermi per sconfiggere l’asse del male guidato dall’Iran”. Secondo la Reuters, un alto funzionario di Hamas, Sami Abu Zuhri, ha sfidato Trump esortandolo a “imparare dagli errori di Biden”.

Nonostante l’ostilità nei confronti dell’Iran, con cui interruppe gli accordi sul programma nucleare di Teheran, è probabile che Trump cerchi di trovare una soluzione alla crisi in Medio Oriente che rinnovi gli accordi di Abramo tra le monarchie arabe del Golfo e Israele e renda più gestibili i rapporti con l’Iran anche per scongiurare una guerra che per gli USA avrebbe alti costi.

Pur senza volersi spingere troppo in là ipotizzando la politica della nuova amministrazione USA, le buone relazioni tra Trump e Putin, se verranno confermate da un accordo per cessare le ostilità in Ucraina, potrebbero determinare una soluzione anche in Medio Oriente considerando la sempre più forte influenza di Mosca sull’Iran e le fortissime relazioni militari bilaterali.

Indipendentemente dal colore delle sue amministrazioni, Washington considera la Cina il principale rivale in termini economici, strategici e militari e il Pacifico l’area su cui concentrare interessi e risorse anche militari.

Questo approccio difficilmente potrà cambiare con Trump, poiché il Pacifico testa l’area di maggiore crescita mondiale, ma The Donald potrebbe puntare più su accordi commerciali con Pechino che su un braccio di ferro militare intorno a Taiwan.

Anche grazie agli errori bellici e politici dell’Amministrazione Biden, soprattutto quello di voler imporre al mondo l’isolamento della Russia, la competizione che gli USA dovranno affrontare non è più solo con Pechino o con altre singole nazioni ma con la sempre più vasta area BRICS, che punta a ridurre l’impiego del dollaro nelle transazioni commerciali.

Trump del resto considera Taiwan un pericoloso rivale commerciale in alcuni settori industriali (ad esempio la produzione di microchip) anche se ieri il direttore generale dell’ufficio per la sicurezza nazionale di Taipei, Tsai Ming-yen, si è dette convinto che gli Stati Uniti continueranno a tenere una “postura amichevole” e a limitare le pretese della Cina nello Stretto.

Anche le aperture di XI a relazioni distese con l’Amministrazione Trump sembrano porre le basi per un clima più disteso, se non sul piano commerciale almeno su quello militare.

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Comments

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Alfred
Thursday, 07 November 2024 23:26
Ho molti dubbi.
Credo ci siano molte aspettattive che saranno disattese.
Condivido il fatto che trump non risolvera' l'europa. L'europa continuera' a essere usata e se il caso depredata.
Ma questo significa anche che qualsiasi nazione 'amica' (per scelta o per forza) sara' riluttante nei rapporti con gli Usa e nel tempo (o velocemente) cerchera' di non farsi trovare quando il padrone bussa a armi o soldi.
Ci sono vari modi per farlo e gli Usa non potranno imporsi se in tanti decidono un bel: preferirei di no.
Cosa comporterebbe? Comporterebbe gli Usa isolati, non per scelta, ma e' una ipotesi, certi, come Israele sono ormai di fatto stati americani, ci saranno sempre, soprattutto 9 miliardi di dollari alla volta.
Sto vaneggiando
Dal 2017 il mondo intorno agli Usa e' cambiato, anche gli Usa non si sentono benissimo. 50 milioni sulla soglia o oltre la soglia di poverta', industrie allo sfascio e pure infrastrutture e esercito che non si rinnova. Cantieri navali inesistenti e altre quisquiglie non proprio insignificanti, visto che parecchie nazioni alternative al blocco Usa invece hanno belle idustrie, maestranze istruite e meno dedite alle droghe pesanti, istruzione e istruiti in quantita' e di un certo livello.
Parentesi
Aspetto il momento in cui Todd si stupira' perche' i cinesi ogni anno laureano 12 milioni e piu di studenti-anno (e' un numero in costante crescita) spesso in materie scientifiche (ingegneria in particolare) e in ottime scuole. Da noi le scuole vanno verso i test con le crocette dall'asilo all'universita' e la laurea e' diventata una merce come un'altra in vendita in universita' private (prive di strutture e a volte anche insegnamento) dove basta pagare. Se non si trovano sul suolo patrio basta spostarsi verso qualche confine.
Chiusa parentesi.
Era giusto per ricordare che parecchie aree del mondo hanno aspettative proprie che non vanno incontro, in primis, agli interessi Usa e che sembrano intenzionate a percorrere una loro strada che ... non fara' piacere agli Usa,
Peccato
Russia, Cina, Venezuela, Iran ecc ..ma non solo nazioni in rotta di collisione. Queste ultime mostrano la strada, la possibilita', altre osservano, valutano, si muovono +/- velocemente.
Tutte e contemporaneamente non sono alla portata delle pressioni Usa. Una per una forse si, ma non sono piu una per una e non servira' la solita strategia di colpirne una per educarne cento. E' piu probabile che colpita una settanta decidano di opporsi ancora di piu e coalizzare.
La politica estera Usa o si rassegna a limare la sua arrogante beloicosita' o rischia di schiantarsi rapidamenre. Donald promette pace, promette il simulacro della pace alle sue condizioni. Vedremo se il tempo gli ha insegnato qualcosa (portare la capitale di Israele a Gerusalemme?) e sara' dalla sua parte.
Per quanto riguarda i media di parte nel dare sondaggi favorevoli a harris per condizionare il voto.
Francamente non capisco come ragionano.
Basta ripete che Harris vincera' e quindi un sacco di gente indecisa o che non sarebbe andata a votare la scegliera' per puro conformismo.
Se questo e' il ragionamento ... fossi in loro farei un sondaggio, uno studio o chiamerei una fattucchiera per capire se veramente funziona cosi.
La percezione che ho e che gli indecisi o quelli blandamente repubblicani che sarebbeto andati volentieri al mare quando hanno sentito che la Harris (o comunque il candidato strombazzato dai media ) stava vincendo si sono rafforzati nella decisione di evitare questo avvento e rinunciando al mare e all'indecisione sono andati a votare uno che non vogliono che perda e/o che comunque non e' la harris (che gli sara' anche venuta a noia)
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