Lezione di Harry Braverman a giovani Aut Op
di Leo Essen
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Come conseguenza del taylorismo le attività lavorative si semplificano e si riducono a semplice dispendio di forza lavoro, di muscoli e cervello. I lavoratori, dice Braverman (Lavoro e capitale monopolistico), diventano intercambiabili. Spariscono le specializzazioni, i lavori si degradano, si appiattiscono, le mansioni si uniformano. Passare da un lavoro ad un altro diventa sempre più facile. È richiesto un periodo brevissimo (addirittura, qualche giorno o qualche settimana) di addestramento o formazione. Si tratta di una conseguenza della divisione del lavoro e della parcellizzazione. I lavoratori diventano tutti uguali, si uniformano in una classe. Nella società i lavoratori sono niente, mentre il capitale è tutto.
Che cos’è il lavoro nel capitalismo? È niente.
La forza costituente della classe lavoratrice si esprime in questa deprivazione: il lavoro è lavoro depauperato, lavoro povero, dequalificato, unskilled.
Come si arriva a questa spoliazione?
Perseguendo due obiettivi: l’efficienza e il controllo della mansione. In verità l’obiettivo è uno, l’efficienza. Il controllo della mansione è subordinato all’efficienza. Essa viene perfezionata da Taylor.
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Il taylorismo spacchetta un processo in singole funzione e le standardizza. La funzione diventa ripetibile. Gli elementi della prestazione e le materie su cui si applica devono rimane costanti, così come deve rimanere costante la procedura. Lo scopo principale della misurazione è la ripetizione. Nella fabbrica di spilli il processo è diviso in modo da rendere le operazioni standardizzabili e facilmente ripetibili. L’efficienza è una conseguenza diretta della ripetibilità. Più la funzione è semplice, più diventa facile ripeterla. In ogni caso bisogna seguire degli standard.


 


Introduzione 
Güney Işıkara e Patrick Mokre hanno pubblicato un libro approfondito che spiega come la teoria del valore di Marx funzioni per spiegare le tendenze e le fluttuazioni nelle moderne economie capitalistiche. Il titolo, 
1. Il diritto internazionale come ideologia
Che cosa sono i costi di produzione socialmente necessari quando la differenza tra fabbricazione e vendita è cancellata? Se il limite posto dai costi è variabile, persino aleatorio, indefinibile, cosa sono i prezzi se non cartellini arbitrari; che sono l’interesse, il surplus, le valute, i cambi e le bilance commerciali?
I. Problemi di costruzione di un’identità politica di classe
La tesi di Michael Hardt, presentata nel libro I Settanta sovversivi. La globalizzazione delle lotte, (Derive Approdi, Bologna, pp. 310, Euro 22,00) è molto semplice ed è già esposta nel titolo:
La necessità di una riflessione filosofica sul fascismo si impone quando il fascismo diventa una minaccia reale. Per quanto indiscutibili siano tutte le differenze tra la situazione presente e quella vissuta negli anni venti e trenta del secolo scorso, la parola “fascismo” affiora inevitabilmente alla mente quando si vuole inquadrare il fenomeno populista-sovranista. E, con essa, il suo opposto, “antifascismo”, anche questo un termine abusato, gravato da una retorica che ne compromette sul nascere l’efficacia, e, tuttavia, anch’esso, inevadibile, quasi necessario. In attesa di nuovi e più precisi concetti scontiamo, insomma, la limitatezza del nostro vocabolario. Dobbiamo prendere a prestito vecchi termini per eventi nuovi, ma se questo è possibile è perché tra il vecchio e il nuovo vi è, di fatto, una continuità reale che è proprio quanto oggi ci inquieta e ci interpella.
Le immagini della distruzione di Gaza sono la cifra del nostro tempo, ma «allo stesso tempo» provengono da un passato composito e illusoriamente archiviato, l’anacronismo della guerra e dello sterminio che fa irruzione nella trama del presente e lo irretisce. Si tratta allora di comprendere qual è il culto religioso che queste immagini paralizzanti stanno tramandando e radicando, a quale funzione politica assicurano il loro magnetismo, quali sono le modalità specifiche in cui entrano in rapporto con una tendenza storica che già Walter Benjamin e poi Jean Baudrillard, in epoche differenti, hanno sorpreso a «fare della sua peggiore alienazione un godimento estetico spettacolare». Anche per ricavarne in controluce il valore delle mobilitazioni del 22 settembre e i potenziali di rottura che quella giornata ci chiede di prendere in consegna e portare a maturazione.




Viviamo in una società della novità perpetua e della continua rincorsa a standard ridefiniti di volta in volta dagli algoritmi della cosiddetta Intelligenza Artificiale che a loro volta ridefiniscono l’essere umano e lo stare al mondo. Una ridefinizione che precede il reale e che lo plasma, lo sostituisce. Il mondo del reale si deve adeguare a quello che viene considerato come vero, desiderabile, migliore.
1. Dalla pace alla guerra
La Cina è sicuramento “il baluardo” che limita l’imperialismo a stelle e strisce. Guardare in direzione della Cina con le leggi della dialettica è necessario, poiché la dialettica marxista insegna che gli orientamenti della storia devono essere compresi e decodificati per orientare la rivoluzione e i mutamenti radicali in modo proficuo, e la Cina, a prescindere dalle opinioni personali, è la civiltà (socialista) con cui dovremo confrontarci. Non è solo una nazione immensa, quasi un continente nel continente asiatico, ma una civiltà-nazione con una identità e storia millenaria sopravvissuta al colonialismo cannibalico occidentale. Essa oggi è la civiltà che apre nuovi scenari politici, mentre l’occidente cerca di perpetuare il suo impossibile dominio:

































