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lanatra di vaucan

Oltrepassare la pigrizia… e il lavoro

di Anselm Jappe*

ne travaillez jamais 1.jpgProponiamo questa breve riflessione di Anselm Jappe, ancora una volta sulla questione del lavoro, tema centrale per la Critica del Valore (Wertkritik) – corrente di pensiero a cui anche lo stesso Jappe appartiene.

Può sembrare una perdita di tempo, oggi, a fronte di catastrofi ecologiche e umanitarie, massacri e guerre, disoccupazione endemica e diffusa miseria crescente, occuparsi una volta di più della tematica del lavoro, soprattutto nell’ottica in cui lo fa la critica del valore, cioè quella – detto con una battuta e in modo insufficiente – del «rifiuto» del lavoro. Un rifiuto certo motivato, non un semplice vezzo da abitanti benestanti del primo mondo, se è vero che, come sostiene questa corrente di pensiero riprendendo soprattutto quello che loro definiscono il «Marx esoterico»,1 una tale questione è decisiva per le sorti del capitalismo, nella misura in cui si tratta di un sistema sociale fondato sul lavoro e sull’estrazione di valore che esso permette. Proprio la crisi di questo meccanismo, dovuta alla esplosiva capacità produttiva propria della terza rivoluzione industriale, quella a traino informatico e microelettronico, è la causa prima, secondo questa lettura, degli immani disastri ecologici e sociali a cui stiamo assistendo ormai da decenni. La conseguente carenza di una valorizzazione adeguata per gli ingenti capitali in circolazione toglie al regime del capitale qualsiasi freno inibitorio (al di là delle messinscene green o quant’altro), e lo conduce a cercare la redditività senza più rendere conto a niente e a nessuno, tantomeno a se stesso, entro un vortice distruttivo e autodistruttivo.

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sbilanciamoci

La logistica tra legalità e illegalità

di Marco Veruggio, Sergio Fontegher Bologna

La crescita della logistica è impressionante, nel 2024 in Italia siamo intorno a un miliardo di pacchi consegnati. Un fattore di inquinamento e di consumo di suolo per gli hub. In Amazon e nelle “coop spurie” si lavora in condizioni di sfruttamento, ma crescono conflitti e sindacati di base

AdobeStock 289332658 20250128160530 U00847575103cay 1440x752IlSole24Ore WebChi ha familiarità con il settore della logistica, ha una certa difficoltà ad accettare che quella cosa chiamata “logistica” nella narrazione quotidiana, inclusa anche la consegna dei cibi a domicilio, sia veramente tale. La logistica “vera” è una tecnica di management che si è affermata alla metà degli anni 70 in correlazione stretta con la lean production, è diventata pian piano una funzione strategica dell’impresa manifatturiera multinazionale, con il compito di organizzare al meglio i flussi inbound dei fornitori e quelli outbound dei clienti finali.

Con il procedere della globalizzazione, un po’ alla volta al posto del termine “logistica” si è preferito parlare di supply chain, tradotto in italiano con “catene di fornitura”, intendendo con questo la parte operativa delle “catene globali del valore”. Le esperienze di logistica più avanzate sono state quindi compiute nei sistemi dove domina la grande impresa (Germania, Giappone e Stati Uniti). In sistemi come quello italiano, caratterizzati da imprese medio-piccole, è invalso l’uso di esternalizzare questa funzione aziendale, affidandone a terzi specializzati l’esecuzione, in particolare le fasi del trasporto e magazzinaggio .1

Una svolta epocale è avvenuta tra la fine degli anni 80 e l’inizio degli anni 90 con l’ingresso nel mercato della logistica conto terzi (la cosiddetta contract logistics, la logistica esternalizzata che si basa su contratti a lungo termine) delle grandi società di servizi espresso, DHL, TNT, Federal Express, UPS.2 Perché? Perché con la globalizzazione le catene di fornitura sono diventate sempre più “lunghe”, un’azienda localizzata in Italia poteva avere dei fornitori di materie prime o di componenti localizzati in Patagonia o in Kazakistan. Per trasportare velocemente le forniture non bastavano i camion o le navi, ci volevano gli aerei. Queste società disponevano di flotte di aerei cargo e poterono iniziare a controllare il mercato delle grandi catene del valore.

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collegamenti

Salari, contratti, lavoro: la prima linea del fronte

di Renato Strumia

Dal n. 9/primavera 2025 di Collegamenti per l’organizzazione diretta di classe riportiamo questo aggiornamento di Renato Strumia

gasparazzo 2.jpgHa suscitato un nutrito dibattito la recente pubblicazione del “Rapporto mondiale sui salari 2024-2025”, una pubblicazione a cura dell’Ufficio Internazionale del Lavoro (OIL). Lo studio evidenzia come in Italia i salari siano scesi, in termini reali, dell’8,7% dal 2008 ad oggi. Si rileva altresì come la perdita si sia aggravata dalla ripresa dell’inflazione, dalla metà del 2021, e come il recupero iniziato tardivamente, dal 2024, non abbia in realtà ricostituito pienamente il potere d’acquisto.

Sono dati che riprendono, su scala temporale diversa, il ben noto studio dell’OCSE di qualche tempo fa (giugno 2022), che segnalava una perdita del 2,9% del salario reale dal 1990 al 2020 (unico caso tra i paesi compresi in questo raggruppamento).

Può valere la pena dunque provare a ragionare sulla storia recente per capire dinamiche e prospettive della contrattazione e del conflitto in condizioni “avverse”.

Il triennio che abbiamo alle spalle (2022-2024) è stato particolarmente impegnativo sul fronte sociale. Abbiamo subito un pesante ritorno di inflazione “da costi”, causata dal rincaro dei prezzi delle materie prime e dell’energia, conseguente al conflitto Russia-Ucraina. Su questa base si è innestata una ulteriore inflazione “da profitti”, generata dalla tendenza delle imprese ad aumentare i propri margini in misura più che proporzionale rispetto agli aumenti dei beni intermedi, oppure semplicemente approfittare della generale confusione per alzare il costo dei servizi prestati.

Di conseguenza si è verificata una significativa erosione del potere d’acquisto di salari e pensioni, incrementando il divario tra quota salario e quota profitti nella distribuzione del valore aggiunto.

Questa tendenza non è nuova e non è limitata al nostro paese, sebbene abbia raggiunto in Italia livelli particolarmente elevati, distorti e ingiusti.

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carmilla

We are not robots – Cambiamento tecnologico e conflittualità

di Gioacchino Toni

Rage against the machine? Automazione, lavoro, resistenze, “Zapruder” n. 65, sett.-dic. 2024

we are not robots demo.jpg«Dalla miniera a cielo aperto di Lützerath in Germania alla “Zone à defendre” di Notre Dame des Landes passando per la lotta no tav in Val di Susa, negli anni a noi più vicini la battaglia contro lo strapotere della tecno-industria non ha né la fabbrica come epicentro, né la classe operaia come protagonista. Spesso frutto dell’alleanza tra frazioni illuminate di piccoli proprietari agricoli e settori radicali del movimento ecologista, la “rabbia contro le macchine” non sembra più essere alimentata dal potere dispotico del capitale sul lavoro». Così l’editoriale del numero 65 della rivista “Zapruder” introduce il fascicolo dedicato alle resistenze al cambiamento tecnologico che hanno attraversato la storia a partire dalla Rivoluzione industriale focalizzandosi su alcuni casi di studio al fine di «alimentare una riflessione sull’oggi per provare a riorientare la tecnica verso un fine diametralmente opposto, quello del benessere sociale per tutte e tutti».

Mentre negli ultimi decenni sui territori si danno forme di resistenza e antagonismo come quelle sopra tratteggiate, da qualche tempo un’insistente narrazione a canali e media unificati si è preoccupata di esaltare le magnifiche sorti del progresso permesse dall’intelligenza artificiale generativa bollando come patetici luddisti passatisti antitecnologici per partito preso tutti coloro che osano evidenziare gli aspetti più inquietanti che l’accompagnano: la disumanizzazione decisionale riguardante l’organizzazione del lavoro; il ricorso a pratiche di ludicizzazione digitale al fine di incrementare le performance lavorative e la competizione con i colleghi; la proliferazione degli armamenti autonomi, dunque di modalità, se possibile, ancora più ciniche e spietate di gestione delle guerre; la ricaduta omologante sul mondo dell’informazione, dell’intrattenimento, dell’educazione e della cultura; lo sfruttamento delle risorse naturali e delle popolazioni del Sud del mondo; l’oscurità degli algoritmi che regolano i sistemi decisionali tecnologici; l’esponenziale incremento della sorveglianza che comporta; l’incidenza esercitata sull’immaginario collettivo ecc.

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transform

Il ritorno delle classi sociali nel dibattito sulla composizione sociale in Italia

di Alessandro Scassellati

seiltanzen 01.jpgDopo decenni in cui il dibattito pubblico e la ricerca sociologica in Italia e a livello internazionale è stato permeato dalla famosa frase di Margaret Thatcher che la società non esiste mentre “ci sono singoli uomini e donne e ci sono famiglie”, si torna a ragionare sul concetto e sul ruolo delle classi sociali nella strutturazione delle società contemporanee. Pier Giorgio Ardeni, professore di Economia politica e dello sviluppo all’Università di Bologna, ha scritto un libro importante (Le classi sociali in Italia oggi, Laterza, Roma-Bari 2024) che fa il punto su ricerche e dibattito nazionale e internazionale sulla composizione sociale con l’approccio dell’economia politica, una disciplina che a partire dai suoi fondatori (Smith, Ricardo e Marx) ha sempre studiato la relazione tra economia e società, indagando in modo particolare il tipo di ordine sociale che storicamente emerge e si struttura di fatto in relazione al mutare dell’economia capitalistica.

Di classi sociali si era praticamente smesso di parlare in Europa a partire dagli anni ’90, sia nel discorso politico sia nella percezione comune. Nel 1999, Tony Blair, uno degli alfieri della “terza via”, aveva affermato che “la lotta di classe è finita” perché “ora siamo tutti classe media” negli stili di vita e nelle aspirazioni. Nell’ambito di un capitalismo “democratico”, lo Stato doveva garantire uguali possibilità a tutti, intervenendo e contribuendo affinché tali aspirazioni degli individui si potessero realizzare sulla base del “merito” (attraverso un rafforzamento del legame tra credenziali educative, lavoro e reddito). In quei decenni, con l’avanzare dei processi di deindustrializzazione e di terziarizzazione dell’economia, i sociologi (e anche i politici) hanno sostituito le classi sociali con termini più neutri come quelli di “ceti, gruppi e fasce sociali”, legati alla distribuzione del reddito, alle professioni e alle disparità di ceto (stili di vita), genere, età, zona di origine ed etnia/nazionalità. Giuseppe De Rita e il Censis hanno cantato la “cetomedizzazione” come contraltare della terziarizzazione.

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collettivolegauche

La prospettiva dell’Amazon Capitalism

di Collettivo le Gauche

kjgpsnvn1. Una robusta introduzione al problema dell’Amazon Capitalism

Il libro collettivo del gruppo di ricerca Into The Black Box dal titolo Futuro presente. Il dominio globale del mondo secondo Amazon è una formidabile cassetta degli attrezzi, frutto di un seminario svoltosi presso l’Università di Bologna tra il 2021 e il 2022, per analizzare quello che viene definito Amazon Capitalism. L’impresa di Bezos, infatti, non è solo un negozio online in cui poter acquistare quasi ogni tipologia di merce o il principale rappresentante di servizi di consegna basati sullo slogan logistico just-in-time and to-the-point. Amazon contiene al suo interno molti più servizi. Si passa da Prime Video e Twitch a prodotti come Alexa e servizi informatici come Amazon Web Services. Senza contare gli altri investimenti di Bezos come il Washington Post nell’editoria o Blue Origin nell’industria aerospaziale. Amazon è quindi un attore economico ramificato in molte attività produttive che, sostengono i ricercatori di Into The Black Box, non si limita all’economia ma finisce per condizionare anche altre sfere come quella sociale e politica. Per questo motivo si parla di Amazon Capitalism di cui occorre indagare le caratteristiche. Infatti una simile società è capace di condizionare l’evoluzione del capitalismo esattamente come fanno imprese simili ad Amazon in altre parti del mondo, pensiamo ad Alibaba in Cina o MercadoLibre in America Latina. C’è una sorta di egemonia di questi attori economici che consente di parlare di amazonizzazione della società. Questa tesi viene supportata da tre ipotesi. La prima riguarda la capacità delle aziende Big Tech di essere il punto di sintesi delle operazioni del capitale, concetto coniato da Sandro Mezzadra e Brett Neilson su cui torneremo meglio in futuri lavori. Si tratta di tesi che dimostrano come all’interno della teoria critica si siano sedimentate analisi secondo cui non è possibile concettualizzare in termini univoci il capitalismo contemporaneo e sono focalizzate sulla molteplicità dei processi di valorizzazione contemporanei. La diversità nei processi capitalistici ha sempre fatto parte del modo di produzione capitalistico.

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acropolis

La grande rapina: capitalismo contro il lavoro

di Andrea Cagioni

IMMAGINE PER LA GRANDE RAPINA copia scaled.jpegL’impoverimento e la precarizzazione delle condizioni lavorative e di vita provocate dal capitalismo finanziario e digitale impongono un cambio di paradigma, una vera e propria transizione sistemica. Transizione sistemica che in Occidente assuma come obiettivi di fondo la proprietà e l’uso comune dei mezzi di produzione e riproduzione, una distribuzione egualitaria della ricchezza sociale, differenti finalità cui ispirare le attività produttive e riproduttive, la cura di sé, degli altri e della natura, una nuova ripartizione dei tempi di vita e di lavoro. Una transizione sistemica immaginabile a partire dalla centralità della pianificazione, intesa come strumento di politica economica in grado di controllare il mercato ed esprimere al massimo grado la supervisione politica e pubblica sui fattori di produzione e riproduzione. Attorno alla pianificazione, si delineano quattro temi: redistribuzione della ricchezza e del tempo di lavoro, proprietà e uso collettivo dei Big data, reddito di base, socializzazione del lavoro riproduttivo.

Nel saggio vengono discussi quattro temi: la finanziarizzazione, la sua variante digitale, la svalorizzazione del lavoro e il tempo della cura.

Il principale filo rosso de La grande rapina è l’imponente trasformazione operata dal capitale collettivo negli ultimi decenni in Occidente, e i suoi effetti sulle condizioni di lavoro e di vita della classe lavoratrice e delle classi subalterne. Più precisamente, si è cercato di ricostruire le logiche che caratterizzano la genesi e lo sviluppo della finanziarizzazione e del capitalismo digitale.

L’egemonia della finanza e l’uso capitalistico delle tecnologie digitali fondano i nuovi regimi di accumulazione del capitale, che si caratterizzano per la messa a valore delle facoltà riproduttive della forza-lavoro e per la privatizzazione dei Big data. Questa metamorfosi del capitale è analizzata a partire dai presupposti teorici e dai concetti fondamentali che la qualificano.

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collettivolegauche

L’inchiesta operaia per analizzare Industria 4.0

La lezione di Matteo Gaddi

di Collettivo Le Gauche

industria 4 lavoratori1. Fare il punto su Industria 4.0

Industria 4.0 è un termine che viene dalla Germania e nasce all’interno dei progetti sviluppati da questo paese per mantenere e rafforzare la competitività del suo sistema produttivo. Queste iniziative sono state adottate inizialmente nel novembre 2011 con il Piano di Azione della strategia High Tech 2020. Tuttavia è dal 2006 che la Germania prova a costruire e portare avanti una strategia sull’High Tech per difendere la competitività della sua industria. Il progetto si regge, dice Matteo Gaddi nel suo Sfruttamento 4.0. Nuove tecnologie e lavoro, su una strategia duale, ovvero, da una parte l’utilizzo delle nuove tecnologie nelle fabbriche tedesche per rafforzare l’efficienza della produzione domestica e dall’altra la produzione per la vendita e l’esportazione di queste nuove tecnologie. Il primo obiettivo è raggiungibile unicamente mettendo a rete le diverse fasi della stessa catena produttiva per mezzo dell’integrazione digitale. Questo spiega le strategie di ingegnerizzazione digitale dell’intera catena del valore, di sviluppo di catene e reti tra diverse aziende attraverso l’integrazione in maniera orizzontale e l’integrazione verticale di sistemi manifatturieri flessibili e riconfigurabili. Il secondo obiettivo riguarda il tentativo tedesco di diventare leader mondiale nella fornitura di soluzioni Industria 4.0 attraverso gli sforzi dei costruttori di macchinari e impiantistica che dovranno combinare le nuove tecnologie ICT con le tradizionali strategie nell’high tech. Le tecnologie ICT svelano nuove dettagli su cos’è Industria 4.0. Si tratta di un’organizzazione dei processi produttivi a partire da tecnologie e dispositivi che comunicano gli uni con gli altri tramite computer o modelli virtuali lungo tutta la catena del valore. Emerge, quindi, una fabbrica “intelligente” con sistemi guidati da computer capaci di monitorare i processi produttivi con cui creare riproduzioni virtuali del mondo reale e decentrare le decisioni sulla base di meccanismi di autoregolazione. Tutto ciò è pensabile perché nell’industria gli oggetti fisici sono sempre più integrati con le reti di informazione e comunicazione, dice Matteo Gaddi. Nelle fabbriche troviamo tre modalità di integrazione.

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sbilanciamoci 

La dimensione economica e ambientale dell’AI

di Vincenzo Comito

Esistono stime contraddittorie sul potenziale economico dell’Intelligenza Artificiale, che abbisogna di grandissimi investimenti. Secondo i Nobel Acemoglu e Johnson anche i riflessi sul Pil mondiale saranno scarsi. Con impatto devastante sull’ambiente

sakjbvbjPremessa

Le persone hanno certamente ragione nell’essere in generale colpite e interessate dai grandi progressi in atto nelle tecnologie digitali e dalle importanti promesse che comportano. Le nuove macchine e i nuovi programmi possono in prospettiva espandere in maniera massiccia le attività che possiamo fare e possono trasformare per il meglio le nostre vite, come ci ricordano due economisti statunitensi vincitori del premio Nobel per il 2024 nella loro categoria (Acemoglu, Johnson, 2023). 

Ma forse tali entusiasmi andrebbero un poco frenati, dovrebbero lasciare lo spazio a valutazioni più realistiche di quello che ci attende, certo con tutti i possibili importanti avanzamenti, ma anche con tutti i problemi che l’innovazione tecnologica comporterà. Ed è questo il secondo aspetto delle considerazioni generali fatte in proposito dai due economisti sopra citati. Il futuro della tecnologia appare ben vedere strettamente legato alle decisioni prese in merito dagli uomini e dalle loro istituzioni.

In tale quadro, le note che seguono tentano di dare una visione per quanto possibile realistica delle prospettive che si possono intravedere almeno per quanto riguarda la dimensione economico-finanziaria e ambientale di queste conquiste dell’ingegno umano.

 

I profitti del settore

I sistemi di IA hanno bisogno di grandi impegni finanziari perché comportano fortissimi investimenti in ricerca, impegnando stuoli di persone di profilo elevato, risorsa peraltro abbastanza scarsa; presuppongono grandi capacità di calcolo che solo le grandissime imprese si possono permettere, hanno bisogno di grandi quantità di energia e di acqua.

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coku

Con la fine del tempo di lavoro finisce anche il tempo libero

di Leo Essen

sportenbmbi 1220x600.jpgBenjamin Kline Hunnicutt è professore di storia all’Università dell’Iowa. La sua ricerca si è concentrata sulla riduzione dell’orario di lavoro. Molto noto è il suo libro Kellogg’s Six-Hour Day, sulle prospettive e gli effetti della riduzione della settimana lavorativa presso Kellogg’s, la multinazionale delle merendine. Con studiosi come Joseph Pieper e Hannah Arendt ha anche esplorato l’«ascesa del lavoro totale».

In un articolo pubblicato nel 1999 sulla rivista Nord Sud, Hunnicutt si confronta con Giovanni Mazzetti, esponente europeo di primo piano degli studi sulla riduzione dell’orario di lavoro.

Come mai, si chiede Hunnicutt, in Occidente abbiamo abbandonato la riduzione dell’orario? Per quale ragione, dopo aver ridotto la giornata lavorativa della metà nel corso del “secolo della riduzione del tempo di lavoro” e dopo aver immaginato un’età dell’oro, con un tempo libero così ampio da poter perseguire il vero bene della vita – i liberi prodotti della mente, la comunità, lo spirito – per quale ragione, dicevo, ci siamo rivolti verso un tempo pieno di lavoro, perdendo di vista il vecchio principio secondo il quale il lavoro non è che un mezzo per altri fini? Le risposte che mi sono dato si possono riassumere così: consumismo e mercificazione della vita; politica governativa di creazione del lavoro; cambiamento culturale corrispondente all’inversione del rapporto tra lavoro e tempo disponibile.

L’idea di lavoro, dice Hunnicutt, ha invaso e sottomesso tutta l’azione e l’esistenza umana. Tutta la vita moderna ha finito con l’essere dominata dall’ideologia del lavoro. Il lavoro ha finito per essere considerato come connaturato alla condizione umana, come una proprietà naturale. E invece, dice, il lavoro deve essere considerato come storico e relativo.

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fuoricollana

Vita e lavoro nel tempo dell’IA

di Antonio Cantaro

Il testo integrale della “lectio” di Antonio Cantaro alle giornate fanesi organizzate da Itinerari e Incontri (13 -14 settembre 2024) dedicate al tema “L’uomo è antiquato?”. Agere sine intelligere, operare senza decidere, è il codice dell’IA: disumano o un altro modo di essere umano?

IA e lavoro.pngDipende dal punto di vista. Invece di ergerci a maestri di dottrina dell’umano dobbiamo fare i conti sino in fondo con l’inedita sacralità veicolata dall’intelligenza artificiale. Con il suo seducente orizzonte di senso e con la sua concreta funzione pratica. È, infatti, tutt’altro che evidente agli occhi delle donne e degli uomini della società neoliberale, delle giovani generazioni in special modo, che intelligere deinde agere sia meglio di agere sine intelligere. La sin qui diffusa accettazione sociale dell’odierna forma del lavoro – la sua rappresentazione in termine di capitale umano – ne è la più emblematica conferma. Un compito intellettuale e politico immenso è davanti a noi. Siamo di fronte, infatti, a una “verità” sostenuta da una duplice, potente, legittimazione. Da una parte, una rappresentazione del tecno-capitalismo come di una forza del passato; dall’altra come di una forza del futuro. Una forza del passato, mitica, nella misura in cui le tecnologie digitali sono vissute come l’ultimo stadio di una lunga storia della razionalità occidentale che grazie alla tecnica si è assicurata un dominio sempre crescente sul corso del mondo, consentendo all’uomo di porre rimedio alla sua ontologica lacunosità. Una forza del futuro, rivoluzionaria, nella misura in cui l’uso massiccio delle tecnologie digitali dà vita ad un mondo nuovo: l’accesso a un bacino inesauribile di informazioni, l’enorme facilitazione delle comunicazioni, l’effettuazione di una grande quantità di azioni a distanza, il tutto accompagnato da un certo senso di compiacimento, di comodità, di potere. Tutto, magicamente, in tempo reale. Un tempo nuovo rispetto alle tre modalità temporali – passato, presente e futuro – che ancora scandivano nel ventesimo secolo la nostra forma di vita.

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coku

I fiori vivi della critica. Oltre il già noto

di Eugenio Donnici

carl accardi composizione.jpgNell’approcciare l’ultimo libro di Leo Essen, pubblicato pochi mesi fa, ho cercato di porre l’attenzione sui nessi impliciti ed espliciti che legano le “sensazioni e i concetti” o più semplicemente ho dato spazio alla formazione di quei pensieri che sono sgorgati dalle fluttuanti sinapsi della mente. Pensieri che appaiono e poi prendono forma mediante la scrittura. Sembra che in principio, asserisce Essen, non ci siano solo pure sensazioni, non ci sia un groviglio di sensazioni dal quale emergerebbe la parola e il concetto. Senza concetto non ci sono sensazioni.

Che cosa sono allora le parole, i concetti?

Tra le tante risposte possibili, io assocerei o troverei calzante la proposizione che segue: «La fama, il nome, l’aspetto esteriore, la validità, l’usuale misura e peso di una cosa, dice Nietzsche (Gaia, 58) – in origine, per lo più, un errore e una determinazione arbitraria buttati addosso alle cose come un vestito e del tutto estranei all’essenza e perfino all’epidermide della cosa stessa». (1)

Non è un libro di facile lettura, per la miriade di sollecitazioni che l’interazione visiva ed uditiva stimola, per le interconnessioni concettuali che si dispiegano in autori del calibro di Bataille, Marx, Derrida, Hegel, Nietzsche, Heidegger, Freud e così via. Le prime difficoltà sorgono dalla necessità di avere dimestichezza con le opere degli autori citati, con la disinvoltura con la quale Essen espone il tema della legge del valore-lavoro, coinvolgendo il potenziale lettore, oltre il già noto, oltre il seminato. Tali ostacoli non sono insormontabili, in quanto l’autore del libro, sebbene utilizzi un linguaggio complesso e di un elevato registro, intriso di prosa e poesia, non perde di vista la funzione chiarificatrice della scrittura e soprattutto è lontano dagli sterili ambienti accademici.

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machina

Indisciplinabili dal fordismo

Hobos, wobblies e i limiti di Gramsci

di Fabrizio Denunzio

Fabrizio Denunzio riflette su come leggere Gramsci oggi, interrogando le positività e le criticità di Americanismo e fordismo e provando a illuminare i processi di formazione di soggettività che, dentro e fuori il fordismo, non si sono lasciate disciplinare dalla logica della produzione tayloristica e che, nella sostanza, lasciano intravedere forme di vita, di lotta e di sindacalismo non riconducibili a quelle che si sono affermate nel movimento operaio europeo tra la fine del XIX e i primi decenni del XX secolo

Schermata del 2024 06 23 16 29 57.pngCome leggere Gramsci oggi

In almeno due importanti lavori usciti di recente, a poca distanza l’uno dall’altro, Pasquale Serra ci invita a leggere Gramsci in modo molto diverso da quanto lo si sia fatto negli ultimi decenni, ossia da quando il furore filologico degli esperti – credo databile dagli inizi degli anni Novanta del Novecento e identificabile sempre presuntivamente, visto che l’autore non cita mai esplicitamente gli artefici di questa svolta, con Gianni Francioni e il suo progetto di una nuova edizione nazionale dei Quaderni del carcere – ha preso il sopravvento sul modo abituale con il quale in Italia, tra gli anni Cinquanta e i Settanta del XX secolo, si era solito leggere il pensatore sardo, cioè non allontanandolo mai dall’attualità politico-sociale del paese e da tutti i più scottanti problemi che lo assillavano: dal lavoro in fabbrica all’emigrazione, dal fascismo alla questione meridionale, e così via.

Con la conquista dell’egemonia interpretativa da parte delle ermeneutiche filologiche, il gramscismo italiano si è ridotto a una sapiente quanto ferrea macchina di citazioni avendo oramai abbandonato ogni pretesa analitica della realtà contemporanea. Questo passaggio ha determinato una forma di produzione intellettuale altamente «spoliticizzata» quanto sterilmente «speculativa» (Serra 2019, p. 67), meglio, allora, molto meglio, riprendere la lezione degli argentini per i quali il «loro Gramsci» non ha mai smesso di reagire con le questioni fondamentali del loro tempo, il peronismo prima fra tutte: da qui la decisione di Serra di curare l’edizione italiana del saggio di Horacio Gonzáles Il nostro Gramsci, dalla quale sono ricavabili le precedenti argomentazioni polemiche[1]. Che non sono destinate a finire.

Nel secondo dei due lavori a cui ho appena fatto riferimento, Serra rilancia la polemica, purtroppo lasciando anche questa volta nell’anonimato i suoi bersagli, ma non avrei difficoltà a riconoscervi, come esempi illustrativi, i lavori di un Giuseppe Cospito (2004, pp. 74-92) o di un Fabio Frosini (2004, pp- 93-11).

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collettivolegauche

Sergio Bologna e il lavoro autonomo di seconda generazione

Una lente per indagare il postfordismo

di Collettivo Le Gauche

images 11nibugjk1. Introduzione

L’operaismo si sviluppa in un contesto in cui era credenza comune l’idea che non ci fossero alternative alla grande fabbrica fordista dove migliaia di lavoratori svolgevano le loro mansioni ripetitive mentre le macchine erano adibite a quelle più complesse. A ciò si affiancava il consumo di massa, altro elemento chiave di questa fase del capitalismo. Per gli operaisti la fabbrica era il terreno fertile della lotta di classe dove inchiodare i padroni e costruire uno spazio libero dall’oppressione capitalista. Lo stesso fordismo, con la sua organizzazione del lavoro, produceva il soggetto rivoluzionario, l’operaio-massa, che era un salariato con una parte fissa, di base, una variabile, fornita dall’aumento della produttività del lavoro e dal welfare. Il fordismo, inoltre, non era confinato alla fabbrica ma si era esteso a tutta la città, per esempio nella mobilità urbana o nella regolazione degli orari dei negozi. L’operaismo era l’immagine rovesciata del fordismo e con l’avvento del postfordismo doveva lentamente sparire. Invece gli intellettuali che si rifacevano all’operaismo hanno provato ad aggiornare la teoria a partire dalla nuova situazione, questo perché gli operaisti non hanno mai sottovalutato i padroni. Alla retorica populista hanno sempre preferito scandagliare in profondità la realtà. Questo è facilmente rilevabile nell’attenzione posta al tema della tecnologia. Essa è intesa da Panzieri, uno dei padri nobili di questa lettura del marxismo, come lavoro incorporato che libera il lavoratore dalla fatica ma allo stesso tempo impone un controllo ancora più rigido sulla forza lavoro. La tecnologia plasma la forza lavoro determinando la sua composizione tecnica che si traduce in una specifica mentalità, cultura o agire politico.

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sinistra

Intelligenza artificiale e lavoro umano

di Emiliano Gentili e Federico Giusti

AI e Lavoro.jpegDefinizione e nascita dell’Intelligenza Artificiale

L’Intelligenza Artificiale è una sottospecie particolare, evoluta e costosa delle tecnologie digitali. Queste vengono dette Information and Communication Technologies (ICT) e sono ad esempio computer, programmi, apparecchi elettronici vari. Rispetto a questo tipo di tecnologia più tradizionale, l’IA si distingue per la capacità di “apprendere da sola”, di sviluppare nuovi dati tramite l’interazione con l’ambiente esterno.

Si basa perciò su due elementi: oltre a una base di conoscenza (dati) fornita all’apparecchio in fase di programmazione, come avviene per altro con ogni altra tecnologia digitale, vi è un motore inferenziale1 che si occupa di interpretare, classificare e applicare i dati. La capacità di acquisire nuovi dati e nuova conoscenza deriva proprio dall’interazione fra le due componenti della macchina.

Infine, per essere tale l’IA dev’essere capace di dimostrare almeno una delle seguenti capacità: percezione (es. riconoscimento vocale); comprensione (es. Natural Language Processing); azione (es. chatbot); apprendimento (es. Machine Learning).

Il primo programma di IA nasce nel 1956 e viene battezzato Logic Theorist. Serviva a imitare le capacità di problem solving degli esseri umani. Lo sviluppo dell’IA si arena fra il 1970 e il 1980, a causa delle grosse difficoltà tecniche e di ricerca. Si riparte sul finire del nuovo decennio, grazie alle applicazioni dell’IA nei processi industriali (seppur non tanto connessi con l’organizzazione del lavoro quanto piuttosto con l’organizzazione aziendale2).