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neronot

L’arte di cucinare il collasso

di Matteo De Giuli

Maoismo climatico, decrescita, nuova sinistra: appunti su “Il capitale nell’Antropocene” di Saitō Kōhei

Schermata del 2025 07 24 19 40 35.pngGira molto un video in cui Žižek riassume la crisi della sinistra mondiale mentre, calcandosi in testa una toque blanche, prepara le fettuccine. Intanto che impasta uova e farina, e dopo essersi annunciato in camera come Chef Slavoj, dice che il capitalismo sta entrando nella sua crisi finale, e che questo stato avanzato di disgregazione non è più un sogno o una paura ma un dato di fatto, chiaro anche ai capitani di industria più moderni e scafati come Musk, Zuckerberg e Bezos. A raccogliere le opportunità di questa crisi non c’è però una sinistra organizzata, e tutto quello che abbiamo davanti – intanto Žižek gira la manovella della macchina della pasta – è una decadenza prolungata.

L’ascesa di ogni fascismo è, dopotutto, la traccia di qualche rivoluzione fallita, e la sinistra in questi anni ha fallito, ha appiattito la sua proposta, si è mostrata la più leale alleata dell’austerità, dice Žižek, alludendo ovviamente a quel centrosinistra – liberale, socialdemocratico – che negli ultimi trent’anni si era convinto di potersi avvicinare in maniera propizia al mercato, di poter e dover battere le destre attuando prima di loro, più rigorosamente, o più propriamente, le politiche conservatrici, trasformandosi insomma in un centrodestra più moderno, a modo, popolato magari di gente seria e preparata.

Ora che la situazione sembra destinata al definitivo collasso, potremmo però scoprirci più liberi: i buoni motivi per rinviare la costruzione di un futuro radicalmente diverso sono sempre più esili, se ancora ci sono.

Così, riprende Žižek, oggi non ha più ragion d’essere lo scontro tra destra moderata e sinistra moderata, il nuovo fronte elettorale è piuttosto quello dell’establishment contro i populismi. Populismi che hanno riempito il vuoto creato dal fallimento della sinistra. Siamo chiusi in un circolo vizioso che può essere disfatto soltanto dalla nascita di una nuova sinistra. Che però fatica a emergere. L’unica possibilità di futuro, in queste condizioni, rimane quella di un capitalismo ancora più autoritario.

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lafionda

Contro il green: per una vera ecologia

di Antonio Semproni

photo 5978575217854890427 y.jpgIl numero 1 del 2024 de La Fionda – Contro il green – si apre sotto il segno di una riflessione sul diritto del sistema terra, cioè su quel diritto chiamato a indurre comportamenti umani armoniosi e a valorizzare l’interdipendenza tra gli esseri umani e i viventi non umani: ci si domanda quali enti debbano essere legittimati a sancire e fa valere tale diritto e in particolare se essi debbano avere dimensione statuale o ultrastatuale. Quest’ultima dimensione pare accattivante perché rispondente all’imperativo secondo cui i “problemi globali devono essere risolti a livello globale”; tuttavia, il diritto plasmato da entità sovranazionali, sprovviste delle caratteristiche tipiche dell’ente statuale (quali sovranità e giurisdizione), scade in soft law e dunque è incoercibile. Recuperare la dimensione nazionale è imprescindibile per produrre hard law, cioè diritto coercibile, che possa garantire, con la forza della sanzione, comprovati risultati ambientali; tuttavia, ci si dovrà preoccupare, in primo luogo, di sventare derive tecnocratiche: nessuno Stato, soprattutto se gravitante nell’eurozona, è immune a questo rischio, che si affaccia pericolosamente in considerazione del carattere emergenziale del diritto del sistema terra, il quale richiederebbe un piglio manageriale; in secondo luogo, di assicurare, nella formazione delle decisioni politiche interessanti l’ambiente, il ricorso a meccanismi di democrazia partecipativa, che permettano alla parte sociale debole “di confrontarsi ad armi pari con i detentori di forza sociale”.

Affidare la soluzione della crisi climatica alla tecnocrazia implica anche sedare il conflitto sociale immanente alla transizione ecologica: quali saranno le sorti dei lavoratori impiegati nelle industrie più inquinanti? Per questo motivo un ruolo primario nella transizione ecologica deve essere riservato alle parti sociali: in America Latina si dà il caso il sindacati che hanno ottenuto la riassunzione, presso altre aziende, del personale impiegato da imprese inquinanti, delle quali era stata decretata la chiusura con un provvedimento del giudice.

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antropocene

La frattura ecologica nell’Antropocene

F. Querido, M. O. Pinassi e M. Löwy intervistano John Bellamy Foster

MR sett24.jpgIn un'intervista rilasciata alla rivista brasiliana Margem Esquerda, John Bellamy Foster condivide con Fabio Querido, Maria Orlanda Pinassi e Michael Löwy, le esperienze formative che hanno contribuito al suo lavoro di giovane attivista e, successivamente, di autorevole studioso del marxismo ecologico. L'intervista si conclude con un messaggio alla sinistra ecologica in Brasile e altrove: «Quali che siano le soluzioni alla crisi planetaria attuale, esse devono, in termini storico-materialistici, sorgere a partire da formazioni sociali concrete, sulla base delle quali avverranno le nuove trasformazioni rivoluzionarie».

* * * *

Fabio Querido, Maria Orlanda Pinassi e Michael Löwy: Per iniziare, raccontaci un po' della tua infanzia e giovinezza. Sei nato a Seattle, giusto?

John Bellamy Foster: Sì, sono nato a Seattle, stato di Washington. Quando avevo un anno, la mia famiglia si trasferì a Raymond, Washington, una città dove si lavorava il legname, dove mio padre faceva l'insegnante. A Raymond c'era una fabbrica di scandole di cedro rosso occidentale, di proprietà della Weyerhaeuser Company, che emetteva acido plicatico - responsabile dell'asma - nella polvere della pianta. Ho sofferto di asma cronica, insieme alle mie due sorelle. Quando avevo cinque anni ci siamo trasferiti a Ficrest, Washington, un sobborgo fuori Tacoma. All'epoca Tacoma era una delle città più inquinate degli Stati Uniti, a causa di una fonderia che rilasciava emissioni tossiche, e delle cartiere. Quando avevo sei anni, mia sorella minore, di tre anni, ebbe un grave attacco d’asma e fu portata d’urgenza in ospedale dove morì la notte stessa. Un paio di settimane dopo, anch'io ho avuto un grave attacco d’asma e sono stato portato d’urgenza in ospedale e ho rischiato di morire.

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seminaredomande 

Tragedia sfiorata a Piombino

di Francesco Cappello

Incendio su traghetto passeggeri transitante nei pressi di nave gasiera che travasava gas liquefatto nel rigassificatore

esplosione sul carico di gas panam serena questa nave e stata per diversi giorni la masterizzazione b443f9.jpgMentre sulla banchina opposta si svolgevano le delicatissime operazioni di allibo (1), ossia di trasferimento del gas liquefatto (2) dalla nave gasiera di turno al rigassificatore FSRU, ITALIS LNG Italia ex Golar Tundra – parcheggiato, caso unico al mondo, all’interno di un porto, trafficatissimo – lo scorso 20 agosto sul traghetto Corsica Express three, della compagnia Corsica Sardinia Ferries, diretto all’isola d’Elba, si è sviluppato un rogo, divampato in una delle tre sale macchine della nave dove è fortunatamente rimasto confinato grazie alla reazione tempestiva dei 17 membri dell’equipaggio.

La nave traghetto, dopo aver lasciato Piombino, piuttosto che dirigersi verso l’Elba, dopo nemmeno un quarto d’ora dalla partenza, ha virato improvvisamente per tornare al porto e con a bordo l’incendio tamponato è ripassata davanti a nave gasiera e rigassificatore per procedere all’evacuazione dei 274 passeggeri che complicata dal blocco dell’apertura del portellone della nave è stata resa possibile dal ricorso agli scivoli di emergenza.

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marcodellaluna

L’insostenibilità della svolta green (e i reattori autofertilizzanti russi)

di Massimiliano Bonavoglia*

photo 2024 08 19 21 47 24.jpgTenteremo di rispondere alle seguenti domande: Quanto è sostenibile la Transizione Green? La produzione dell’energia pulita rispetta l’ambiente? Rispetta i diritti umani, quelli dei lavoratori e quelli dei minori? Lo stoccaggio e lo smaltimento delle batterie in aumento iperbolico, costituisce un problema? La svolta ecologica aiuta l’agricoltura, l’allevamento e l’occupazione nell’eurozona? Trasformare la dieta tradizionale in insettivora, è sano ed è a qualche impatto occupazionale? Quali Paesi avvantaggia la transizione ecologica per il settore auto? Il decreto green migliora il mercato immobiliare nazionale, o lo mortifica? Lanceremo poi alcuni brevissimi spunti di riflessione.

* * * *

La transizione verso un futuro energetico più verde è presentata dall’establishment come una necessità ineludibile, per affrontare le sfide del cambiamento climatico. Tuttavia, mentre ci impegniamo in questa trasformazione, è cruciale che esaminiamo attentamente le conseguenze ambientali, sociali etiche e morali legate alla produzione e allo smaltimento delle tecnologie verdi. Per di più, dovremmo riflettere non solo sull’impatto ambientale e sociale di queste, ma anche su come le regolamentazioni green stiano trasformando radicalmente l’agricoltura tradizionale, gli allevamenti e l’uso delle terre fertili in Europa. Il progetto di cui parliamo, coinvolge al massimo 450 milioni di persone, su un pianeta di più di otto miliardi di abitanti. Quindi una soluzione per tutti, adottata da una esigua minoranza.

La produzione di batterie e materiali per l’energia rinnovabile, sarebbe essenziale per ridurre le emissioni di carbonio, ma sta generando gravi conseguenze ambientali nei Paesi dove avviene l’estrazione delle materie prime. Appare come un paradosso: per inquinare meno nelle aree metropolitane del mondo più ricco, si deteriora l’ambiente di quello più povero, che in una logica globalista e in un’ottica olistica, risulta in ultima istanza controproducente.

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antropocene

Extinction, evoluzione e bugie verdi

di Howard Moss

3 libri.jpg

Per questo mese presentiamo tre libri recensiti da Howard Moss sulla rivista mensile inglese «Socialist Standard». Queste opere trattano temi a nostro avviso assai interessanti: una storia cooperativa della vita sulla Terra; un'analisi del processo di estinzione della biosfera da parte del sistema capitalistico; un esame dettagliato delle presunte "benefiche" politiche green.

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Esseri sociali

Selfish Genes to Social Beings. A Cooperative History of Life, di Jonathan Silvertown, Oxford University Press, 2024, pp. 236.

Questo è un libro notevole. Cerca di coprire, in un paio di centinaia di pagine, l'intera storia di quattro miliardi di anni della vita sulla Terra, quindi ovviamente non solo della vita umana. L'autore, specialista in ecologia evolutiva, fa del suo meglio, senza sottrarsi ai necessari tecnicismi biologici, per renderlo comprensibile al lettore comune, ai non specialisti.

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collettivolegauche

Antropocene o Capitalocene? Le critiche di Moore e la difesa di Angus

di Collettivo Le Gauche

Moore crop II1. Perché Moore è contro l’Antropocene

Per Jason W. Moore nel libro Antropocene o Capitalocene? Scenari di ecologia-mondo nell’era della crisi planetaria, traduzione di Alessandro Barbero ed Emanuele Leonardi, l’Antropocene è una delle risposte concettuali date alla relazione moderna tra ambiente e natura. Il concetto si presta a molteplici interpretazioni ma una è dominante ed individua nell’Inghilterra del XIX secolo le origini del mondo moderno e nell’Anthropos la molla dietro le forze trainanti di questo cambiamento epocale, ovvero carbone e vapore. Si tratta di una storia che mette da parte la violenza propria dei rapporti moderni di potere e di produzione, nella disuguaglianza e nell’alienazione. Le attività umane nella rete della vita sono ridotte a un’umanità astratta dove non figurano problematiche come l’imperialismo e il patriarcato. La narrazione proposta vede la contrapposizione delle imprese umane con le grandi forze della natura. La complessità del cambiamento storico-geografico viene sostituita da nozioni lineari di tempo e spazio. Allo stesso tempo, dice Moore, i teorici dell’Antropocene non possono negare che gli esseri umani sono una forza geofisica operante nella natura. Emerge così la problematica mooriana “Un sistema/Due sistemi”. A livello filosofico l’umanità viene inserita nella rete della vita ma a livello metodologico viene pensata come separata da essa. In poche parole, il pensiero verde si dibatte in olismo in filosofia e dualismo nella pratica. Per quanto riguarda la teoria dell’Antropocene, essa possiede due dimensioni. Una che analizza i fenomeni bio-geologici e la seconda che si sofferma sulla storia. In breve, a partire da fatti e questioni bio-geologiche vengono prodotte delle periodizzazioni storiche. L’approccio è sostenuto da alcune importanti decisioni metodologiche. In primo luogo ci si sofferma sulle conseguenze dell’attività umana. Il domino dell’uomo sulla Terra è costruito sulla base di cambiamenti biofisici ridotti a categorie descrittive come i concetti di urbanizzazione e industrializzazione.

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sinistra

L’inquinamento da polveri atmosferiche in pianura padana e, più in generale, in Europa e nel mondo

Con una postfazione del 2024

di Luca Benedini

Uno studio del 2017. Il punto di vista scientifico e le prospettive di soluzione per una vera e propria ecatombe tuttora in corso

b pianra padana2.pngLa pianura Padana continua stabilmente a essere caratterizzata da un inquinamento atmosferico da polveri sospese superiore più volte al limite che l’Unione Europea una decina d’anni fa ha riconosciuto come “tollerabile” (cioè 40 microgrammi di Pm10 per metro cubo come media annuale e 50 microgrammi per metro cubo, o µg/m3, come media giornaliera superabile non più di 35 volte in un anno). Si tratta di un pesantissimo livello di inquinamento che ha conseguenze molto gravi dal punto di vista sanitario. Anche altre parti d’Italia soffrono per la presenza atmosferica di polveri e per il superamento di tale limite anno dopo anno, ma nella pianura Padana si raggiungono tipicamente livelli particolarmente eclatanti.

Fino a ora in questo campo è stato monitorato principalmente il Pm10, cioè le polveri sospese aventi un diametro inferiore ai 10 micron, ma quella che si è rivelata particolarmente pericolosa per la salute è la frazione del Pm10 costituita dal Pm2,5, cioè le polveri sospese aventi un diametro inferiore ai 2,5 micron (e chiamate scientificamente “polveri fini” o “polveri sottili”, mentre le particelle comprese tra 2,5 e 10 micron vengono chiamate “polveri grossolane”). Sottolineava in particolare la Commissione Europea già il 21 settembre 2005, in una sua comunicazione al Consiglio d’Europa e al Parlamento Europeo e in una parallela proposta di direttiva ambientale: «I dati disponibili dimostrano che le polveri sottili (Pm2,5) sono più pericolose di quelle di dimensioni maggiori, anche se queste ultime particelle (che vanno dai 2,5 ai 10 µm di diametro) non possono essere ignorate. [...] Le particelle sottili (Pm2,5) hanno impatti molto negativi sulla salute umana. Finora, inoltre, non esiste una soglia identificabile al di sotto della quale il Pm2,5 non rappresenta un rischio.

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paginauno

Acqua. La (ir)razionalità del capitalismo

di Giovanna Cracco

acqua 1020x680Da gennaio 2023 a gennaio 2024, di­ciannove Paesi africani hanno segna­lato focolai di colera: Etiopia, Mozam­bico, Tanzania, Zambia e Zimbabwe tra i più colpiti, con migliaia di morti. In Zambia, l’epidemia è concentrata soprattutto nelle aree urbane come Lusaka, la capitale, afferma Viviane Ru-tagwera Sakanga, direttrice di Amref Zambia, “dove la densità di popola­zione e la mancanza di servizi igienici e accesso all’acqua pulita, soprattut­to negli insediamenti informali, ha contribuito alla diffusione dell’infezio­ne in maniera devastante”: da otto­bre scorso a marzo, 20.000 casi (1). Oltre al colera, epatite A, tifo, polio­mielite e diarrea acuta sono le prin­cipali malattie causate dall’uso di ac­qua contaminata e dalla mancanza di servizi igienici adeguati; gli ultimi da­ti Unicef riportano che la diarrea a­cuta, da sola, uccide ogni giorno 700 bambini sotto i 5 anni (2) ed è la cau­sa dell’80% delle morti infantili nel continente africano, dove 779 milio­ni di persone sono prive di servizi igienici di base e 411 milioni non hanno accesso a un servizio di acqua pota­bile (3).

Secondo il report Unesco uscito a marzo (4), tra il 2002 e il 2021 la sic­cità ha colpito 1,4 miliardi di perso­ne, ha provocato la morte di oltre 21.000, e oggi circa metà della popo­lazione mondiale vive in condizioni di grave scarsità idrica per almeno una parte dell’anno. Tre proiezioni conte­nute nel rapporto del 2021 (5) ipotiz­zano differenti scenari, nessuno otti­mista: il primo stima che l’uso mon­diale dell’acqua continuerà a cresce­re a un tasso annuale di circa l’1%, con un conseguente aumento del 2030% entro il 2050; il secondo preve­de che la domanda globale di acqua dolce crescerà del 55% tra il 2000 e il 2050; il terzo afferma che il mondo affronterà un deficit idrico globale del 40% entro il 2030: più domanda che offerta.

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antropocene

Difendere l’indifendibile: Il capitalismo può risolvere la crisi ecologica?

Creare grafici per compiacere l'élite globale

di Andrew Ahern

Rathi Ritchie.jpgDue nuovi libri sostengono che il capitalismo risolverà la crisi climatica ed ecologica. Pur avanzando tale tesi con stili e focus diversi, Climate Capitalism: Winning the Race to Zero Emissions and Solving the Crisis of Our Age, di Akshat Rathi, giornalista di Bloomberg, e Not the End of the World: How We Can Be the First Generation to Build a Sustainable Planet, della scienziata Hannah Ritchie, portano il lettore a una conclusione simile: il nostro attuale sistema sociale ed economico (il capitalismo) produrrà i cambiamenti tecnologici necessari, grazie alle forze di mercato, alle macchine più economiche e agli incentivi governativi, per portare a un'era di abbondanza, al progresso umano e alla «prima generazione sostenibile» del mondo.

Sia Rathi che la Ritchie sono due tecno-ottimisti e politico-pessimisti che nascondono il cambiamento sociale e politico dietro il paravento della sostituzione tecnologica.

Climate Capitalism è più esplicito rispetto a Not the End of the World nell'appoggiare il capitalismo per risolvere la crisi climatica (anche se, come sostengo, ognuno dei due fa il tifo per il capitalismo in una misura o nell'altra). Diviso in dodici capitoli, il libro di Rathi descrive l'ambito in cui i capitalisti del clima stanno cercando di affrontare il cambiamento climatico e di «vincere la corsa verso lo zero netto». Lo fa tracciando, il più delle volte, il profilo di singoli imprenditori o capitalisti, utilizzando il suo background giornalistico per creare una narrazione del tentativo del capitalismo di diventare “verde” ed evitare il peggio della crisi climatica.

Le soluzioni del capitalismo verde sono note a chiunque presti attenzione: dai veicoli elettrici, alle energie rinnovabili e alla cattura del carbonio, fino agli individui e alle istituzioni che si vantano delle loro credenziali di capitalismo verde, come Bill Gates e Unilever.

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crs

Dalla “primavera ecologica” all’imbroglio dello “sviluppo sostenibile”

Mezzo secolo fa la “primavera ecologica” investe l’Europa

di Marino Ruzzenenti

Negli anni ‘70 in Europa si inizia a discutere di crisi ecologica e si fa strada un’ecologia critica verso il sistema economico vigente. Dagli anni ‘80 però le grandi multinazionali e le associazioni di imprese impongono al dibattito e alla politica una virata neoliberista che mette ipocritamente insieme difesa dell’ambiente e crescita infinita

denaro verde 2 1536x1024.jpgLe difficoltà del Green Deal stanno emergendo alla luce del sole, non solo a causa degli sconquassi prodotti dalla guerra in Ucraina e dalla postura autolesionista assunta dall’Ue.

Può essere di qualche utilità per comprendere l’attuale impasse dare uno sguardo al mezzo secolo che abbiamo alle spalle, da quando all’Europa sono state chiare la gravità della crisi ecologica e l’urgenza di porvi rimedio.

Pochi sanno che nel 1972, per dieci mesi, fu Presidente della Commissione europea un ecologista radicale, Sicco Mansholt1, socialdemocratico, già leader dei contadini olandesi e protagonista della cosiddetta “rivoluzione verde” in agricoltura (ovvero chimica e macchine a gogò). Mansholt aveva avuto l’opportunità di leggere in bozza la ricerca commissionata dal Club di Roma al Massachusetts Institute of Technlogy di Boston, che poi sarebbe uscita con il titolo, in inglese, The limits to Growth, e in italiano, I limiti dello sviluppo. Una fulminate conversione, per lui. Così ne trasse la convinzione che l’Europa e in generale il Primo mondo, come si diceva all’epoca per l’Occidente industrializzato, dovesse porre un freno allo sviluppo materiale dell’economia, ovvero al prelievo di risorse naturali e allo sversamento di inquinanti, e che si dovesse lavorare nella prospettiva di una crescita zero o addirittura “sottozero”, sganciandosi dal vincolo del Prodotto nazionale lordo come unico misuratore del benessere sociale per adottare un nuovo indicatore, il Bonheur national brut, la Felicità nazionale lorda, il buen vivir, come diremmo oggi.

Mansholt in realtà interpretava lo spirito del tempo, quella straordinaria stagione ricca di analisi e proposte che attraversava l’Europa e non solo e che venne da Giorgio Nebbia chiamata “primavera ecologica”.

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effimera

Andare oltre l’inferno planetario

di Gennaro Avallone

In questi giorni esce in libreria per Ombre Corte Oltre la giustizia climatica. Verso un’ecologia della rivoluzione, di Jason Moore e a cura di Gennaro Avallone. Siamo felici di condividere l’Introduzione al testo di Gennaro Avallone, per cui ringraziamo la casa editrice e l’autore

Moore 3 e1711187651356.jpgL’inferno planetario

“Non è l’Uomo, ma è il Capitale il responsabile dell’inferno planetario”. È questa una delle affermazioni al centro di questo libro. La frase contiene tre concetti fondamentali per comprendere il mondo in cui viviamo e le sfide che dobbiamo affrontare. Il primo si riferisce a quello di Uomo, un’astrazione che ha accompagnato l’intera modernità in contrapposizione all’altra, quella di Natura, legittimando, in base a tale polarità, la superiorità degli esseri umani definiti civili (l’Uomo) su tutte le altre forme di vita, umane comprese, identificate come selvagge (la Natura). Il secondo concetto è quello di capitale, il rapporto socio-ecologico che ha plasmato il mondo dalla fine del 1400, costruendolo come un enorme magazzino di forme di vita di cui disporre e forme di vita da annullare, fino alla loro estinzione, se inutili o di ostacolo alla sua riproduzione. Il terzo concetto è quello di inferno planetario. Con esso, si individuano due processi. Il primo si riferisce agli effetti del riscaldamento globale e del cambiamento climatico in corso, che stanno trasformando parti del pianeta in luoghi totalmente ostili alla vita umana e ad altre forme di vita a causa delle alte temperature, della riduzione della fertilità dei suoli e della siccità, fino alla mancanza di accesso all’acqua potabile. Il secondo processo riguarda il fatto che per una parte dell’umanità, costituita da alcuni miliardi di persone, e per una molteplicità di vite animali, la vita sul pianeta è strutturalmente una sofferenza, dovuta ai processi di devastazione ambientale e svalorizzazione economica e culturale e alle profonde disuguaglianze socioecologiche che caratterizzano il globo.

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rifonda

La dialettica dell’ecologia, un’introduzione

di John Bellamy Foster

Pubblichiamo dal sito Antropocene.org, rassegna internazionale di ecosocialismo, la traduzione di un importante saggio di John Bellamy Foster dal numero di gennaio della rivista Montly Review

GreenMarx 90170 210x210.jpgL’intera natura si trova in un perpetuo stato di flusso…
Non vi è nulla che sia chiaramente definito in natura…
Ogni cosa è legata a tutto il resto…
Denis Diderot [1]

 

Come ha osservato l’ecologo di Harvard e teorico marxiano Richard Levins, «probabilmente la prima indagine di un oggetto complesso studiato come un sistema è stato il capolavoro di Karl Marx, Il capitale», che ha esplorato sia la base economica che quella ecologica del capitalismo, inteso come sistema socio-metabolico.[2] La premessa della Dialettica dell’ecologia, così come affrontata in quest’articolo, è che troviamo soprattutto nel materialismo storico classico/naturalismo dialettico, il metodo e l’analisi che ci permette di collegare “la storia del lavoro e del capitalismo” alla storia della “Terra e del pianeta”, consentendoci di indagare da un punto di vista materialista la crisi dell’Antropocene propria del nostro tempo.[3] Nelle parole di Marx, l’umanità è sia “una parte della natura”, che una “forza della natura”.[4] Nella sua concezione non era presente alcuna rigida divisione tra storia naturale e storia sociale. Piuttosto, «La storia della natura e la storia dell’uomo [umanità]» erano pensate come «l’una in dipendenza dall’altra sin tanto che l’uomo esisterà».[5]

Da questa prospettiva, la relazione tra lavoro, capitalismo e metabolismo terrestre, è al centro della critica dell’ordine esistente. «Il lavoro», scriveva Marx, «è, anzitutto, un processo che passa tra l’uomo e la natura, un processo attraverso il quale l’uomo, per mezzo delle sue stesse azioni, media, regola e controlla il metabolismo tra sé e la natura.

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comuneinfo2

Nelle mani sbagliate

di Paolo Cacciari

DSC5514.jpgIl tormento crescente che rende cupa la vita di ogni giorno a causa delle guerre e delle devastazioni ambientali e climatiche che non sembrano conoscere limiti non deve impedire di pensare e guardare il mondo diversamente. È necessario prendere atto che affidare la cura delle relazioni tra gli esseri umani e tra loro e la natura agli apparati di governo degli stati significa infilarla in un binario morto. Abbiamo bisogno di rovesciare l’approccio ai problemi, scrive Paolo Cacciari nel nuovo numero della rivista Quaderni della decrescita (“Energia: quanta, quale, per chi”): smetterla di delegare la loro soluzione a chi occupa posizioni di potere nell’economia, nella politica istituzionale, nella tecnoscienza, e affidarci alle comunità che vivono i territori in molti modi diversi.

* * * *

E se l’errore fosse ab origine? Se la ragione di tanti, tragici fallimenti non dipendesse dalla correttezza delle analisi della situazione e nemmeno dall’appropriatezza degli obiettivi da raggiungere1, ma dall’errata impostazione del problema? Ovvero, dalla scelta del chi e del come dovrebbe agire per ottenere i risultati desiderati? Affidare la cura delle relazioni tra gli esseri umani e tra loro e la natura agli apparati di governo degli stati significa infilarla in un binario morto. È sbagliato aspettarsi che a risolvere le crisi planetarie, umane ed ecologiche, siano coloro che le hanno create.

Allora, forse, è necessario rovesciare l’approccio ai problemi; smetterla di delegare la loro soluzione a chi occupa le posizioni di potere ai vertici dell’economia, della tecnoscienza, della politica e affidarli invece alle comunità insediate nei territori2, alle popolazioni direttamente responsabili della bontà delle relazioni tra gli esseri umani e tra loro e gli ecosistemi di appartenenza.

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lindice

Le scorie dentro di noi, 2200 torri Eiffel sopra di noi

La plastica dimostra come l’umanità non sia in grado di gestire il pianeta

di Gabriele Lolli

INDICE DEL MESE 1078x516.pngLa prima azione che ho fatto dopo aver letto le prime venti pagine del libro è stata quella di cambiare i pantaloni della tuta che indossavo in casa, che sono al 70 per cento cotone e al 30 per cento di poliestere. Le microplastiche sono particelle dell’ordine di un micron (un millesimo di millimetro, e più piccole ci sono anche le nanoplastiche, nella scala di virus e molecole); in casa, oltre che dai vestiti (di acrilico, nylon, elastan) per sfregamenti e usura, scorie di plastica sono rilasciate da lavatrici, coperte, divani, tappeti, e ci sono quelle volutamente inserite nei prodotti acquistati come dentifricio, detersivi, cosmetici (oltre alle plastiche note a tutti, dalle bottiglie agli imballaggi dei supermercati ecc.). Nel 2022 è arrivato l’annuncio che la plastica è presente nel sangue, sospettata finora, adesso provata con esperimenti che ne hanno rilevato la presenza nell’80 per cento circa dei soggetti esaminati; piccole quantità per ora, ma misurabili, e a ruota scoperte anche nei polmoni, nelle urine, nel latte materno, nel liquido seminale: sono il polietilene tereftalato, il polistirene, il polietilene, altri con quote a scendere. Non si sanno ancora gli effetti, ma incombe il ricordo delle polveri di amianto.

Le microplastiche sono introdotte anche con il cibo, perché usate nella produzione agricola, dove si cospargono i campi con piccole pastiglie plastificate a lento rilascio: col tempo i prodotti chimici entrano nel suolo, ma la plastica resta lì; e comunque i vasi linfatici delle piante portano nutrienti ai semi e insieme anche microplastiche assorbite dal terreno; la frutta più che la verdura è inquinata per i tempi più lunghi di maturazione ed elevata vascolarizzazione del frutto.