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lafionda

Oltre la Ue? Bonificare il dibattito

di Matteo Bortolon

Lucio Caracciolo.jpg“Dobbiamo avere una prospettiva europea perché da soli non andiamo da nessuna parte”. “Non si può tornare indietro ai vecchi Stati-nazione”. Tali argomenti – o meglio slogan – hanno insopportabilmente infarcito il dibattito, trovando il pigro consenso dei più stanchi luoghi comuni semicolti

La questione, legata al dibattito sulla Ue e sull’euro, è diventata uno slogan da mulinare sulla testa degli avversari più che un assunto da valutare razionalmente e criticamente.

Oggi si può forse ragionare più serenamente, dato che nessun partito che abbia un minimo di potere nemmeno ventila la possibilità di scrollarsi di dosso il carrozzone eurounitario di fronte a cui ogni declinazione possibile di establishment (progressisti, liberali, conservatori, identitari…) si è genuflesso come di fronte ad un idolo. Anzi: si può provare a ragionare tout court, dato che la polemica e l’astio hanno tolto il terreno per una riflessione meditata, che pur sarebbe necessaria in una fase di riassestamento degli equilibri geopolitici; situazione opportuna per eventuale ridefinizione della politica estera del paese, purché si abbia qualche idea.

 

Se non li convinci spaventali

Il punto di partenza non può che consistere nella modestia dell’argomento per cui “l’Italia è troppo piccola per fare da sola”; si tratta semplicemente di una pedata nei denti contro chiunque mettesse in questione l’aderenza dell’Italia alla Ue.

Naturalmente vi erano argomenti diversi pro-Ue. Una linea di argomentazioni “alte” era piuttosto elitista: l’integrazione europea sarebbe il vertice di un processo secolare di crescente avvicinamento dei popoli europei, un destino storico volto alla fratellanza e basato su una base di cultura condivisa. Argomentazione da progressismo colto e professorale, poco adatto alle orecchie di ceti in sofferenza sociale che piuttosto che l’europeismo ideale tastano con mano l’austerità reale.

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krisis.png

«Kaja Kallas, la guerrafondaia in capo dell’Unione europea»

di Thomas Fazi

Ritratto impietoso dell’Alto rappresentante Ue per gli Esteri, ex prima ministra estone accesamente anti-russa.

 Ursula von der Leyen and Kaja Kallas at the weekly college meeting of the von der Leyen Commission 2024 P065043 77274 resultDurissimo atto d’accusa del saggista italo-inglese nei confronti di Kaja Kallas. L’Alto rappresentante dell’Unione europea è descritta come una figura bellicosa e tutt’altro che diplomatica, alle prese con gaffe e tensioni internazionali. Nel suo intervento ospitato da Krisis, Fazi porta anche alla luce le discrepanze fra la linea anti-russa di Kallas e le profonde connessioni della sua famiglia con il regime sovietico, oltre ai controversi affari commerciali con la Russia del marito. Il giudizio finale di Fazi è tagliente: Kallas compromette l’immagine e la credibilità dell’Europa nel mondo.Sebbene Ursula von der Leyen sia sopravvissuta alla mozione di sfiducia del 10 luglio al Parlamento europeo, il risultato (175 voti favorevoli) ha messo a nudo un crescente malcontento nei suoi confronti. La mozione prendeva però di mira l’intera Commissione europea. E, in particolare, la numero due della presidente: Kaja Kallas, vicepresidente della Commissione e Alto rappresentante per gli Affari esteri.

La figura che, nell’architettura europea, più si avvicina a quella di un ministro degli Esteri è la vera minaccia all’Europa. Kaja Kallas ha costruito la sua carriera su una sfrenata russofobia, che attribuisce agli orrori vissuti crescendo nell’Estonia sotto il controllo sovietico. Il 23 agosto 2023, quand’era ancora primo ministro dell’Estonia, in visita al memoriale alle vittime del comunismo a Maarjamäe, ha per esempio denunciato con veemenza i «crimini mostruosi commessi dal comunismo».

Eppure, la realtà è ben diversa. La sua famiglia, ben lontana dall’essere vittima dell’oppressione sovietica, ha vissuto in realtà un’esistenza relativamente agiata all’interno dell’apparato del potere dell’Urss. Una famiglia la cui ascesa è stata facilitata, in misura non trascurabile, proprio dal sistema sovietico che lei oggi demonizza.

Questa ironia getta un’ombra pesante sulla sua postura morale anti-russa: è difficile conciliare le sue invocazioni a una linea dura e inflessibile contro la Russia con il fatto che gran parte del prestigio della sua famiglia – e quindi il suo – sia stato reso possibile dalle opportunità offerte dall’Unione Sovietica.

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lantidiplomatico

L’Europa dei camerati e il suo cuore battente. HEIL MERZ

di Fulvio Grimaldi

mponuogDie Fahne Hoch / die Reihen fest geschlossen…”, Alta la bandiera, le fila ben serrate…”

https://www.youtube.com/watch?v=D7pw9_EMGfI  (In tedesco)

https://www.youtube.com/watch?v=j05dg8a4iWU  ( Milva, italiano)

Era l’inno delle SA, le milizie naziste, versione tedesca delle squadracce nere nostrane, che imperversavano fino a quando non dettero ombra al partito e furono soffocate nel sangue e nel carcere. Poi divenne l’inno del partito. Ho titoli per parlarne, a proposito di allora e di adesso. Perché c’ero e, alla faccia di Merz, ci sono.

Friedrich Merz, neocancelliere tedesco, e Marc Rutte, neosegretario della NATO, si fanno vedere spesso insieme. Manifestano quella gioiosa comunanza che gli psichiatri definiscono “sindrome del delirio condiviso” e considerano una grave patologia. A Friedrich Merz deve essere intimamente gradito il motto “repetita juvant”. E non pare essere l’unico, se uno fa caso a quanto va succedendo nelle istituzioni in una parte significativa del nostro continente, a partire dalla nostra che molto si è portata avanti col lavoro: l’”Europa dei camerati”, qualcuno va azzardando.

Mi rendo conto che su questo tema e i suoi rapidi sviluppi ci sia poco da scherzare, ma per adesso e per stavolta prendiamola così. Anche perché i due figuri si prestano: uno che in casa, fin da piccolo l’hanno chiamato “Birnkopf”, testa di pera, e non si sa se abbiano fatto del bodyshaming, o dei riferimenti al modo di ragionare. L’altro che, pur di non far trasparire nulla di umano e non militarizzato, si rivolge al mondo con occhi e labbra talmente strizzati da parere feritoie di carro armato.

Quanto alla passione di Merz per il citato insegnamento dei padri latini sulla ripetizione degli eventi positivi e delle cose ben fatte, il pensiero corre a quanto il suo antecedente bavarese rispettasse la costituzione del suo Stato, la Repubblica di Weimar, inanellando un putsch dopo l’altro, fino a quello riuscito tramite regolari elezioni (1933). 

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ilponte

La strategia dell’Unione europea per la preparazione alle crisi e alle guerre

Una strategia della paura che non convince più

di Alessandra Valastro e Roberto Passini

Metropolis 1 1068x534.jpg1. Dalle crisi alle minacce. Il governo del terrore e la minaccia delle parole

«Siamo in un mondo che cambia», afferma l’Ue (nell’immaginario orwelliano l’Europa), nella Comunicazione congiunta proposta il 26 marzo scorso. Ma il cambiamento è individuato nell’aumento di «rischi e minacce interconnessi», ovvero in un «panorama della sicurezza sempre più complesso e volatile». La risposta dell’Ue? «Un approccio coordinato alla preparazione» che garantisca «una cultura della resilienza in tutta la società». E per chi non avesse capito bene: «essere pronti a tutti gli scenari peggiori».

Et voilà, la strategia del terrore è servita.

Dopo le preoccupazioni suscitate dalle sollecitazioni al riarmo, che molti sembrano aver sottovalutato perché abbagliati dalla religione di un capo europeo difensore della pace, ma che altrettanti hanno rifiutato perché basato su molteplici menzogne, l’Ue sembra avere alzato il tiro con una “Strategia” ben più ampia che ritesse le fila da lontano, auto-attribuendosi poteri inediti di elevata rilevanza come la difesa e la “preparazione alla guerra”, nella disponibilità esclusiva dei singoli Stati.

La tecnica: agganciare le vicende che da sempre colpiscono l’immaginario dell’umano, insinuandosi nei timori e nelle paure che le contraddistinguono. Lo strumento: l’uso e abuso delle parole atte a riattualizzare e mantenere ben vive quelle paure; l’eliminazione dal lessico pubblico delle parole che invece quelle paure vogliono sfatare, non per ignorarle ma per agire con sano realismo sulle ragioni che le determinano.

Crisi e resilienza sono, ahimè, i termini che la fanno da padrone, confermando una narrazione che già da anni ne fa i propri cavalli di battaglia per politiche di austerità, di privatizzazioni e di esaltazione della concorrenza anche tra ordinamenti giuridici; e stabilizza una volta per tutte il ritorno alla paura e allo spaesamento quale vera e propria tecnica di governo

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giubberosse

L’autodistruzione dell'Europa

di Thomas Fazi

Come possiamo dare un senso alla postura apparentemente autodistruttiva dell’Europa? Quattro dimensioni interconnesse possono aiutare a spiegare la posizione dei suoi leader: psicologica, politica, strategica e transatlantica

Immagine 2025 05 07 093156.jpgPer chi è esterno, la politica europea può essere difficile da decifrare oggigiorno, e questo è più evidente che mai nella risposta del continente all’evolversi della situazione in Ucraina. Dalla rinascita politica di Donald Trump e dalla sua iniziativa di negoziare la fine del conflitto russo-ucraino, i leader europei hanno agito in modi che sembrano sfidare la logica fondamentale delle relazioni internazionali, in particolare il realismo, secondo cui gli Stati agiscono principalmente per promuovere i propri interessi strategici.

Invece di sostenere gli sforzi diplomatici per porre fine alla guerra, i leader europei sono sembrati intenzionati a ostacolare le aperture di pace di Trump, indebolire i negoziati e prolungare il conflitto. Dal punto di vista degli interessi fondamentali dell’Europa, questo non è solo sconcertante, è irrazionale. La guerra in Ucraina, meglio descritta come un conflitto per procura NATO-Russia, ha inflitto immensi danni economici alle industrie e alle famiglie europee, aumentando drasticamente i rischi per la sicurezza in tutto il continente. Si potrebbe sostenere, naturalmente, che il coinvolgimento dell’Europa nella guerra sia stato fuorviante fin dall’inizio, frutto di arroganza ed errori di calcolo strategico, inclusa l’errata convinzione che la Russia avrebbe subito un rapido collasso economico e una sconfitta militare.

Tuttavia, qualunque sia stata la logica alla base della risposta iniziale dell’Europa alla guerra, ci si potrebbe aspettare che, alla luce delle sue conseguenze, i leader europei avrebbero colto con entusiasmo qualsiasi via praticabile verso la pace – e con essa, l’opportunità di ripristinare i rapporti diplomatici e la cooperazione economica con la Russia. Invece, hanno reagito con allarme alla “minaccia” della pace. Lungi dall’accogliere con favore l’opportunità, hanno raddoppiato gli sforzi: hanno promesso un sostegno finanziario e militare a tempo indeterminato all’Ucraina e hanno annunciato un piano di riarmo senza precedenti che suggerisce che l’Europa si sta preparando a una situazione di stallo militarizzato a lungo termine con la Russia, anche in caso di una soluzione negoziata.

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lafionda

Verso l’economia di guerra

di Alessandro Somma

Europa armata.jpgIl coinvolgimento dell’Unione europea nel conflitto con l’Ucraina è stato il frutto di un rapporto tra Washington e Bruxelles almeno formalmente diverso da quello sviluppatosi negli ultimi tempi. Se l’Amministrazione Biden rimarcava la presenza di solidi legami tra Stati Uniti e Unione europea, Donald Trump discute apertamente di un disimpegno militare degli Stati Uniti nel Vecchio continente.

In una simile situazione l’Unione europea dovrebbe riconsiderare la sua collocazione nello scenario internazionale. Accade invece il contrario: persevera nel suo sentirsi un progetto atlantista, mira anzi a rilanciarlo attraverso la realizzazione di una difesa europea sostenuti da una vera e propria economia di guerra. Il tutto accompagnato da una ricostruzione dello scenario internazionale attraverso tinte particolarmente fosche, che costituisce il nucleo centrale della retorica su cui si reggono i propositi europei così come sintetizzati nel Libro bianco sulla prontezza alla difesa europea per il 2030 (del 19 marzo 2025, Join/2025/120 final).

 

Una retorica bellicista

Lo scenario ha evidentemente il suo fulcro nella minaccia rappresentata dalla Russia: avrebbe «chiaramente indicato che nella sua ottica rimarrà comunque in guerra con l’Occidente», motivo per cui, se le «sarà consentito di conseguire i suoi obiettivi in Ucraina, la sua ambizione territoriale si spingerà oltre». Minacciosa è anche la Cina, non solo perché è un Paese «autoritario e non democratico», ma anche perché mira alla supremazia in ambito economico e tecnologico e perché «sta rapidamente ampliando la capacità militari comprese quelle nucleari, spaziali e informatiche». Ma pure il Medio Oriente pone problemi, se non altro per il «legame diretto dell’Iran con la Russia», e lo stesso vale per l’Africa pensando alle sfide che derivano dalle pressioni migratorie, dal terrorismo e dalle conseguenze delle crisi climatiche. Non mancano infine le «crescenti minacce ibride», comprendenti «attacchi informatici, sabotaggio, interferenze elettroniche nei sistemi globali di navigazione e satellitare».

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lantidiplomatico

Il ReArm Europe (o Readiness 2030 per le anime più sensibili) spiegato al duo delle meraviglie

di Fogliolax

fnosisbgnmRe(h)Arm Europe è il nuovo brillante piano da 800 miliari di Ursula von der Leyen & friends per consolidare e accelerare il suicidio dell’Europa che conta (i debiti). Dopo i successi ottenuti dalle politiche green e pandemiche appare saggio riproporre il medesimo schema incentrato sull’emergenza di turno, vale a dire la conquista del Vecchio Continente da parte della Russia; non subito però, niente allarmismi, bensì a partire dal 2030: godetevi quindi i prossimi 5 anni come se fossero gli ultimi.

Per capire meglio affidiamoci a un Q&A come fanno i top del mestiere.

 

Ci sono sti 800 miliardi? 

Sì, basta indebitarsi, così come gli Stati Uniti insegnano per lo meno dalla grande crisi finanziaria del 2008. Lo schema è questo: più spese ---> più debito ---> inflazione galoppante ---> rialzo dei tassi (in ritardo) ---> avvisaglie di una nuova crisi ---> taglio dei tassi--->ulteriori spese e ulteriore debito per rimandare la catastrofe (vedrete, succederà lo stesso con la questione tariffaria).

Certo, per noi europei sarà più difficile senza un mercato obbligazionario comune e una valuta credibile; comunque state tranquilli, 150 miliardi ce li dà direttamente Ursula von der Leyen, mentre per gli altri 650, cari Stati Membri, dimenticatevi un Ventennio di austerità e sfondate pure i vostri bilanci.

 

C’è consenso istituzionale attorno a questo piano? 

Pare di sì, il Parlamento europeo ha votato preventivamente a favore con alcune eccezioni (i Patrioti ad esempio). E il consenso dei cittadini? Chi se ne importa, dai.

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fuoricollana

L’Unione contro tutti, l’Unione contro sé stessa

di Vincenzo Comito

Le “armi” europee (auto, chimica, meccanica) per combattere i colossi mondiali appaiono spuntate, mentre nel “settore” dell’IA la nostra presenza è residuale. I dazi affievoliscono la capacità esportatrice dell’Ue. L'alternativa al bellicismo? Negoziare con Pechino un trattato su commercio e investimenti

Bandiera piegata UE.pngOggi l’Unione Europea e i paesi che ne fanno parte si trovano nella scomoda posizione di combattere contemporaneamente su tre fronti e tutti rilevanti: contro gli Stati Uniti e il suo Presidente, che d’altro canto non fa mistero del suo disprezzo per il nostro continente; ovviamente contro la Russia nostro nemico giurato (è da poco che Bruxelles ha ribadito che le sanzioni alla Russia non saranno tolte se non dopo che il paese avrà ritirato e senza condizioni tutte le sue truppe dal suolo ucraino) e infine contro la Cina, non mancando occasione da parte dei dirigenti dell’UE di cercare di mettere i bastoni tra le ruote a tutte le attività del paese asiatico nel nostro continente.

 

L’UE contro tutti

Ma le armi europee per combattere contro i tre colossi della politica mondiale appaiono piuttosto spuntate. In campo industriale la maggior parte delle attività tradizionali del nostro continente, anche se per fortuna non tutte, sono in grave difficoltà e senza grandi speranze di ripresa (l’auto, sotto i colpi del cambiamento tecnologico, del rallentamento del mercato della UE, della concorrenza cinese, dei dazi di Trump; la chimica, sotto quelli degli alti costi dell’energia, in Europa almeno di quattro volte superiori a quelli di Cina e Usa, del mercato che ormai si trova di nuovo per la gran parte in Cina e Usa; la meccanica, ancora sotto i colpi della concorrenza cinese), mentre nei settori avanzati, che costituiscono ormai il cuore dell’economia, la nostra presenza è praticamente residuale, tranne che in alcuni ridotti sottosettori.

Ora i dazi di Trump minacciano di affievolire fortemente anche quello che è ancora un grande punto di forza dell’economia dei paesi dell’UE, la sua capacità esportatrice. E non va certo molto meglio in campo militare: si racconta, per esempio, che in Francia ci siano soltanto 200 carri armati operativi e in Italia addirittura 50. Non sappiamo se tali cifre sono corrette, ma perlomeno esse fotografano sostanzialmente dei sentimenti diffusi al riguardo

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fuoricollana

La nuova bolla finanziaria del riarmo

di Alessandro Volpi*

Armamento guerra UE.pngPolizze, conti deposito, cartolarizzazioni, riduzioni fiscali. Il riarmo europeo finanzia ben poco l'Ue, anche perché oltre la metà si traduce in acquisti di armi prodotte negli Usa. La nuova economia violenterà il Welfare e coltiverà odi nazionalistici destinati a distruggere il senso di convivenza collettiva

Nell’orizzonte di ReArm Europe, lo strumento concepito dalla Commissione von der Leyen per “difendere” il Vecchio Continente, compare, esplicito, l’invito a creare un mercato unico dei capitali e a favorire strategie di finanziarizzazione verso il settore delle armi, anche attraverso la Banca Europea degli Investimenti, così da facilitare la piena declinazione del capitalismo in termini bellici.

 

L’impennata dei titoli azionari delle armi

Il Piano, in tal senso, è l’indicazione per i grandi fondi Usa, BlackRock Vanguard e State Street, per quelli europei, da Amundi, per la grandi banche di comprare i titoli dell’industria delle armi – peraltro ben specificata dal documento “difesa aerea e missilistica, sistemi di artiglieria, missili e munizioni, droni e sistemi anti-drone”, una definizione solo parzialmente corretta dal Libro Bianco per la difesa – mettendo in secondo piano le altre forme di investimento, con la conseguenza di generare una vera e propria, colossale bolla speculativa. Così le manifestazioni pro Europa hanno ottenuto un risultato immediato, costituito dall’impennata dei titoli azionari delle principali imprese di armi europee in grado di registrare record e di riorganizzarsi rapidamente. Non è un caso che la Borsa tedesca sia stata trascinata da Rheinmetall, quella italiana da Leonardo, quella francese da Thales e quella inglese da Bae Systems. Se prendiamo l’elenco delle principali società di armamenti europee, vediamo che da inizio anno fino a metà marzo 2025 il titolo di Airbus Group è cresciuto del 12,6%, quello di Bae Systems del 41%, quello di Dassault del 45,5%, quello di Kongsberg del 27%, quello di Leonardo del 73,3%, quello di RheinMetall del 92,2%, quello di Rolls-Royce del 41%, quello di Saab del 58% e quello di Thales del 76%.

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lafionda

L’assurdo al potere in Europa

di Elena Basile

carta allegorica 1 607x452.jpegMi capita di incontrare persone del ceto medio, anche molto cortesi e istruite, capaci per certi aspetti di esibire una certa umanità nei confronti dei consimili, che di improvviso mi fanno gelare il sangue nelle vene, pronunciando espressioni relative al genocidio di Gaza di chiara approvazione della carneficina in corso, anche dell’omicidio dei bambini. “Beh poi crescono e divengono terroristi”: questo affermano.

Mi sembra evidente che l’umanità sia destinata a ripetere i propri crimini. Gli ebrei venivano considerati ladri e persone infami, non potevano indurre a compassione. Ugualmente i bambini di pochi anni trucidati da Israele non possono ispirare alcuna pietà, appartenendo essi alla categoria subumana dei terroristi. La barbarie avanza. Il noi e il loro ritorna prepotente. Il cattivo di turno è cangiante, ora islamista, ora russo, ora palestinese. C’è sempre una buona ragione per escluderlo, demonizzarlo, massacrarlo.

E’ vero a Gaza i bambini sopravvissuti agli stermini israeliani hanno buone chances di combattere Israele con la lotta armata. Non vi sono canali politici. Difficile combattere una potenza occupante con altri metodi. Craxi, Andreotti e Barak avevano compreso come soltanto la fortuna permettesse ad alcuni di essere rispettabili cittadini e trasformasse altri in criminali. Essi non si stancavano di ammettere che se fossero nati in una prigione a cielo aperto, sarebbero divenuti anch’essi terroristi. La razionalità vorrebbe che al fine di eliminare il pericolo terrorista si cancellassero le sue cause profonde in Palestina. Sarebbe essenziale porre fine all’assedio di Gaza, all’occupazione illecita della Cisgiordania. La logica è tuttavia messa di lato, si preferisce puntare sugli istinti di appartenenza e la sempre viva tendenza a escludere chi è considerato straniero, diverso.

Con riferimento alla Russia il metodo non è differente. Si fotografa l’istantanea, spiace dirlo anche da parte degli analisti più seri. Mosca ha invaso la Crimea, ha invaso l’Ucraina. Quindi è uno Stato imperialista. Putin ha osato dire che non ci sono differenze tra nazione ucraina e nazione russa.

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lafionda

Difesa europea ed euro-demenza

di Alberto Bradanini

Europa armata.jpg1. Pur nella cupezza dei tempi, non dovremmo sorprenderci della sorpresa con cui prendiamo atto dell’instabilità mentale delle nostre classi dirigenti. Del resto, queste, ahimè, non sgorgano dal vuoto cosmico (riflessione questa lecita e sconfortante!), essendo esse il riflesso di popolazioni frantumate da deficit etico, propaganda, intorpidimento televisivo e decadimento mentale da smartphones, che sta per telefoni intelligenti! Di tutta evidenza, quando non si ha la cosa, si ha il nome!

Il congelamento delle masse nella passività, obiettivo primario del ceto dominante, è oggi uno stato di fatto, la sua granitica immodificabilità un valore strategico.

Quanto sopra premesso, facendo leva sull’indulgenza del lettore per la sintesi eccessiva a ossimorico dispetto della lunghezza del testo, si tenterà di gettare uno sguardo sulla Risoluzione Rearm Europe, un testo[1]  di profonda cultura strategica con cui il Parlamento europeo il 12 marzo scorso punta a dirottare verso il settore delle armi e la difesa europea quelle risorse pubbliche, di cui, come noto, i paesi europei abbondano, consentendoci di respingere (nel 2030!) quei milioni di cosacchi ammassati alle frontiere d’Europa, intenzionati a sottometterci.

Va detto che gli scenari enigmatici con cui siamo confrontati sono destinati a restare tali, se non si condivide almeno un aspetto preliminare: la specie umana dalla quale provengono le classi dominanti (di cui gli onorevoli che siedono sugli scranni di Strasburgo sono espressione diretta) si occupa forse di alta politica, ma non degli interessi e dei bisogni dei popoli.

Orbene, il Parlamento europeo – assai costoso (se nemmeno per quei parlamentari il denaro fa la felicità, figuriamoci la miseria!), ma in compenso pressoché inutile – dove la futilità riflessiva si coniuga con corruzione etica e materiale– approva solitamente risoluzioni che contano come il famigerato due di coppe.

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lantidiplomatico

"Una pace ingiusta e predatoria": il senso di Paolo Mieli per la guerra

“Carestia peste e carbonchio”: come a Bruxelles preparano la guerra contro la Russia

di Fabrizio Poggi*

ekrMFNL JUKSVBÒNGVIl raggiungimento di una prospettiva di pace che fermi il massacro in corso da almeno 11 anni in Donbass e da oltre tre nelle regioni sudorientali ucraine, dove va avanti il conflitto voluto dalla passata amministrazione yankee, insieme a UE e NATO, costituirebbe, per definizione, una «pace ingiusta... una pace predatoria, ostentatamente punitiva». Parola di qualcuno che, pur in età ormai matura, “continua” quella “lotta” iniziata in anni giovanili contro ogni percorso che partisse, a quei tempi, a est dell'Elba; una “lotta continua” rinnovata oggi, come sembra essere il caso del signor Paolo Mieli, contro ogni tragitto che inizi a est del Dnepr. Perché è un assioma: oltre quelle longitudini, socialismo o capitalismo che sia, non possono vivere che “aggressori”, i quali, nel caso odierno, non mirano ad altro che a imporre «un trattamento punitivo per l’Ucraina».

Anche se, a quanto è dato sapere, nel “complotto” russo-americano, non sembra si faccia cenno ad alcuna, doverosa, eliminazione della junta neonazista di Kiev, ma si tratti invece di portarla a un cessate il fuoco effettivo, ammesso che le elezioni chieste da Mosca, con la formazione di un governo temporaneo sotto egida ONU, possano determinare un vero mutamento del regime majdanista, con un qualsiasi “anti”-Zelenskij di facciata. Sono ancora nitide nella memoria le promesse elettorali del nazigolpista-capo, di metter fine alla guerra in Donbass, che gli avevano guadagnato la vittoria su Petro Porošenko.

E l'assioma di cui sopra, si estende oggi ai «prossimi colpi dei russi» che verranno, si dà per scontato, «contro l’insieme degli Stati europei»: cinquant'anni fa, si rideva al cinema con “Mamma li turchi”; oggi c'è ben poco da ridere, non foss'altro che per il tono “serioso” con cui si cerca di convincerci che, mutata la latitudine degli “aggressori”, il pericolo è altrettanto mortale, tanto da dover dotarsi del carosellistico “kit di sopravvivenza”, un bignami del Preparadeness Union Strategy per quei tre giorni che, ci si racconta, sarebbero sufficienti per difendersi dalle atomiche de “li nuovi turchi” iperborei.

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crs 

Prontezza e panico. L’Europa senza ombrello

di Stefano Lotti

Il ReArm Europe/Readiness 2030 nei fatti supporta un nazionalismo militare estremo ed evidenzia il ri-emergere delle forze centrifughe europee finora sopite dall'ombrello statunitense e dalla guerra fredda. Ora l’Europa si risveglia come un insieme di singole potenze, che potenze non sono più e la cui reputazione non è certo adamantina fuori dai propri confini

ombrello 2.jpgQual è la realtà della reazione “europea” al veloce cambiamento impresso dalla Casa Bianca alle relazioni internazionali?

Ciò che emerge principalmente è un’incoerenza generale tra le intenzioni dichiarate e la realtà delle posizioni e dei programmi. Questa sorta di dissonanza cognitiva riguarda tutte le opzioni politiche presenti in Europa. Un europeismo che supporta politiche nazionaliste contrasta un nazionalismo operativamente nemico della propria sovranità nazionale, mentre i pochi pacifisti espongono argomenti sparsi e poco pertinenti.

Gli Stati europei sembrano risvegliarsi, dopo ottant’anni di pace, in un mondo in cui sono poco rilevanti, senza rendersi conto di quanto effettivamente lo siano.

Consideriamo per ora soltanto l’aspetto economico. La quota del prodotto lordo europeo nel 2024 è scesa a un modesto 14% rispetto a quella mondiale. Il fatto che gli Stati Uniti discutano apertamente di limitare le proprie basi militari all’emisfero occidentale, ritirandosi quindi da Europa e Asia, non è una boutade dell’amministrazione Trump. Rappresenta un cambiamento degli equilibri di potenza. La stessa quota USA di prodotto lordo è oramai solo del 17% (Stephen Peter Rose, “A Better Way to Defend America”, Foreign Affairs, 14 marzo 2025).

Anche se la potenza economica è soltanto un aspetto della potenza degli Stati, queste derive strutturali cambiano i loro interessi, il loro peso relativo e la sostenibilità delle loro politiche di potenza. L’amministrazione Trump è oggi un riflesso di una deriva strutturale preesistente a cui aderisce in modo pericoloso e imprevedibile.

Stiamo vedendo gli effetti della fine del breve e disastroso “momento unipolare” seguito all’epoca della guerra fredda (John J. Mearsheimer, “Bound to Fail: The Rise and Fall of the Liberal International Order”, International Security, Spring 2019).

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volerelaluna

La guerra in Ucraina e le bugie dell’Europa

di Piero Bevilacqua

ANTONIU 1100x578.jpgÈ ormai chiaro come la luce del giorno. Gli attuali dirigenti europei sono sotto l’effetto di una duplice e devastante sconfitta. Hanno perso la guerra contro la Russia, sostenuta con il sangue ucraino e in appoggio subalterno agli USA. E ora si trovano umiliati da una nuova amministrazione americana, che ha cambiato strategia e li tiene lontani da ogni trattativa indirizzata alla pace.

Ma le élites del Vecchio Continente hanno preso atto di un’altra e certo più grave sconfitta: l’Unione Europea ha fallito nei sui compiti fondamentali. Il Rapporto Draghi del 2024 ne costituisce la piena certificazione: gli obiettivi di successo competitivo sul piano economico e tecnologico non sono stati raggiunti. USA e Cina ci distanziano di 10 anni. E il bilancio complessivo degli ultimi trent’anni è drammatico: le disuguaglianze sociali in Europa si sono ingigantite; è dilagato il lavoro precario; ampie fasce di ceto medio e popolari si sono impoverite; molte conquiste di welfare del dopoguerra sono state colpite; gli spazi di partecipazione democratica si sono ristretti; i partiti politici di massa sono degradati a cordate elettorali; le formazioni di destra ormai contrastano quasi alla pari (quando non sono già al governo) le forze politiche che avevano fondato l’Unione. La democrazia è minacciata in tutto il Continente.

Di fronte a tale scenario i ceti dirigenti UE cercano di sottrarsi alle loro responsabilità infilandosi in un altro e più devastante errore: il programma ReArm Europe. In verità il progetto persegue vari fini che per brevità qui non indico. Ma esso tenta di fondare la propria legittimità su due colossali menzogne: la Russia ha mosso guerra all’Ucraina per le sue mire imperiali; la Russia minaccia di invaderci. Dunque, documentare la falsità di questa narrazione illumina il progetto di riarmo in tutta la sua fallacia, quale tentativo di una élite colpevole, subalterna e inadeguata, di conservare il potere malgrado il proprio fallimento. Appare ormai evidente che l’Europa può avviarsi a un nuovo corso solo attraverso l’emarginazione del ceto politico che, dopo trent’anni perduti, vuole sfuggire alle proprie responsabilità trascinandoci in una strada di immiserimento sociale e d’imbarbarimento civile. Esponendoci al rischio di una guerra mondiale.

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fuoricollana

L’Europa ieri, oggi, domani

di Antonio Cantaro

eu military.jpgÈ tempo di un sano e impietoso esame dei tanti lati oscuri della storia dell’Unione, preludio indispensabile per una azione politica autonoma. Ogni riferimento alla Cina e al nascente universo dei Brics è voluto. Tutto il resto è noia, peggio complicità.

Ci sono due modi con cui usualmente si parla dell’integrazione europea, delle sue finalità, del suo presente, del suo futuro. Un primo modo è quello di demonizzare eventi e vicende che ne sono all’origine. Un secondo è quello di monumentalizzare quegli eventi e quelle vicende. Approcci entrambi sbagliati, forieri di scelte improvvide. Dovrò per forza di cose confrontarmi con entrambi questi due approcci ideologici, ma mi sforzerò di farne venire alla luce un terzo: storicizzare sempre il discorso, parlare dell’Europa reale, dei suoi lati oscuri non meno che dei suoi lati luminosi.

 

Grande è la confusione sotto il cielo

Oggi questo approccio non è di moda. Grande è la confusione sotto il cielo. E, con buona pace del compagno Mao, la situazione non è affatto eccellente. A noi tocca fare opera di pulizia nell’oceano di propaganda, di bugie e veleni che vengono quotidianamente sparsi. Ci tocca, se desideriamo realmente costruire un’Unione che i popoli europei possano sentire come loro.

Mettetevi comodi, siate pazienti. Alcuni resteranno delusi. Parlerò male della destra, ma sarò critico e sferzante anche con la sinistra. Con la sinistra che flirta con l’Europa retorica, con l’Europa delle anime belle al centro delle fintamente letterarie rappresentazioni di queste settimane. L’Europa da talk show, da cabaret. L’Europa che si pone la domanda sbagliata – perché non siamo stati invitati da Trump al tavolo delle trattative tra Russi e Ucraini? – invece di chiedersi perché non siamo stati noi a convocare quel tavolo il giorno dopo l’inizio della sciagurata operazione militare speciale di Vladimir Putin.