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La concezione del processo economico di un economista dissenziente: il ‘circuito monetario’ di Augusto Graziani

di Francesco Farina*

F FARINA ok.jpgLa mia frequentazione scientifica di Augusto Graziani ebbe inizio nelle aule del Centro di Specializzazione post-universitario di Portici, dove fui studente del corso di Microeconomia da lui tenuto. Nei decenni successivi le occasioni di incontro con lui sono state tante; il che mi ha consentito di seguire da vicino l’evoluzione del suo pensiero. Fin dai primissimi anni ’70, Graziani andava sviluppando un percorso scientifico di radicalizzazione della visione keynesiana dell’economia. Da giovanissimo economista, da un anno ‘contrattista quadriennale nel Dipartimento di Economia di Napoli, mi ero cimentato in un’interpretazione della dinamica economica italiana imperniata sui modelli keynesiani di lungo periodo (L’accumulazione in Italia (1959-1972), De Donato, Bari, 1976). Il distacco di Graziani dal modello macroeconomico tradizionale ebbe un impatto non solo in ambito teorico ma anche in quello dell’analisi economica applicata, influenzando in profondità la sua visione dello sviluppo economico italiano. Per me costituì un importante stimolo ad approfondire lo studio del pensiero di Keynes, andando oltre la visione neo-keynesiana di cui era impregnata la struttura analitica del mio libro. Mi sollecitò infatti a mettere in discussione la vulgata keynesiana, dedicandomi alla lettura diretta degli scritti di Keynes.

Non affrontai solo lo studio della Teoria generale – molto più arduo di quanto mi aspettassi – ma anche delle altre sue opere, che non avevano trovato accoglienza in quella ‘rilettura’ della sua visione macroeconomica – riduzionistica fino al travisamento – che fu il modello IS-LM. Parlo naturalmente innanzitutto del Trattato sulla moneta, e dello scritto Teoria monetaria della produzione, che contengono in nuce la convinzione che Keynes aveva coltivando negli anni ’30 dell’alterità di un’economia monetaria rispetto alla ‘neutralità della moneta’ della visione dell’economia contenuta nel modello di equilibrio economico generale; ma anche degli articoli del ’37 sul ruolo fondamentale del credito bancario nel finanziamento della produzione; e dei suoi lavori a cavallo fra storia, politica ed economia, come Le conseguenze economiche della pace, La riforma monetaria, Esortazioni e profezie, Lassez-faire e comunismo.

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Tassazione e interesse (solo per astronomi esperti). Cronache marXZiane n. 16

di Giorgio Gattei

mdòlouwsiif5j41. Dgiangoz, comincia tu!

Dgiangoz è il mio consulente in analisi logica marXZiana che, interpellato, così mi ha risposto:

– Sei tornato da me? Non ti fidi delle tue sole competenze? Ne prendo atto e ti vengo incontro. Rispetto ai miei interventi precedenti, adesso in quel dominio di Saggio Massimo del pianeta Marx in cui sei finito e dove, pur impiegando lavoro, non si pagano salari, le due sole merci prodotte (una “base” e una “non-base” secondo la nomenclatura introdotta da Piero Sraffa nel libro del 1960), invece di essere grano e tulipano sono diventate orzo e birra, ma questo cambia poco dato che l’orzo è una “merce-base” in quanto necessaria per produrle entrambe, mentre la birra è una “merce-non base” addirittura assoluta perché non serve nemmeno a produrre se stessa (che fai della birra se non berla?). Più interessante è invece la sostituzione, nella funzione d’intermediazione tra le due produzioni, del Palazzo al posto del Tempio, il che ti ha consentito di attribuirgli la doppia funzione di tassare il produttore d’orzo (d’ora in poi l’“orziere”) per poi prestare al produttore di birra (d’ora in poi il “birraio”) quel gettito fiscale così raccolto. Però hai strafatto nel supporre che il Palazzo prelevi l’intero profitto massimo dell’orziere per girarlo integralmente e gratuitamente al birraio. Certamente, così facendo, hai raggiunto d’assalto l’equilibrio di bilancio tra le entrate e le uscite del Palazzo:

R a11 Q1 = a12 Q2

dove a11 e a12 sono i coefficienti unitari delle due produzioni, Q1 e Q2 le quantità rispettivamente prodotte ed R è il Saggio Massimo del profitto, ma non ti parrebbe più plausibile che il Palazzo prelevi a titolo d’imposta soltanto una percentuale del profitto massimo dell’orziere secondo una aliquota fiscale (t < 1, mentre sul prestito al birraio si facesse pagare un interesse secondo un tasso i > 0? Però, così facendo, ne sarà modificato quell’equilibrio di bilancio del Palazzo da te dedotto che dovrà essere ripensato tenendo comunque conto che le tasse sono pagate soltanto dall’orziere produttore della merce-base, mentre l’interesse è pagato soltanto dal produttore della merce non-base, cioè dal birraio.

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Tra Wicksell e Sraffa: l’affascinante ed inusuale eterodossia di Augusto Graziani

di Guglielmo Chiodi*

In questa nota vengono delineati alcuni tratti della eterodossia di Augusto Graziani, attraverso i percorsi da Lui seguiti nello studio di due economisti, Wicksell e Sraffa, considerati agli antipodi quanto alle loro rispettive visioni in economia. L’intento della nota è di fare emergere il fascino e la particolare eterodossia di Augusto Graziani, altamente istruttiva oggi, soprattutto per i giovani studiosi

moleculaMonetaria 1.jpgPreambolo

Di Augusto Graziani conservo immutato e immutabile il ricordo di una persona dotata di grande umanità, generosità, e di vasta e raffinata cultura – caratteristiche che ritengo essere state fonte di ispirazione, di coinvolgimento e di forte passione per gli studi di economia di molte generazioni.

La breve narrazione contenuta in questo preambolo è soltanto preliminare e strettamente funzionale alle considerazioni che farò in seguito sulla eterodossia di Augusto Graziani.

Ancora studente di Economia alla Sapienza, mentre cercavo un libro in biblioteca, ho per caso intravisto un libro di testo che mi ha subito incuriosito, il cui titolo era Teoria economica, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1967, autore Augusto Graziani.

Ad una prima sbirciata, fui subito colpito dalla diversa struttura che aveva, confrontata con analoghi libri di testo allora in uso nei primi anni del corso di Economia. Leggiucchiandolo qua e là, infatti, fui subito attratto dalla chiarezza di esposizione di alcuni argomenti, ritenuti da noi studenti di allora alquanto ostici, e dalla ricchezza delle teorie prese in considerazione. Lo adottai immediatamente come libro di testo ‘ombra’, a fianco di quello ‘ufficiale’, al tempo consigliato.

Tale adozione ‘parallela’ da parte mia, non sortì solo l’effetto di integrazione e di supporto alle conoscenze di base dell’Economia Politica, ma ebbe anche l’effetto, ben più importante, di suscitare in me ulteriori curiosità e maggiore interesse nello studio della teoria economica, nelle diverse declinazioni analitiche, e, soprattutto, nel prestare grande attenzione agli innumerevoli mutamenti che i vari modelli inevitabilmente subiscono col passare del tempo.1

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L’insegnamento di Graziani e i recenti sviluppi in tema di moneta e domanda aggregata*

di Sergio Cesaratto**

ARTICULO CESARATTO 27824 1 2048x2048.jpgNon sono stato un allievo di Graziani, sebbene abbia preparato gli esami di micro e macro sui suoi testi, quelli prima versione per capirci. Da giovane ricercatore fui messo a “fargli da assistente” e fu un’esperienza a cui ancora guardo con affetto. Condividemmo centinaia di esami. Divise sempre equamente i compiti da correggere. Era simpatico, ironico, spesso tagliente nei giudizi. Sapeva che ero allievo di Garegnani con cui non aveva rapporti eccellenti. Ciò nonostante mi sostenne ai concorsi. Quando lo riferii a Garegnani, questi mi disse che le colpe dei padri non dovevano ricadere sui figli.

Grande è stato il rammarico per non aver discusso con lui di temi monetari che gli erano cari, ma che solo più tardi sono diventati mia tematica di ricerca.

Da questo voglio partire. Siccome Marco Passarella mi ha onorato di un lungo post in cui discute alcuni miei rilievi alla teoria del circuito monetario di Graziani, mi riferirò spesso alla sua interpretazione della teoria, lettura mi sembra abbastanza condivisa da altri “circuitisti”. Sottolineerò quanto unisce, non quanto divide.

Negli ultimi 10 anni si è progressivamente affermata una nuova teoria Postkeynesiana della crescita guidata dalla domanda, quella basata sul concetto di supermoltiplicatore – in realtà dovuto a Hicks, e impiegato anche da Kaldor e da Gardner Ackley nel suo famoso studio sull’economia italiana per la Svimez del 1961. Questo studio presenta assonanze con il coevo studio di Garegnani sempre per la Svimez (v. Cesaratto 2020).

 

Il supermoltiplicatore e la moneta endogena

Il supermoltiplicatore è uno sviluppo del moltiplicatore keynesiano nel quale gli investimenti, da componente autonoma della domanda (decisi ‘autonomamente’ dagli imprenditori), diventano componente indotta, vale a dire spinta dalle attese circa la domanda.

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Una nota introduttiva a “Classe operaia e padronato nelle recenti vicende economiche”

di Stefano Lucarelli ed Hervé Baron

Articulo de LUCARELLI 10 de juny de 2024 2048x2048.jpgClasse operaia e padronato nelle recenti vicende economiche è un opuscolo derivante da una lezione tenuta da Augusto Graziani nell’ambito di un corso per la formazione dei quadri dirigenti della Federazione Lavoratori Metalmeccanici (FLM) di Brescia svoltosi fra marzo ed aprile nel 1974. Si tratta di una pubblicazione sindacale “a circolazione interna”, e dunque senza alcun colophon.

Fino a oggi questo testo non era stato preso in considerazione nella redazione della bibliografia ufficiale delle opere di Augusto Graziani 1 . Tuttavia, proprio per codesto motivo, rappresenta un caso editoriale interessante. Da nostre ricerche bibliografiche sull’OPAC SBN, infatti, ci risultano 4 registrazioni del testo in parola. In tutti i casi non viene esplicitamente indicato l’anno di edizione. Perciò l’attribuzione viene sempre fatta dai bibliotecari, su base ipotetica. Abbiamo:

registrazione [1], in cui la data della stampa viene indicata come: [1974?], non si dà alcun luogo di edizione e si afferma che il testo presenta 62 pp.;

registrazione [2], in cui la data della stampa viene indicata come [1974], il luogo di edizione è indicato come Pavia: Centro stampa Amministrazione provinciale, e si afferma che il testo presenta 62 pp.;

registrazione [3], il cui la data della stampa viene indicata come [1974?!], il luogo di edizione, invece, è indicato come Roma: La tipografica, mentre si afferma che il testo presenta 70 pp.;

registrazione [4], infine, ha un titolo leggermente differente, ovvero Classe operaia e padronato nelle recenti vicende economiche: corso per il conseguimento della Licenza di scuola media inferiore per lavoratori (150 ore), la data di edizione viene indicata come [1977?!], il luogo di edizione riportato è Varese: a cura della Federazione sindacale CGIL, CISL, UIL, mentre il testo in questa versione presenta ben 98 pp.

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Gli errori di un trentennio

di Roberto Artoni

Riflettendo sull’opera di Salvatore Biasco e su una raccolta di saggi a lui dedicata si possono individuare le scelte che hanno portato l’Europa a crescere la metà degli Stati Uniti e l’Italia la metà – o anche meno – dell’Europa. Il contributo negativo della svolta nella teoria economica

bvjhf.jpegÈ opinione ampiamente condivisa che negli ultimi decenni il mondo occidentale sia stato guidato da un modello neoliberista, elaborato prima in alcune università americane e poi tradotto in specifici suggerimenti di politica economica.

A partire dagli anni ’70 a livello accademico è emersa infatti una modellistica in cui i sistemi economici sono naturalmente orientati a esiti ottimali nel senso walrasiano. Se i sistemi non sono vicini alla piena occupazione, ciò è dovuto a rigidità che impediscono la piena flessibilità dei salari e dei prezzi o a comportamenti dissennati delle autorità pubbliche. Non esistendo di fatto problemi di carenza di domanda aggregata, gli interventi di politica fiscale devono essere marginalizzati; lo strumento d’intervento deve essere ricondotto alla politica monetaria, stante che l’inflazione è ritenuta un fatto puramente monetario.

Il nuovo modello di politica economica doveva sostituirsi a quello precedente che, sulla base di una lettura molto parziale, non sarebbe stato in grado di garantire un adeguato funzionamento del sistema economico, essenzialmente per la pervasività dell’intervento pubblico.

Dall’elaborazione teorica sono nate le proposte di politica economica: meccanismi contrattuali compatibili con la flessibilità dei rapporti di lavoro; sistemi di produzione e scambio tendenti alla concorrenza da perseguire con la legislazione antimonopolistica. Doveva in particolare essere superata la presenza pubblica nella sfera produttiva attraverso un esteso processo di privatizzazioni. La liberalizzazione degli scambi e la deregolamentazione finanziaria dovevano essere poi il canone cui conformarsi negli scambi internazionali.

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Una teoria da ripensare?

Sul rapporto tra ricchezza finanziaria e ricchezza reale nell'epoca della speculazione

di Andrea Pannone

Schermata del 2024 07 07 16 45 29.pngRicchezza reale e ricchezza finanziaria nelle teorie economiche

La distinzione tra ricchezza reale e diritti finanziari sulla ricchezza reale (ricchezza finanziaria) è una premessa fondamentale dell’economia politica, riconosciuta sia dalle scuole di pensiero neoclassiche che da quelle di ispirazione marxista. Nonostante la radicale differenza con cui i due approcci teorici vedono la relazione tra le due forme di ricchezza nell'economia[1], entrambi sono accomunati dal riconoscimento del fatto che i diritti finanziari dipendono dalla ricchezza reale sottostante, poiché rappresentano pretese legali su beni e servizi tangibili o sui flussi di reddito generati da essi. Questa relazione di dipendenza, però, diventa molto meno chiara in contesti di inflazione finanziaria – ossia di crescita continua dei prezzi degli asset finanziari (titoli, azioni, ecc.) – e speculazione eccessiva, allorché le due forme di ricchezza mostrano andamenti progressivamente divergenti a partire dagli anni ʼ90[2]. Questo impedisce a entrambe le scuole di pensiero di spiegare adeguatamente le cause e le implicazioni del processo di finanziarizzazione dell’economia che ha luogo nel XXI secolo e che ha portato quella divergenza a livelli parossistici, accrescendo enormemente le diseguaglianze distributive (vedi Piketty 2014)[3]. Osserviamo infatti che i guadagni derivabili da questi asset non hanno propriamente la natura di redditi, almeno non come il concetto di reddito è sempre stato considerato nella letteratura economica ossia la controparte esatte del valore dei flussi di produzione. Per questo motivo la loro consistente e non temporanea espansione, che implica un trasferimento puro di moneta dai redditi dei fattori produttivi alle rendite, non sembra immediatamente riconducibile né al concetto di legittima ricompensa della produttività dei fattori di produzione – come vorrebbe la scuola neoclassica – ma nemmeno al concetto di sfruttamento dei lavoratori e al conflitto capitale/lavoro – come vorrebbero le più classiche scuole di ispirazione marxista[4].

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Sraffa e Wittgenstein

di Franco Romanò

imagesnkvct.jpgPremessa

Le relazioni fra Piero Sraffa e Ludwig Wittgenstein a Cambridge sono state affrontate in vario modo da diversi studiosi e sono anche oggetto di controversie, per un certo alone di mistero che – si suppone – avvolga le biografie di entrambi; e anche, infine, per le spigolosità ed eccentricità dei loro caratteri. Inoltre, i due facevano parte di una costellazione di rapporti, al cui centro troviamo John Maynard Keynes, mentore di molti di loro, nonché grande e perspicace organizzatore di uomini oltre che economista. Sullo sfondo due ultimi convitati di pietra: Antonio Gramsci e l’italianista Raffaello Piccoli. I cosiddetti misteri vanno a mio avviso ridimensionati e molti di essi riguardano un aspetto delle loro relazioni su cui porre subito attenzione, tanto esso è particolare e sorprendente nel secolo dell’esplosione abnorme dell’esposizione mediatica. Nel loro caso, le relazioni sembrano provenire da un mondo precedente, in cui le conversazioni mentre si passeggiava o si andava in canoa erano altrettanto importanti quanto le conferenze ufficiali e le lezioni accademiche. Naturalmente tale circostanza, assai affascinante, pone però chi si occupa di loro nella stessa condizione di un archeologo che ritrova dei reperti cui mancano sempre dei pezzi; inoltre tale circostanza favorisce il moltiplicarsi di ipotesi, gli aneddoti e le dicerie. Infine, ci sono diversi aspetti di tali relazioni che s’intrecciano – personali e non – altrettanto affascinanti. Quello di cui mi occuperò prevalentemente in questo scritto riguarda però una questione specifica. Essa è stata sollevata in un saggio di Giorgio Gattei: se e in che modo le Osservazioni e le Ricerche filosofiche di Wittgenstein e cioè le opere successive al Tractatus, abbiano influenzato gli scritti economici di Piero Sraffa.1

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La trinità dell’austerità

di Antonio Semproni

inequality.jpgSe si raffigura il capitalismo come un organismo complesso, è consequenziale intendere il neoliberismo come il suo modus vivendi ottimale e l’austerità come il suo sistema immunitario. L’austerità è infatti, come insegna Clara E. Mattei nei suoi “Operazione austerità. Come gli economisti hanno aperto la strada al fascismo” (Einaudi, 2022) e “L’economia è politica” (Fuori Scena, 2023), un insieme di politiche volte alla salvaguardia dei rapporti di produzione capitalistici e atte a costringere il popolo a produrre di più e a consumare di meno; le misure di austerità sono propugnate da caste di economisti neoclassici, che mirano a condizionare la politica economica perseguita entro l’ordine politico e, quando riescono in simile intento, giungono a costituire una vera e propria tecnocrazia. “Produrre di più” implica accrescere la quota di plusvalore destinata al capitale, soprattutto quando questo imperativo è collegato a quello di “consumare di meno”, che presuppone il contenimento salariale e mira in ultima analisi a garantire la stabilità dei prezzi e dunque a evitare spirali inflative, così da garantire profitti ai risparmiatori-investitori. Si noti come il “produrre di più” è strumentale a garantire i profitti di chi investe in (e movimenta) capitale di rischio, cioè è titolare di azioni o comunque quote sociali, mentre il “consumare di meno” è funzionale a salvaguardare le rendite di chi investe in (e movimenta) capitale di debito, cioè obbligazioni (di Stato e non). Le misure di austerità incidono in tre distinti settori della politica economica: monetaria, fiscale e industriale.

L’austerità monetaria consiste in misure deflative (cioè di abbassamento dei prezzi) volte a rendere il denaro “caro” e l’accesso al credito difficoltoso: in pratica la banca centrale alza il tasso ufficiale di sconto, cioè il tasso al quale presta il denaro alle banche commerciali, provocando un innalzamento generalizzato dei tassi di interesse.

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Può la ricchezza crescere più della produzione? Ritorno su alcuni fondamentali

di Sergio Bruno

ricchezza scaledSergio Bruno riflette sull’incapacità delle teorie macroeconomiche di spiegare le crescenti diseguaglianze e l’aumento del peso relativo della ricchezza improduttiva e della liquidità. Solo adottando una prospettiva inter-temporale e ragionando criticamente sugli spunti di Keynes e Tobin è possibile cominciare a far luce sugli interrogativi posti da tali fenomeni, incompatibili con dinamiche di equilibrio, indicando come i deficit di bilancio sarebbero una risposta quasi necessitata al tesoreggiamento, che è il vero evento dannoso.

* * * *

La risposta alla domanda che compare nel titolo di questo articolo è: si, è possibile, è anzi un fatto divenuto vistoso da almeno un secolo. Segno che la ricchezza improduttiva cresce più della capacità produttiva, grosso modo correlata alla produzione.

Paradossale è solo che la ricchezza improduttiva non interessi molto le riflessioni sistemiche degli economisti.

L’enfasi sulla domanda di riserve liquide, posta da Keynes insieme a quella sul ruolo della domanda finale, avrebbe potuto aprire uno spiraglio. Purtroppo solo il ruolo della domanda ha cambiato “le vecchie idee”, quelle che Keynes considerava l’impedimento maggiore a più profondi cambiamenti di prospettiva. (“The difficulty lies not in the new ideas, but in escaping from the old ones, which ramify, for those brought up as most of us have been, into every corner of our minds”).

L’idea che Keynes non è riuscito a scalfire è che la moneta serva solo a finanziare le transazioni produttive e l’inflazione dei flussi delle merci prodotte.

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Un’analisi di tutto rispetto

di Laura Baldelli

Recensione del libro di Antonio Calafati L’uso dell’economia. La sinistra italiana e il capitalismo 1989-2022

joanna kosinska B6yDtYs2IgY unsplash.jpgNell’analisi dell’autore, critica del pensiero liberale, non troveremo le categorie e i termini marxiani come coscienza di classe, conflitto di classe, imperialismo. Non si mette in discussione il capitalismo, né il liberismo, bensì il neoliberismo del capitalismo sovrano che non vuole sottostare alle regole della democrazia. Il prof. Calafati contesta l’uso ideologico dell’economia politica, definito “una patologia mortale per la democrazia” e quindi per lui è consequenziale anche la condanna delle società del socialismo reale. Il saggio è affascinante come un romanzo, dove l’approccio storico e filosofico ci guida al pensiero di Adam Smith, di Friedrick Engels, di Alexis de Toqueville, di John Stuart Mill, di Joseph Alois Schumpeter per spiegare epoche ed eventi storici della società europea e della metamorfosi della Sinistra Italiana.

Il prof. Antonio Calafati è un economista urbanista. È stato docente universitario presso l’Università Politecnica di Ancona, facoltà di economia Giorgio Fuà, alla Friedrich-Schiller-Universitat di Jena e all’Accademia di Architettura di Mendrisio, inoltre ha coordinato l’International Doctoral Programme in Urban Studies a L’Aquila. È autore dei saggi come Città in nuce nelle Marche, scritto con Francesca Mazzoni per Franco Angeli ed. 2008, Economie in cerca di città. La questione urbana in Italia” ed. Donzelli 2009, Città tra sviluppo e declino (a cura di) ed. Donzelli 2013. La sua ricerca parte sempre dall’osservazione del mondo reale, con un approccio multidisciplinare, contrassegnata da una grande onestà intellettuale e libertà di pensiero, offrendoci una riflessione della storia recente del nostro Paese dall’’89 al ’22, con gli strumenti dell’economia, dell’urbanistica e della sociologia.

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kriticaeconomica

Un keynesiano “tecnologico”

L’economia politica di Luigi Pasinetti

di Stefano Lucarelli

L’economista italiano sviluppò la teoria di Keynes approfondendo l’importanza del progresso tecnico. E il suo contributo alla scienza economica resta fondamentale

29 febbraio 2024 lucarelli 1 683x1024.jpegLuigi Lodovico Pasinetti è stato uno dei più importanti economisti italiani. Il progetto teorico che ha caratterizzato il lavoro intellettuale di questo 'signore' appare molto distante dagli obiettivi di ricerca che oggi dominano nei dipartimenti di scienze economiche. Pasinetti aspirava infatti alla costruzione di un paradigma economico alternativo essenzialmente fondato sul fenomeno della produzione e del cambiamento tecnologico, in contrapposizione al paradigma prevalente basato essenzialmente sul fenomeno dello scambio e sulla scarsità delle risorse naturali1.

Nelle note che seguono cercherò di mettere a disposizione dei lettori alcuni elementi sostanziali che emergono da quei lavori di Pasinetti che, nella mia esperienza di insegnamento, rappresentano dei passaggi formativi imprescindibili2.

Come per Keynes, anche per Pasinetti i problemi economici principali che occorre risolvere in una economia monetaria di produzione sono l’incapacità a provvedere a una occupazione piena e la distribuzione iniqua della ricchezza e del reddito. Ma, a differenza di Keynes, egli non limita la sua analisi agli effetti dei cambiamenti della domanda finale sull’occupazione e sulla distribuzione della ricchezza. Pasinetti, infatti, approfondisce anche gli effetti che il progresso tecnico può avere sui principali problemi economici, nella convinzione che il processo di produzione industriale implichi una applicazione continuativa nel tempo dell’ingegno umano per l’organizzazione e il miglioramento dei processi produttivi.

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Questione meridionale: una questione di sviluppo?*

di Augusto Graziani

Pubblichiamo un inedito di Augusto Graziani nel decimo anniversario della sua morte sulla cd. “questione meridionale” Il testo viene accompagnata da una prefazione di Francesco Maria Pezzulli, che ha scoperto la registrazione dell’intervento, e da una breve postfazione di Andrea Fumagalli

Augusto Graziani.jpgPrefazione di Francesco Maria Pezzulli

Questo testo inedito di Augusto Graziani è particolarmente utile perché vi è riassunto il suo punto di vista, in modo semplice e dialogico, su una delle tematiche che lo ha accompagnato per tutta la vita: la questione meridionale. Oserei dire che in queste poche pagine, oltre alla competenza scientifica del grande economista, emerge anche una sua positiva “classicità”. Graziani comincia la sua discussione con gli studenti ricordando loro, fatemela passare, che lui è un economista di sinistra, che ha abbracciato cioè quel principio secondo il quale, con Marx, sono le condizioni d’esistenza delle classi sociali che condizionano le loro dimensioni culturali e che dunque queste due cose vanno tenute insieme se si vogliono intendere per davvero le dinamiche di cambiamento. Ma parlando agli studenti, in modo sornione e divertito, si rivolgeva anche ai sociologi ed agli economisti del Mezzogiorno presenti, ai quali, prendendoli un pò in giro, gli rimproverava di aver dimenticato questo dato scientifico e politico essenziale. Con le sue parole: «gli economisti, e qui torno al mio peccato originale, non solo si muovono terra-terra ma sono anche colpevoli di un peccato di ambizione e cioè ritengono che il progresso della ricchezza materiale (della produzione, dei consumi individuali e collettivi) sia alla base, e che tutto il resto (lo sviluppo della cultura, della civiltà, dello spirito di convivenza e di tutte le altre virtù sociali che potete elencare) sia una conseguenza. Si potrebbe riassumere dicendo che per un economista la povertà è una cattiva consigliera, mentre la ricchezza apre la strada al progresso anche culturale e sociale».

Per Augusto Graziani la questione meridionale è stata sempre e soprattutto un problema concreto di rottura con il passato, con ciò che un tempo venivano definiti “residui feudali” delle società sottosviluppate. Ed è innegabile che tali residui fossero presenti nel Mezzogiorno e che, sotto certi aspetti, lo sono ancora oggi.

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Profitti reali ed eresie immaginarie

di Giacomo Cucignatto, Lorenzo Esposito, Matteo Gaddi, Nadia Garbellini, Joseph Halevi, Roberto Lampa, Gianmarco Oro

Una risposta a Problemi e contraddizioni del capitalismo negli anni del ritorno dell’inflazione di Riccardo Bellofiore e Andrea Coveri

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Gli autori del volume L’inflazione: falsi miti e conflitto distributivo hanno risposto alla recensione di Riccardo Bellofiore e Andrea Coveri

Diamo spazio alle loro argomentazioni perché ci sembra interessante poter guardare da vicino un dibattito su temi economici spesso lasciati alla sola disputa tra esperti. Sempre più sentiamo la necessità di riflettere su proposte di politica economica che vengano però da una prospettiva di classe e in conflitto con le sfide poste dal capitalismo contemporaneo.

 

Premessa

Sono contro le discussioni astratte. Il marxismo ci richiama sempre al concreto
(G. Lukács, 1968)

Quando abbiamo deciso di scrivere L’inflazione. Falsi miti e conflitto distributivo il nostro obiettivo era quello di preparare il materiale didattico per un corso di formazione sull’inflazione rivolto a funzionari e delegati sindacali. In particolare, ci premeva chiarire alcuni punti di carattere generale e avanzare un’analisi dell’esplosione della dinamica dei prezzi nel 2022-2023. Scopo del corso era quello di fornire ai lavoratori e ai loro rappresentanti strumenti per rispondere concretamente al crollo dei salari reali.

Dopo le prime giornate di inizio marzo – a Milano, Mestre e Bologna – il corso è stato replicato una ventina di volte in svariati contesti territoriali, e altre “repliche” sono in preparazione.

Si è trattato di uno sforzo realmente collettivo: sebbene ciascuno di noi abbia partecipato direttamente alla stesura di uno o più capitoli, la struttura del volume e i contenuti di ogni saggio sono stati discussi e condivisi collettivamente, e dunque il contenuto di ciascun capitolo è da attribuire a ciascuno di noi.

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kriticaeconomica

Guerre teoriche? No, meglio interrogarsi sulle sfide dell'economia

Bisogna partire dalle idee che guidano la politica economica

di Roberto Romano

Continua il dibattito sull'insegnamento dell'economia neoclassica. Dal Pil potenziale al tasso naturale di interesse, i concetti possono essere riempiti in modo diverso a seconda dell'approccio teorico. Per Roberto Romano è più importante coltivare questa consapevolezza che cercare di delegittimare gli approcci mainstream

caffe libreria tagliata 801x1024.jpgDobbiamo smettere di insegnare l’economia neoclassica, come si sono chiesti Rochon e Rossi in un recente intervento su queste pagine? È una domanda retorica e forse inutile, sebbene lecita. Non appena si affaccia una sconfitta delle idee più o meno socialiste, ci domandiamo se la scienza mainstream debba avere ancora diritto di cittadinanza1. In realtà, sarebbe più comprensibile questa domanda: siamo all’altezza delle grandi sfide sociali, culturali, scientifiche, economiche e teoriche che attendono l’umanità?

* * * *

La ricerca economica è pervasa da troppi cliché, dalla necessità di pubblicare su riviste di classe A, da un bisogno spasmodico di penetrare ogni intercapedine della produzione di sapere. Tanto che, siamo onesti, si è persa la voglia di capire e comprendere il suo vero oggetto: la società. Perché non riprendiamo a studiare il mondo per come funziona realmente? Perché non ci facciamo più le domande di senso? Perché l’economia è uscita dal suo alveo naturale di scienza sociale?

Spesso mi sono posto domande su concetti come il Pil potenziale, la domanda effettiva e il tasso naturale di interesse. Ho cercato la risposta leggendo gli autori che, a torto o ragione, consideriamo autorevoli da entrambi i lati della “barricata”. Ma se mettiamo in una stanza dieci di questi autori, sono altrettanto certo che possiamo uscirne con più di dieci ipotesi di lavoro o proposte di soluzioni.

Che cosa si nasconde dietro questa incertezza? Il capitalismo è un modo di essere delle società che non si distrugge nelle crisi, ma evidentemente si trasforma e, una volta trasformato, dà luogo a una nuova cultura capitalistica e a nuovi rapporti tra il capitale, lo Stato e gli stessi capitalisti2.