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volerelaluna

Contro il riarmo dell’Europa. Il tempo è ora!

di Guido Viale

«Il vecchio continente […] deve reagire, a cominciare da una vera Unione della Difesa, costruendo un’Unione federale e difendendo l’Ucraina». Così, in un’intervista di Repubblica a Daniel Cohn Bendit, che conclude: «Spero che gli storici futuri (ma ci saranno? ndr) potranno dire: “L’Europa ha vinto contro il mondo del male, ossia gli Usa, la Russia e la Cina”» (e tutto o quasi l’ex Terzo mondo, ndr). Cioè, “buoni”, l’Europa; e “malvagi”, tutti gli altri. È il punto di approdo di una deriva che ha portato molto lontane tra loro vite che più di mezzo secolo fa si erano trovate accomunate nelle lotte del ’68 e dei primi anni ’70. Una distanza cresciuta nel corso degli anni ma resa ancor più profonda con l’esplosione della guerra in Ucraina: un percorso analogo a quello di Adriano Sofri, di cui sono stato e sono amico ed estimatore della sua intelligenza e della sua onestà intellettuale; come lo ero e sono di Daniel Cohn Bendit. L’esito obbligato di quelle derive è la militarizzazione della società in vista della guerra: calda, fredda o ibrida, locale o globale, convenzionale o nucleare; chi può dirlo?

Ma affidare la ricostituzione di un’identità libealdemocratica europea alle armi, alla sua militarizzazione, là dove hanno fallito la politica istituzionale, il mercato, la finanza, l’euro, il vantato primato ambientale e quel simulacro di transizione che è stato il Green Deal significa consegnare il destino dei popoli europei agli Stati maggiori delle forze armate e all’industria delle armi.

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contropiano2

Chi garantisce per i “soldi russi” da girare all’Ucraina? Nessuno…

di Dante Barontini

L’impressione di essere guidati – come Unione Europea e governanti nazionali – da un branco di incompetenti per quanto riguarda le questioni strategiche era già fortissima. Appena temperata dalla insana fiducia instillata nelle opinioni pubbliche circa la loro capacità di controllare le questioni economiche e finanziarie, ben rappresentate dai vincoli inseriti nei trattati che definiscono il “pilota automatico” dell’austerità sui conti pubblici.

Ora anche questa deve crollare davanti all’evidenza.

Sentiamo tutti i giorni che i vertici europei stanno da tempo pensando di sequestrare i fondi russi depositati in banche europee, per una cifra sempre un po’ ballerina ma stabilmente sopra i 140 miliardi per quanto riguarda il solo Belgio, e forse 210 in totale, o di più. Soldi che verrebbero utilizzati per sostenere la guerra dell’Ucraina contro la Russia e, se poi ne avanzano, anche per la ricostruzione dei territori che resteranno a Kiev.

Dal punto di vista commerciale e legale, si tratta di un vero e proprio furto che – fra l’altro – mette in discussione la “difesa della proprietà privata” nell’area del pianeta che più ha fatto di quest’ultima l’unica “libertà” che conti. Per non parlare del rischio che altri paesi, resi edotti dal comportamento piratesco dei poteri europei, portino via i loro soldi verso porti più sicuri (in Europa sono depositati soldi e beni di circa 90 paesi).

Ma, si potrebbe dire, cosa volete che sia un furto davanti a una guerra e ai suoi orrori…

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ilpungolorosso

Criticare Israele è antifascismo, di Stefano Bartolini

di Il Pungolo Rosso

La critica è sempre vitale, necessaria. L’ipercritica, la critica per partito preso, è quasi sempre, invece, stucchevole, vuota. Certi sfaccendati, ad esempio, ci criticano perché su questo sito diamo spazio all’anti-sionismo che proviene dalle fila degli ebrei. Questi stolti non ne comprendono l’impatto, che è particolarmente pericoloso per lo stato sionista perché ne contesta la pretesa – abusivissima – di essere il vero tutore e rappresentante degli ebrei.

Per questa ragione ospitiamo volentieri questo scritto, anche autobiografico, dello storico Stefano Bartolini, così come a suo tempo costruimmo la nostra critica della ideologia di stato del “giorno della memoria” affidandola in larga parte a intellettuali ebrei anti-sionisti.

Dossier “No alla memoria a senso unico”, 1. Introduzione

La soluzione che Bartolini ipotizza per la guerra infinita in Palestina tra la forza occupante e il popolo palestinese non è la nostra, ma questo non toglie valore alla sua testimonianza che suona interessante e autentica. In giorni in cui destra e PD fanno a gara nel tacitare tramite l’azione repressiva dello stato ogni critica allo stato genocida di Israele, è giusto rivendicare che la critica ad Israele è antifascismo, critica del fascismo democratico di Israele, o della sua democrazia fascista. Non è tutto, si capisce, ma è giusto. (Red.)

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piccolenote

Israele e la guida al genocidio tecnologico

di Davide Malacaria

“È ormai chiaro che le atrocità orribili non appartengono al passato; i crimini di guerra possono essere commessi dagli eserciti moderni utilizzando l’intelligenza artificiale e altre tecnologie più avanzate”. Così Hossam Shaker su Middle East Eye, e il riferimento è a Gaza, “dove Israele sta consumando un genocidio, una pulizia etnica, una distruzione di massa e una campagna di carestia, senza che ciò abbia ripercussioni sulle proficua cooperazione con le democrazie occidentali e i ‘paladini dei diritti umani’”.

“L’esperienza accumulata da Israele è ora a disposizione del mondo: una guida pratica per commettere un genocidio nel XXI secolo, la cui sfida essenziale è come far sì che il mondo conviva con un genocidio trasmesso in diretta sui nostri dispositivi mobili”.

“Gli sforzi dei media e della propaganda devono essere al servizio della strategia di aggressione adottata […] L’obiettivo non è quello di ‘conquistare i cuori e le menti’, ma di distrarre l’opinione pubblica dall’orrore in corso e di scoraggiare la compassione verso le vittime palestinesi”.

“Questa strategia di offuscamento richiede che Israele si faccia promotore di iniziative specifiche”. Anzitutto attraverso campagne diffamatorie contro gli organismi internazionali che ne denunciano i crimini, nel tentativo di delegittimarli e ridurli al silenzio, com’è avvenuto per la Corte Internazionale di Giustizia, la Corte Penale Internazionale o, con più successo, con l’Unrwa. In tal modo, Israele “ha ottenuto i vantaggi strategici e tattici auspicati, minando al contempo le basi della vita del popolo palestinese e il diritto al ritorno dei rifugiati”.

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intelligence for the people

Gaza: perché malgrado il “cessate il fuoco” il genocidio continua

di Roberto Iannuzzi

L’enclave palestinese sembra tragicamente destinata a rimanere un distopico laboratorio di sperimentazione israelo-americana, in un labirinto di macerie e disperazione apparentemente senza uscita

“Il cessate il fuoco rischia di creare la pericolosa illusione che la vita a Gaza stia tornando alla normalità. Ma […] il mondo non deve lasciarsi ingannare. Il genocidio israeliano non è finito”.

A pronunciare queste parole è stata Agnès Callamard, già relatrice speciale dell’ONU, attualmente alla guida di Amnesty International.

Un parere analogo lo ha espresso lo storico israeliano Raz Segal, professore di studi sull’Olocausto e sui genocidi presso la Stockton University, nel New Jersey.

Segal ha affermato che i leader israeliani continuano a proferire dichiarazioni dall’intento chiaramente genocidario.

Un rapporto dell’UNCTAD (United Nations Conference on Trade and Development) ha rilevato che Israele ha causato nella Striscia “il peggior collasso economico mai registrato”.

Il PIL pro capite nell’enclave palestinese è crollato a 161 dollari l’anno, meno di 50 centesimi al giorno. Uno dei più bassi al mondo. Oltre il 92% degli edifici residenziali è stato distrutto e danneggiato.

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voltairenet

Ucraina: le prove cancellate

di Manlio Dinucci

Di fronte alla dominante narrazione politico-mediatica che fa apparire la Russia bellicista e aggressiva - mentre USA, NATO, UE e Ucraina vogliono porre fine alla guerra - riproponiamo la visione di alcuni brani tratti da puntate di Grandangolo degli ultimi anni. Essi contengono le prove inoppugnabili, cancellate dai “grandi media”, che la realtà è esattamente l’opposto di quella da loro rappresentata. Qui di seguito un filo conduttore della fase preparatoria della guerra, tratto dal libro L’Altra Faccia della Storia edito da Byoblu.

* * * *

Dal 1991, l’anno in cui l’Ucraina diviene repubblica indipendente dopo lo scioglimento dell’URSS, la NATO tesse una rete di legami all’interno delle forze armate ucraine. Contemporaneamente, attraverso la CIA e altri servizi segreti, vengono reclutati, finanziati, addestrati e armati militanti neonazisti. Una documentazione fotografica mostra giovani militanti neonazisti ucraini di UNO-UNSO addestrati nel 2006 in Estonia da istruttori NATO, che insegnano loro tecniche di combattimento urbano e uso di esplosivi per sabotaggi e attentati. È la struttura paramilitare neonazista che entra in azione il 20 febbraio 2014 in piazza Maidan a Kiev, nel corso di una manifestazione politica in cui si confrontano fautori e oppositori dell’adesione dell’Ucraina alla UE.

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lantidiplomatico

L'epoca del Virtue Signalling

di Andrea Zhok

Oggi il Teatro Grande Valdocco di Torino ha negato la sala, preventivamente noleggiata, al prof. Angelo D'Orsi che insieme al prof. Alessandro Barbero e a una pluralità di altri intellettuali avrebbero dovuto dar vita all'evento "Democrazia in tempo di guerra. Disciplinare la cultura e la scienza, censurare l'informazione".

Simultaneamente si è infiammata ulteriormente la polemica per la presenza della casa editrice "Passaggio al Bosco" alla kermesse libraria "Più libri, più liberi" di Roma. Dopo Zerocalcare oggi è la volta di Corrado Augias ad annunciare la propria assenza dalla manifestazione per protesta contro il fatto di aver dato ospitalità a una casa editrice di estrema destra.

Questi due eventi hanno qualcosa di profondo in comune, qualcosa, vorrei dire, di epocale. Per metterlo in evidenza bisogna fare due osservazioni, la prima intorno alla temperie ideologica e la seconda intorno allo stile.

Sul piano ideologico, osserviamo innanzitutto come i posizionamenti di autori come D'Orsi e Barbero da un lato e dell'editore "Passaggio al bosco" dall'altro non potrebbero essere più diversi. Essi hanno una sola cosa in comune: testimoniano di narrazioni divergenti rispetto al conformismo perbenista sedicente "liberaldemocratico" che domina i centri di potere e di informazione in tutta Europa.

Questo conformismo, originariamente nato come frutto del trionfo neoliberale, oggi è ideologicamente immensamente flessibile, annacquato, ma è tenuto assieme, più che da qualche idea definita, dall'identificazione "virtuosa" con le preferenze dei "ceti erogatori di prebende".

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contropiano2

La diplomazia americana tra la Russia e la Cina e la vendetta inglese contro la Germania

di Guido Salerno Aletta*

L’importanza di una ottima capacità di analisi si vede a distanza di tempo, non nella rissa da talk show, dove tutti cercano di prevalere in quell’ora e il giorno dopo dicono il contrario con altrettanta sicumera. Questo articolo, comparso ormai quasi nove mesi fa, su un giornale da noi distante ma obbligato a dare “notizie sicure” agli investitori, altrimenti chiude, conferma questa regola aurea.

Come sempre, ricordiamo che lo spazio “Interventi” è dedicato a quei contributi che risultano utili per la comprensione del mondo a prescidere dalle opinioni degli autori da noi selezionati oppure che si sono proposti. “La verità è rivoluzionaria“, sempre. E’ un criterio epistemologico, oltre che un’affermazione materialista…

Va dato atto a Guido Salerno Aletta, fra le altre cose ex Vice Segretario Generale della Presidenza del Consiglio, di essere uomo libero e di grande esperienza, “una risorsa di questo paese” a prescindere dal governo in carica e dal regime in vigore.

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sollevazione

Nietzsche e il transumanesimo

di Massimiliano Cannata*

Nel ponderoso e impegnativo saggio Nietzsche l’iperboreo (ed. il melangolo)Paolo Ercolani, filosofo dell’Università “Carlo Bo” di Urbino, ricercatore presso il “Dipartimento di scienze dell’uomo” traccia un percorso molto preciso mettendo in guardia il lettore dalla pericolosa prospettiva, alimentata da una significativa schiera di cantori acritici della potenza tecnologica, che vede come attuabile il sogno dell’uomo di ogni tempo: essere immortale. Sgombriamo subito il campo da un equivoco: Ercolani non è certo un “apocalittico”, conosce bene il digitale, lo adopera nelle sue lezioni quotidiane, se ne serve per rendere più capillare ed efficace il suo insegnamento, frequenta i Social dove instaura un vivace dialogo con colleghi, studenti, fruitori dei suoi scritti. Dove sta allora il problema, verrebbe da dire? Il problema esiste perché viviamo in un tempo ricco di opportunità, come dimostrano le straordinarie applicazioni dell’IT e delle reti neurali: promettono un allungamento della vita, un potenziamento delle capacità diagnostiche, persino la possibilità di regolare il traffico liberandoci da questa “prigione” della modernità, ma non tutto converge verso un reale progresso della condizione umana. Qualcosa non funziona se si guarda all’innalzamento dei rischi fisici e informatici, al generale male di vivere che coglie le generazioni trasversalmente, al solipsismo tecnologico nuova malattia del nostro tempo, all’emersione dell’homo stupidus stupidus, contraltare di quella specie sapiens che sembrava inattaccabile, come ben tratteggiato da un celebre saggio di Vittorino Andreoli (ed. Rizzoli).

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lantidiplomatico

Eurosuicidio: lo spengleriano tramonto dell'Europa

di Giuseppe Masala

Gabriele Guzzi, Eurosuicidio, Fazi Editore (2025)

È di questi giorni l'uscita di un'opera di importante respiro culturale scritta dal giovane economista Gabriele Guzzi. Si tratta del libro Eurosuicidio che tenta di fare luce sull'integrazione europea, vista da un'ottica non consolatoria, non retorica, ma improntata sulla realtà dei fatti.

L'integrazione europea, la nascita della moneta unica, è stata lo snodo storico più importante del continente degli ultimi cinquanta anni e sta comportato il completo sgretolamento – quasi una dissoluzione secondo l'autore – dei paesi europei, delle loro democrazie, delle loro economie e delle loro società. Appunto, per dirla con le parole dello stesso Guzzi, si è trattato di un vero e proprio suicidio, anzi di un eurosuicidio, come viene definito in maniera emblematica e quasi riecheggiando (forse inconsciamente) Oswald Spengler.

La tesi di fondo dell'opera è che l'attuale crisi dell'Unione Europea non sia figlia di un accidente della storia, ma sia dovuta a cause strutturali – intrinseche – al progetto stesso nato sulle macerie della seconda guerra mondiale.

Non saprei come dare torto all'autore. L'Europa è solo un trattato (come autorevolmente sostiene la stessa Corte Costituzionale tedesca) dunque non ha costituzione, e conseguentemente è priva di democrazia. Ma allo stesso tempo, vorrebbe ergersi a faro mondiale delle democrazie del mondo.

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manifesto

I sedicenti patrioti che non difendono l’acciaio italiano

di Emiliano Brancaccio

Affrontare le crisi senza uno straccio di coordinamento internazionale affidandosi ai soli capitalisti privati. Potremmo chiamarlo “sovranismo padronale” e sintetizza bene le compulsioni del governo italiano in tema di ristrutturazioni

Affrontare le crisi senza uno straccio di coordinamento internazionale affidandosi ai soli capitalisti privati. Potremmo chiamarlo “sovranismo padronale” e sintetizza bene le compulsioni del governo italiano in tema di ristrutturazioni industriali. Il caso dell’acciaio è emblematico.

Quando si dice che di necessità si può fare virtù: l’eredità storica di paese carente di materie prime ci ha resi virtuosi nella produzione di acciaio. La siderurgia italiana è tra le più efficienti dal punto di vista del riciclo: circa l’85 percento del prodotto deriva da rottame ferroso, a fronte di una media europea del 60 e una media mondiale di appena il 30 percento. Per questa ragione, l’industria italiana è complessivamente anche la più pulita in assoluto: rispetto alla media mondiale, emettiamo meno della metà di tonnellate di anidride carbonica per ogni tonnellata di acciaio realizzata. Inoltre, a riprova del fatto che il problema principale non riguarda la quantità di occupati, l’acciaio italiano viene realizzato con livelli di produttività senza pari in larga parte del mondo: dal 25 al 35 percento di valore aggiunto in più per addetto rispetto ai principali concorrenti Ue.

Certo, la crisi in corso riguarda principalmente gli impianti ex-Ilva, che sono produttori della quota residua di acciaio primario, ossia non riciclato, di poco superiore al 10 percento nazionale.

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contropiano2

Bye bye Europa. La strategia Usa punta all’America Latina e alla competizione con la Cina

di Sergio Cararo

Il documento sulla Strategia di sicurezza nazionale dell’amministrazione Trump pubblicato venerdì si propone di “ripristinare la preminenza americana nell’emisfero occidentale”, rilanciando esplicitamente la dottrina Monroe, nata per contrastare qualsiasi ingerenza europea nell’emisfero occidentale e in seguito utilizzata per giustificare gli interventi militari statunitensi in America Latina. Contestualmente indica un esplicito bye bye ai vecchi partner europei, anzi li indica quasi esplicitamente come dei competitori.

La frammentazione del mercato mondiale e la riorganizzazione imperialista fondata su blocchi regionali, economici e geopolitici, va prendendo forma piuttosto nitidamente.

Ma se sull’America Latina si torna ad ambizioni egemoniche e linguaggi ottocenteschi, è proprio sull’Europa che il documento di 33 pagine utilizza un linguaggio nuovo definendola a rischio di “cancellazione della civiltà” dovuta al declino economico, alla crisi demografica, alle politiche migratorie permissive e all’erosione della libertà di espressione.

In un paragrafo, appena più rassicurante per i governi europei già andati nel panico, è scritto che “l’Europa resta tuttavia strategicamente e culturalmente vitale per gli Stati Uniti”, ma il rapporto manifesta una visione piuttosto diversa rispetto al passato, sottoposta a giudizi non certo lusinghieri per i partner storici europei finora giudicati affidabili, dal dopoguerra in poi, da ogni amministrazione Usa.

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poliscritture

Ridotto a “insopportabile leggerezza delquotidiano”?

Il comunismo nel buio (15)

di Ennio Abate

Ho ritrovato questa mia nota polemica del 1995. Riguarda uno scritto di Luciano Amodio, letto quando frequentavo la redazione milanese di Manocomete. Conferma – oggi cosa evidente e amara – che lo “spostamento”, teorizzato da un’area della intellettualità di sinistra nella Milano degli anni ’90, era un abbandono definitivo della questione del comunismo.

* * * *

1. Meglio morto che ridotto a Quotidiano. Meglio bandire la parola comunismo dal vocabolario piuttosto che triturare “la Cosa”, “la Causa”, “la Possibilità”, facendo così del comunismo – da secoli (da sempre, forse) questione di profondità – una questione “di superficie”.1 (E col massimo rispetto per il Quotidiano – s’intende – che “puro” appare mostruoso quanto il “puro” comunismo!). Così vorrei sintetizzare la mia prima, sconsolata e polemica, impressione dopo la lettura di «Il comunismo o “l’insopportabile leggerezza” del quotidiano» di Luciano Amodio (Manocomete, 1, giugno 1994).

2. Col rischio di apparire custode di ortodossie o amministratore, da nessuno delegato, di lasciti storici, pongo un problema: il comunismo è innegabilmente ridiventato un’incognita, una questione sprofondata. Ma – fossimo nell’epoca della morte del comunismo o – come altri sostengono – del suo massimo occultamento – come di esso si deve parlare? Lo consideriamo ancora tra le questioni “di profondità”?

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contropiano2

L’incerta strada per “la pace” in Ucraina

di Dante Barontini

Seguire l’andamento delle trattative tra Stati Uniti e Russia per porre fine alla guerra in Ucraina è difficile per tutti. Ma non è impossibile capire il senso in cui vanno. L’importante è fare una “tara” drastica sui media occidentali – divisi da tra reazionari trumpiani speranzosi e “dem” guerrafondai – e badare al sodo anziché alla propaganda.

Una prova della difficoltà? Eccola. La ex prestigiosa Cnn, di stretta osservanza “bideniana”, sa quanto noi cosa si siano detti gli inviati di Trump (Witkoff e Kushner) nelle cinque ore di colloquio con Putin e Ushakov. Che è poi quanto riferito dai rispettivi portavoce: “la delegazione statunitense ha illustrato le proposte di correzione al piano avanzate dall’Ucraina in Florida e la Russia ha spiegato cosa gli sembrava accettabile e cosa no”.

La sintesi sta in una bozza di piano in 27 punti, ora, e quattro documenti di accompagnamento dal contenuto sconosciuto. La delegazione è poi ripartita da Mosca direttamente per Washington, senza fermarsi a Bruxelles dove Zelenskij stava attendendo insieme agli europei. Dettaglio che chiarisce quanto sia “potente” il peso politico della UE e della stessa Kiev in questa trattativa.

Un po’ poco per imbastire un pezzo interessante… E dunque cosa fa l’ex prestigiosa Cnn? Si sbizzarrisce in dettagli psicologici su Putin – come se disponesse di referti medici o di “confessioni inconfessabili” – che vanno da “Putin non vuole la pace”, ma “ama essere supplicato”, fino al definitivo “È utile fare un passo indietro e guardare il mondo e l’invasione russa attraverso i suoi occhi”. Segue analogo trattamento psicoanalitico per spiegare la “condiscendenza” di Trump verso il “dittatore russo”.

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pressenza

Caso D’Orsi e Barbero: Contro la censura di guerra martedì sit it a Torino

di Paolo Ferrero

La capitale sabauda, nell’ultimo mese, è stata teatro di un deciso salto di qualità sul piano dell’impedimento della libera circolazione delle idee. E’ bene comprenderlo a fondo per poterlo fermare, prima che sia troppo tardi.

Nel mese di novembre è stata impedita una conferenza del Professor Angelo D’Orsi, contro la russofobia, al Polo del 900. La censura è stata sollecitata dagli onorevoli Calenda e Picerno ed è transitata dal sindaco di Torino, il piddino Lorusso.

Nei giorni scorsi, i salesiani di Torino hanno ritirato la disponibilità all’utilizzo del Teatro Grande Valdocco – che era stato regolarmente concesso e affittato – impedendo in questo modo la conferenza dei professori Alessandro Barbero e Angelo D’Orsi su “ La democrazia in tempo di guerra. Non sappiamo chi, questa volta, abbia fatto pressioni per far saltare tutto ma certo debbono aver portato argomenti molto convincenti… Interessante notare che il giornale “la repubblica”, nel dare la notizia della censura, ha titolato: “Democrazia in tempo di guerra, annullato l’incontro filorusso con gli storici D’Orsi e Barbero”.

Questo titolo, che riassume la calunnia di cui viene fatto oggetto chiunque si opponga alla guerra, ci dice tre cose :

– Parlare di democrazia in tempo di guerra viene oggi etichettato come posizione filo russa. Si tratta palesemente di una calunnia, di una fake news in quanto il dibattito verteva sull’Italia e non sui rapporti tra questa e la Russia. Siamo quindi nel regno della disinformazione gestita dai media main stream.

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lafionda

Qatargate: il grande circo europeo che non chiude mai

di Giuseppe Gagliano

A Bruxelles c’è uno scandalo che non conosce stagioni. Non va in vacanza, non chiude per festività, non rispetta turni. È il Qatargate, che tre anni dopo continua a fare più audience di qualunque Commissione d’inchiesta e soprattutto a dimostrare una verità imbarazzante: l’Unione Europea è bravissima a parlare di trasparenza, purché nessuno si azzardi a indagare davvero.

La nuova puntata è andata in onda il 3 dicembre, quando una commissione parlamentare ha deciso che l’immunità dell’eurodeputata Alessandra Moretti poteva tranquillamente saltare. Voto maggioritario, solenne indignazione di lei (“è un voto politico”), autosospensione dal partito come da manuale e tutti pronti a fingere stupore. Curiosamente, la decisione arriva proprio quando la stessa area politica è già travolta dallo scandalo che coinvolge Mogherini e Sannino. Ma sarà certamente un caso, come sempre a Bruxelles.

Per Elisabetta Gualmini, invece, è andata diversamente: immunità salva, applausi in sala e sospiri di sollievo. La differenza? Ufficialmente, la mancanza di prove sufficienti. Ufficiosamente, la solita geometria variabile delle maggioranze europee, dove un voto vale più della giustizia e i numeri decidono ciò che la morale non riesce nemmeno a inquadrare.

Nel frattempo, Evangelia Kaili, la protagonista originaria del Qatargate, continua a rilasciare interviste da Abu Dhabi come se nulla fosse. Dice che il Belgio non è un posto sicuro per i politici.

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piccolenote

Usa. Il Capo del Pentagono nella tempesta

di Davide Malacaria

Il Capo del Pentagono Pete Hegseth è finito un’altra volta nell’occhio del ciclone: dopo l’attacco a una barca venezuelana sospettata di trasportare droga, avrebbe dato l’ordine di uccidere i sopravvissuti.

Hegseth afferma di non aver dato lui l’ordine e che non era presente quando è stato impartito e Trump lo sostiene, ma le accuse montano. Apparentemente questa tempesta sembra nascere dalla necessità di chiudere la porta sia a nuove aggressioni contro le barche venezuelane sia, soprattutto, alla guerra che incombe su Caracas, rimuovendo dalla scacchiera il pezzo più ingaggiato in questa criminale determinazione.

Ma è davvero così? In realtà, la questione è più complessa. Hegseth è solo un esecutore, la tragica partita si deciderà nello scontro tra neocon e Trump, con i primi che vogliono a tutti i costi la guerra mentre Trump continua nella sua muscolare indecisione, non fosse altro che perché sa che lo spettacolo dei marines che ritorneranno in patria dentro sacchi di plastica – e ce ne saranno se attacca – lederà non poco la sua immagine.

A volere a tutti i costi questa guerra sono i neoconservatori, i quali non hanno nulla da perdere, dal momento che da decenni governano gli Usa da dietro le quinte lasciando che altri si prendano le responsabilità delle loro sanguinarie follie. E, nello specifico, contano sul Capo del Dipartimento di Stato Marco Rubio, che più di altri sta spingendo per l’attacco.

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comidad

La NATO è un libro di fiabe e una cosca d'affari

di comidad

Sta circolando una narrazione secondo la quale l’amministrazione Trump starebbe cercando una via negoziale per uscire dal conflitto in Ucraina, mentre i paesi europei si sarebbero fossilizzati in una posizione bellicista senza sbocco. La premessa di questa narrazione appare inconsistente, dato che gli USA non hanno attualmente la competenza e la determinazione per condurre un negoziato. Il regime russo lo sa benissimo, ma la sua propaganda è impostata su un’immagine di equilibrio e ragionevolezza, perciò Putin non può negarsi a incontri diplomatici, per quanto avviati dagli USA all’insegna della cialtroneria. La propaganda è uno strumento tipico dei regimi ancora in grado di esprimere una mediazione interna e una sintesi politica, mentre negli USA e in Europa la cosiddetta politica procede in base ai colpi di mano e ai fatti compiuti delle lobby d’affari, per cui non può esserci una propaganda dotata di un filo narrativo unico, ma soltanto spot pubblicitari in funzione di questo o quel business. I governi europei devono far finta di prepararsi a un conflitto con la Russia perché ciò consente di far circolare qualche centinaio di miliardi per le solite cosche d’affari. Un vero riarmo infatti non è una semplice questione di soldi e appalti, ma riguarda il mettere in campo una serie di risorse in termini di energia, materie prime e impianti. Nel mitico riarmo europeo non si scorge nulla del genere, e la pubblicistica UE a riguardo è, non a caso, fondata su scarsi dati concreti e moltissime elucubrazioni geopolitiche.

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contropiano2

Cala lo spread, ma non per merito del governo

di Guglielmo Forges Davanzati

La recente “promozione” dei conti pubblici italiani da parte di Moody’s (da Baa3 a Baa2) e la riduzione dello spread sono stati salutati dal Governo come successi storici. Una verifica più attenta di ciò che è successo può, però, indurre a dubitare dell’interpretazione dell’Esecutivo. Vediamo perché.

Innanzitutto, va messo in evidenza il radicale cambiamento di opinione su questi temi da parte dell’attuale maggioranza e della sua leader: nel 2018, Giorgia Meloni definiva il giudizio delle agenzie di rating “attendibile come la previsione di una cartomante”, aggiungendo che le istituzioni che valutano la solidità dei conti pubblici di un Paese sono niente altro che “pagliacci”.

In effetti, vi sono buone ragioni per dubitare dell’efficacia e della trasparenza del loro operato, nello svolgimento del loro compito di valutare la capacità di uno Stato di rimborsare il debito: gli errori commessi sono stati clamorosi, a partire dall’assegnazione di un buon giudizio a Lehman Brothers poco prima del suo fallimento, per continuare con la valutazione positiva attribuita a Parmalat a ridosso del crack finanziario e per finire con l’apprezzamento dei mutui subprime in concomitanza con l’ondata di insolvenze.

Vi è di più, dal momento che alcuni economisti attribuiscono la crisi finanziaria globale del 2007-2008 proprio agli errori di valutazione commessi dalle agenzie di rating.

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lantidiplomatico

Trump negozia le condizioni di resa dell'Ucraina, UE fuori dalla realtà e dalle trattative

di Clara Statello

 

Le trattative per la pace in Ucraina sono le trattative per la resa dell’Ucraina. Non è la Federazione Russa a dover accettare le condizioni degli Stati Uniti – o men che mai dell’UE – ma sono gli Stati Uniti a dover negoziare con la Russia le condizioni per una sconfitta dignitosa e meno dolorosa possibile per l’Ucraina. 

Washington non ha le carte per imporre dure condizioni od ottenere importanti concessioni da Mosca.

Questa situazione non è più eludibile e l’Occidente, a poco a poco, ne sta prendendo atto.

 

Irrealismo occidentale

“Irrealistico” è l’aggettivo che ha caratterizzato la giornata di ieri. Dopo la lunga riunione al Cremlino tra il presidente russo Vladimir Putin e gli inviati di Trump, i lamentosi cori delle prefiche occidentali non si sono fatti attendere.

Owen Matthews ha pubblicato sul Telegraph un articolo che più che un’analisi politica è una presa di coscienza già dall’intitolazione: Putin è ora al posto di guida. Sottotitolo: L'Europa non ha un piano alternativo realistico, né può permettersi di sostenere la continua guerra dell'Ucraina. 

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lantidiplomatico

La guerra ibrida permanente

di Andrea Zhok

Oggi è stata ufficializzata la notizia della presa di Pokrovsk da parte dell'esercito russo e simultaneamente la conquista di Volchansk.

Nell'ultimo mese l'esercito russo ha conquistato 505 kmq di territorio, che per un paese grande come l'Ucraina è ancora poco, ma che segnala una chiara progressione rispetto al periodo precedente.

L'onnipresenza dei droni rende le rapide avanzate con carri armati e autoblindati impossibili, ma questo rende anche le conquiste fatte più resistenti a eventuali contrattacchi.

I segnali di un declino delle capacità operative ucraine al fronte sono evidenti, e tuttavia i segni di una fine rapida del conflitto sono controversi.

Dal fronte alcuni comandanti ucraini hanno inviato a Zelenski la comunicazione che, in caso di sua firma di un accordo che comporti il ritiro dal Donbass, essi non obbediranno.

Naturalmente in una guerra moderna questo è più un gesto che un'effettiva prospettiva di resistenza a oltranza: se dovessero venir meno, per decisione centrale, i rifornimenti, il fronte collasserebbe in poche settimane.

Così come collasserebbe se gli USA ritirassero, come hanno minacciato di fare a più riprese, la fornitura di informazioni satellitari e di intelligence.

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lantidiplomatico

Attacchi preventivi? “Altro che ‘proattivi’: siamo già in guerra anche senza pretesti”

di Fabio Mini

Attenendomi alle dichiarazioni pubbliche del Comandante supremo della Nato, generale Cristopher Cavoli e sulla base della conoscenza della sintassi operativa, ho desunto che la Nato non solo in campo cyber, ma in tutti i sensi e domini, è già in guerra contro la Russia e attaccherà per prima. Sta già mobilitando le forze di tutti i Paesi per quella “difesa” che si dovrebbe realizzare con un attacco preventivo sulla Russia talmente devastante da impedirle perfino di rispondere. “Perché – dice Cavoli – se non ci riusciamo al primo colpo, ci aspetteranno 15 anni di guerra di logoramento”.

In quest’ottica è inutile farsi delle illusioni. Qualcuno per conto nostro ha deciso che siamo in guerra e anche contro chi. Perdono così di valore tutti i distinguo di casa nostra e tutte le dichiarazioni ufficiali dei russi che non si sognano nemmeno di attaccare la Nato. A meno che… una decisione già presa nel 2022 e da allora in piena fase di strutturazione delle forze, anche nucleari, perseguita in barba alla fondamentale correzione di rotta imposta dal presidente Trump all’Aja. Al termine del vertice Nato è stato ufficialmente dichiarato che non si considera la Russia una minaccia a breve termine (da ora a 3 anni), nemmeno a medio termine (da 3 a 10 anni) ma, proprio a volercela tirare, a lungo termine (oltre 10 anni). Tale dichiarazione è stata ignorata dai principali alleati e dalla Nato stessa che invece considerano la Russia come nemico permanente. A prescindere da cosa potrà succedere da qui a 3 o 10 anni e anche da ciò che accadrà all’Ucraina.

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lantidiplomatico

La piazza e il potere che neutralizzano gesti e Palestina

di Mjriam Abu Samra e Pasquale Liguori

Chiunque abbia studiato la storia dei movimenti sa che c’è un momento in cui il conflitto autentico smette di abitare l’emotività e si fa politica.

Accade, ad esempio, quando la protesta non si accontenta più di sfilare o di rappresentarsi, ma raggiunge i luoghi in cui il potere opera, si consolida, si narra. Per questo le redazioni, gli studi televisivi sono sempre stati spazi decisivi nelle grandi fratture del Novecento.

Dalla presa e chiusura delle grandi testate borghesi durante la rivoluzione russa del 1917 alla collettivizzazione di giornali e tipografie nella Spagna del ’36; dagli scioperi e blocchi dell’ORTF nel maggio francese alle grandi proteste contro il gruppo Springer nella Germania del ’68; dalle mobilitazioni del ’67 a Hong Kong, che presero di mira anche organi di stampa coloniale, fino agli assedi dei media di Stato durante le rivoluzioni arabe del 2011: la lista è lunga, diversissima, e nei suoi intrecci racconta una sola cosa.

La stampa non è mai stata un osservatore imparziale. È parte dell’infrastruttura di potere.

Non è un’opinione. È un fatto storico.

Quando un movimento diventa serio, la prima reazione del potere non è la repressione poliziesca: è il panico dei suoi giornali.

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lantidiplomatico

Ah, la cara vecchia propaganda di guerra

di Caitlin Johnstone*

Proprio mentre si diffonde la notizia che Trump ha dato a Maduro un ultimatum per lasciare immediatamente il Venezuela se vuole salvarsi la vita, il Wall Street Journal, di proprietà di Murdoch, ha pubblicato un articolo di propaganda bellica incredibilmente sfacciato intitolato "Come le gang venezuelane e i jihadisti africani stanno inondando l'Europa di cocaina".

"Il Venezuela è diventato un importante trampolino di lancio per enormi volumi di cocaina spediti verso l'Africa occidentale, dove i jihadisti stanno contribuendo a trafficarla in Europa in quantità record", inizia l'articolo, che si spinge a sottolineare che "la campagna di pressione dell'amministrazione Trump contro il leader venezuelano Nicolás Maduro, che si sostiene sia fortemente coinvolto nel traffico di droga, ha attirato l'attenzione mondiale sul ruolo del Paese nel traffico di droga".

L'articolo di propaganda è chiaramente rivolto sia agli europei che agli americani, sottolineando la battuta del Segretario di Stato Marco Rubio del mese scorso, secondo cui gli europei "dovrebbero ringraziarci" per aver fatto esplodere presunte navi della droga provenienti dal Venezuela, perché, a suo dire, parte di quella droga finisce in Europa.

C'è tutto. Accrescere il sostegno internazionale per una guerra per un cambio di governo. Spaventare i "jihadisti". Il dittatore malvagio e spaventoso. L'intero pacchetto di propaganda bellica.

I mass media lo fanno ogni volta che l'impero americano si agita per la guerra. E la stampa di Murdoch è sempre la più eclatante trasgressore.

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micromega

Il nuovo volto del capitalismo: quando le élite uniscono lavoro e capitale

di Nicolò Bellanca

 

Nel nuovo capitalismo i redditi da lavoro si sommano a quelli da capitale. Spetta alla sinistra immaginarne una vera democratizzazione.

Il capitalismo sta cambiando, ma non nel modo in cui molti pensano. La tesi è provocatoria: stiamo assistendo non tanto alla sparizione delle classi sociali, quanto alla loro trasformazione radicale. E questo ha conseguenze enormi per le politiche redistributive della sinistra.

 

Oltre Marx: quando tutti sono capitalisti e lavoratori

Nel capitalismo classico, quello descritto da Marx e Ricardo, le classi erano nettamente separate: da un lato i capitalisti che vivevano di rendite, dall’altro i lavoratori che vivevano di salario. Oggi questa distinzione è sempre meno netta. L’economista Branko Milanović ha coniato un termine per descrivere questo fenomeno: homoploutia – dal greco “stessa ricchezza”. Si riferisce a quella fetta crescente di popolazione che appartiene contemporaneamente al decile più ricco sia per redditi da capitale che per redditi da lavoro. Negli Stati Uniti, circa il 30% del top 10% rientra in questa categoria – vale a dire il 3% della popolazione totale.

Sono manager, professionisti, imprenditori che guadagnano stipendi elevati e al contempo accumulano patrimoni significativi. La loro identità di classe è ibrida: capitalisti-lavoratori o lavoratori-capitalisti. Non sono più la borghesia rentier di un tempo, ma neppure i salariati tradizionali.

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Zerocalcare, Scurati e gli altri come “fascisti irrisolti” (con test per scoprire se lo sei anche tu)

di Emanuele Maggio

Gli intellettuali italiani, nei confronti del fascismo, si dividono ancora in due categorie: coloro che impediscono a se stessi di essere fascisti e coloro che non impediscono a se stessi di essere fascisti.

I primi, poiché impediscono a se stessi di essere fascisti, lo vorrebbero impedire anche agli altri. Costoro non concedono a se stessi la libertà (diremmo quasi la tentazione) di essere fascisti.

Essi non sono liberi di essere antifascisti, ma sono obbligati a essere antifascisti, e dunque vorrebbero estendere universalmente tale obbligo.

A obbligarli hanno un poliziotto nella testa, e concludono che tutti dovrebbero averlo. Il loro antifascismo è una posizione di principio ideologica, oppure un comando morale, non una scelta politica razionale e motivata.

I secondi, coloro che non impediscono a se stessi di essere fascisti, si dividono a loro volta in due categorie: quelli che, liberi di essere fascisti, scelgono di essere fascisti (o postfascisti o parafascisti) e quelli che, liberi di essere fascisti, scelgono di essere antifascisti.

L’antifascismo di questi ultimi è l’unico autentico, in quanto scelta consapevole e libera, responsabile e concreta di fronte alla storia, ricostruibile razionalmente a ritroso nelle sue tesi fondanti.

Non c’è alcun valore nell’essere antifascisti, se non si è liberi di esserlo, ovvero: se non si è liberi di essere fascisti, e se non si lascia anche gli altri liberi di essere fascisti, affinché anche gli altri possano diventare antifascisti liberi.

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analisidifesa

Il caso (clinico) di Kaja Kallas. Come ha potuto l’Europa ridursi così?

di Gianandrea Gaiani

Le ultime dichiarazioni dell’Alto Commissario europeo per la Politica Estera e di Sicurezza, Kaja Kallas, impongono (o almeno dovrebbero imporre) una seria riflessione sulla qualità politica e culturale della Commissione von der Leyen e dei suoi massimi esponenti, che stanno portando l’Europa non solo al disastro economico e all’irrilevanza strategica ma anche al ridicolo, allo scherno, al disprezzo, al pubblico ludibrio presso la comunità internazionale.

Kallas non è nuova a gaffes leggendarie come quando auspicava la dissoluzione della Federazione Russa in repubbliche in guerra tra loro (con 6,500 testate nucleari in libertà?) o quando si distinse in un dibattito acceso con la Cina mostrando di non sapere chi avesse vinto la Seconda guerra mondiale. Giornalisti e opinionisti cinesi hanno più volte mostrato stupore e incredulità per questo Alto commissario Ue che ”parla come una liceale”.

Nel marzo scorso presentò (nella foto sotto), insieme al Commissario alla Difesa e Aerospazio Andrius Kubilius, il “Joint White Paper for European Defence Readiness 2030” (Libro bianco congiunto per la prontezza della difesa europea 2030), definito pomposamente Libro Bianco ma composto da appena 22 paginette piene di banalità.

Più recentemente il segretario di stato Marco Rubio non ha neppure voluto incontrarla nell’ambito dei colloqui per portare la pace in Ucraina e del resto Kallas è riuscita ad andare sopra le righe anche in questa circostanza facendosi promotrice di un piano che ribalta la percezione della realtà.

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seminaredomande

Alcuni aspetti dello stato dell’Ucraina dopo tre anni di guerra

di Francesco Cappello

Il collasso militare delle forze armate ucraine su tutti i fronti di guerra è praticamente generalizzato e senza speranza. In Ucraina c’è ormai un fallimento strategico che coinvolge la sfera militare, demografica, economico-finanziaria, infrastrutturale e politica

Gli ucraini hanno visto insieme alla perdita enorme di vite umane e alla distruzione del loro paese una profonda corruzione di cui si sono macchiate le autorità che hanno intascato in larga misura gli aiuti finanziari occidentali mentre guadagnavano anche dal commercio abusivo di armi occidentali nei mercati neri.

 

L’Ucraina sta esaurendo soldati, soldi e popolazione

Dal 40% al 50% degli ucraini hanno disertato o risultano assenti ingiustificati. Due terzi dei reclutati disertano ogni mese, e circa 10.000 soldati lasciano il fronte mensilmente perché feriti o perché deceduti. Il tasso di reclutamento (quasi sempre coatto) che era di 30.000 persone al mese è collassato – l’effettiva numerosità delle truppe è ridotta dalle troppe diserzioni e morti. Oggi c’è un peggioramento drastico, anche di questi numeri. Ha circolato la proposta di abbassamento dell’età della leva a 22 anni insieme all’ipotesi di arruolamento delle donne.

Si stima che l’Ucraina ospiti ora meno di 30 milioni di persone, un calo drastico rispetto ai 44 milioni del 2021. Inoltre i suoi tassi di mortalità e natalità sono rispettivamente il più alto e il più basso del mondo. La guerra ha provocato milioni di sfollati interni e quasi 6,9 milioni di rifugiati che hanno cercato protezione in Europa e altrove.

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sollevazione

Europarlamento: in guerra contro la Russia

di Leonardo Mazzei

Prenderli sul serio oppure no? La domanda si ripresenta, dopo l’ennesima dichiarazione di guerra alla Russia approvata dal parlamento europeo. Molti pensano che ormai i documenti che escono da quella cloaca massima del bellicismo Ue-Nato siano solo carta straccia. Chi scrive ha un’idea un po’ diversa, dato che quell’assemblea esprime pur sempre gli orientamenti dei maggiori raggruppamenti politici europei. E non è poco.

Naturalmente, il parlamento europeo non è affatto rappresentativo del sentimento prevalente nei popoli del continente, ma di sicuro il voto del 27 novembre ci dice tutto su quel che pensano i decisori politici. Ma quanto contano davvero questi decisori? Più precisamente, quanto conta ancora l’Unione europea? A questa domanda bisogna dare una risposta precisa. Fortunatamente l’Ue conta sempre meno, ma sfortunatamente conta ancora abbastanza per impedire che il più piccolo spiraglio di pace produca qualche effetto.

Dunque – e paradossalmente, visto lo stato comatoso delle sue istituzioni – nell’essenziale l’Unione europea continua a contare fin troppo. Conta non tanto in virtù della propria forza, ma per la concordanza di obiettivi con una parte fondamentale del deep state americano e con la Nato. In quattro anni di guerra l’allineamento tra Ue e Nato è stato totale, e continua a esserlo nonostante Trump. Un fatterello che vorrà pur dire qualcosa, al pari della posizione di Rubio a Ginevra, dell’opposizione di molti parlamentari repubblicani ai 28 punti del piano di Witkoff, della “strana” pubblicazione delle sue conversazioni riservate con i russi.

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lantidiplomatico

"Attacchi preventivi" della Nato? Il Generale Andrei Gurulëv sintetizza la pianificazione strategica russa

di Fabrizio Poggi

La Russia non aspetterà che un eventuale conflitto passi a quella che l'Occidente definisce una fase "convenzionale". In caso di una guerra di vasta portata, i sistemi di comando e controllo e le infrastrutture della NATO collasserebbero rapidamente sotto i colpi russi. Questa, in estrema sintesi, la risposta alla malsana idea esposta al Financial Times dall'ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, capo del Comitato militare NATO, secondo cui l'Alleanza atlantica sta considerando approcci più duri di dissuasione nei confronti di Mosca: in sostanza, la NATO starebbe valutando l'idea di lanciare un "attacco preventivo" contro la Russia in risposta ai presunti crescenti "attacchi ibridi".

«Stiamo valutando di agire in modo più aggressivo e preventivo piuttosto che reattivo», ha detto Dragone, aggiungendo che il termine stesso di "attacco preventivo" viene già interpretato dall'Alleanza come una forma di "azione difensiva". In questo contesto, il generale e deputato della Duma Andrei Gurulëv evidenzia su Moskovskij Komsomolets come l'Occidente abbia più volte indicato gli anni 2028-2030 come arco temporale per una probabile guerra con la Russia e sottolinea come questo rappresenti un elemento di pianificazione strategica. L'aumento dei bilanci militari, i programmi di mobilitazione di Germania, Francia e altri paesi, dice il generale, insieme alle discussioni sul dislocamento di armi nucleari in Polonia e ora in Ucraina, fanno tutti parte dell'architettura a lungo termine dello scontro.

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Qui la quarta di copertina

 

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Qui un estratto del volume

Qui comunicato stampa

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Qui una recensione del volume

Qui una slide del volume

 

2025 03 05 A.V. Sul compagno Stalin

Qui è possibile scaricare l'intero volume in formato PDF

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Qui quarta di copertina

Qui un intervento di Gustavo Esteva attinente ai temi del volume

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Qui una scheda del libro

 

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Qui la premessa e l'indice del volume

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Qui la seconda di copertina

Qui l'introduzione al volume

 

 

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Qui il volume in formato PDF

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Qui l'indice e la quarta di copertina

 

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Copertina Danna Covidismo.pdf

Qui la quarta di copertina

 

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Qui la quarta di copertina

 

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Qui una anteprima del libro

Copertina Ucraina Europa mondo PER STAMPA.pdf

Qui la quarta di copertina

Qui una recensione di Terry Silvestrini

Qui una recensione di Diego Giachetti

 

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Qui una presentazione del libro

 

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Qui una recensione di Giovanni Di Benedetto

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Qui la quarta di copertina

Qui una recensione di Ciro Schember

 

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Qui la quarta di copertina

 

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Qui la quarta di copertina

Qui l'introduzione

 

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Qui l'introduzione al volume

 

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Qui una recensione del libro

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Qui la quarta di copertina

 

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Qui la quarta di copertina

 

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Qui la quarta di copertina

Qui una presentazione

 

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Qui una recensione di Luigi Pandolfi

 
Enrico Grazzini è giornalista economico, autore di saggi di economia, già consulente strategico di impresa. Collabora e ha collaborato per molti anni a diverse testate, tra cui il Corriere della Sera, MicroMega, il Fatto Quotidiano, Social Europe, le newsletter del Financial Times sulle comunicazioni, il Mondo, Prima Comunicazione. Come consulente aziendale ha operato con primarie società internazionali e nazionali.
Ha pubblicato con Fazi Editore "Il fallimento della Moneta. Banche, Debito e Crisi. Perché bisogna emettere una Moneta Pubblica libera dal debito" (2023). Ha curato ed è co-autore dell'eBook edito da MicroMega: “Per una moneta fiscale gratuita. Come uscire dall'austerità senza spaccare l'euro" ” , 2015. Ha scritto "Manifesto per la Democrazia Economica", Castelvecchi Editore, 2014; “Il bene di tutti. L'economia della condivisione per uscire dalla crisi”, Editori Riuniti, 2011; e “L'economia della conoscenza oltre il capitalismo". Codice Edizione, 2008

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Qui l'indice del libro e l'introduzione in pdf.

 

Mattick.pdf

Qui la quarta di copertina

Ancora leggero

Qui la quarta di copertina

Qui una recensione di Giovanni Di Benedetto

La Democrazia sospesa Copertina

Qui la quarta di copertina

Qui una recensione di Giuseppe Melillo

 

 

cocuzza sottile cover

Qui l'introduzione di Giuseppe Sottile

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