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lafionda

Il suono della libertà

di Geminello Preterossi

Una marmitta modificata che fa un rumore pazzesco. Una moto guidata da un coatto metrosexual stile “Uomini e donne”. “A me me piace: è il suono della libertà! La legge lo permette”, commenta una donna, in là con l’età, in tiro ma volgarotta, che potrebbe essere una di quelle che vanno da Maria De Filippi, nella speranza di fermare il tempo.

Plebeismo? Si, ma c’è di più. È un piccolo episodio a mio avviso rivelativo di una dinamica che riguarda l’insieme delle nostre società “post-tutto” (quindi non c’è alcun intento di stigmatizzazione, in queste mie notazioni). Il disfacimento del popolo si nutre della mistificazione della libertà, che è diventata una parola equivoca. Libertà “naturale”, per esseri fittiziamente “naturali” (perché immersi in uno stato di natura “dopo la civilizzazione”, indotto dal neoliberismo e dalla globalizzazione, socializzato in un modello di convivenza asociale), La mia libertà è la tua inesistenza. Il segno rabbioso della propria identità, l’unica possibile in un contesto de-umanizzato (senza politica, senza ethos, senza arte, senza spiritualità). Quello che colpisce è la rivendicazione, la mancanza di vergogna: probabilmente perché al fondo si sente di essere ormai automi, pezzetti di un ingranaggio, e si cerca inconsciamente una illusoria, momentanea interruzione, un’increspatura in questa immanenza assoluta. La cosa drammatica è che così la si reifica. E poi perché l’atomismo competitivo legittima precisamente quella visione della libertà: la quale quindi per un verso esprime l’ideologia dominante (chi la assume ne è un elemento molecolare, seppur “passivo”), per l’altro dà l’illusione di una sottrazione momentanea al meccanismo sociale, di una libertà assoluta, la quale non può che essere risentita, esibizionista, narcisista.  

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mondocane

Il piano di pace. Contraccolpi, incognite e variabili

Paolo Arigotti intervista Fulvio Grimaldi

https://youtu.be/hyZdcIC_urM

Inoltro questo video a dispetto del fatto che sia, in alcuni tratti, fortemente disturbato a livello audio e video a causa di una connessione che andava e veniva. Forse avremmo dovuto rifarla, l’intervista. Comunque vi chiedo scusa. Tutto sommato un contenuto viene fuori.

Il Piano definito “di Pace” dallo squinternato tappetaro Usa e subito interpretato dal suo sicario (o committente?) come licenza di genocidio, essendo un falso è ovviamente nato morto. Infatti, come per altri accordi cui ha aderito lo Stato fuorilegge ebraico, Netanyahu e terrorismo mafioso connesso non si sono sognati di levare il dito dal grilletto del genocidio attivato a partire dal 7 ottobre 2023.

La questione del momento ci fa però deviare da un piano di pace davvero strabiliante che né coinvolge, né considera, i diretti interessati. I palestinesi, confermati non umani, sono ridotti a gregge di ovini da decidere se macellare, o spostare, o tosare e tenere chiuso nel recinto. Questione esplosa ai vertici dello Stato sionista e che rappresenta un nuovo potenziamento del tasso di criminalità di Israele. Iniziativa attesa, ma nondimeno stupefacente per protervia e scostumatezza sul piano giuridico, politico, morale, umano Trattasi della proclamazione del Knesset, gratificato del titolo di ”unica democrazia in Medioriente”, che la Cisgiordania non è più Palestina, come per millenni di storia, bensì Israele. Cioè Stato sionista, Stato dei soli ebrei e al diavolo chi ci si ritrova ma non dovrebbe e, in un modo o nell’altro, sparirà.

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contropiano2

Comici spaventati guerrieri europei

di Dante Barontini

Se non fosse che stanno comunque prendendo decisioni di terribile portata, sarebbero una compagnia di comici a tratti irresistibile.

L’ultimo vertice europeo di giovedì aveva al centro, come previsto, il 19° pacchetto di sanzioni alla Russia – oggetto di esilaranti sfottò da parte di Maria Zakharova, portavoce del ministero degli esteri di Mosca – nonché lo spinoso tema del sequestro o “utilizzo improprio” dei fondi russi congelati in banche del vecchio Continente.

L’idea è sempre quella: usarli come garanzia per un prestito da 140 miliardi all’Ucraina. Prestito per modo di dire, visto che Kiev non è in condizioni di restituire nulla, semmai di chiedere altri “aiuti”.

Il problema al momento insuperabile resta però… il Belgio, sede di quelle banche, per nulla intenzionato a perdere il controllo di un asset che vale un quarto del suo Pil e rende un miliardo di entrate fiscali per il piccolo regno. Il Belgio teme ritorsioni legali e finanziarie da Mosca e vuole che altri condividano il rischio.

Ma comunque non ci sta a fare la parte del pauroso: Un miliardo è un sacco di soldi, ma è un dettaglio se lo paragoni ai problemi legali che stiamo avendo e ai rischi che stiamo già affrontando“, ha detto il premier Bart De Wever, aggiungendo che “Sono andato a Kiev e ho detto: ho un miliardo di entrate fiscali, quindi puoi contare su un miliardo ogni anno“. Spiccioli…

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altrenotizie

La partita che si gioca nei Caraibi

di Fabrizio Casari

E’ ufficiale il passaggio della Bolivia alla destra e con esso, quasi certamente, del suo litio a disposizione della ricchezza nazionale. Dopo l’Ecuador, divenuto un protettorato USA su base criminale, che ha consegnato la sua significativa quota di petrolio agli USA, sembra ridisegnarsi un quadro favorevole per la sete di risorse latinoamericane che alloggia nelle gole statunitensi e, per molti aspetti, spiega alcune delle vere ragioni che spingono la IV Flotta della US Navy nei Caraibi.

Gli Stati Uniti non sono nei Caraibi per fare la guerra alla droga: se fosse stato così avrebbe dovuto procedere ad alcune migliaia di arresti nei 3500 laboratori di Fentanyl che si trovano in territorio statunitense, allo smantellamento dei cartelli statunitensi e alla chiusura di enti bancari e finanziari che ne riciclano i proventi, molti di questi operanti a Wall Street.

Che la loro presenza militare nei Caraibi abbia contorni di illegittimità e di illegalità, dato che a tutti gli effetti minaccia la libera navigazione anche con attacchi ingiustificati su imbarcazioni civili peschiere, lo ha reso evidente lo stesso Alvin Holsey, l’ormai ex Ammiraglio in capo del Comando Sud (e dunque anche della IV Flotta) dimettendosi proprio in nome del rispetto del codice di navigazione e delle leggi di guerra.

Il rispetto di questi impedirebbe le modalità dell’operazione navale in corso, il cui scopo è solo di minacciare, terrorizzare; prova ne sia che gli ipotetici corrieri della droga non vengono abbordati o bloccati ma gli si spara direttamente, senza peritarsi nemmeno di chi vi sia a bordo, cosa stia facendo e se rappresenta o no un pericolo.

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barbaraspinelli.png

L’Ue vuole la tregua ma non la pace

di Barbara Spinelli

Se si vuol capire almeno un poco come gli Stati e le istituzioni d’Europa siano arrivati dopo anni di guerra in Ucraina a questo punto – un’incapacità totale di far politica; una ripugnanza diffusa verso chiunque imbocchi la via diplomatica; un’incaponita postura bellica che sfalda già ora lo Stato sociale; un senso storico completamente smarrito – occorre esaminare due eventi rivelatori delle ultime settimane.

Il primo ha per protagonista Trump, che dopo aver discusso al telefono con Putin il 16 ottobre, ha bocciato l’idea di mandare in Ucraina i micidiali missili Tomahawk, che possono colpire la Russia fino agli Urali, sono in grado di trasportare testate nucleari, e vanno manovrati solo con l’assistenza del Paese egemone nella Nato. Arrivato alla Casa Bianca per ottenere i missili, il 17 ottobre, Zelensky s’è sentito dire, anzi urlare: “Se Putin vuole, ti distrugge”. Trump ha escluso ogni escalation, in vista dell’imminente suo incontro con Putin. Ma Zelensky si è inalberato e ha chiesto aiuto agli Stati europei detti “volonterosi”. I quali sono accorsi e hanno subito silurato il vertice Trump-Putin, per ora rinviato. Obiettivo dei Volenterosi è un cessate il fuoco lungo la linea del fronte, e solo in seguito una trattativa sul futuro ucraino e sulle garanzie di sicurezza per Kiev.

Fin dal vertice con Trump in Alaska, tuttavia, Putin chiede che prima del cessate il fuoco si accettino le garanzie di sicurezza russe oltre che ucraine e cioè: neutralità e non adesione di Kiev alla Nato, riduzione degli armamenti sproporzionati in Ucraina, impegno scritto del Patto Atlantico a non espandersi mai più verso l’Est. Mosca lo chiede da decenni, non da oggi.

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comedonchisciotte.org

Contro la hybris

di Patrick Lawrence – ScheerPost

Negli ultimi giorni ho letto molto su come gli israeliani hanno trattato le persone che hanno arrestato quando hanno abbordato illegalmente le navi che componevano la ormai famosa flottiglia umanitaria che non è mai arrivata alle coste di Gaza. Gli irlandesi – naturalmente, data la loro amara familiarità con le aggressioni imperiali – hanno fornito resoconti dettagliati della brutale violenza gratuita che hanno subito mentre erano detenuti nella prigione di Ktziot. Barry Heneghan, membro del Dáil, la camera bassa del parlamento irlandese, ha riferito in seguito di essere stato “trattato come un animale”. Liam Cunningham e Tadhg Hickey, attori e attivisti, hanno descritto come sono stati presi a calci, sputati, schiaffeggiati, legati con fascette di plastica e lasciati sotto il sole cocente del deserto del Negev.

Nulla è paragonabile al racconto della sua detenzione che Greta Thunberg ha fatto il 15 ottobre a Lisa Röstlund, giornalista dell’Aftonbladet, un quotidiano di Stoccolma. Questo mi è stato riferito da Caitlin Johnstone, quella forza della natura australiana, che ha pubblicato nella sua newsletter estratti tradotti automaticamente lo stesso giorno in cui è uscita l’intervista di Röstlund alla coraggiosa attivista svedese. Avevo già letto della disidratazione, del cibo appositamente cattivo della prigione, delle cimici dei letti, del rifiuto delle cure mediche. Ora Thunberg fornisce al mondo una lunga lista di “abusi mostruosi” – frase riassuntiva di Johnstone – che vanno oltre ogni limite.

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nazione indiana

Diario di un luddista senza complessi #1 (La libido.)

di Andrea Inglese

Vorrei precisare. Ci sono i transumanisti, gli accelerazionisti, i lettori di Baricco e di Paolo Giordano: c’è posto per tutti sul pianeta terra, non per necessità di ragione, ma per brutalità di fatto. Ebbene ci sono anch’io, anzi la tribù di cui faccio parte: i luddisti senza complessi. Ogni tanto ne incontro qualcuno o sopratutto qualcuna. Le donne sono più numerose di gran lunga. Maschi luddisti cercasi disperatamente. Io dico non solo che le tecnologie non sono neutrali e che portano in sé un’ideologia implicita, ma dico anche (Apriti cielo! Santissimo Marx!) che le tecnologie non hanno carattere di necessità, e che quindi il loro dispiegamento nelle nostre vite non è una fatalità irrimediabile, ma soltanto una debolezza del nostro spirito, una pochezza della nostra politica. Ma dopo aver formulato due grandi bestemmioni, due affermazioni che non rientrano nell’ordine dei pensieri pensabili da una mente sana, vorrei scendere su di un terreno più spicciolo, e immediato. Chat-GPT non esercita su di me nessuna libidine. Né il suo uso concreto, né la sua evocazione circonfusa di aloni scintillanti e misteriosi, mi procurano eccitazioni inguinali e tantomeno mentali. Zero festa, zero stelline, zero iridescenze, zero inturgidimenti. In primo luogo non uso, se non raramente, Chat-GPT, e per nessun compito “ordinario”. Consideriamo le due circostanze in cui l’ho usato ultimamente. La prima, per tradurre un articolo, da me scritto, dall’italiano al francese, che ho poi rivisto frase per frase. Un ottimo risultato, ma un’operazione complessivamente “rottura di palle”. (Così è in genere dell’autotradursi, per mia esperienza).

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ilrovescio

Semi che germogliano all’inferno

di Il Rovescio

Vladimir Žabotinskij, il fondatore dell’organizzazione paramilitare sionista Irgun, ammetteva senza fronzoli: «[I palestinesi] guardavano la Palestina con lo stesso amore istintivo e con lo stesso fervore con cui un qualsiasi Azteco guardava il suo Messico o un qualunque Sioux guardava la sua prateria». Il colonialismo sionista ha fatto di tutto per rimuovere tali paralleli storici. Ma l’orrore di Gaza ci fa vedere in diretta – equipaggiato con tutti i mezzi che il complesso scientifico-militare-industriale ha sviluppato nel frattempo – l’annientamento dei nativi americani o degl’aborigeni d’Australia.

Per questo è tanto vertiginoso quanto necessario elaborare e mettere in pratica una concezione della storia more Gaza demonstrata.

Prendiamo la ben nota frase dello storico Patrick Wolfe (al quale dobbiamo alcuni degli studi più puntuali sul colonialismo d’insediamento): «l’invasione coloniale di una terra per crearvi degli insediamenti è una struttura, non un evento». (Da cui discende il corollario: «l’eliminazione dei nativi è un principio organizzativo».) Questa struttura rende ancora operativa nel 2025 la giustificazione giuridica dell’esproprio coloniale fornita nel 1689 da John Locke (Secondo trattato sul governo): proprietario della terra non è chi vi risiede, ma chi la mette a profitto. Definire terra di nessuno (terra nullius) gli ambienti abitati dalle popolazioni native è l’architrave dell’insediamento coloniale. Non si tratta di un evento, appunto, ma di una struttura.

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comidad

Il pilota automatico dell'assistenzialismo per ricchi

di comidad

Giorgia Meloni si è giustamente risentita per l’epiteto di “cortigiana di Trump”, dato che il termine “cortigiana” in passato era spesso usato come eufemismo per non dire esplicitamente “prostituta”. In realtà la prostituzione implica uno scambio e un pagamento (o, se si preferisce un termine spregiativo, un mercimonio), mentre la Meloni fa la cheerleader per Trump a titolo puramente gratuito; forse nella speranza che entrare nel giro degli adulatori del pagliaccio di turno sul palcoscenico della Casa Bianca le consenta di brillare di luce riflessa. Il problema è che, nella vicenda del fasullo accordo di pace a Gaza, lo stesso Trump ha parassitato un’operazione di pubbliche relazioni promossa da Erdogan. Il presidente turco doveva far dimenticare la figuraccia rimediata qualche settimana prima, a causa dell’accordo militare tra Arabia Saudita e Pakistan, il cui messaggio sottostante era appunto che la Turchia non è una potenza in grado di tenere a bada Israele. Queste operazioni di pubbliche relazioni hanno ovviamente il fiato cortissimo, infatti Netanyahu ha già ricominciato a bombardare ed affamare la popolazione di Gaza. Nessun osservatore realista aveva preso sul serio la “pace di Trump”, ma molti ritenevano che, prima di riprendere il genocidio, Netanyahu avrebbe concesso a Trump almeno una quindicina di giorni per pavoneggiarsi e allestire una nuova distrazione per i media (come la prossima messinscena a Budapest), in modo da rimettere Gaza in secondo piano. Si constata invece che Trump non è rispettato nemmeno come clown.

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lantidiplomatico

Ucraina: avanti, verso l'impossibile pace

di Giuseppe Masala

Quando tutto stava portando verso una probabile escalation del conflitto in Ucraina, a causa della volontà degli USA di concedere a Kiev i missili da crociera Tomahawk, si è verificato una sorta di “miracolo” che ha bloccato la decisione di consegna della nuova “arma letale” americana e ha aperto la strada a un nuovo vertice tra Putin e Trump a Budapest, che secondo il mainstream ci porterà alla pace.

Come sapete, il miracolo che dovrebbe portare alla risoluzione definitivamente del conflitto in Ucraina è stata la telefonata tra Putin e Trump avvenuta il 16 di Ottobre. Proprio il giorno prima che fosse annunciata la consegna dei missili da crociera made in USA durante un vertice tra Trump e Zelensky.

In questi giorni si susseguono le indiscrezioni proprio su quel “drammatico” vertice tra il presidente americano e quello ucraino. Secondo il Financial Times, per esempio, si è trattato di un vertice tesissimo, al limite della violenza fisica e dove la linea rossa dello scontro verbale sarebbe stata ampiamente superata. Tutto perché – come peraltro prevedibile – Zelensky punterebbe i piedi a qualsiasi ipotesi di accordo con la Russia sollecitato da Trump. Dal punto di vista del leader ucraino la cosa è pienamente comprensibile: con la sua decisione folle e sconsiderata di provocare un conflitto con la Russia ha portato alla distruzione del suo paese, alla morte di centinaia di migliaia di ucraini e alla invalidità permanente di altre centinaia di migliaia, oltre che, all'esodo verso l'Europa e la Russia di milioni di cittadini ucraini: chiaro che il suo destino (come quello della cricca di gerarchi che lo sostiene) è segnata in caso di fine della guerra. Inutile dire qual è il destino che fanno i despoti responsabili di simili disastri.

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sbilanciamoci

Il buco-armi con la manovra intorno, la IV di Meloni

di Roberto Romano

Senza il Pnrr saremmo già in territorio-recessione. Ma la manovra tratteggiata da Giorgetti avrà impatto nullo, improntata al Patto di Stabilità senza un euro per politiche di sostegno alla crescita. L’obiettivo, rientrare dalla procedura di infrazione, pare funzionale a lasciare spazio finanziario a un piano di riarmo.

Il trittico dei documenti che delineano l’impianto economico del governo si è completato con l’approvazione della Legge di bilancio da parte del Consiglio dei ministri il 17 ottobre. Ne risulta un quadro programmatico improntato a una manovra a saldo pressoché nullo, rigidamente conforme ai vincoli del nuovo Patto di Stabilità e Crescita sottoscritto dai Paesi europei nel 2024.

Sussistevano margini, seppur limitati, per un utilizzo più flessibile dei saldi di finanza pubblica, agendo sull’avanzo primario o sull’indebitamento netto, al fine di liberare risorse aggiuntive da destinare a politiche di sostegno alla crescita. Tuttavia, l’esecutivo ha optato per un’applicazione pedissequa del quadro europeo, presumibilmente per evitare effetti negativi sulla quota del bilancio pubblico assorbita dagli interessi sul debito.

Ne deriva un bilancio di previsione per il triennio 2026-2028 sostanzialmente neutro, con risorse aggiuntive limitate a 900 milioni di euro per il 2026, in crescita a 6 e 7 miliardi rispettivamente nel 2027 e nel 2028. Tali incrementi sembrano correlati alla necessità di coprire il progressivo aumento della spesa militare, temporaneamente rinviata a giugno, quando il Paese dovrebbe uscire dalla procedura per disavanzo eccessivo, attivata a seguito del superamento della soglia del 3% di indebitamento netto già previsto per il 2025.

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aldous

Al pascolo

di Davide Miccione

Vedo intorno a me decine di persone entusiaste e allegre come bambini a Natale mentre scoprono le meraviglie dell’Intelligenza artificiale. Non stanno pensando al possibile progresso della scienza applicata (tutte questioni del resto poco interessanti per la maggior parte dei bambini) ma alla capacità di produrre testi, meme, immagini, scrivere mail al posto nostro, spiegarci e riassumere testi al posto nostro, lavorare al posto nostro. I lavori a cui i bambini cresciuti si riferiscono e le fatiche ad essi connesse da cui si attendono di essere sollevati non sono però, almeno in questa prima fase, quelli del manovale, asfaltatore, bracciante agricolo, autista, cameriere, cassiere ecc. Non i lavori duri, sfibranti per il corpo, usuranti per nervi e muscoli e stressanti per spirito e mente ma gli altri: sceneggiatore, traduttore, docente eccetera.

Le promesse di emancipazione dalla fatica e ripetitività del lavoro da parte della tecnologia contemporanea sono state del tutto disattese. Le promesse di conquista del tempo libero, di eliminazione degli ostacoli della quotidianità a un tempo di qualità sono del tutto disattese. Questa coppia di promesse tradite sarebbe il miglior atto d’accusa per la “nuova civiltà delle macchine intelligenti”, per il suo feroce tradimento della specie che l’ha creata. Sarebbe, ma non lo è proprio perché la “nuova civiltà delle macchine intelligenti” ha già ottenuto uno stordimento, una frammentazione, uno stato di distrazione, una condizione di dipendenza /astinenza nella stragrande maggioranza dei contemporanei che è tale da rendere ormai ostica ogni riflessione sistemica.

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Chi paga il “miracolo economico” (che poi è la solita austerità) del Governo Meloni

di Alessandro Volpi, da Altreconomia

Il prelievo fiscale è salito dal 2024 al 2025 dal 41,4% al 42,6% del Pil, toccando un picco da record a danno di milioni di contribuenti con redditi medio bassi, e non certo per via del contributo di banche, detentori di rendite finanziarie o successioni dei super ricchi. Mentre manca ancora un reale sistema di indicizzazione delle retribuzioni al costo della vita. Confindustria e sistema bancario ringraziano. L’analisi di Alessandro Volpi.

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti mostrano grande soddisfazione per lo stato dei conti pubblici che hanno ripristinato l’avanzo primario (in sintesi più entrate rispetto alle spese, al netto degli interessi sul debito). Ma questo “miracolo” -che in parole più chiare si chiama austerità- chi lo paga?

La risposta è semplice: chi paga le tasse. I numeri lo dicono con chiarezza: il prelievo fiscale è salito dal 2024 al 2025 dal 41,4% al 42,6% del Prodotto interno lordo (Pil), un livello record che è dipeso non certo dall’aumento della pressione sulle banche, sulle rendite finanziarie o sulle tasse di successione dei super ricchi, ma da un vero e proprio “furto” ai danni di milioni di contribuenti con redditi medio bassi.

Infatti, l’aumento dell’inflazione registrato negli ultimi anni ha gonfiato il valore nominale delle retribuzioni e delle pensioni delle lavoratrici e dei lavoratori che, spesso, ha generato il loro passaggio a un’aliquota superiore con maggiore prelievo fiscale non certo giustificato da un aumento di reddito reale, del tutto assente.

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coniarerivolta

Una manovra da poco

di coniarerivolta

Non si possono servire due padroni, dicono i cristiani, perché l’amore per l’uno ci porterebbe a odiare l’altro. Perché i due padroni vogliono cose inconciliabili tra loro.

Il Governo Meloni ha trovato un modo davvero singolare di rispettare il precetto evangelico: non si possono servire due padroni, quindi ne serve tre, e lo scrive a chiare lettere nel Documento programmatico di bilancio (DPB) inviato alla Commissione europea lo scorso 14 ottobre. Il miracolo, è proprio il caso di dirlo, ha una sua logica: i tre padroni in questione vogliono cose che si conciliano perfettamente tra loro, guerra, austerità e profitto.

Il padrone americano chiede soldi per il riarmo, per alimentare quella guerra permanente che serve a puntellare il suo progetto imperialista. Il padrone europeo chiede tagli alla spesa pubblica, per continuare a traghettare il vecchio continente dal modello sociale europeo a una moderna economia capitalistica orientata al profitto. Il padrone italiano, vaso di terracotta costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro, si accontenta delle briciole, strappandole ai settori sociali più vulnerabili ed esposti all’inflazione.

I documenti di finanza pubblica adottati dal Governo Meloni sono interessanti da decifrare perché contengono questa equazione miracolosa che tiene insieme una prospettiva di aumento della spesa militare, in ossequio ai padroni americani, il rispetto dei vincoli di bilancio europeo, in ossequio alle élite di Bruxelles, e qualche mancia per i padroncini italiani, perché le elezioni politiche si avvicinano.

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lafionda

Gheddafi, Africa e dignità

di Matteo Parini

“L’Africa è stato un continente colonizzato, isolato, oltraggiato. Trattato come una terra abitata da animali, poi utilizzato come serbatoio per la tratta degli schiavi. E dopo tutto questo, ridotto a una rete di colonie sotto mandato straniero.”

Il virgolettato è tratto dal discorso pronunciato da Muammar Gheddafi il 23 settembre 2009, alla 64ª sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York, discorso che oggi torna alla memoria nel giorno in cui ricorre il quattordicesimo anniversario della sua morte. Una denuncia planetaria dell’ingiustizia nel mondo e della sofferenza dei popoli a causa delle guerre, della colonizzazione e dell’imperialismo, cifra stilistica dell’impero statunitense e dei suoi accoliti. L’invocazione di un nuovo ordine mondiale, finalmente basato su uguaglianza e giustizia per tutti i Paesi, in particolare per quelli africani, relegati alla schiavitù da troppo tempo.

Anche per questo, gli araldi della sedicente comunità internazionale, la minoranza suprematista occidentale, lo etichettavano come “dittatore”, al pari di tutti quelli che non sono in grado di comprare, semplicemente perché non in vendita. Non gli perdonavano l’affronto di aver edificato, nel continente africano — per solito oggetto di rapina e scorribande da parte dell’uomo bianco — uno Stato sovrano, laico e indipendente: uno Stato africano per gli africani, con la schiena dritta, capace di gestire sé stesso e le proprie ricchezze. Non gli perdonavano, altresì, di aver costruito un modello di società socialista impegnata a non lasciare indietro nessuno, traino e stella polare di ogni popolo in lotta per l’autodeterminazione.

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CUBA. Con Lenin all’Avana, le sfide globali della sinistra

di Geraldina Colotti

Con la sua presenza discreta, ma attenta, il presidente di Cuba, Miguel Díaz Canel, ha accompagnato le giornate del Terzo incontro internazionale di pubblicazioni teoriche di partiti e movimenti di sinistra (el Tercer Encuentro Internacional de Publicaciones Teóricas de Partidos y Movimientos de Izquierda). Un appuntamento periodico che ha riunito quest’anno oltre 100 delegati di 36 nazioni, e che ha avuto al centro una straordinaria manifestazione di sostegno al socialismo bolivariano e al suo presidente legittimo, Nicolas Maduro.

L’incontro si è svolto nell’Università del Partito comunista di Cuba, intestata a  Ñico López, figura storica del Movimento 26 di luglio, che ha lottato contro il regime del dittatore Fulgencio Batista, sotto la guida di Fidel Castro. Una università dedicata alla formazione di quadri politici e dirigenti del partito, e che mira a promuovere e a rafforzare la teoria e la pratica del socialismo a Cuba, preparandone i futuri dirigenti.

  Con che spirito e metodo si dà la loro preparazione lo si poteva notare vedendoli trasportare casse di vettovaglie o documenti. Per questo, l’omaggio finale a Lenin e alle speranze mai concluse della rivoluzione bolscevica sulle note dell’Internazionale hanno riempito la sala di un’emozione profonda che, in Europa, le masse sono abituate a provare solo durante il tifo da stadio: o a riscoprire durante le grandi manifestazioni che ricominciano denunciare i propri governi a seguito del genocidio in Palestina.

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quodlibet

La guerra è la pace

di Giorgio Agamben

Fra gli orrori della guerra che vengono spesso dimenticati è il suo sopravvivere in tempo di pace attraverso le sue trasformazioni industriali. È noto – ma lo si dimentica – che i fili spinati con cui molti ancora recingono i loro campi e le loro proprietà provengono dalle trincee della prima guerra mondiale e sono macchiati del sangue di innumerevoli soldati morti; è noto – ma lo si dimentica – che i gommoni che affollano le nostre spiagge sono stati inventati per lo sbarco delle truppe in Normandia nella seconda guerra mondiale; è noto – ma lo si dimentica – che i diserbanti in uso nell’agricoltura derivano da quelli usati dagli americani per deforestare il Vietnam; e, ultima conseguenza e di tutte peggiore, le centrali nucleari con le loro indistruggibili scorie sono la trasformazione “pacifica” delle bombe atomiche. Ed è bene ricordare, come Simone Weil aveva compreso, che la guerra esterna è sempre anche una guerra civile, che la politica estera è, in verità, una politica interna.

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lantidiplomatico

La resa energetica dell'Europa: perché il bando al gas russo è una condanna senza appello

di La Redazione de l'AntiDiplomatico

 Bruxelles celebra il bando definitivo, ma le imprese chiudono. Il paradosso di un'Europa che, per colpire Mosca, affossa la propria economia a beneficio esclusivo degli USA

L'Europa ha deciso di infliggersi una ferita profonda, votando per un suicidio energetico i cui costi sono già drammaticamente visibili e destinati a crescere. Il via libera del Consiglio UE a un regolamento che sancisce il bando totale delle importazioni di gas russo – sia via gasdotto che GNL – entro il 1° gennaio 2028, rappresenta l'atto conclusivo di una strategia autolesionista dettata più dalle pressioni atlantiche che da una razionale valutazione del proprio interesse nazionale.

Il percorso è scandito: stop ai nuovi contratti dal 2026, fine dei contratti a breve termine entro giugno dello stesso anno, e addio definitivo a tutto, compresi i contratti a lungo termine, dal 2028. Una scelta presentata come un'arma per privare il Cremlino di risorse, ma che in realtà è un boomerang che sta paralizzando la competitività industriale del Vecchio Continente. La Germania – caso paradigmatico - un tempo locomotiva d'Europa, assiste a una lenta e inesorabile deindustrializzazione, mentre i costi dell'energia alle stelle strangolano imprese e cittadini.

Il paradosso è stridente. Fino a poco tempo fa, la Russia copriva circa il 40% del fabbisogno di gas europeo, un flusso affidabile e a basso costo garantito da infrastrutture come i gasdotti Nord Stream, fortemente voluti dalla Germania nell'interesse della prosperità europea.

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Morale, impero e la forma silenziosa della guerra

di Pasquale Pas Liguori

A poco più di due anni dal 7 ottobre, si parla di tregua. Non cadono bombe, si dice, ma i confini restano chiusi, l’assedio continua e il furto della terra e delle vite non conosce interruzioni. L’assenza momentanea di bombardamenti non è affatto pace, è la forma silenziosa della guerra: la prosecuzione dell’ordine coloniale con altri mezzi.

Nel linguaggio del potere, la tregua è il meccanismo che consente di preservare la violenza mentre la si nega, il momento in cui l’impero sospende la distruzione per riaffermare la propria capacità di gestirla. È, in sostanza, una pace amministrata, in cui la brutalità diventa compatibile con la normalità.

Questo tempo sospeso non è soltanto politico: è, prima di tutto, morale. È il tempo in cui si riorganizza la coscienza occidentale, che negli ultimi mesi si è esercitata nella contrizione, nei cortei e nei balconi, nelle bandiere e negli slogan di solidarietà. Un moto collettivo apparso come risveglio ma rivelatosi, a conti fatti - come si era paventato, non senza attirare polemiche - un gesto di purificazione. Non la nascita di un nuovo pensiero politico, ma un rito di espiazione collettiva: il tentativo di liberarsi dal senso di colpa, non di tradurlo in progetto di trasformazione.

Vale allora la pena rianalizzare uno dei fondamenti politici più imprescindibili e oggi più adulterati: il valore insostituibile della resistenza. È un concetto che la morale pubblica ha svuotato di ogni significato storico e che i media e la cultura liberal hanno trasformato in un reperto linguistico da addomesticare e neutralizzare. La resistenza, da categoria politica, è stata ridotta a categoria morale; da pratica di liberazione a problema di “equilibrio”.

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resistenze1

Baricco e gli altri

di Tiziano Tussi

Sul sito de la Repubblica si possono trovare sia un articolo scritto da Alessandro Baricco e un elenco di reazioni a quanto da lui elaborato su una questione che si può riassume, grazie appunto a Baricco, in un solo termine: Gaza.

Il pensiero guida centrale del suo dire, che ha procurato molto scalpore e reazioni da parte di un gruppo di intellettuali, intervenuti nella questione sollevata da Baricco, e che il quotidiano la Repubblica ha elencato sul suo sito, è che i ragazzi che sono scesi in piazza per Gaza hanno dato un addio al Novecento, secolo oramai stantio e pregno di tragedie e disperazione. Il loro muoversi, dice Baricco, dimostra la lontananza da quel secolo e la divisione tra Novecento e Duemila sta in una insanabile rottura che i giovani hanno costruito e con le loro manifestazioni l'hanno resa evidente. Una lontananza che si coglie con il loro stare sulla "falda" che divide quel secolo dall'attuale. Tutto il marciume accumulato nel primo e una bellezza contemporanea ma, soprattutto, nel futuro in questo attuale.

Certo è che la guerra in Ucraina e quella tra "Hamas e Israele" sono la zampata finale del secolo morente. Sono rimasugli del Novecento che fanno fatica a scomparire del tutto lasciando sul terreno, soprattutto Gaza, così come è ora, che nella sua enormità illustra il nuovo secolo, quello per cui si deve dimostrare e pretendere che in futuro non si sia più una tragedia novecentesca così come "il culto dei confini, la centralità delle armi, e degli eserciti, la religione del nazionalismo" impongono.

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sinistra

Normalizzare il genocidio: quello di Gaza e quello dell’Europa

di Carlos X. Blanco

Il mondo sta precipitando nell’abisso. Tutti i demoni sono stati scatenati e, da quello stesso abisso infernale, emergono fuoco e morte: saranno come talpe meccaniche sempre più grandi che scavano, finché l’oscurità che segue sempre il calore rosso della guerra non riempirà il globo.

C’è una macchia di fuoco e cenere in Medio Oriente, che si estenderà all’Europa, ai Caraibi, all’Estremo Oriente… Come residente in Europa, sono cresciuto con la solita domanda nelle lezioni di storia al liceo: il tedesco medio era a conoscenza dell’orrore dei campi di sterminio? Rimase in silenzio e acconsentì? C’erano voci, supposizioni, dati – anche se confusi – sulla Grande Vergogna?

Oggi, non solo il tedesco medio, ma anche l’europeo o l’occidentale medio, non hanno più bisogno di porsi queste domande di fronte al genocidio degli abitanti di Gaza? Morte, distruzione, la riduzione di intere città in macerie e cenere sono fatti sotto i nostri occhi. Il nazismo non nasconde nemmeno i suoi orrori, come si potrebbe dire dello Stato nazionalsocialista con il suo intero apparato di censura e indottrinamento. Sebbene oltre l’80% della stampa occidentale odierna sia comprata e prostituita dal nazismo, l’orrore di Gaza è “disponibile” al pubblico che vuole vederlo. L’orrore del XXI secolo, a differenza di quello del secolo precedente, risiede nel fatto che si tratta di un orrore trasmesso in televisione, ritwittato, condiviso e viralizzato fino allo sfinimento.

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ilchimicoscettico

Il terzo ladro: dalla cattura della scienza allo svuotamento della democrazia

di Il Chimico Scettico

Catturare la scienza: mascherare da "fondate sulla scienza" istanze politiche, con titolati di discipline tecniche e scientifiche che supportano il processo. È quella Scienza "terzo ladro" nella visione di Isabelle Stengers.

Si tratta forse dello strumento più sfacciato attraverso cui il potere politico contemporaneo sottrae le proprie decisioni al vaglio della legittimità democratica. Non si tratta di un processo casuale o spontaneo, ma di una strategia deliberata che trasforma la conoscenza scientifica da strumento di comprensione del mondo in simulacro e arma di legittimazione politica.

Il meccanismo funziona attraverso una selezione strategica: si identificano gli studi, gli esperti e le ricerche che supportano l'agenda politica desiderata, trasformando risultati spesso incerti e dibattuti in "verità scientifiche" indiscutibili. Questa operazione non richiede necessariamente la falsificazione dei dati, ma piuttosto una loro presentazione selettiva e una amplificazione mediatica mirata.

L'esempio più recente di questo processo lo troviamo nelle politiche europee degli ultimissimi anni. Il Green Deal è stato presentato come una necessità scientifica incontestabile, con l'urgenza climatica utilizzata per giustificare trasformazioni economiche e sociali radicali. Tuttavia, quando le priorità politiche sono cambiate con l'evolversi del contesto geopolitico, la stessa urgenza scientifica è diventata improvvisamente negoziabile.

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linterferenza

“Amato Popolo”: la sintonia da ricostruire

di Gerardo Lisco

Recensione al saggio di Antonio Cantaro, Amato Popolo. Il sacro che manca da Pasolini alla crisi della democrazia, Bordeaux Edizioni in libreria dal 3 novembre

 

1. Introduzione: un saggio “eretico” sul popolo e sulla democrazia

Il saggio di Antonio Cantaro, professore di Diritto costituzionale presso l’Università di Urbino “Carlo Bo”, ruota intorno al concetto di Popolo, categoria cardine della riflessione politico-giuridica e, al tempo stesso, concetto oggi spesso svuotato o ridotto a etichetta del “populismo”.

Il pregio del volume di Cantaro è di andare oltre questa semplificazione, restituendo al termine Popolo una profondità storica, culturale e simbolica che lo colloca al centro della crisi della democrazia contemporanea.

Come precisa lo stesso autore, Amato Popolo nasce dal suo “retrobottega”: una raccolta di interventi, relazioni e appunti nati per diverse occasioni ma accomunati da un filo rosso coerente. Cantaro li definisce “prove d’autore”, ma in realtà si tratta di veri e propri “scritti eretici”. Eretici non solo per i riferimenti a Leopardi, Gramsci e Pasolini — pensatori marginalizzati o reinterpretati in chiave funzionale al sistema — ma perché si sottraggono al conformismo del pensiero critico dominante.

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kelebek3

Tempi interessanti

di Miguel Martinez

“Ti auguro di vivere in tempi interessanti…”

E in effetti, noi stiamo vivendo i tempi più interessanti finora esistiti.

Non è per dare centralità a noi stessi: i tempi dei nostri figli saranno ancora più interessanti, semplicemente perché saranno ancora più accelerati.

Mio suocero ha raccolto una serie di oggetti della sua infanzia in campagna, che si distinguevano dal neolitico, solo per l’occasionale presenza del fabbro. E non so se fosse del neolitico, o dell’età del ferro o dei tempi nostri, il Calzolaio Indaco che arrivava in paese, si faceva ospitare il tempo di fare le scarpe per tutti, e poi passava a un altro paese.

Io oggi vivo in un inferno sorvegliato da innumerevoli satelliti che hanno reso invisibili le stelle, tra umani che affidano il controllo di ogni loro gesto, ma anche di ogni loro minima emozione, persino della loro impronta digitale, a due o tre sataniche aziende che potranno spegnerne l’esistenze con un clic.

In pochi decenni siamo passati dall’esistenza dell’immagine fotografica, che credevamo finalmente vera al contrario delle fantasie dei pittori; all‘immagine truccata che non puoi sapere se è vera o falsa.

Mentre basta rispondere a un messaggio perché io resti cieco per il resto della vita, come è successo in Libano, io traduttore non ho più lavoro perché c’è un’intelligenza artificiale che traduce al posto mio (e lo fa benissimo).

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«Le democrazie liberali rischiano di trasformarsi in oligarchie autoritarie»

di Elena Basile

 L’ambasciatrice denuncia la degenerazione dell’Occidente, fra collasso delle élite, erosione dei diritti e crisi etica

Nel suo ultimo libro «Approdo per noi naufraghi», Elena Basile analizza il declino delle società occidentali. Dalla dissoluzione dell’umanesimo alla scomparsa della sinistra, dall’ascesa dei potentati finanziari al conformismo mediatico, l’ambasciatrice denuncia un sistema che ha smarrito la dimensione collettiva e il senso di giustizia e solidarietà. Mai come oggi, denuncia, «prevalgono la giungla e la competizione in un individualismo sfrenato».

L’attualità della politica internazionale rimanda alle distopie descritte da autori come George Orwell oppure Aldous Huxley. Ma è la lettura di Se questo è un uomo di Primo Levi a ricordarci l’immutabile Dna umano che la vita nel lager ha evidenziato: l’istinto di sopravvivenza piega l’uomo. Rivalità con i pari e genuflessione al superiore sono le caratteristiche del microcosmo del lager.

In una società che ha perso l’anima, nella quale il senso di comunità è scomparso, trionfano la competizione, l’individualismo sfrenato, la sopraffazione del debole e l’allineamento feroce al potere. Non siamo nell’universo semplificato del lager forse, ma per molti aspetti la sua essenza spirituale vive nelle oligarchie illiberali attuali.

La corruzione ha plasmato la politica come le istituzioni culturali, l’accademia e lo spazio mediatico. Le democrazie liberali del secondo Dopoguerra si sono trasformate in oligarchie che tendono all’autoritarismo.

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lantidiplomatico

"L’antisemitismo razzista non è quello dei pro-pal"

di Elena Basile*

Se rileggiamo Se questo è un uomo di Primo Levi troviamo pagine pacate e disperate sulla natura umana e su come all’interno del lager il microcosmo sociale si organizza. L’istinto di sopravvivenza è soddisfatto attraverso la sopraffazione dell’altro, la competizione con coloro che sono a noi pari e la soggezione conformista a chi è anche solo di un gradino a noi superiore. Non c’erano le SS a controllare i campi, ma una struttura piramidale divisa in tre gruppi, ciascuno con i loro capetti all’interno, prigionieri comuni, politici ed ebrei. La lettura è straziante perché rimanda senza possibilità di speranza a un Dna che si ripete nella storia, facendo avanzare gradualmente la barbarie sino alla sua esplosione: nazismo, razzismo, colonialismo, guerre.

Osservare la realtà politica, italiana, europea, occidentale, conferma le lucide visioni del grande scrittore umanista ebreo. Nell’indifferenza dell’opinione pubblica la corruzione delle classi dominanti appare ormai senza camuffamenti. Il prevalere della forza contro il diritto è all’ordine del giorno come la retorica razzista, contro l’islam e il terrorismo, contro il nemico russo, contro il diverso, che non è più l’ebreo oppure l’omosessuale, ma colui che non si allinea alle logiche belliciste, filoatlantiche e filoisraeliane, suprematiste bianche.

Il presidente statunitense afferma pubblicamente nel suo recente discorso a Tel Aviv di essere pressato dalla coppia di miliardari (specifica 60 miliardi in banca), Miriam e Sheldon Adelson, ebrei americani, che irrompono nello Studio Ovale e chiedono politiche filoisraeliane.

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manifesto

Il rigore a vuoto e la spirale verso la povertà

di Emiliano Brancaccio

Meloni e Giorgetti presentano una manovra pienamente addomesticata alle nuove regole di bilancio europee

Il governo dei sovranisti pentiti continua il suo percorso rieducativo. Meloni e Giorgetti presentano una manovra pienamente addomesticata alle nuove regole di bilancio europee. L’effetto, guarda caso, rievoca le antiche bizzarrie dell’austerity: con la crescita vicina allo zero e i rischi di una nuova crisi all’orizzonte, anziché bilanciare con una manovra espansiva l’Italia si impegna a schiacciare ulteriormente il deficit annuale.

La stretta porterà almeno un calo del debito pubblico accumulato? Difficile è dir poco. La Bce non è più accomodante come un tempo, i tassi d’interesse al netto dell’inflazione sono tornati a mordere e l’onere finanziario sta risalendo. Si riaffaccia così il paradosso dell’assurdità dei sacrifici: il paese stringe la cinghia ma i conti pubblici continuano a peggiorare.

Qualcuno obietterà che Meloni e soci hanno almeno pensato alle buste paga. Il governo riduce l’aliquota fiscale intermedia al 33 percento. Inoltre, per compensare l’inflazione, detassa al 5 percento gli incrementi salariali che verranno dai nuovi contratti e nelle bozze lascia intravedere l’ipotesi di un piccolo aumento forzoso in caso di mancati rinnovi. Il Corsera l’ha ardimentosamente interpretato come un “ritorno alla scala mobile”. E qualche gendarme di Confindustria ha persino agitato lo spettro di una “spirale inflazionista”. Messo così, pare l’annuncio di un nuovo corso a Palazzo Chigi, più di lotta che di governo.

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conflitti e strategie 2

Il mito originario di una democrazia migliore

di G. P.

Analisi a dir poco ingenue continuano ad aleggiare intorno al concetto di democrazia. Provengono, certo, da spiriti che potremmo definire critici, ma ciò non basta a garantire la giustezza del pensiero né la correttezza interpretativa. Le riflessioni che ho letto recentemente di figure come l’ambasciatrice Elena Basile o la filosofa Donatella Di Cesare muovono infatti sempre dal presupposto di un mito dell’origine, ci fu un tempo in cui la democrazia era se non perfetta almeno migliore. Non è così.

Secondo queste analisi, la democrazia sarebbe degenerata negli ultimi decenni a causa del neoliberismo o di altre forme di degradazione, anche tecnocratiche, che l’avrebbero avvicinata a una sorta di fascismo, o tecnofascismo, come lo chiama Di Cesare. In questa prospettiva, la colpa sarebbe sempre di un ritorno della mentalità fascista che oscurerebbe la presunta bontà e bellezza della democrazia originaria. Balle, il fascismo fu un movimento politico, non una categoria dello spirito che nasce e rinasce a piacimento sotto nuove forme.

Dunque, le cose non stanno come in questa narrazione. Lenin già definiva la democrazia “il miglior involucro per la dittatura”, e anche in letteratura autori attenti hanno descritto la democrazia come un “gioco da banditi”. Perorare oggi il mito di un’Arcadia democratica tradita lungo il percorso storico, che solo più o meno recentemente sarebbe degenerata, significa perdersi dietro un’illusione.

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codicerosso

Gaza, un futuro di controllo della AI che ci riguarda

di nlp

Se andiamo a leggere i piani di controllo dell’ordine pubblico prefigurati per la nuova amministrazione di Gaza, vediamo come questi convergano sulla previsione di un modello di sicurezza basato sull’integrazione di Intelligenza Artificiale (IA), robotica avanzata e sorveglianza aerea. Tale sistema, definito sistema ibrido di controllo automatizzato (HACS), non sarebbe costruito ex novo, ma deriverebbe dalla rapida riconversione delle infrastrutture e dei database militari preesistenti. Questo modello servirebbe poi da progetto pilota per l’esportazione globale sui mercati della sicurezza metropolitana e nazionale. La dinamica dell’industria della difesa, che utilizza il territorio come un “terreno di prova” per trasformare le tecnologie di urban warfare in “soluzioni per la sicurezza urbana” (Homeland Security – HLS), creerebbe con Gaza un pacchetto di controllo altamente commercializzabile, la cui diffusione comporterebbe la normalizzazione internazionale di pratiche di sorveglianza estrema e l’erosione della sovranità dei dati civili.

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I piani di pace in corso per la Striscia di Gaza pongono requisiti stringenti, con un mandato primario che prevede la smilitarizzazione totale e la supervisione di una forza internazionale di stabilizzazione (FIS) temporanea, incaricata di addestrare e istituire una forza di polizia palestinese autoctona.

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piccolenote

Trump-Putin: i Tomahawk e il vertice di Budapest

di Davide Malacaria

Trump spiazza tutti e, dopo tre settimane in cui i media hanno dato per scontato che avrebbe dato i Tomahawk all’Ucraina, chiama Putin e annuncia che lo incontrerà a breve. In Ungheria, cioè nella nazione europea che più ha frenato lo slancio della leadership Ue, soggiogata da Londra, per fare del conflitto per procura ucraino una guerra continentale (nella folle illusione che rimarrebbe tale, senza cioè evolvere, com’è invece inevitabile, in una guerra termonucleare globale – sul punto, ha posto una pietra tombale l’esercitazione Usa Proud Prophet, vedi New York Times).

Zelensky, sbarcato negli Usa stamane nella convinzione che avrebbe ottenuto l’ambito regalo dal presidente americano, è rimasto sorpreso dalla mossa di Trump, annota Axios, e probabilmente se ne tornerà con le pive nel sacco. Forse avrebbe dovuto prendere più seriamente le dichiarazioni di Trump che, alcuni giorni fa, interpellato sui Tomahawk, ha risposto “ne parlerò con la Russia“. Esattamente quel che ha fatto.

Peraltro, se è vero che la querelle dei missili ha innescato ovvie reazioni a Mosca, l’inattesa telefonata di ieri segnala che i rapporti sottotraccia tra le due potenze sono stati preservati.

Prima di incontrare il presidente americano Zelensky ha incontrato i produttori di armi statunitensi, abboccamento che la dice lunga sulla natura di questo conflitto che, oltre all’obiettivo, mancato, di fiaccare le risorse russe e quello, in parte raggiunto, di distoglierla dallo scacchiere globale (vedi Gaza), ha anche quello di rafforzare l’apparato militar-industriale Usa e le forze politiche-finanziarie connesse.