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machina

Marx, Foucault. Un sintomo

di Claudio Cavallari

0e99dc e7bf343454d24f1aa9a1ad34a8b70141mv2.jpgProponiamo nella sezione spettri una discussione, sicuramente non innovativa ma sicuramente ancora oggi con una rilevanza politica non indifferente, sul rapporto tra il pensiero di Foucault e Marx.

La prima opportunità di dibattito si è data a dicembre del 2024, alla libreria Punto Input, in occasione della presentazione del libro Marxismi foucaultiani di Matteo Polleri. L'articolo che pubblichiamo oggi, di Claudio Cavallari, si sviluppa a partire dai ragionamenti condivisi in quel contesto, proponendo una lettura «moderatamente» lacaniana del legame Marx-Foucault.

Invitiamo i lettori a intervenire nel dibattito.

* * * *

La fortunata occasione di discutere con Matteo Polleri del suo recente libro – Marxismi foucaultiani. Una mappa critica, Mimesis, 2024 – si è data per me a dicembre 2024, alla libreria Punto Input di Bologna. Al termine dell’incontro ci siamo promessi un rapido ritorno, in forma scritta, sui contenuti di quella conversazione che fu peraltro arricchita da alcuni contributi di notevole intelligenza condivisi dalle persone che parteciparono a quella presentazione. Ricordo che rimasi stupito quando, alla fine, l’autore sottolineò l’ascrizione dei miei ragionamenti al pensiero di Lacan, che mi ero ben guardato – evidentemente in modo più che maldestro – dal menzionare. Toccherà dunque non farne qui mistero. Dovendo il mio intervento scritto precedere cronologicamente la sua risposta, la promessa tempestività ha dovuto sopportare mesi di attesa, i quali, tuttavia, in nulla leniscono il ricordo delle puntuali e brillanti osservazioni che Polleri mi ha rivolto in quella preziosa occasione di confronto.

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petiteplaisance

Massimo Bontempelli. La conoscenza del bene e del male

Prefazione di Fernanda Mazzoli

Massimo Bontempelli: La conoscenza del bene e del male, ed. Petite Plaisance, 2025

Miniatura X secjpgUn libro pensato innanzitutto per gli studenti e gli insegnanti si espone al rischio di appiattirsi su un taglio manualistico prettamente informativo – opzione d’altronde assolutamente legittima, dato il contesto – che abbina alla proliferazione dei dati di varia natura la loro semplificazione concettuale e l’oscuramento della tela di fondo su cui essi si dispongono.

La finalità pedagogica, non sempre correttamente intesa, può spingere poi in direzione di un’attualizzazione brutale, cioè non opportunamente mediata sul piano culturale e storico, dei temi e problemi passati in rassegna, nell’illusorio per quanto comprensibile tentativo di rendere accattivanti argomenti indiscutibilmente ardui.

Ne risulta troppo spesso una  superficialità vanamente mascherata dalla quantità delle informazioni e dal sussiego della forma espositiva che cerca di coprire attraverso la profusione del lessico specialistico la mancanza di originalità. Sono libri destinati al consumo scolastico, numi tutelari per verifiche e punteggi per gli studenti, puntello alla memoria per i docenti. Strumenti sicuramente utili agli uni e agli altri, ma nulla di più.

Un libro insegna nella misura in cui segna, cioè lascia un segno nello spirito di chi lo legge e non semplicemente sul registro, a maggior ragione se si propone di affrontare questioni filosofiche, vale a dire questioni che investono la verità, il bene, il significato del nostro essere al mondo, la coraggiosa contemplazione delle cose al di là del loro apparire, per dirla con Eraclito cui non a caso Massimo Bontempelli ha dedicato uno studio, Eraclito e noi, di prossima ristampa.

Ora, questo suo testo  si inscrive a pieno titolo nella categoria dei libri che incidono, che cadono  con la lama affilata di una rigorosa riflessione e di un’inesausta passione intellettuale su una materia tanto primaria ed essenziale, quanto maltrattata e trascurata.

E squarciano il velo, o meglio il sudario, dentro il quale essa è stata occultata, ai fini di rimuoverla dal piano filosofico per lasciarla andare alla deriva del gusto individuale o di un’estemporanea esperienza privata.

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machina

Medusa, ovvero l'inguardabilità della fine

di Agostino Petrillo

Esce oggi il nuovo libro di MachinaLibro: Medusa. Figure politiche dell'apocalittismo contemporaneo di Agostino Petrillo

0e99dc 798fe35bf4ba4c039e00b06388296b66mv2.jpgMai come oggi si moltiplicano i predicatori della fine del mondo. La catastrofe ambientale, facendosi prospettiva sempre più concreta, alimenta un’apocalittica che è sia colta sia popolare. Il libro propone un approccio critico al riguardo, e vuole mettere in luce i limiti e i pericoli di questa visione. Le filosofie della fine del mondo raramente sfociano in suggestioni etiche e politiche, ma sono per lo più ispirate a rassegnazione e passività. Una paralisi dell’azione che è simboleggiata dalla Medusa del titolo. Per sottrarsi alle retoriche del transumanesimo alla Elon Musk sarebbe necessaria una riscoperta della politica. Per farlo, l’autore spazia dall’incidente nucleare di Fukushima al cinema di Werner Herzog, passando per il Covid-19 e le filosofie americane della riconciliazione con la natura. Pubblichiamo un estratto dal capitolo conclusivo. 

* * * *

Un lettore senza corpo
Che legge silenziosamente.
Queste figure di Medusa
Questi accenti spiegano
Il frizzante cadere della notte sull’Europa
E sull’Atlantico in fogli
Wallace Stevens

La maschera di medusa

Medusa con il suo spaventevole aspetto unifica in sé due diversi poteri dell’orrore: per un verso con la sua chioma di serpenti atterrisce e tiene lontano chi le giunge a tiro, per l’altro paralizza chi ha l’audacia di fissarla in viso, e ne impedisce l’azione.

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lafionda

I segni del presente e le difficoltà di pensare il nuovo

di Massimiliano Civino

mgpeihglòdLa condizione tragica dell’uomo

L’uomo è l’unico essere vivente capace di scegliere consapevolmente la morte per qualcosa che giudica più importante della propria sopravvivenza: la libertà, la dignità, la fedeltà a un principio. Questa possibilità, paradossale e profondamente umana, nasce dalla nostra condizione mortale e, allo stesso tempo, la riflette. Proprio perché sappiamo di essere finiti, costretti a confrontarci con il limite della morte, siamo spinti a produrre senso, a cercare direzioni che diano valore e orientamento alla nostra esistenza.

Questa relazione è circolare: la consapevolezza della morte genera il bisogno di senso, e il senso che costruiamo può arrivare a rendere accettabile, perfino necessaria, la scelta della morte per qualcosa che consideriamo superiore.

Le società umane, infatti, non possiedono un fine immanente, inscritto nella loro natura: devono darselo. Hanno bisogno di costruire scopi, significati condivisi, visioni collettive del vivere insieme.

Umanizzarsi significa allora entrare in questo processo di costruzione culturale: dar forma alla propria vita e a quella della comunità attraverso narrazioni, valori, orientamenti che ci permettono non solo di convivere, ma di dare un senso al nostro essere mortali.

Non dobbiamo confondere la formalizzazione dei significati — come li troviamo espressi nelle leggi, nelle norme o nelle istituzioni — con il loro reale processo di nascita. I significati autentici prendono forma nell’esperienza vissuta: si generano attraverso i comportamenti collettivi, le pratiche quotidiane, le relazioni, le emozioni e i desideri delle persone concrete. Essi cambiano con il tempo e variano da una società all’altra, perché riflettono ciò che gli esseri umani rappresentano gli uni per gli altri in un determinato momento storico: quali valori condividono, quali obiettivi si pongono, cosa giudicano degno o indegno.

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contropiano2

Per una filosofia del divenire storico: dalle necessità all’impossibile

di Luciano Vasapollo - Rita Martufi - Mirella Madafferi

filosofia divenire storico.jpg«I sogni non si vendono».

Armonica, in C’era una volta il West, di Sergio Leone

Il presente Trattato è frutto di un’attenta e completa rielaborazione, attualizzazione e importanti inserimenti di aggiornamento, a partire anche, come base iniziale di riferimento, dai volumi MAAT. Capitale, crisi e guerra. Metodi di Analisi Antimperialiste per le Transizioni1 e SIDUN. In direzione ostinata e contraria…Capitale, crisi e guerra2.

L’analisi dei fenomeni della società capitalistica, oggetto di studio dei numerosi testi3 della Scuola Marxista Decoloniale per la Tricontinental del Pluripolarismo, ha permesso l’individuazione dei pilastri portanti della critica dell’economia e dell’economia critica, che sono da inquadrare nella produzione e riproduzione di uomini nel divenire storico, ossia alla luce dei rapporti storici e sociali determinati.

Negli ultimi decenni, si è sviluppato un ricco dibattito sulle prospettive del sistema mondiale, evidenziando le tendenze mondiali già chiaramente evidenti a livello internazionale secondo modelli e leggi dello sfruttamento capitalistico nelle relazioni tra paesi. Questo dibattito si è intensificato dagli anni ’70, evidenziando una maggiore consapevolezza delle dinamiche globali e delle disparità economiche tra le diverse regioni del mondo. Rifuggendo da qualsiasi meccanicismo, positivismo o messianismo socialista, sono state superate le concezioni che contemplavano la tendenza del capitalismo a evolvere, naturaliter, in modello socialista.

Citando Amin4, la frontiera tra questi due modelli è senza dubbio rappresentata da una vera e propria rivoluzione sociale. Stante la condizione endemica delle diseguaglianze e delle asimmetrie nello sviluppo delle forze produttive tra paesi, nel quadro del sistema mondiale dominato dal capitalismo, sono state – a partire dal dibattito poc’anzi ricordato – tentate delle formulazioni di scenari, proprio relativi allo sviluppo di sistema. Fattore determinante di questi scenari non può che essere l’esito della lotta di classe, nel pieno solco della lezione marxiana fondata sull’assunto per cui «la storia di ogni società sinora esistita è storia delle lotte di classe»5.

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chartasporca

Benvenuti nella civiltà del paradosso del mentitore

di Slavoj Žižek

Death in Venice shoot.jpgLa verità soggettiva si contrappone alla verità fattuale in modo analogo all’opposizione tra isteria e nevrosi ossessiva: la prima è una verità sotto forma di menzogna, la seconda una menzogna sotto forma di verità

* * * *

Il cosiddetto paradosso del mentitore (“ciò che sto dicendo è falso”), è stato discusso fino alla nausea dall’antica Grecia all’India fino alla filosofia del Novecento. Il paradosso implica che se la mia affermazione è vera, allora essa è falsa (“se ciò che sto dicendo è falso, allora ciò che sto dicendo non è falso”), e viceversa. Invece di perdere tempo nella rete infinita di argomentazioni e contro-argomentazioni, rivolgeremo lo sguardo a Jacques Lacan, il quale ha proposto una soluzione speciale a questo problema distinguendo tra enunciato ed enunciazione, ovvero tra il contenuto dell’enunciato e la posizione soggettiva implicata o espressa nell’atto dell’enunciazione. Non appena introduciamo questa distinzione, notiamo immediatamente che in sé un’affermazione del tipo “tutto ciò che dico è falso” può essere tanto vera quanto falsa, ma anche che una frase come “dico sempre il falso” può rappresentare perfettamente la mia percezione soggettiva di star vivendo un’esistenza inautentica o fasulla. Il discorso vale anche a rovescio: l’affermazione “so di essere un pezzo di merda” potrebbe di per sé essere letteralmente vera, ma falsa a livello della posizione soggettiva che pretende di ostentare – potrebbe essere per esempio qualcosa che dico per rappresentarmi agli altri come qualcuno che almeno è onesto con se stesso e che NON è completamente “un pezzo di merda”… La nostra risposta a quest’ultimo enunciatore potrebbe essere la parafrasi di una famosa gag di Groucho Marx: “Ti comporti come un pezzo di merda e ammetti di essere un pezzo di merda, ma questo non ci trarrà in inganno – tu sei un pezzo di merda!”

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machina

La filosofia terapeutica e politica di Ludwig Wittgenstein

di Andrea Di Gesu

0e99dc 2320090285f445fa831ee24ee195f5admv2Una lettura originale della figura di Ludwid Wittgenstein, uno dei filosofi più originali ed enigmatici del Novecento. Andrea Di Gesu sottolinea gli aspetti «terapeutici» del suo pensiero, volti a liberarci dalla necessità metafisica di un fondamento trascendente per i nostri significati, e le riletture politiche che hanno accolto il fattore linguistico nei fondamenti dei loro quadri teorici. Per approfondire rimandiamo al testo dello stesso Andrea Di Gesu, Wittgenstein e il pensiero politico (DeriveApprodi, 2025).

* * * *

Ludwig Wittgenstein (1889-1951), unanimemente considerato tra i pensatori più importanti della filosofia del Novecento, ne è anche una delle figure più enigmatiche. Se la traiettoria accidentata della sua vita, nonché la sua personalità estremamente singolare, hanno senz’altro contribuito all’enigma, sarebbe un errore – o quantomeno, una semplificazione – ridurre quest’ultimo allo stereotipo del genio tormentato e sofferente. L’enigma Wittgenstein risiede piuttosto nella struttura stessa della sua filosofia: nella difficoltà persistente di coglierne il disegno complessivo, nell’apparente disorganicità dei suoi movimenti concettuali, nella peculiarità del suo stile letterario. Così come nella mole gigantesca di studi, interpretazioni e riletture che ha generato, e che, motivata da tale enigmaticità, ha contribuito a ispessirla almeno nella stessa misura in cui l’ha, talvolta, diradata.

Wittgenstein nasce a Vienna nel 1889 da una famiglia dell’altissima borghesia asburgica, di origine ebraica ma convertita al protestantesimo: il padre, Karl, è uno dei più importanti capitani d’industria dell’Impero. Ultimo di otto fratelli, cresce in un ambiente d’eccezione: il palazzo di famiglia è uno dei fulcri della vita culturale viennese dell’epoca, frequentato da intellettuali e artisti del calibro di Klimt, Mahler, Brahms, Freud.

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Un’opera classica di straordinaria attualità: i Grundzüge di Johann Gottlieb Fichte

di Eros Barone

Arthur Hacker.jpgCome i pretendenti di Penelope, già avvolti dalla fine che era stata loro preparata, imperversavano nei palazzi oscuri e ridevano d’un riso inconsulto,1 così anche costoro [gli esponenti prototipici della “terza epoca”] ridono avventatamente, perché nel loro riso è l’arguzia eterna dello spirito universale che ride di loro stessi. Noi tutti vogliamo concedere loro questo piacere, e ci guardiamo dal togliere la benda dai loro occhi.

J. G. Fichte, I tratti fondamentali dell’epoca presente, Quinta lezione.

 

1. Il periodo storico

Quando pubblicò nel 1798 un suo saggio dove Dio veniva fatto coincidere con l’ordinamento morale del mondo, la reazione degli ambienti conservatori e reazionari tedeschi nei confronti di Fichte, considerato allora, insieme con Schelling, il massimo rappresentante dell’idealismo trascendentale, fu immediata e si tradusse in una serie di accuse di ateismo e in un’accesa polemica che, alla fine, costrinse il filosofo a dimettersi dall’università di Jena e a trasferirsi in quella di Berlino. Si chiuse così in modo burrascoso e sfortunato un periodo molto importante della vita di Fichte, caratterizzato tra l’altro dall’incontro, estremamente fecondo per il romanticismo allora in via di formazione, con alcuni dei suoi primi protagonisti, come Novalis e i fratelli Schlegel.

Recatosi quindi a Berlino nel 1799, Fichte entrò in contatto per breve tempo con l’ambiente massonico, mentre duraturo e intenso fu il suo rapporto con i circoli romantici. A questo periodo appartengono tre opere che costituiscono le trattazioni più limpide e accessibili della sua concezione della filosofia e dei suoi rapporti con la vita: La missione del dotto, Lo Stato commerciale chiuso e un’ampia esposizione divulgativa della sua “dottrina della scienza”, il cui titolo prometteva, per l’appunto, un Rapporto chiaro come il sole al gran pubblico sulla vera natura della filosofia più recente. Frutto di conferenze tenute a Berlino nei primi anni dell’Ottocento è l’opera di cui si cercherà di riassumere e commentare le linee portanti in questo articolo: Die Grundzüge des gegenwärtigen Zeitalters, vale a dire I tratti fondamentali dell’epoca presente (1806). 2

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machina

«La vita privata, è privata di che?»

Giorgio Agamben e la forma-di-vita

di Lorenzo Mizzau

Lorenzo Mizzau riflette sul libro di Evelina Praino, L'uso di sé (Orthotes 2023) che ripercorre l'opera di Agamben cercando di individuare una exit strategy etica dal neoliberalismo attraverso il concetto di forma-di-vita

0e99dc 43cc7207784f4fcea3e62596b52cfff7mv2Perché il fine sia l’origine, la nascita di una comunità-specie realizzata, la nascita continua della presenza coerente, l’affermazione dell’essere inoggettivo, la soggettività vivente al di là dell’avere. Dell’avere un Io, dell’avere una madre, un padre, dell’avere dei figli, dell’aversi, del possedere.
Affinché abbia fine la perdita, infine.
Giorgio Cesarano

Talvolta un istinto sicuro ci mette di fronte a una circostanza brutale: la vita ci sfugge tra le mani. O, meglio, ci è già sfuggita. Ha lasciato il suo luogo proprio, o, forse, è stata trascinata via.

Lo testimonia l’imbarazzo che proviamo quando, alla richiesta di un vecchio amico di metterlo al corrente dei fatti salienti della nostra vita recente, non possiamo che rispondere con un piatto resoconto, in tutto e per tutto simile a un CV. In occasioni simili, nasce in noi il sospetto che il curriculum vitae (letteralmente: il corso-di-vita) abbia sostituito in ogni aspetto il corso della nostra vita.

Ma non è solo la nostra vita a sfuggirci: altrettanto sfuggente, in pieno capitalismo cibernetico, è la vita degli altri, la vita del mondo. Al punto che la FOMO, fear of missing out, la paura di rimanere tagliati fuori dal mondo e di perdersi l’essenziale, potrebbe oggi nominare il tratto centrale del soggetto neoliberale. Ciò che, nella FOMO, siamo terrorizzati di mancare, è forse anzitutto l’appuntamento con noi stessi. Ma ciò significa che, nella FOMO, il soggetto neoliberale diventa qualcosa come il luogo di un appuntamento mancato: il luogo della vita che manca la vita, che si sottrae a sé – il luogo della vita privata. È qui che si palesa un’ambivalenza sottile: che rapporto c’è, infatti, tra la vita privata e la vita pubblica? Non è forse, la vita privata, ciò che rimane quando alla vita è sottratta la sua intrinseca qualità politica? Non è, forse, ogni vita privata, una vita mutilata, spogliata di sé – una nuda vita?

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comuneinfo

Hegel, Nietzsche, Marx. E il pensiero della speranza

di Vincenzo Scaloni

vc.jpgLa concezione politica della speranza come esplosione della forza umana potenzialmente in grado di svilupparsi giorno dopo giorno intorno al non-ancora, concezione esplorata da Ernst Bloch in un tempo senza speranza come gli anni Trenta e Quaranta, ha orientato movimenti e correnti di pensiero, ma anche pedagogie e teologie. John Holloway e Gustavo Esteva, in modo più brillante e originale di altri, negli ultimi anni hanno restituito centralità a una certa idea di speranza. Per questo oggi le lezioni di Bloch dedicate alla filosofia moderna e ora pubblicate da Mimesis, nella traduzione e cura di Vincenzo Scaloni, ci sembrano essenziali. Stralci dell’introduzione all’edizione italiana di Da Kant a Marx. Lezioni di storia della filosofia moderna.

* * * *

L’opera che rendiamo qui disponibile in traduzione rappresenta il quarto volume delle lezioni di storia della filosofia, tenute da Ernst Bloch all’Università di Lipsia tra il 1951 e il 1956. Si tratta delle lezioni che coprono l’intero sviluppo della filosofia moderna da Kant fino a Marx, con una significativa sezione dedicata all’idealismo tedesco e una ulteriore che invece si occupa della dissoluzione dell’hegelismo nelle filosofie di Schopenhauer, Kierkegaard e Nietzsche1. In quella che allora era la Repubblica Democratica Tedesca Bloch era approdato dopo il periodo di emigrazione forzata trascorso negli Stati Uniti, avendo accettato la direzione dell’Istituto di Filosofia dell’Università di Lipsia.

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criticamarx

Filosofia e critica del capitalismo universale

di Camilla Sclocco

Su un recente volume di Finelli e Gatto contro il rigetto del pensiero dialettico. – Marxismo dell’astrazione e marxismo della contraddizione. – L’attuale dominio assoluto del capitalismo svuota la cultura di funzione critica. – Il processo ha investito anche il concetto gramsciano di egemonia, negando il suo cuore economico e riducendolo a fatto culturale. Si è aperta così la strada alla «soggettivizzazione della politica». – La scuola come sede dell’utopia possibile

altro occidente.jpgSistema, dialettica, totalità. Giudicate come estinte da buona parte degli orientamenti culturali oggi egemoni in Occidente, nonché da correnti filosofiche a vario titolo eredi di Althusser in Francia e di Della Volpe in Italia, le categorie della tradizione hegelo-marxista sono indicate da Roberto Finelli e Marco Gatto nel loro recente volume Il dominio dell’esteriore. Filosofia e critica della catastrofe (Roma, Rogas, 2024, pp. 160) come le uniche in grado di garantire una comprensione critica della società attuale. In questa fortunata unione di due delle intelligenze più innovatrici della filosofia italiana contemporanea viene proposta quale chiave interpretativa del presente della globalizzazione neoliberale quella del compiersi del processo di universalizzazione del capitale, inteso come Übergreifende Subjekt, o “soggetto dominante”, della modernità, indagandone le conseguenze sul piano antropologico e culturale.

 

La liquidazione del marxismo degli anni Settanta

Al volume va anzitutto riconosciuto il merito di aver fatto chiarezza sulla modalità con cui a partire dagli anni Settanta sia avvenuto in Italia il processo di liquidazione della cultura filosofica marxista e la sua sostituzione con gli autori del pensiero negativo. Concretizzandosi nel passaggio dell’anticapitalismo dai moduli del pensiero storico-sociologico a quelli di ascendenza ontologico-teologica, questa vicenda viene osservata all’interno della più ampia svolta del pensiero occidentale scaturita dal ritorno a Parmenide di Heidegger e proseguita attraverso una serie di Filosofie e teorie dell’altro mondo, secondo l’espressione che dà il titolo al terzo capitolo. Il Grand Autre di Lacan, il Vuoto-Nulla di Agamben, l’operaismo teologico di Tronti, il poter-dire di Virno, filosofie assai di moda nelle accademie italiane degli ultimi anni, sarebbero a vario titolo eredi della riproposizione ontologica della categoria di Essere compiuta dalla rivoluzione conservatrice heideggeriana. Un passaggio reazionario osservato anzitutto nella riconcettualizzazione del significato di Essere da quello di necessità a quello di possibilità, che farebbe dell’essere umano il prodotto di un riferimento al futuro estraneo alla riproduzione biologica, storica e sociale della vita.

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Le forme della contraddizione

di Eros Barone

maschera.jpg1. Il principio logico di non-contraddizione e il principio ontologico di contraddizione secondo Hegel 

Parecchi importanti pensatori contemporanei, di orientamento analitico ma anche trascendentale, hanno preteso di confutare il sistema hegeliano appellandosi semplicemente al fatto che il metodo di Hegel, ossia la dialettica, negherebbe il principio di non-contraddizione. Tale negazione, secondo questi pensatori, tra i quali occupa un posto di primo piano Popper, vanificherebbe ogni possibilità di critica, in quanto, in base al punto di vista dell’autentico dialettico, la reductio ad absurdum non può mai essere assunta come procedimento valido. Questo modo di vedere si ritorcerebbe, comunque, contro lo stesso dialettico, poiché anch’egli non potrebbe confutare chi asserisse idee opposte alle sue, ma parimenti contraddittorie. Il principio di non-contraddizione, però, deve conservare la sua validità, anche perché dalla sua negazione può conseguire qualsiasi proposizione e in tal modo si potrebbe dimostrare tutto.1 Orbene, Popper e chi la pensa come lui hanno certamente ragione nel sostenere che una teoria che non si consideri confutata allorché se ne dimostri il carattere autocontraddittorio vanifica ogni possibilità di critica immanente. Teorie del genere vanno quindi respinte a priori come non scientifiche e bisogna considerare con la massima diffidenza quelle difese della dialettica che non lo ammettono.2

La verità è che Hegel non ha mai contestato il principio di non-contraddizione. Sennonché si potrebbe obiettare che Hegel ha addirittura incluso la contraddizione in quanto categoria nella logica e che ha sostenuto in vari passi che ogni ente si contraddice. Questo è vero, ma ciò non significa ancora violare il principio di non-contraddizione, che è la condizione di possibilità di qualsiasi critica dotata di senso. Per convincersene occorre, innanzitutto, stabilire che il principio di non-contraddizione, in quanto presiede alla consistenza e coerenza di qualsiasi argomentazione logica, deve essere così formulato: una teoria è sicuramente falsa, se incorre in contraddizioni. E ci si trova in presenza di tali contraddizioni, se una teoria asserisce qualcosa come vero, ma nel contempo dai suoi presupposti consegue che tale asserzione è necessariamente falsa.

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L’educazione filosofica

di Salvatore Bravo

9788855294010.jpgL’educazione filosofica, testo di Costanzo Preve, non è solo un viaggio all’interno del concetto di filosofia, ma è un lungo percorso nel quale gli spettri e i nichilismi del tempo contemporaneo sono attraversati con il dialogo filosofico. La filosofia con il suo lessico e il suo apparato metodologico non si ritrae dinanzi alle trappole e agli abissi del proprio tempo, ma essa li vive e li pensa in modo da riaffermare con la verità il senso della condizione umana.

Il testo nel tempo della “confusione e della regressione veritativa” può essere una bussola con la quale orientare e riorientare il proprio viaggio. Il senso del viaggio è ritrovarsi dopo aver pensato gli inganni e i mascheramenti del nichilismo adattivo e crematistico, ma il ritrovarsi è il punto di partenza e di arrivo per un viaggio comunitario e veritativo che non conosce apriorismi e strutture concettuali sclerotizzate. Il viaggio nella verità e per la verità è una pratica che vive già nel presente di coloro che intraprendono un lungo cammino per attuare un profondo riorientamento gestaltico, il quale non è mai solo saggia gestione dell’esistenza privata, ma è prassi politica e sociale. Il reale è razionale, se per reale si intende l’idealità con cui valutare il tempo storico e nel quale impegnarsi individualmente e coralmente verso un tempo in cui ci si umanizza nella verità dialogica. Nell’epoca caratterizzata dal capitalismo integrale, Costanzo Preve ebbe a definirlo “capitalismo assoluto”, la pianificazione aziendalistica è divenuta la pericolosa realtà che tutto annichilisce. La filosofia sopravvive solo nella “formula della filosofia educativa”, ovvero la filosofia è divenuta parte integrante dell’apparato di ortopedizzazione dei popoli. La filosofia curvata nella forma della sociologia o della psicologia ha rinunciato alla verità per essere programmaticamente adattiva. Nelle scuole superiori e nelle accademie essa è tollerata, in quanto è uno dei mezzi con cui si insegna il relativismo che non può che portare a costituire personalità resilienti e di poco coraggio da offrire al mercato. Il relativismo consente la necrosi della prassi e la naturalizzazione disperata del capitalismo. L’olocausto della verità pone in essere il ciclo del nichilismo che indebolisce l’umanità e rafforza il mercato.

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La signora Ponza, il linguaggio, la conoscenza della realtà e il criterio della verità

di Eros Barone

Ebzo Cucchi 1024x768Signora Ponza: (con un parlare lento e spiccato) – che cosa? la verità? È solo questa:
che io sono, sì, la figlia della signora Frola –
Tutti: (con un sospiro di soddisfazione) ah!
Signora Ponza: (subito c.s.) – e la seconda moglie del signor Ponza –
Tutti: (stupiti e delusi, sommessamente) – oh! E come?
Signora Ponza: (subito c.s.) – sì; e per me nessuna! nessuna!
Il Prefetto: Ah no, per sé, lei, signora: sarà l’una o l’altra!
Signora Ponza: Nossignori. Per me, io sono colei che mi si crede.
(Guarderà attraverso il velo, tutti, per un istante; e si ritirerà. In silenzio.) 1

La verità e il mattino si rischiarano a poco a poco.

Proverbio tedesco

1. «Chi è la signora Ponza?»

Non vi è un linguaggio che non implichi un orientamento verso ciò che non è linguaggio. E proprio un siffatto orientamento è ciò che comunemente si chiama riferimento, laddove ciò a cui ci si riferisce è il mondo o l’oggetto che il linguaggio vuole descrivere o trasformare. In questo senso, il riferimento di un discorso non è quindi, come talvolta si dice, la realtà, ma la sua realtà, vale a dire ciò che il discorso sceglie o istituisce come realtà.

Una quantità di problemi particolari sono connessi al riferimento: problemi che rientrano al contempo nella logica, nella linguistica, nell’analisi del discorso, nella filosofia. Ma la loro comune radice va ricondotta allo statuto ambiguo di ciò a cui ci si riferisce, ossia al referente, il quale, per un verso, dev’essere esterno al discorso, e, per un altro verso, è richiamato dal discorso, e perciò in esso iscritto. Se è la mia parola a indicare ciò di cui parla, se è essa a specificare il proprio oggetto, come potrebbe venire smentita da quest’oggetto, che essa si dà da sé? Se tu puoi sapere di che cosa parlo io solamente tramite quel che io ne dico, come può allora ciò di cui parlo differire da ciò che ne dico?

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lantidiplomatico

 

 

 

 

Riflessioni sull’identità degli opposti

di Pietro Terzan

Recensione l libro di D. Burgio, M. Leoni e R. Sidoli "Logica dialettica e l'essere del nulla" (L.A.D. GRUPPO EDITORIALE, 2024)

vmòpoasdurbhk“Questo è acuto e giusto. Ogni cosa concreta, ogni qualcosa concreto sta in rapporti diversi e spesso contraddittori con tutto il rimanente, ergo è sé stesso e un altro.”[1]

Dopo aver letto e riletto le “noiosissime pagine” della Logica dialettica e l’essere del nulla[2], l’ultima impresa di Burgio, Leoni e Sidoli, mi è girata la testa in un vortice di pensieri per giorni. Una tempesta creativa, perché le tesi di questo breve saggio sono così dense di significato da riuscire a far dimenticare la pesantezza. Questo testo è da studiare, analizzare, studiare e rianalizzare. Tanti sono gli spunti che può costruire, una serie di ponti per approfondire la realtà in cui viviamo e per tentare di cambiarla. Buttiamoci dunque nell’abisso ontologico illuminato tre secoli fa da Leibnitz: “Perché esiste qualcosa, e non il nulla?”. I fatti testardi della scienza sono corde che ci aiuteranno a calarci in questo oscuro meandro della vita. Il moschettone Hendrik Casimir ci permetterà di non cadere e perderci nel vuoto quantistico. Vari esperimenti hanno dimostrato appunto l’effetto Casimir: il vuoto quantistico è allo stesso tempo nulla ma anche qualcosa.[3] Non esiste soltanto la materia, ma la grandissima maggioranza “dell’oceano cosmico” finora conosciuto è composto dall’energia e dalla materia oscura. Come può tutto ciò non avere effetti sul nostro mondo? Come possono non esserci conseguenze sulla logica del pensiero e su tutta la filosofia? Siamo di fronte alla rinascita della dialettica, alla rivalsa del materialismo dialettico e di quello storico?

Principio fondamentale della logica aristotelica è quello di non contraddizione, quindi di conseguenza anche quello d’identità.[4] Sul solco tracciato da Hegel, Marx ed Engels, Lenin e mi permetto di aggiungere anche Mao[5], la logica dialettica ha svoltato bruscamente rispetto a questa tradizione.