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contropiano2

La Cina spiegata all’Occidente

di Pino Arlacchi*

cina spiegata occidente.jpgRiceviamo e volentieri pubblichiamo.

“Metto a disposizione dei miei lettori un testo tratto dal volume che ho appena pubblicato, e che tenta di spiegare le ragioni della rinascita della Cina come potenza mondiale non capitalistica ed alternativa all’impero americano che tramonta. Buona lettura!“

* * * *

Il ritorno della Cina in cima ai destini della terra è stato definito il più grande evento del nostro tempo, ma non è facile da spiegare, a meno che non si voglia chiudere subito il discorso dichiarando scontata la supremazia millenaria della sua civiltà rispetto alle altre, e in particolare rispetto alla civiltà europea.

L’argomento in questo caso può essere che la Cina è così perché è sempre stata così. Il crollo dell’Ottocento e l’incorporazione subordinata della Cina nelle trafile del capitalismo occidentale fino al 1949 sono da considerare poco più di un blip. Un accidente storico lungo una vicenda plurisecolare di stabilità sistemica. Un semplice inciampo che tra cento anni sarà appena menzionato.

Se decidiamo di vedere le cose in questo modo, attraverso il filtro di un determinismo storico assoluto, non c’è molto di cui dibattere, non ci sono speciali indagini da condurre e non ci sono segreti da scoprire.

Seguendo questa linea di pensiero, tuttavia, occorre prendere per buona, senza coglierne l’acuminata dose di paradosso, la celebre risposta del ministro degli Esteri di Mao Tse-Tung, Chou EnLai, alla domanda di Henry Kissinger se la Rivoluzione francese fosse stata un bene per l’umanità: «È troppo presto per dirlo».

Se invece non ci accontentiamo della spiegazione che attribuisce sic et simpliciter alla superiorità della Cina come Stato e come civiltà la straordinaria continuità storica di questi ultimi, e se non vogliamo aspettare cent’anni, la prima domanda che dobbiamo porci è se il governo della Cina post-1949 ha rappresentato o no una rottura completa con il sistema di governo del Celeste Impero e con le sue radici nella cultura e nella filosofia più antiche della Cina stessa.

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seminaredomande

Asset russi: congelati o rubati?

di Francesco Cappello

L’Unione Europea medita di rubare i soldi russi in un prestito di riparazione miliardario per finanziare la guerra e salvare dal default l’Ucraina oltre che per sabotare il piano di pace di Trump. La BCE sembra pporsi. Medvedev minaccia ritorsioni anche belliche

IMG 0029 1140x641.jpegNel 2024, l’Unione Europea ha sequestrato e congelato gli asset russi quale misura di pressione nei confronti della Federazione Russa, arrivando a bloccare circa 300 miliardi di euro di riserve della Banca Centrale Russa. Il grosso è custodito da Euroclear, la camera di compensazione con sede a Bruxelles, che detiene la quota più ampia degli asset russi. Il Regno Unito trattiene circa 8 miliardi di sterline (10,6 miliardi di dollari) congelati nel sistema finanziario britannico, il resto negli USA e in altri paesi G7. Oltre alle riserve sovrane, esistono anche asset privati russi congelati (conti, titoli, proprietà). Il loro valore è molto inferiore rispetto ai 300 miliardi sovrani, ma comunque significativo: si tratta dei risparmi di migliaia di cittadini russi colpiti dalle sanzioni Carnegie. l’UE utilizza già i profitti generati da questi asset; discutono ora allegramente se impiegare anche il capitale. Gli Asset sequestrati possono generare più di 3 miliardi di extra profitti annui.

La confisca del capitale è però assai problematica perché significherebbe espropriare direttamente beni di uno Stato sovrano, operazione vietata dal diritto internazionale. Gli asset di una banca centrale all’estero godono infatti di immunità sovrana. Viceversa, i profitti non sono protetti allo stesso modo essendo considerati ricavi prodotti nel territorio europeo e quindi soggetti alle leggi europee.

Oltre alla Russia, anche la Libia di Gheddafi, il Venezuela, l’Iran e la Corea del Nord hanno subito, in passato, il congelamento dei loro asset nelle banche occidentali. Anche il Myanmar, in alcuni periodi, ha visto misure simili e durante il regime di Saddam Hussein, molti beni esteri furono congelati, soprattutto dopo l’invasione del Kuwait e le sanzioni internazionali. Si tratta di azioni legate a sanzioni internazionali per motivi politici o altre questioni geopolitiche.

Il congelamento di asset internazionali è legale se basato su risoluzioni delle Nazioni Unite. Queste misure sono quindi considerate legittime quando sono adottate in conformità con il diritto internazionale e le risoluzioni ONU. Possono perciò sorgere delle controversie legali, soprattutto se un paese ritiene che il congelamento sia ingiustificato o violi i suoi diritti sovrani

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contropiano2

La responsabilità globale della Cina del XV Piano Quinquennale in un mondo in subbuglio

di Zhou Shucheng*

Cina partito comunista.jpgIl testo, traduzione rimaneggiata di un articolo della rivista Zhongguo Jingji Baogao ‘Rapporto sull’economia cinese’ (2025 n. 16), è significativo tanto per quello che dice quanto per quello che tace.

A essere sottaciuta (sotto la dizione anodina: ‘ostacoli lungo il percorso’) è evidentemente tutta l’esperienza maoista, gli strappi e le accelerazioni del Grande Balzo in Avanti e della Rivoluzione Culturale (scatenati dal sospetto che in uno sviluppo pianificato dalle alte sfere della tecnocrazia alle masse popolari non rimanesse che un ruolo da formiche operaie), a essere esaltata è un’economia mista pubblica e privata ma interamente sottoposta alla direzione centralizzata statale e con un accesso al benessere ‘graduato’, prima i ceti urbani poi quelli contadini, in un rovesciamento del primo decennio delle riforme; il modello è quello dell’imborghesimento graduato di tutto il popolo anziché la sua proletarizzazione in senso maoista, il mito è quello del consumismo, a fondamento dello sconfinato mercato interno, confortato da redditi sufficienti a sorreggerlo.

A essere esaltata è insomma la concezione olistica della società ben diretta dall’alto, preoccupata di assicurare in parallelo con lo sviluppo economico una crescita sociale che lo sostenga e se ne compiaccia. Difficile non sentire riecheggiare in sottofondo l’antica formula di Giovenale: ‘panem et circensens’.

Impressionante l’ammissione di essere un ‘paese ritardatario’, qualifica data dal grande capitalismo internazionale, solo per la certezza di potersene liberare presto, quando la Cina si sentiva all’avanguardia proprio perché non faceva parte né si commisurava ai due blocchi del capitalismo statunitense ed europeo e del revisionismo sovietico. Ora si ambisce a sconfiggere il nemico sul suo stesso terreno invece che a imporre un terreno diverso.

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lavoroesalute

‘De Russophobia’

di Alba Vastano

Russofobia2.jpg““La russofobia, come dimostrato in modo convincente in quest’opera, non è un’emozione spontanea, ma uno strumento di pressione politica, di giustificazione dell’aggressione, di sostituzione di concetti e di deformazione della memoria. Diventa una comoda giustificazione, sia per i tentativi revisionisti di falsificare i risultati della seconda guerra mondiale, sia per la censura attiva della cultura russa contemporanea” (Marija Zakharova)

Stralci di alcuni punti della Risoluzione del 27 Novembre del Parlamento europeo testo sulla posizione dell’Ue, sul piano proposto e l’impegno dell’Ue a favore di una pace giusta e duratura per l’Ucraina

Il Parlamento europeo: Considerando che l’obiettivo dell’UE rimane una pace giusta e duratura/ che la Russia dimostra costantemente di non avere alcun interesse a conseguire la pace/ esorta l’Ue e i suoi Stati membri ad assumere maggiore responsabilità per la sicurezza nel continente europeo/ ribadisce che la pace non può essere raggiunta cedendo all’aggressore, bensì fornendo un sostegno risoluto e costante all’Ucraina e dissuadendo in maniera adeguata la Russia dal ripetere tale aggressione in futuro. Sottolinea che qualsiasi accordo di pace deve obbligare la Russia a risarcire appieno l’Ucraina per tutti i danni materiali e immateriali da essa causati …e che la Russia e i suoi alleati rispondano appieno, a norma del diritto internazionale, del reato di aggressione e dei crimini di guerra commessi contro l’Ucraina e il popolo ucraino/ribadisce, data l’attuale volatilità della sicurezza in Europa, l’importanza di mantenere la presenza militare della Nato e degli Stati Uniti lungo il fianco orientale come elemento cruciale per garantire la stabilità della regione….’.

Non sarà una pace giusta per due oggettive motivazioni: perché l’aggettivo giusta legata al sostantivo pace è una forzatura, un nonsense. Può avvenire una pace ingiusta? Che senso avrebbe? E, motivazione fondamentale, perché non è credibile nella sostanza, in quanto sarà solo un accordo travestito da finto pacifismo fra i leader dell’Ue e Usa per sanzionare economicamente la Russia e censurarne ogni aspetto della cultura.

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ilponte

Russofobia, guerra e democrazia illiberale

di Angelo d’Orsi

Russofobia.jpgGli storici di domani faticheranno a darsi una spiegazione e a dare una interpretazione convincente degli avvenimenti degli ultimi anni, nello spazio europeo centro-occidentale, con qualche integrazione d’Oltreatlantico. Tutto appare così assurdo, ingiustificato e ingiustificabile, e la narrazione che ne viene fatta è talmente lontana da tutta la documentazione disponibile, e sovente persino rovesciata rispetto alla realtà accertata dei fatti, che soltanto una lettura in termini di psicologia di massa, e di psichiatria relativamente alle élites potrebbe, forse, fornire qualche chiave di lettura.

In particolare della questione – perché ormai tale è, una questione psicopolitica – russofobia, e al suo persistere e dilagare a dispetto della verità accertata, siamo in difficoltà per darne conto. Secondo i russofobi la russofobia non esiste (o è una invenzione dei russofili indicati come agenti del nemico); ma noi caparbiamente dobbiamo ricordare invece che il sentimento antirusso è antico quasi quanto la Russia stessa e che si manifesta almeno dal momento in cui il Principato di Moscovia cominciò ad affermarsi ingrandirsi e rafforzarsi, tra il Cinquecento e il Seicento (basti citare l’ottimo libro di Guy Mettan, Russofobia. Mille anni di diffidenza, Roma, Sandro Teti Editore). E già prima, fin dal Basso Medioevo, verso i popoli dell’Est europeo, si poteva constatare diffidenza, che a volte sfiorava il razzismo “bianco” come se “quelli di là” bianchi non fossero. In fondo la “civiltà” si concentrava nei territori conquistati da Roma; oltre erano le tenebre, l’oscurità, l’ignoto che fa paura e che non si ha desiderio di conoscere. L’oltre a ben vedere includeva Bisanzio, l’erede di Costantinopoli, capitale dell’Impero Romano d’Oriente.

In ogni caso era il motto romano «Hic sunt leones», riferito all’Africa, a predominare la coscienza euroccidentale verso l’universo eurorientale; il motto valeva anche per le terre dell’Est, ma a differenza del “Continente nero”, in questo caso era la paura a prevalere.

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krisis.png

Diario politico di un martirio – Palestina, 2023-2025

di Andrea Zhok

Il professore di Filosofia morale ricostruisce la tragedia che negli ultimi due anni ha sconvolto il Medio Oriente

Immagine x Diario Politico di un Martirio.jpegNel suo ultimo libro, Andrea Zhok rilegge gli eventi compresi fra l’attacco del 7 ottobre 2023 e il cessate il fuoco del 9 ottobre 2025. Un diario che, senza negare i crimini di guerra compiuti da Hamas, svela la falsa coscienza di Israele e di tutto l’Occidente. Dagli allarmi ignorati al ritardo nella risposta israeliana, dal quadro geopolitico precedente alle narrazioni mediatiche non comprovate, Zhok mette in evidenza le ambivalenze che hanno segnato questi due tragici anni. Krisis presenta l’introduzione del volume, pubblicato da Il Cerchio.

* * * *

Il 7 ottobre 2023 mi trovavo a Modena per un incontro pubblico, quando arrivò la notizia dell’attacco dei miliziani di Hamas sul territorio israeliano. Parlandone, nell’immediatezza dell’evento, con un amico, saggista ed esperto geopolitico, notammo subito il carattere sorprendente dell’attacco, su quello che è probabilmente il confine più sorvegliato del mondo, e soprattutto l’incomprensibile lentezza della risposta israeliana. Tant’è vero che in prima istanza ipotizzammo che qualche Stato estero, come l’Iran, avesse interferito con le telecomunicazioni israeliane.

Oggi, a più di due anni di distanza da quell’evento che ha aperto la strada a una crisi di gravità inedita, e ben lungi dall’essere risolta, molti dettagli si sono chiariti 1. Alle 6.30, ora locale, del 7 ottobre 2023 miliziani di Hamas, dopo aver neutralizzato i sistemi di sicurezza israeliani nei pressi della barriera ad alta tecnologia che separa Gaza da Israele, riuscirono a sfondarla.

Ci fu un concomitante lancio di razzi oltre la barriera, alcuni dei quali arrivarono fino a Be’er Sheva, e dalle brecce le truppe di Hamas, ma anche gruppi improvvisati di palestinesi non organizzati, si riversarono in territorio israeliano, invadendo i kibbutzim limitrofi, incluso quello di Re’im, nei cui pressi si stava svolgendo un festival musicale, il Nova festival.

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lantidiplomatico

Con l’incontro Trump-Mamdani i socialisti e i trumpiani paiono (quasi) sulla stessa lunghezza d’onda

di Fabio Ashtar Telarico

fdbfgn.jpgL'immagine è sembra pensata per risultare assurda. Nello Studio Ovale, il presidente repubblicano in carica, che per mesi ha definito il sindaco eletto di New York un "comunista" e una minaccia per la repubblica, è ora al suo fianco e loda le sue idee "d’impatto" sull'edilizia abitativa e sui prezzi sotto un ritratto da poco riscoperto del presidente Franklin D. Roosevelt. Dall'altro lato del podio, un sedicente socialista, eletto con la promessa di rendere la più grande città americana "a prova di Trump", ringrazia lo stesso Trump per il tempo concessogli e parla con sincerità di come possano lavorare insieme per rendere New York accessibile.

Il sistema politico ha fatto del suo meglio per insistere sul fatto che questi due uomini appartengono a due estremi inconciliabili di una scena politica polarizzata. Nei mesi precedenti le elezioni municipali di New York, Trump ha messo in discussione la cittadinanza di Zohran Mamdani, definendolo "comunista" e "antisemita", e ha apertamente suggerito che avrebbe potuto essere arrestato se avesse mantenuto la sua promessa di sfidare le leggi federali sull'immigrazione. Il presidente ha anche minacciato di tagliare miliardi di dollari di finanziamenti federali a New York se gli elettori lo avessero comunque scelto. Inoltre, la mattina dell'incontro tra Trump e Mamdani, la Camera dei Rappresentanti ha persino approvato una risoluzione che denunciava "gli orrori del socialismo" in un attacco simbolico contro l'ideologia che Mamdani rivendica apertamente come propria. Da parte sua, Mamdani si è candidato e ha vinto come nemico di Trump, promettendo di opporsi ai raid dell’agenzia per l’immigrazione, di difendere gli immigrati e di usare il municipio per proteggere i newyorkesi dalle politiche del presidente.

Eppure, quando finalmente appaiono fianco a fianco, gran parte di quella tensione passa in secondo piano. Trump non apre con discorsi roboanti sulla legge e l'ordine o sulle guerre culturali, ma con un programma economico condiviso.

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analisidifesa

La National Security Strategy dell’Amministrazione Trump: un bagno di realtà

di Giacomo Gabellini

P202512002DT 0232 e673a4Nei giorni scorsi, la Casa Bianca ha pubblicato la National Security Strategy of the United States of America, che ricalca le linee guida della bozza della National Defense Strategy rivelate a settembre da «Politico» e dal «Washington Post».

Il documento si apre con la premessa del presidente Trump, il quale sottolinea come «nei passati nove mesi, abbiamo risollevato la nostra nazione – e il mondo intero – dall’orlo della catastrofe. Dopo quattro anni di debolezza, estremismo e fallimenti micidiali, la mia amministrazione si è mossa con risolutezza e rapidità storica per ripristinare la potenza statunitense sia in patria che all’estero, così da portare pace e stabilità nel mondo».

Secondo Trump, «nessuna precedente amministrazione è riuscita a conseguire un cambiamento di rotta di simile portata in un lasso così ristretto di tempo». I capisaldi della svolta vengono individuati nella efficace difesa dei confini; nel blocco dei flussi migratori; nella ricostruzione delle forze armate, “depurate” dai devastanti condizionamenti woke; nella maggior contribuzione degli alleati al finanziamento delle funzioni legati alla difesa.

Trump rivendica con orgoglio che, «attraverso l’Operazione Midnight Hammer, abbiamo distrutto le capacità iraniane di arricchimento dell’uranio. Ho qualificato i cartelli della droga e i gruppi criminali stranieri come organizzazioni terroristiche. Nell’arco di otto mesi, abbiamo posto fine a otto sanguinosi conflitti – quelli tra Cambogia e Thailandia, tra Kosovo e Serbia, tra la Repubblica Democratica del Congo e il Ruanda, tra il Pakistan e l’India, tra Israele e l’Iran, tra l’Egitto e l’Etiopia, tra l’Armenia e l’Azerbaijan. Abbiamo inoltre concluso la guerra a Gaza restituendo alle loro famiglie tutti gli ostaggi vivi rimasti».

Gli Stati Uniti, sottolinea Trump, «sono tornati a essere forti e rispettati – e grazie a questo, stiamo portando pace in tutto il mondo. In tutto ciò che facciamo, poniamo gli Stati uniti al primo posto».

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laviniamarchetti.png

Perché tanto odio nei confronti di Francesca Albanese?

di Lavinia Marchetti

591730885 122253102680156950 7221665719805499469 n.jpgCi sono figure che entrano nel dibattito pubblico e diventano un bersaglio immediato, come se concentrassero su di sé tensioni rimaste a lungo senza nome. Francesca Albanese, relatrice speciale ONU sui territori palestinesi occupati, rientra in questa categoria. Prima donna in quel mandato, confermata per un secondo periodo dopo il 2025, si muove in uno spazio già infiammato e infettato. Svolge un ruolo in cui si parla di colonialismo, di genocidio e di diritto internazionale. Cosa significa? Significa mettere il becco nelle colpe dell’Europa. Nel suo caso, però, la quantità di odio, dileggio, aggressione simbolica supera di molto il conflitto politico usuale. Viene sanzionata dagli Stati Uniti per i suoi rapporti sul ruolo delle imprese nell’economia dell’occupazione; viene dichiarata indesiderata in Israele; riceve attacchi continui da governi, partiti, gruppi di pressione filoisraeliani, mentre una parte consistente della società “civile” globale firma appelli a sua difesa. Analizziamo un po’ più in dettaglio i meccanismi dell’odio.

 

– UNA DONNA CHE PARLA CON AUTORITÀ IN UN CAMPO MASCHILE

Prima stratificazione: il genere. Francesca Albanese occupa una posizione di autorità in un territorio tradizionalmente maschile, quello della sicurezza, della guerra. Entra in aula a Ginevra con un ruolo formale, produce rapporti che svelano e attaccano il marcio che si annida dietro le relazioni internazionali e si permette di usare il linguaggio e le categorie che nessun governo (o stampa di regime) vuole sentire: occupazione coloniale, apartheid, genocidio, e, come se non bastasse si permette, dalla sua posizione, di chiedere sanzioni ed embargo sulle armi. La sua presenza rompe l’immagine rassicurante della giurista “tecnica”, incaricata di smussare gli spigoli, niente linguaggio diplomatico. La sua lingua resta sobria, però sceglie parole che nessuno con un ruolo istituzionale dovrebbe dire.

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effimera

Caso “La Stampa” | Il prezzo di stare dalla parte giusta

di Cristina Roncari

la stampa assalto 2.jpgSabato sera. Cena. La Tv gira per conto suo. Arrivano le parole: “Ignobile, vile, grave, irresponsabile, anni di piombo”. Guardo le immagini: ragazzi entrano nella sede del quotidiano La Stampa e come si direbbe oggi in linguaggio antagonista “ lo sanzionano”. Mi colpiscono volti scoperti. Santa ingenuità. Con un governo di estrema destra e il nuovo Ddl Sicurezza non avete pensato a una bella maschera come quella di V per Vendetta? Invece vanno, sicuri delle loro buone ragioni. Ignari di un mondo che non riconosce nessuna buona ragione se non quella del denaro, del profitto, del colonialismo. Quanto si paga caro la scelta di non essere acquiescenti, succubi, servi, di dire la verità, di prendere posizione? Lasciatevelo dire da chi l’ha già visto: è una scelta costosa.

Ma veniamo ai fatti. Il Ministro dell’Interno ha firmato il decreto di espulsione dell’Imam Mohamed Shahin. Destinazione Egitto. Shahin è in Italia da 21 anni, sposato, con due figli piccoli nati a Torino. Attualmente è detenuto nel CPR di Caltanisetta. Shahin è ampiamente conosciuto dal mondo degli attivisti che si battono contro il genocidio in Palestina e che oggi, con sfregio, vengono chiamati “Pro Pal”, come fossero tifosi di una squadra di calcio e come se, dall’altra parte, ci fosse una paritaria squadra di calcio che possiamo chiamare “Pro Israel”. Non una potenza nucleare nata per volontà dell’Occidente e da questo appoggiata, insediatasi violentemente in una terra non sua che da 77 anni attua scelte di sterminio del popolo originario. Ma siamo abituati allo stravolgimento del linguaggio. Cambiare le parole significa cambiare le storie e far credere cose diverse da quelle che sono accadute. Così i media mainstream ci dicono che in Medio Oriente c’è una guerra tra israeliani e palestinesi. I primi combattono con la tecnologia militare più efficiente al mondo e con le incessanti e innovative dotazioni Usa. I secondi beh… kalashnikov, qualche inefficiente razzo, ma anche pietre se non hanno altro. Shahin cosa ha fatto di male?

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I nuovi mostri (giuridici)

di Pier Paolo Caserta

1752226337 mostri.jpgUn’epoca di passioni tristi produce idee confuse funzionali al mantenimento degli assetti di potere. Le articolazioni del potere – oligarchie, clientele, consorterie – traggono sempre vantaggio dalla confusione del linguaggio.

Di certo il capitalismo non ha mai mirato a “combattere la violenza”, bensì a proiettarla nel campo dei subalterni per neutralizzarne il potenziale rivoluzionario, che si è realizzato quando la violenza degli oppressi si è rivolta consapevolmente verso gli oppressori. Per la verità, la tecnocrazia neoliberale, ultima forma realizzata del capitalismo, ha raggiunto il risultato con tale efficacia che non soltanto non si vede alcuna rivoluzione all’orizzonte, ma la stessa conflittualità sociale è stata intorpidita. Persino l’esperienza del dolore e del negativo è stata atrofizzata. Il tecno-capitalismo mira, piuttosto, a distruggere le relazioni, a tutti i livelli. Mira al massimo della mercificazione, che, per essere realizzato, presuppone al contempo il massimo della disumanizzazione. Al culmine dell’ideologia mercantile, che si prolunga e si rafforza nel nuovo ordine digitale, la forma attuale del capitalismo ha da tempo scoperto che la maggiore efficacia nel distruggere le relazioni si dispiega adottando pose inclusive, che inducono all’autocensura preventiva. Nessuno, infatti, vuole essere stigmatizzato, tutti vogliono la loro spilletta di persona civile. Ma questo mondo delle ombre, fatto di valori positivi tutti incentrati sull’individuo e non più sulla collettività, è una proiezione dei feticci prodotti dall’individualismo competitivo.

Esemplificando il suo catechismo neoliberista, Margaret Thatcher disse che “non esiste la società, esistono solo gli individui”. Isolato, alienato, radicalmente atomizzato e lasciato a tu per tu con il Mercato, con i corpi intermedi collassati, l’individuo-monade non concepisce più alcuna lotta né alcuna stabile aggregazione collettiva. L’universo valoriale è interamente ritagliato a misura dell’individuo. I diritti individuali neoliberali, dunque, assolvono alla specifica funzione di giustificare il valore assoluto del Mercato.

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giap3

Usare l’Olocausto per negare il genocidio: l’arretrato cazzeggio italico versus il rigore di Omer Bartov

di Girolamo De Michele*

i id13796 mw600 1x.jpgQuando Omer Bartov ha pubblicato il suo intervento sul New York Times del 27 luglio scorso «I’m a Genocide Scholar. I Know It When I See It» [Sono uno studioso di genocidio: lo riconosco quando lo vedo], nel quale dichiara senza mezzi termini che «Israele sta commettendo un genocidio contro il popolo palestinese», avevo da poco consegnato il manoscritto del mio libro Il profeta insistente. Raphael Lemkin, l’uomo che inventò la parola genocidio.

Più o meno in quei giorni hanno pronunciato la parola «genocidio» anche il narratore israeliano David Grossman e la storica Anna Foa, che peraltro aveva già detto, nel novembre 2024: «La parola “genocidio” è forte. Ed è un bene che [papa Francesco] l’abbia pronunciata, che esca dai tribunali e che sia possibile discuterne».

La presa di parola di uno storico del calibro di Bartov, al termine di un percorso umano e intellettuale soggettivamente drammatico, non poteva essere ridotta a una nota in calce al testo, come si fa con le aggiunte all’ultimo minuto prima che il libro vada in stampa. Ma non può non essere oggetto di riflessione. Riflettere è quel che provo a fare qui, in una sorta di spin off del libro.

Ci sono, oltre alla rilevanza di Bartov nel campo dei Genocide Studies, altre ragioni che mi hanno spinto a scrivere queste righe.

La prima è che non ha avuto la risonanza che avrebbe meritato: e questo perché i Genocide Studies sono un campo di ricerca quasi ignoto in Italia.

La seconda è il tono di alcuni commenti sulle pagine social di Internazionale, che ha tradotto il testo di Bartov e lo ha messo in rete in chiaro, e su Lucy sulla cultura, che ha pubblicato un’intervista allo storico.

La terza è l’ansia con cui si rincorrono figure intellettuali di rilievo per avere la parola «genocidio», ignorando quanto pesino altre espressioni come «crimini contro l’umanità» o «crimini di guerra», sottostimando quanto sia stato importante, ad esempio, avere il sostegno di una storica come Anna Foa alla lotta contro lo sterminio genocida del popolo palestinese anche quando la parola «genocidio» non l’aveva pronunciata – o sottolineando il ritardo con cui viene pronunciata; uno storico amico, in uno scambio di messaggi su questo, ha usato la parola «puntacazzismo».

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Dal socialismo delle fogne a quello delle torte

di Emilio Carnevali

Democrazia, volontarismo, mercato. Idee e modelli del socialismo contemporaneo. Un nuovo contributo al dibattito di Jacobin sull'alternativa economica

economia socialismo jacobin italia.pngSewer Socialists: socialisti delle fogne. L’epiteto fu chiaramente coniato con intenzioni derisorie. Alla fine, però, furono gli stessi «socialisti delle fogne» ad appropriarsene. Gli amministratori di Milwaukee, uno dei rari bastioni socialisti negli Stati Uniti di primo Novecento, rivendicavano così il proprio impegno a fornire ai cittadini servizi pubblici di qualità, in contrapposizione alla vuota retorica rivoluzionaria di altri settori del movimento. Daniel Hoan, che fu sindaco per sei mandati (dal 1916 al 1940), non solo dotò la città di un efficiente sistema fognario, che contribuì a migliorare sensibilmente gli standard igienici e le condizioni di vita degli abitanti, ma promosse anche un energico piano per l’edificazione di parchi pubblici.

L’espressione è stata ripresa recentemente anche da Zohar Mamdani, neoeletto sindaco di New York, per rispondere a chi lo accusava di eccessivo idealismo e segnalare come il suo socialismo sia, appunto, un sewer socialism, interessato a ottenere risultati amministrativi concreti.

 

Socialisti e modelli, ieri

Si tratta di tensioni che attraversano il movimento socialista sin dalle origini. La città di Milwaukee aveva ricevuto un cospicuo influsso di immigrati dalla Germania. Gli anni a cavallo del secolo erano stati quelli del cosiddetto dibattito sul «revisionismo» nella socialdemocrazia tedesca. Aveva preso forma una corrente politica e culturale ispirata alle idee riformiste di Edward Bernstein, del quale è rimasta celebre la massima secondo cui «l’obiettivo finale del socialismo è nulla, il movimento è tutto». Ancor prima che le dure lezioni del socialismo reale mettessero in guardia sul legame fra dogmatismo e autoritarismo, il socialismo riformista rivelava una certa refrattarietà per i modelli precostituiti, i piani di «ingegneria sociale» troppo dettagliati e ambiziosamente specifici.

E tuttavia, non sono state solo le ali moderate e gradualiste del movimento socialista a sviluppare un’esplicita ostilità verso i modelli, o – per riprendere l’espressione usata da Marco Bertorello e Giacomo Gabbuti nell’articolo che ha aperto questo dibattito su Jacobin Italia – verso le proposte di «sperimentazione socio-economica di ordine sistemico e strutturale».

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Milei e il Bonapartismo moderno: un’analisi marxista della crisi del capitale

di Damián Sasson

Tratto dal Canale YouTube Frases de Marx traduzione a cura di Alessandra Ciattini

512px Milei Casa Rosada.jpgIn questo breve saggio Damián Sasson analizza l’attuale fase capitalistica in Argentina, che vede il predominio del capitale finanziario, sostenuto dallo Stato, il quale si indebita constantemente comprando dollari per favorire la speculazione borsistica e imponendo severe misure di austerità alla popolazione. L’autore sviluppa anche un’interessante analisi del concetto di Bonapartismo forgiato da Marx, indivuando una serie di tratti comuni alla política di Luigi Napoleone e quella di leader quali Trump, Milei, Bolsonaro.

* * * *

Il fantasma che ritorna

Gli ultimi anni hanno generato un fenomeno inquietante nella politica mondiale: l’emergere quasi simultaneo di leader che promettono di distruggere l’establishment consolidando al contempo il potere del capitale più concentrato. Javier Milei in Argentina, Donald Trump negli Stati Uniti, Jair Bolsonaro in Brasile. Ognuno con la propria retorica, ma seguendo un copione che Marx ha identificato più di 170 anni fa: il Bonapartismo.

Questo schema non è casuale. È la manifestazione di una logica storica che emerge quando il capitalismo entra in una crisi sistemica e le forme tradizionali di dominio non riescono più a contenere le contraddizioni sociali. Per comprendere cosa sta accadendo in Argentina e in America Latina, dobbiamo tornare all’analisi che Marx ha sviluppato nella sua opera Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte. Il Bonapartismo come forma di dominio borghese.

Marx osservò come nella Francia del 1851 un mediocre nipote di Napoleone divenne imperatore, promettendo di rappresentare “tutto il popolo”. Nel 2025 lo scenario si ripete con sorprendente precisione. Milei sale al potere promettendo di distruggere “la casta”, “ripulire la palude” e di essere il “capitano” salvatore che riscatterà l’Argentina dalla casta politica corrotta.

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mondocane

Considerazioni su maggioranza e opposizione tra BBC e Hasbara

Se non è zuppa è pan bagnato

di Fulvio Grimaldi

burattini.jpgQuando ero alla BBC

C’è un filo, più nero che rosso, che corre tra elementi apparentemente lontani e separati come la BBC, Israele e quello che si dice distingua le maggioranze dalle opposizioni. Trovate che questo filo sia un po’ tirato per i capelli? Giudicherete in fondo. Intanto è un filo lungo il quale scorre un bel po’ di biografia (mia) e di storia (altrui).

Avete visto: grande scandalo alla BBC, madre di tutte le emittenti, anzi di tutte le fonti di informazione, affettuosamente chiamata “Auntie”, zietta, dai sudditi (suoi e del sovrano). Si è dimesso la figura, solitamente sacrale, del grande capo Tim Davie, e pure quella della grande direttrice Deborah Turness. E’ successo là dove ancora vige un antiquato e da noi dismesso principio: la responsabilità politica di chi sta in alto e conduce. Perché non è che siano stati questi due numi dell’informazione a cinque stelle ad aver manomesso l’intervista a Donald Trump, al punto da farlo apparire il Masaniello dell’assalto al Capitol Hill. Hanno pagato i capi, perché responsabili della baracca. Pensate al presidente dell’Authority, irremovibile a dispetto di fetidi intrallazzi.

Con la BBC ho avuto un contratto di cinque anni da redattore a Bush House, Londra. La mia è conoscenza di causa. Era molti anni fa e, al netto di qualche incrinatura, Auntie gode tuttora di buona fama. Meritata, o abbaglio mediatico? Un po’ l’uno, un po’ l’altro. Certo, se pensiamo alle nostre di bocche da fuoco, tra polveri bagnate e micette fatte passare per informazione… E’ che l’emittente britannica, pur consanguinea culturalmente, socialmente e, dunque, politicamente, dell’establishment, ha l’accortezza (che da noi è stata obliterata) di esibire, a rottura di una linea generale di sistema, più tory che labour, l’eclatante fuoricoro. Stravaganza tollerata poichè garanzia di obiettività, indipendenza, pluralismo. Serve una occasionale, ma clamorosa – e solitaria – testa matta che le cose le diceva come stavano e mandava tutti a dormire convinti di una loro zietta cane da guardia a difesa del volgo e dell’inclita.