Intelligenza Artificiale, tecnofascismo e guerra
di Giorgio Griziotti
Questo documento è il compendio di un saggio di Giorgio Griziotti “How to Survive Artificial Intelligence – Intelligenza artificiale, tecnofascismo e guerra“. Per chi fosse interessato/a, il saggio è disponibile nella sua interezza cliccando qui.
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A differenza della minaccia nucleare del secolo scorso — catastrofe possibile da cui si illudeva di potersi proteggere –con l’intelligenza artificiale siamo immersi in una trasformazione devastante già in corso.
Nei discorsi dominanti si oscilla tra narrazioni semplificate: l’IA come dominio delle macchine, come promessa salvifica o come strumento transumanista.
Occorre invece un’indagine che affronti l’insieme dei fenomeni complessi generato dall’ingresso dell’IA nel paesaggio quotidiano, situandola nel contesto storico e nel regime di guerra che stiamo attraversando.
Lavorando sul concetto di neurocapitalismo sviluppato negli anni Dieci, cercavo di mettere in luce come le tecnologie digitali, i social media e le piattaforme globali avessero trasformato emozioni, cognizione e affetti in materia prima della valorizzazione e in variabili di controllo sociale. Oggi il progetto di IA dei tecno-oligarchi — Musk, Thiel, Altman &C — cerca addirittura di riconfigurare l’umano dalle fondamenta.
Di fronte a una crisi sistemica ormai manifesta — sociale, politica, ecologica, economica — anche le ex democrazie rappresentative si riorganizzano in intrecci (entanglement) Stato-capitale fondati su logiche oligarchiche. Ma i segnali di insofferenza si moltiplicano. Di fronte a questo, il potere cerca nuove forme di sedazione attraverso il comfort offerto dall’IA: un nuovo oppio dei popoli?
Piuttosto che opporre “intelligenza umana” e “intelligenza artificiale”, conviene analizzare come emergano configurazioni differenti quando si incontrano: da un lato la metatecnica come forma propria dell’attività umana — l’abilità cognitiva di creare nuove tecniche riflettendo criticamente su di esse —, dall’altro la meta-automazione come caratteristica dell’IA generativa. Il machine learning è “automazione dell’automazione”: non si limita a meccanizzare il lavoro cognitivo, ma punta a inglobare il processo stesso di ideazione, automatizzando la creazione di strumenti. Tuttavia l’IA resta vincolata a dataset recintati e statici, a regimi di addestramento e infrastrutture dai costi ecologici proibitivi, concentrati negli oligopoli tecnico-finanziari. Non possiede agentività reale: non può ridefinire i propri obiettivi o generare contesti genuinamente nuovi. Un sistema di IA può analizzare migliaia di film e produrre sceneggiature, ma non la rivoluzione della Nouvelle Vague. Può calcolare dentro la fisica newtoniana, ma non avrebbe mai concepito relatività o meccanica quantistica.
Nell’IA si parla di allucinazione per indicare produzioni linguistiche insensate: affermazioni scorrelate, semanticamente fuorvianti o errate pur essendo formalmente coerenti. La distinzione fondamentale con l’allucinazione umana risiede nella capacità di riconoscere l’errore. L’allucinazione della macchina è una disfunzione statistica senza capacità di autocorrezione. Il modello genera testo plausibile attraverso calcolo probabilistico: può funzionare nella maggior parte dei casi, ma non sempre. Le “allucinazioni” sono tra i principali ostacoli alla governance algoritmica totalizzante e rendono incerta la redditività, facendo intravedere il rischio di una bolla finanziaria ben più imponente di quelle del recente passato.
Il tecnofascismo tenta di uscire da questa impasse affidandosi all’estensione illimitata dei dataset e al gonfiamento dei modelli, una hybris tecnologica che ignora l’impossibilità di colmare il divario qualitativo tra probabilità e certezza attraverso accumulo statistico.
Alla base degli investimenti colossali vi è il mito dell’Intelligenza Artificiale Generale (AGI). La novità è che oggi l’hardware detta legge: questo richiede enormi quantità di chip specializzati (GPU) ospitati in data center immensi ed energivori. I produttori di chip sono diventati le nuove potenze economiche. Nvidia, leader mondiale, è oggi la prima capitalizzazione mondiale (5 trilioni di dollari), più del PIL della Germania.
Da queste considerazioni si delinea una prospettiva di estrema centralizzazione del potere in megamacchine capaci di meccanizzare il lavoro cognitivo, piegando il general intellect alla razionalità produttivo-distruttiva del capitale. L’IA si colloca come nuova frontiera di espropriazione: come le macchine del XIX secolo espropriavano saperi artigianali, oggi l’IA mira a espropriare facoltà cognitive, linguistiche e relazionali.
I chatbot si trasformano in infrastrutture della vita quotidiana. Sempre più persone vi fanno ricorso per orientare aspetti intimi dell’esistenza: dalla gestione familiare alla salute, dalla vita sentimentale alla ricerca di sostegno emotivo. L’assistente conversazionale sostituisce figure tradizionali di mediazione, spostando il baricentro dell’esperienza verso un’interfaccia algoritmica percepita come non giudicante e onnisciente.
Dove il capitalismo industriale disciplinava corpi e tempi collettivi, oggi l’IA agisce sulla singolarità umana. Con l’IA questo controllo si esercita attraverso una relazione diretta tra singolo e macchina: una sorta di Grande Fratello predittivo che non si limita a osservare, ma partecipa alla formazione di ciò che osserva. I soggetti più fragili considerano l’IA come interlocutore emotivo, amico o partner. Questo legame affettivo radicalizza un ecosistema dove social media ed e-commerce costruiscono un dispositivo di conforto tecnologico personalizzato.
Eppure il costo politico di questa architettura si sta già rivelando insostenibile. Di fronte a precarietà diffusa e perdita di prospettive dignitose, la passivizzazione e l’atomizzazione cominciano a incrinarsi. La storia mostra che le persone sono disposte a rischiare la vita quando hanno qualcosa per cui lottare.
Su un altro piano l’IA mostra capacità performative innegabili in molteplici settori delle attività umane dove ricercatori specializzati riescono a co-produrre con l’IA risultati difficilmente ottenibili altrimenti. Due esempi: nelle scienze umane, mobilita istantaneamente un patrimonio concettuale e terminologico che nessuna enciclopedia potrebbe fornire in modo altrettanto dinamico. Nella ricerca biomedica ha permesso di determinare la struttura tridimensionale di centinaia di milioni di proteine in pochi anni, un salto con implicazioni decisive per lo sviluppo farmaceutico.
La situazione è diversa negli usi generalisti destinati alla maggioranza della popolazione che producono dipendenza individuale e collettiva ancora più profonda e pervasiva. Ma la questione non si ferma qui. Quando sistemi algoritmici acquisiscono il potere di automatizzare decisioni su larga scala — su chi sorvegliare, chi escludere, chi designare come bersaglio — entriamo nella necropolitica computazionale.
L’IA diventa infrastruttura letale della violenza politica e militare: droni autonomi, mine vaganti, robot-dogs a cui viene delegato il diritto di vita e di morte. Ciò che vediamo avanzare non sono progressi per la cura, bensì per la guerra e la morte.
Hitler aveva realizzato il genocidio attraverso i mezzi pesanti del capitalismo industriale. Oggi il regime israeliano, grazie alle complicità dell’imperialismo statunitense e dell’UE, ricorre sistematicamente all’IA per attuare il genocidio del popolo palestinese. Sistemi come Lavender e Where’s Daddy? hanno registrato decine di migliaia di palestinesi come sospetti militanti, trasformando le loro case in obiettivi. Il personale umano fungeva solo da “timbro di approvazione”, dedicando spesso solo 20 secondi a ciascun obiettivo prima di autorizzare un bombardamento.
Nelle mani dei regimi cybernazisti queste megamacchine aprono la strada a genocidi algoritmici e accelerazione del caos ecologico. Una violenza fondata su infrastrutture di sorveglianza e decisioni automatizzate che diventa più “efficiente”, replicabile e difficilmente imputabile. Queste governance predispongono un regime di guerra in cui l’IA diventa perno di capacità di dissuasione e distruzione sproporzionate.
Tuttavia la centralizzazione estrema incontra profondi limiti. “L’eccedente umano” sfugge a ogni cattura algoritmica. Oggi questo concetto va ripensato: l’eccedenza non è solo umana ma è di Gaia, un intreccio vitale che include il più-che-umano. Solo una soggettività distribuita può generare collettivamente il nuovo attraverso intelligenza relazionale: non somma di interazioni individuali con l’IA, ma potenza emergente di cooperazione radicata nella trama vivente. Questo potenziale non è mai completamente riducibile ai dati di addestramento. L’IA può co-intervenire, ma la capacità di costruire nuovi orizzonti emerge da reti di relazioni che eccedono il calcolo algoritmico.
Quando la lotta per soddisfare bisogni primari diventa ineluttabile, l’intero dispositivo di cattura affettiva si inceppa. Le rivolte della Gen Z che partono dal Sud Globale operano con pragmatismo radicale, concentrandosi su risultati concreti che però si rivelano capaci di far cadere governi, riappropriandosi tatticamente delle stesse tecnologie digitali per coordinare le lotte.
La questione non è riformare gli oligopoli. Tre direzioni emergono come terreni di battaglia: strappare le infrastrutture al monopolio; rompere la devastazione ecologica; incorporare saperi subalterni. Queste pratiche sono frammentarie, precarie, spesso marginali, ma danno un’indicazione. Come negli entanglement quantistici, dove stati distanti si influenzano istantaneamente, emerge una connettività che sfugge alle logiche deterministiche del controllo centralizzato. L’intelligenza artificiale è uno dei campi di battaglia su cui si gioca la possibilità di reindirizzare il tempo storico.







































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