La soluzione finale
di Il Pungolo Rosso
Ancora una volta, in Israele, è la destra estrema con esplicite simpatie naziste, a dettare la linea di marcia al governo e all’esercito. E questa linea di marcia Smotrich e Ben-Gvir l’hanno tracciata da tempo: “distruggere interamente Gaza”, occupare in modo permanente l’intera striscia, “ripulire” questa area della Palestina storica dai suoi abitanti, deportandoli in paesi del “Terzo Mondo”, centellinare la ripresa degli aiuti (60 camion al giorno, il 10% del minimo necessario), appaltare la gestione di essi a due ditte amerikane poste sotto il controllo dell’esercito sionista, annettere formalmente tutta la Cisgiordania entro il 2026. In seguito, si passerà a regolare i conti restanti con gli “arabi-israeliani”. In breve: la soluzione finale della questione palestinese, e – insieme – un tassello fondamentale della costruzione del “grande Israele”. Da due giorni questa linea di marcia è stata fatta propria, in modo ufficiale, dal governo in carica. È il piano di una nuova Nakba, più radicale di quella del 1948.
L’ammasso di spazzatura che prende il nome di “libera stampa” non ha battuto ciglio davanti alla denominazione della nuova operazione militare del governo Netanyahu: “carri di Gedeone”. Una denominazione biblica che conferma il timbro sempre più fondamentalista religioso dello sterminismo sionista, e insieme l’illimitata capacità di mentire dei sionisti che raffigurano l’Idf, sostenuto incondizionatamente dalla gigantesca macchina di morte dell’imperialismo occidentale, come un’entità di forze di molte volte inferiore alle armate del nemico palestinese – laddove è palese l’esatto contrario.
Al massimo, i media di regime si lasciano scivolare una lacrimuccia sul viso per il fatto che a Gaza si soffre e si muore ormai, oltre che di bombe, di fame (*), dal momento che – indisturbato – lo stato sionista ha da mesi bloccato l’ingresso di ogni aiuto alimentare nella striscia con il proposito di straziare chi è ancora in vita, e con l’intento di scatenare scontri tra affamati e la rivolta contro Hamas.
Una delle iniziative più oltraggiose di questi macellai di umani è stata, qualche settimana fa, il lancio dagli aerei di banconote da 20 shekel (circa 5,5 dollari) e scheme SIM alla ricerca di informatori…
Forte, e sicuro, del sostegno dei suoi protettori (in primis di Stati Uniti, Germania e Italia, i suoi fornitori militari), Israele rilancia il suo piano genocida ed espansionista nonostante i segni negativi provenienti dai riservisti (solo il 40% dei quali sarebbe pronto a rispondere alla precettazione), nonostante la sua industria viva un processo di disorganizzazione per i ripetuti richiami dei riservisti, il sistema scolastico sia vicino al collasso, il malcontento sociale per il caro-prezzi sia crescente. Questa fuga in avanti che ha portato il governo Netanyahu ad attaccare il Libano, lo Yemen, la Siria e l’Iran – ricevendo colpi seri soltanto dalle resistenze libanese e yemenita – mostra che quest’avanzo del colonialismo storico può sopravvivere in un mondo ostile esclusivamente attraverso la guerra permanente su un raggio sempre più esteso, e l’instaurazione all’interno di uno stato di polizia.
Al di là di schermaglie verbali, l’amministrazione Trump ha dato il via libera al piano, purché la nuova, sanguinosissima offensiva di terra scatti dopo la visita di Trump in Medio oriente per evitare di complicare i colloqui del capo-banda di Washington con i suoi interlocutori arabi e di ripercuotersi in negativo sui colloqui con l’Iran. Del resto, è noto che a Washington e in alcune università statunitensi si sta studiando con cura il “modello Gaza” per le guerre yankee in programmazione. La frase di Witkoff, il rappresentante di Trump in Medio Oriente, “scegliere l’unità invece della divisione, la speranza invece della disperazione” sembra soltanto raccomandare di non creare divisioni dentro lo stato e immaginare possibili avanzamenti diplomatici. Indicativo, comunque, il ricorso al termine disperazione – dice dello stato d’animo di un vertice sionista che ha sì distrutto Gaza e massacrato la sua popolazione, che è sì in grado di affamarla e strangolarla, ma non riesce a farla arrendere. Ancora ieri Hamas, che ne è – piaccia o non piaccia – l’espressione più importante, ha respinto l’ipotesi di nuovi colloqui per il rilascio dei prigionieri delle due parti, stante il piano preannunciato di occupare Gaza definitivamente e cacciarne gli abitanti palestinesi.
Il resto delle reazioni internazionali è la solita commedia degli inganni. Per il ministro degli esteri francese Barrot, il piano è inaccettabile. Il portavoce del ministro degli esteri cinese (impegnare il ministro in persona era eccessivo) dichiara che la Cina è contraria, e auspica che “tutte le parti continuino a impegnarsi e ad attuare efficacemente l’accordo di cessate il fuoco” – a Pechino sono così attenti alla sorte dei palestinesi che gli è sfuggito che Israele ha stracciato il cessate il fuoco. L’Unione Europea è “preoccupata” e invita Israele per la milionesima volta alla “moderazione”. L’ONU, invece, è “allarmata”. Misure concrete per dare un minimo di problemi a Israele, e almeno un minimo di respiro ai palestinesi? Zero spaccato. (A Mosca, data la storica amicizia tra Putin e Netanyahu, si risparmiamo anche la messa in scena delle dichiarazioni alla stampa, e continuano a inviare ad Israele tutto ciò che serve per portare avanti i suoi bombardamenti.)
Mentre i palestinesi di Gaza soffrono tragicamente la doppia guerra, di fame e di sterminio, il solo vero aiuto dal mondo arabo è venuto dallo sciopero dei portuali marocchini contro le navi della Maersk cariche di armi per Israele, e dagli attacchi di Ansarallah alle navi statunitensi e all’aeroporto di Tel Aviv. A conferma ulteriore della nostra convinzione di sempre: che la causa della liberazione palestinese potrà vincere solo con il sostegno attivo della grande massa degli sfruttati del mondo arabo e “islamico”. E – se vogliamo passare al terreno militare – solo quando, rovesciati i reazionari regimi di Egitto, Giordania, Libano, Iraq e Siria, i nuovi poteri rivoluzionari decideranno di marciare uniti in armi contro la macchina bellica sionista e la distruggeranno. Nessun potere statale capitalistico costituito aiuterà davvero la lotta anti-coloniale e anti-imperialista dei palestinesi, perché il popolo palestinese, con la sua eroica forza di resistenza, ha dato un esempio di indomabilità e di passione per la libertà dall’oppressione troppo pericoloso per tutti gli apparati statali borghesi, ben inclusi i presunti difensori della loro causa che sono al potere a Teheran.
Ma se questo è, dobbiamo raddoppiare i nostri sforzi qui, per denunciare al più largo raggio i piani sionisti e la complicità dell’Italia, dell’UE, della NATO; per fermare il genocidio, l’affamamento e la deportazione del popolo palestinese; per inceppare la macchina bellica e di disinformazione (hasbara) che sostiene l’apparato coloniale sionista; per affermare il diritto dei palestinesi al ritorno sulla loro terra e nelle loro case, definitivamente liberate dall’oppressore sionista – “di generazione in generazione fino alla liberazione”.
(*) https://www.facebook.com/story.php?story_fbid=1010440567938607&id=100069180182996&rdid=8m3Cpm2omt6JXutq
Sulla carestia in atto a Gaza, pubblichiamo qui – per documentazione – l’ultimo comunicato di Quds News appena ricevuto [ne abbiamo sottolineato qualche passaggio]:
I segnali di carestia si stanno intensificando nella Striscia di Gaza, mentre il blocco israeliano entra nella sua nona settimana, provocando una carenza di aiuti umanitari e una quasi totale mancanza di cibo e assistenza sanitaria. Queste condizioni hanno costretto migliaia di famiglie a macinare cereali e legumi come alternativa al pane, dopo che la farina era finita quasi al 95%.
La carestia è entrata in una fase catastrofica, in particolare nella Striscia di Gaza settentrionale e nella città di Rafah, nonostante i ripetuti avvertimenti delle Nazioni Unite che non hanno ricevuto alcuna risposta seria. Di fronte a questo deterioramento umanitario, regna un pesante silenzio internazionale, considerato dagli abitanti della Striscia di Gaza e dalle organizzazioni per i diritti umani come una copertura non dichiarata per una politica sistematica di genocidio per fame.
Da parte sua, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha reso pubblici dati allarmanti secondo cui dall’inizio dell’anno circa 10.000 bambini soffrono di malnutrizione, tra cui circa 1.400 bambini affetti da forme gravi che richiedono cure mediche urgenti. Tuttavia, la realtà dello sfollamento e la difficoltà di accesso ai centri di cura (ce ne sono solo tre) fanno sì che un bambino su cinque non completi il trattamento.
L’organizzazione ha inoltre lanciato l’allarme per un’epidemia di diarrea acquosa acuta, che rappresenta una minaccia diretta per la vita dei bambini che già soffrono di malnutrizione, in un contesto di collasso quasi totale delle infrastrutture idriche e igienico-sanitarie.
In uno sviluppo preoccupante, l’occupazione israeliana ha proposto di distribuire aiuti umanitari attraverso centri supervisionati dalle sue forze. Ciò ha sollevato diffuse preoccupazioni circa la politicizzazione degli aiuti e il loro utilizzo come merce di scambio politico, soprattutto perché impedire l’ingresso di cibo, medicine e carburante è una forma sistematica di punizione collettiva che, secondo il diritto internazionale, costituisce un crimine di guerra.
Quando la farina è finita, gli abitanti sono ricorsi all’uso di lenticchie, ceci, mais e pasta macinata per fare il pane. Tuttavia, queste soluzioni primitive non soddisfano il fabbisogno idrico minimo dei residenti, il che aggrava ulteriormente la tragedia della fame nella Striscia.
Nonostante questa catastrofe, le potenze internazionali non hanno preso posizioni efficaci o basate sulla pressione per aprire i valichi o imporre un corridoio umanitario permanente. Ciò che viene visto come un’ulteriore indicazione di complicità internazionale, legittima implicitamente l’uso della fame come arma di guerra contro i civili.
Con l’aumento della carestia e dei tassi di mortalità dovuti a malnutrizione e malattie correlate, sorgono questioni etiche e politiche fondamentali circa la fattibilità del sistema umanitario internazionale e la sua incapacità di salvare un popolo che viene sterminato sotto gli occhi del mondo. Finora non si registrano segnali di un cambiamento nell’indifferenza internazionale, che equivale a complicità. Questo lascia Gaza sola ad affrontare la macchina della fame, con le sue infrastrutture in rovina, gli stomaci vuoti e un soffocante blocco.
Dallo scoppio della guerra di sterminio nella Striscia di Gaza, il 7 ottobre 2023, le autorità di occupazione israeliane hanno continuato a imporre sistematiche politiche di fame nei confronti di oltre due milioni di palestinesi. Sembra che questo sia un tentativo deliberato di costringere i palestinesi a emigrare e ad abbandonare la loro terra sotto il peso della fame e della disperazione, il che costituisce un crimine di guerra e un crimine contro l’umanità secondo il diritto internazionale.
Fin dai primi giorni dell’attacco israeliano a Gaza, l’occupazione ha imposto un soffocante blocco, impedendo quasi completamente l’ingresso di cibo, acqua, medicine e carburante. Il Ministro della Guerra israeliano dichiarò all’epoca, il 9 ottobre 2023: “Stiamo imponendo un blocco totale. Niente elettricità, niente cibo, niente carburante. Tutto è chiuso. Stiamo combattendo contro animali umani e agiremo di conseguenza“.
Il ministro israeliano Amihai Eliyahu ha chiesto di bombardare i depositi di generi alimentari e di far morire di fame la popolazione della Striscia di Gaza per costringerla ad andarsene.
Ha sottolineato che “dobbiamo fermare gli aiuti umanitari. Finché permetteremo l’ingresso degli aiuti, faremo del male ai nostri prigionieri e soldati, costretti a tornare a combattere”. Ha affermato che “i palestinesi di Gaza stanno già aiutando Hamas e quindi è necessario esercitare una pressione diretta su di loro”.
Ha affermato: “Sono i cittadini di Gaza che hanno sostenuto Hamas sabato di ottobre. Sono loro che sostengono Hamas. Non appena i cittadini attraversano una prova, Hamas ne attraversa un’altra”, sottolineando che “non c’è alcun problema a bombardare le scorte alimentari di Hamas”.
Ha aggiunto: “Dovrebbero morire di fame. Se ci sono civili che temono per la propria vita, dovrebbero seguire il programma di immigrazione che il governo israeliano dovrebbe promuovere e che sta pigramente attuando”. Ha chiesto un’azione militare decisa contro Hamas, evitando cessate il fuoco o accordi politici.
La politica della fame non era isolata da un contesto più ampio di sfollamenti forzati; Fin dall’inizio della guerra, Israele ha esercitato una pressione enorme per costringere gli abitanti, in particolare quelli della Striscia di Gaza settentrionale, a “trasferirsi” verso sud. Poi ha iniziato a prendere di mira la parte meridionale di Gaza, in particolare la città di Rafah, che è diventata l’ultimo rifugio per oltre 1,5 milioni di sfollati.
Secondo il diritto internazionale umanitario, il ricorso alla fame come metodo di guerra è proibito dall’articolo 54 del Protocollo addizionale I alle Convenzioni di Ginevra e dall’articolo 8 dello Statuto di Roma della Corte penale internazionale, che lo considera un crimine di guerra.
La fame della popolazione di Gaza non è una conseguenza della guerra, bensì un’arma deliberata all’interno di una politica sistematica di genocidio e pulizia etnica, volta a costringere i palestinesi a scegliere un’unica opzione: lasciare la loro patria o morirvi. Mentre il mondo ufficiale rimane in silenzio o si accontenta di condannare, Israele continua ad attuare politiche che sono state a lungo considerate limiti imposti dal diritto internazionale.
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