Bomba o non bomba l’Iran deve cadere
di Gianandrea Gaiani
Il dibattito sulla possibilità che l’Iran possa dotarsi in breve tempo di armi nucleari rischia di trascinare nella guerra gli Stati Uniti guidati da Donald Trump, che appare sempre più confuso. Dopo essersi prodigato e illuso di risolvere in pochi giorni le più gravi crisi del pianeta per passare alla Storia come pacificatore, ora chiede all’Iran la “resa incondizionata” prima ancora di aver deciso se entrare o meno direttamente nel conflitto al fianco di Israele.
La risposta alla domanda “bomba o non bomba?” va cercata, a fatica, nei diversi rapporti d’intelligence e dell’Agenzia dell’ONU per l’energia atomica (AIEA) oltre che nella volontà politica di Trump e Benjamin Netanyahu.
Da quanto emerge negli ultimi giorni l’Iran non era vicino a dotarsi di armi atomiche prima dell’attacco israeliano del 12 giugno, come riferiscono da settimane la community delle 17 agenzie d’intelligence statunitensi e come ha precisato ieri l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA), che pure la scorsa settimana aveva evidenziato reticenze iraniane a far ispezionare lo stato di arricchimento del suo uranio.
L’agenzia delle Nazioni Unite “ritiene che le numerose inadempienze dell’Iran nel rispettare i suoi obblighi dal 2019, di fornire all’Agenzia una cooperazione completa e tempestiva in merito al materiale nucleare non dichiarato e alle attività in molteplici siti non dichiarati in Iran… costituiscano un’inadempienza ai suoi obblighi ai sensi dell’Accordo di Salvaguardia con l’Agenzia”.
Come riportava la Reuters il 12 giugno, il rapporto dell’AIEA del 31 maggio ha rilevato che tre delle quattro località “facevano parte di un programma nucleare strutturato non dichiarato, portato avanti dall’Iran fino all’inizio degli anni 2000, e che alcune attività utilizzavano materiale nucleare non dichiarato”.
I servizi segreti statunitensi e l’AIEA credono da tempo che l’Iran avesse un programma segreto e coordinato per le armi nucleari, interrotto nel 2003, sebbene esperimenti isolati siano continuati per diversi anni. Il direttore generale dell’AIEA, Rafael Grossi, ha dichiarato la scorsa settimana che i risultati sono sostanzialmente coerenti con questa affermazione.
Come noto la denuncia delle inadempienze dell’Iran circa le ispezioni nei siti nucleari ha offerto a Israele una giustificazione per dare il via all’attacco. Giustificazione paradossale se terniamo conto che Israele non ha mai consentito agli ispettori dell’AIEA di accedere al grande sito nucleare di Dimona, che produce plutonio per uso militare e dove sono state realizzate le forse 200 testate che costituiscono l’arsenale atomico israeliano.
Un arsenale atomico che Tel Aviv non ha mai ammesso di possedere e del resto non ha neppure sottoscritto (a differenza dell’Iran) il Trattato di non proliferazione nucleare.
In ogni caso, bomba o non bomba, Netanyahu e il suo governo hanno utilizzato la dichiarazione dell’AIEA a giustificazione di un attacco che a suo dire non era più rimandabile perché vedeva in gioco la sopravvivenza di Israele a causa della presenza di materiale fissile iraniano sufficiente a produrre nove ordigni atomici.
Uno studio dell’Institute for Science and International Security basato sul Report di fine maggio dell’AIEA evidenzia che “l’Iran può convertire le sue attuali scorte di uranio arricchito al 60% in 233 chili di Weapons Grade Uranium (uranio per realizzare armi nucleari) in tre settimane presso l’impianto di arricchimento del combustibile di Fordow, sufficienti per 9 armi nucleari, equivalenti a 25 chili di WGU per arma. L’Iran potrebbe produrre la sua prima quantità di 25 kg di WGU a Fordow in soli due o tre giorni.
Attraverso l’impianto di arricchimento del combustibile di Fordow e di Natanz (FEP), i due impianti insieme potrebbero produrre WGU sufficiente per 11 armi nucleari nel primo mese, sufficiente per 15 armi nucleari entro la fine del secondo mese, 19 entro la fine del terzo mese, 21 entro la fine del quarto mese e 22 entro la fine del quinto mese”.
Lo studio evidenzia ancora che l’impiego a uso civile dell’uranio non giustifica un arricchimento al 60%, vicino alla soglia del 90 per cento impiegabile per realizzare ordigni, e valuta che “ si deve concludere che la vera intenzione dell’Iran è quella di essere pronto a produrre grandi quantità di WGU il più rapidamente possibile, nel minor numero possibile di centrifughe”.
Quindi sembra che l’Iran non possieda armi atomiche ma si tenga pronto a realizzarne rapidamente qualora la crisi con Israele degenerasse in conflitto aperto, come è accaduto il 12 giugno.
Se vogliamo dare credito a queste valutazioni dobbiamo quindi riconoscere la possibilità che l’Iran abbia già prodotto nel sito sotterrano di Fordow i primi 25 chili di WGU e stia già lavorando alla “weaponizzazione”, cioè alla realizzazione di testate missilistiche in grado di essere imbarcate sui vettori balistici iraniani.
Un contesto che spiegherebbe perché oggi Trump abbia dichiarato di essere stato informato sia sui rischi che sui benefici di bombardare Fordow ie la sua opinione è che disattivarlo sia necessario, a causa del rischio che le armi vengano prodotte in un periodo di tempo relativamente breve, come hanno riferito diverse fonti a CBS News. Ma spiegherebbe anche perché, sempre oggi, Netanyahu abbia dichiarato di accogliere con favore “qualsiasi aiuto” per distruggere i siti nucleari iraniani.
E, ancora, renderebbe credibile l’affermazione dell’ayatollah Alì Khamenei che oggi ha scritto su X che l’entrata in scena degli amici americani del regime sionista è un segnale della debolezza e dell’incapacità di Israele”. Lo ha scritto su X la Guida suprema dell’Iran, ayatollah Ali Khamenei.
Molti analisti dubitano che l’Iran abbia a disposizione la tecnologia per produrre testate missilistiche a carica nucleare. Meglio però ricordare che tra gli anni ’90 e i primi anni di questo millennio Iran e Corea del Nord collaborarono attivamente nei programmi balistici (come missili Nodong e Shabab, molto simili tra loro) e nello sviluppo di testate idonee a portare armi di distruzione di massa, incluse quelle nucleari di cui la Corea del Nord dispone oggi in numero rilevante per i suoi missili balistici.
Sempre tenendo come riferimento lo studio dell’Institute for Science and International Security, l’Iran potrebbe produrre entro un mese a Fordow e Natanz WGU sufficiente per 11 armi nucleari. Ammettiamo che Natanz sia stata davvero colpita in modo grave dai raid israeliani, con la sola capacità di arricchimento di Fordow l’Iran potrebbe avere almeno 5 armi atomiche entro metà luglio?
Se questa e un’ipotesi credibile, “Bomba o non bomba”, si spiega la fretta di Israele nel coinvolgere gli Stati Uniti nel conflitto prima che il deterrente nucleare iraniano imponga la fine delle ostilità per “sopraggiunta deterrenza”. Ma, al tempo stesso, un simile contesto metterebbe in luce l’azzardo di Israele di attaccare l’Iran divenuto ormai potenza nucleare.
Il 16 giugno, il presidente iraniano Masoud Pezeshkian, intervenendo di fronte al parlamento di Teheran ha detto che l’Iran non sta “cercando di dotarsi di armi nucleari”, ricordando che gli iraniani “non sono aggressori“. Valutazione ricordata recentemente in televisione anche dallo storico ebreo britannico Levi Shlaim: “l’Iran non ha mai attaccato un vicino, Israele ha ripetutamente attaccato I suoi vicini. L’Iran ha firmato il patto di non proliferazione nucleare, Israele ha rifiutato di firmare”.
Se appare naturale che Pezeshkian smentisca il premier israeliano Benjamin Netantyahu, qualche sorpresa lo riserva il rapporto dell’intelligence statunitense citato dalla CNN che di fatto dà ragione a Pezeshkian riprendendo le dichiarazione rese da Tulsi Gabbard, posta da Trump a capo dell’intelligence community statunitense e che ha presentato un rapporto circostanziato sullo stato del programma atomico iraniano.
La CNN cita 4 funzionari a conoscenza del rapporto in cui l’intelligence di Washington valuta che l’Iran sia lontano almeno 3 anni dalla capacità di produrre un’arma atomica e impiegarla.
Dopo i raids di questi giorni l’intelligence statunitense ritiene che Israele possa aver ritardato il programma nucleare iraniano solo di qualche mese pur avendo causato danni significativi all’impianto iraniano di Natanz. Il sito di arricchimento fortemente fortificato in un bunker sotterraneo di Fordow è rimasto invece praticamente intatto e, secondo gli esperti di difesa, Israele non ha la capacità di danneggiarlo senza armi specifiche e supporto aereo statunitense.
Quando Israele ha avviato gli attacchi venerdì scorso ha dichiarato che l’Iran si stava rapidamente avvicinando a un punto cruciale nella sua ricerca per ottenere armi nucleari e che gli attacchi erano necessari per prevenire questo risultato. Affermazione che sarebbe del tutto falsa secondo il report degli 007 americani.
Anzi, tra i funzionari dell’intelligence che cercano di valutare i danni causati da Israele agli impianti nucleari iraniani, c’è il timore che i raids israeliani possano spingere l’Iran a perseguire con maggiore determinazione la corsa alle armi nucleari.
Cioè che l’attacco di Israele e forse degli Stati Uniti ponga l’Iran nella necessità di puntare a dotarsi di un deterrente nucleare. Valutazione facilmente abbinabile con la disponibilità di uranio arricchito per procedere più rapidamente in questa direzione in caso di attacco strategico contro l’Iran
E non c’è ormai dubbio che l’attacco all’Iran miri a distruggere le capacità militari, i leader, le istituzioni, il governo della nazione persiana, non solo a ridurne le capacità e le ambizioni nucleari. La minaccia esistenziale alla propria integrità e sicurezza nazionale costituisce da sempre la ragione, anche dottrinale, per impiegare armi atomiche e oggi l’Iran ha molti motivi per puntare sulla “bomba” per esprimere una deterrenza sufficiente a scongiurare attacchi.
Riassumendo quindi, l’intelligence di Washington ha smentito Israele circa l’imminenza della disponibilità di armi nucleari da parte iraniana, aspetto dal notevole peso politico che mette in discussione lo slogan che imperava al Summit del G7 in Canada: “Israele ha il diritto di difendersi”.
Inoltre il rapporto americano rende noto che gli israeliani non possono distruggere il programma nucleare iraniano ma solo ritardarlo di qualche mese, peraltro col rischio di determinare fughe radioattive e di incentivare la corsa all’atomica iraniana.
Nel rapporto l’intelligence manifesta poi il timore che l’attacco possa indurre Teheran a puntare ora con decisione sulle armi atomiche che costituirebbero un deterrente indispensabile per scoraggiare altri attacchi.
Lo ha confermato oggi in un’intervista all’Adnkronos il professor Foad Izadi, che insegna relazioni internazionali all’Università di Teheran. “Credo che questa guerra unirà l’Iran e forse lo porterà a cambiare la sua dottrina nucleare. La Repubblica islamica non può più fidarsi degli Stati Uniti in un eventuale negoziato sul nucleare. Izadi evidenzia come in questi giorni ci sia “molta pressione da parte dell’opinione pubblica sulla necessità che il Paese abbia un’arma atomica perché se l’Iran avesse un’arma atomica, non ci sarebbero più di 500 civili uccisi“.
Il report statunitense evidenzia inoltre che “i funzionari militari e dell’intelligence statunitensi affermano da tempo che Stati Uniti e Israele spesso differiscono nell’interpretazione delle informazioni sul programma nucleare iraniano, sebbene le condividano strettamente. Il direttore Gabbard ha riferito in marzo che la comunità dell’intelligence statunitense “continua a ritenere che l’Iran non stia costruendo un’arma nucleare e che la Guida Suprema Khamenei non abbia autorizzato il programma di armi nucleari che aveva sospeso nel 2003”.
Sorprendentemente, il presidente Trump ha smentito il rapporto delle sue agenzie d’intelligence (mettendo in imbarazzo Tulsi Gabbard e l’intera amministrazione) oppure ha preferito dare credito alle valutazioni di Israele basate sul rapporto dell’AIEA.
“Sono 20 anni, forse più, che dico che l’Iran non può avere un’arma nucleare. Lo dico da molto tempo e credo che siano stati a poche settimane dall’averne una”, ha sostenuto ieri Donald Trump, proprio mentre il direttore generale dell’AIEA, Rafael Grossi – il cui rapporto è stato usato da Israele a pretesto dell’attacco – precisava che “non risulta che ci si stato alcuno sforzo sistematico da parte dell’Iran di avere la bomba”.
Trump ha insistito: “l’Iran non può avere un’arma nucleare, troppa devastazione. E la userebbero. Io credo che la userebbero. Altri non la useranno, ma io credo che loro lo farebbero. E’ così. È molto semplice“.
Di semplice in realtà non c’è nulla in questa crisi. Ieri l’AIEA ha chiarito di non avere mai sostenuto che l’Iran stesse cercando di costruire ordigni nucleari. “Siamo giunti alla conclusione che non potevamo affermare che c’è un qualche sforzo sistematico in Iran per produrre un’arma nucleare”, ha dichiarato Grossi, a SkyNews Gran Bretagna.
L’AIEA ha accertato che l’Iran sta arricchendo uranio al 60%, l’unico paese al mondo che lo fa, quindi “c’erano elementi di preoccupazione“, ma “per quanto riguarda dire che stanno costruendo e fabbricando un’arma nucleare, no. Non l’abbiamo detto”, ha sottolineato.
“Abbiamo concluso che non possiamo affermare che in questo momento ci sia uno sforzo sistematico in Iran per fabbricare un’arma nucleare”, ha aggiunto Grossi (nella foto sotto). Alla domanda se l’agenzia fosse preoccupata per l’impatto degli attacchi israeliani agli impianti nucleari, Grossi ha risposto: “Ovviamente sì. C’è sempre la possibilità di un evento radiologico quando viene colpito un sito nucleare, come la dispersione di materiale nucleare nell’atmosfera.
Alcuni interrogativi emergono prepotentemente. Se Donald Trump non tiene conto dei rapporti dell’intelligence dobbiamo dedurre che gli Stati Uniti sono del tutto complici di Israele nel cercare un pretesto per attaccare l’Iran e farne cadere il regime?
Il professor Izadi è convinto che “l’obiettivo finale di Israele sia la disintegrazione dell’Iran “facendo all’Iran quello che gli americani hanno fatto alla Libia. Per raggiungere questo obiettivo, devono attuare un cambio di regime. Non possono avere un governo centrale forte e dividere il Paese. Quindi la disintegrazione è l’obiettivo primario e il cambio di regime uno strumento per raggiungerlo”.
Quindi, bomba o non boma, l’Iran deve cadere.
Se così fosse saremo tornati all’epoca dei “regime-change” attuati dagli USA in Afghanistan, Iraq e Libia che non furono certo un gran successo, a meno che non si persegua la destabilizzazione di intere regioni del mondo. Quale caos determinerebbe nella regione del Golfo Persico e in Asia Centrale una Persia destabilizzata e in preda ad anarchia e guerra civile non è difficile immaginarlo.
Bomba o non bomba, diversi analisti ritengono poi che l’attacco di Israele contro l’Iran rischi di avere l’effetto opposto a quello dichiarato, inducendo molte nazioni a dotarsi di armi nucleari per mettersi al riparo dalle incursioni di USA e Israele. E le potenze atomiche già esistenti a incrementare i propri arsenali.
L’esempio più eclatante in tal senso è la Corea del Nord, ostracizzata dall’Occidente ma di fatto inattaccabile da quando possiede qualche decina di testate nucleari.
Robert Kelly, analista specializzato in non proliferazione alla Pusan National University in Corea del Sud, ritiene che “negli ultimi cinque o sei anni, ci sono una serie di incidenti ripetuti che dimostrano come le armi nucleari siano uno strumento di deterrenza molto potente. Se non possiedi armi nucleari, ti bombardano“, come sta sperimentando ora l’Iran. Anche il SIPRI di Stoccolma, valuta che l’attacco all’Iran accelererà la corsa all’arma atomica presso molte potenze regionali.
“I bombardamenti israeliani sull’Iran sono esattamente il tipo di campagna aerea prevista da decenni dalla Corea del Nord e la ragione per cui Pyongyang ha voluto dotarsi di armi nucleari”, sottolinea Decker Eveleth, analista alla CNA corporation di Washington.
Senza contare che le incertezze create dall’ondivaga e ambigua politica di Donald Trump stanno generando confusione in molti alleati degli Stati Uniti che potrebbero non fidarsi più delle sempre più blande garanzie di sicurezza offerte da Washington puntando a dotarsi di un proprio deterrente atomico.
Israele e' quello che e', ma se non fosse anche il cane da caccia e da riporto dell'occidente collettivo avrebbe gia' dovuto scornarsi con la realta' circostante. Purtroppo lavora sporco, fa i lavori sporchi e viene pagato e sostenuto e esaltato per questo. Il poco sveglio capo della Cermania si e' lasciato sfuggire il chiaro stato delle cose. Purtroppo a volte i lavori sporchi non riescono a farli da soli e quindi entra in ballo il grasso sponsor e, se sara' necessario, pure i cagnolini europei volenterosi o meno. Puntavano alla Russia? Avranno il medioriente e le due cose sono legate da parecchie ragnatele.