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lantidiplomatico

Parte I: Putin prepara l'Africa Corps russo per il calderone africano

di Giuseppe Masala

720x410c50muyhgw.jpgMentre gli occhi del mondo sono giustamente puntati sulla nuova deflagrazione della “guerra mondiale a pezzi” avvenuta con l'attacco anglo-americano in Yemen per contrastare il blocco dello stretto di Bab al-Mandab da parte dei ribelli filo-iraniani Huti anche in Africa la situazione si fa sempre più grave.

Come ho già illustrato in passato anche l'Africa è di fatto uno dei campi di battaglia nei quali si confrontano l'Occidente e il blocco euroasiatico (in particolare la Russia, che è più esposta militarmente mentre la Cina lo è maggiormente economicamente); il fine è di guadagnare un vantaggio strategico sull'avversario con l'insediamento di basi militari, ma anche quello di mettere le mani sulle preziose materie prime del continente e di trasferire produzioni a basso valore aggiunto la cui produzione non è più economicamente sostenibile nei paesi d'origine. Quest'ultimo è per esempio il caso dell'Etiopia (da ultimo entrata nei Brics) che sta ricevendo ingenti investimenti cinesi anche con il trasferimento di produzioni a basso valore aggiunto e non più sostenibili per Pechino (1). Per quanto riguarda l'esposizione militare della Russia in Africa, bisogna dire che questa diventa ogni giorno più rilevante: non solo con l'ingresso della compagnia di ventura privata Wagner fondata dal quell'Evgenij Prigožin deceduto in un misterioso incidente aereo, ma anche con l'intervento diretto di forze russe (Istruttori e intelligence), e il trasferimento di armamenti anche molto sofisticati. Si fa peraltro sempre più insistente la voce secondo cui la Russia (intesa come entità statuale) starebbe organizzando e istituendo una vera e propria Africa Corps di altissimo livello per contrastare “il colonialismo occidentale” nel continente.

Ma proviamo ad andare con ordine facendo una ricognizione “a volo di gabbiano” partendo dalle sponde atlantiche dell'Africa per arrivare al Mar Rosso e al lato africano dello stretto di Bab al-Mandab. Sono ben cosciente che questo modo di procedere è possibile solo facendo un'analisi generalissima perché ogni singolo focolaio di crisi in Africa ha le sue peculiarità che sono fatte di storia, cultura, religione, tradizioni e lingue diverse. Ma solo in questo modo è possibile scorgere le mani che muovono i fili delle fazioni in lotta. Mani che – va detto – non sono in Africa, ma a Washington, Bruxelles, Parigi, Pechino e Mosca.

 

Il conflitto per il Sahara Occidentale

Di lunga data è il conflitto tra Algeria e il Marocco sul Sahara Occidentale, un ex possedimento coloniale spagnolo conteso tra il Marocco, Algeria e Mauritania (per quanto riguarda la parte meridionale). Contesa questa che ha dato vita ad una lunghissima guerra a bassa intensità (che non vuol dire che è meno sanguinosa, ma solo che le armi utilizzate sono tecnologicamente avanzate) tra Marocco e il Fronte Polisario che con il sostegno dell'Algeria ha proclamato la Repubblica Democratica Araba del Sahrawi, dando così vita ad una lunga guerriglia ufficialmente terminata nel 1991. La tregua non è mai sfociata in un vero percorso di pacificazione con una risoluzione effettiva del conflitto e, in realtà il fuoco da sempre cova sotto la cenere. Ciò è stato evidente quando nel 2020 gli Stati Uniti hanno riconosciuto la piena sovranità del Marocco sull'intera area riaccendendo le tensioni solo sopite. Washington ha giustificato la scelta con la necessità di spingere Rabat ad aprire un processo di normalizzazione dei rapporti con Israele nel quadro generale degli accordi di Abramo (2). Ma come ben sapeva l'esecutivo USA, una simile mossa non poteva che generare una destabilizzante reazione a catena che ha spinto l'Algeria quasi fino al conflitto aperto con il Marocco con la rottura dei rapporti diplomatici tra i due paesi e la chiusura dei rispettivi spazi aerei ai voli commerciali oltre che con la minaccia da parte di Algeri dell'interruzione di flussi di gas verso l'Europa (in particolare la Spagna) come ulteriore forma rappresaglia. L'Algeria, inutile sottolinearlo, è ormai stretta alleata della Cina e della Russia e forse riceverà risposta positiva alla sua candidatura nei BRICS nel corso di questo 2024. Insomma, una situazione sempre pronta ad esplodere, dove si vedono le solite mani russe, cinesi e soprattutto americane intente a rinfocolare la fornace del conflitto e dove, al solito, l'Europa gioca il ruolo di “bastonato” che nel caso di un aggravamento rischia di dover subire enormi flussi di profughi e di vedersi tagliate le preziosissime forniture di gas algerino (con grande gioia americana che troverebbe sempre più spazio per l'export del suo costosissimo gas di scisto).

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Immagine 1: Sahara Occidentale

 

La guerra civile libica

Dopo il controverso intervento occidentale del 2011 che abbatté il regime di Gheddafi, come sappiamo la Libia non ha mai più trovato pace e soprattutto ha perso quel relativo benessere (frutto degli immensi proventi dell'export energetico) che ne faceva forse il paese più socialmente evoluto dell'intera Africa perchè dotato di un Welfare di livello europeo. Dopo i fasti dell'epoca gheddafiana, la Libia è di fatto scivolata in una guerra civile tra entità statuali ormai quasi indipendenti: da una parte il Parlamento di Tobruk che esercita la sua sovranità sulla Cirenaica (la parte est del paese) e dove il deus ex machina è il filorusso Generale Haftar e, dall'altra parte il governo di Tripoli, riconosciuto dall'ONU e che vede come suo sponsor principale e Lord Protettore il turco Erdogan e dove noi italiani siamo in posizione subordinata e ancillare rispetto alla Turchia. Dunque anche in Libia si confrontano paesi Nato da un lato e Russia dall'altro. In questo contesto generale non ha lasciato stupefatti la notizia lanciata da Bloomberg secondo cui la Cirenaica del Generale Haftar starebbe trattando con la Russia la concessione di un porto libico (molto probabilmente quello di Tobruk) per una base navale militare (3).

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Immagine 2: Situazione politica in Libia e rotte energetiche (fonte ISPI)

Che anche in Libia la situazione possa facilmente degenerare in una ulteriore proxy war tra le grandi potenze lo segnala un avvenimento di qualche settimana fa passato totalmente sotto silenzio sui maggiori organi di informazione occidentali: il 19 dicembre ultimo scorso un aereo da trasporto russo Ilyushin Il-76 bruciava nella pista dell'aeroporto di al-Joufra controllato dal Libyan National Army del Generale Khalifa Haftar. E' ormai assodato che il cargo sia stato bombardato da un drone e che il carico fosse di strumentazione russa per la guerra elettronica da consegnare al Libyan National Army. Quale sia il paese che abbia bombardato non è dato sapere ufficialmente ma c'è la versione secondo ad aver bombardato sarebbe stato un drone americano (4). Ad averne dato notizia è stata l'agenzia di stampa italiana Nova che ha citato proprie fonti libiche. Anche la Libia è dunque entrata direttamente in quell'enorme calderone africano che è teatro dello scontro tra Russia (con la Cina a supporto economico) e gli USA.

 

Conclusioni

Anche solo limitandoci a considerare la situazione dell'Africa Nord Occidentale non si può non notare come sia nelle tensioni molto forti tra Marocco e Algeria per il Sahara Occidentale e che in quelle in Libia tra il potere politico cirenaico e quello tripolino appare chiaramente visibile la longa manus delle grandi potenze e soprattutto quella degli USA pronti a giocarsi, se necessario, i paesi presenti in questa area nell'intento di espellere – da un lato – Cina e Russia e dall'altro lato di infliggere nuove pesanti sconfitte all'Europa. Quest'ultima si vede sempre più ridimensionata, perché privata di mercati di sbocco, di fonti di approvvigionamento di materie prime e soprattutto esposta a sempre più massicce ondate migratorie che genererebbero ovviamente ulteriore instabilità sociale.

Nel prossimo articolo vedremo che anche nel resto dell'Africa a Nord dell'equatore le cose non vanno diversamente e che anzi, non appare per nulla improprio parlare di Africa a Nord dell'equatore come di un enorme calderone ribollente di conflitti, troppo spesso eterodiretti.

 

* * * *

 

Parte II: Il puzzle Africa nella "guerra mondiale a pezzetti"

di Giuseppe Masala

Abbiamo già considerato la situazione politica nel Nord Est dell'Africa (Marocco, Sahara Occidentale, Algeria e Libia) nella quale è evidente che le grandi potenze dietro le quinte soffiano sul fuoco dei conflitti con la finalità di ottenere dei vantaggi geostrategici sull'avversario.

Le cose non vanno certamente meglio nelle altre parti dell'Africa a Nord dell'equatore. Il Sahel è in forte ebollizione e preda di lotte intestine, golpe militari più o meno eterodiretti e, anche direttamente di guerre civili; il Sudan è in preda a una guerra civile sanguinosa e infine qualcosa di estremamente pericoloso si sta delineando anche nel Corno d'Africa.

Un mosaico questo africano che, come ho già affermato, va a formare un enorme calderone di fuoco fatto di instabilità crescente e di guerre pronte ad esplodere in maniera conclamata. E ovviamente sullo sfondo USA, Russia, Cina e l'Europa sempre più marginalizzata e spesso usata per difendere interessi che non le corrispondono. Ma andiamo con ordine.

 

Il Sahel mette la parola fine alla Françafrique

I tre paesi fondamentali del Sahel (Mali, Burkina Faso e Niger) a partire dal 2020 hanno avuto dei colpi di stato che hanno totalmente cambiato il loro orientamento di politica estera: se prima erano paesi governati da regimi palesemente filo-occidentali con una particolare sudditanza nei confronti della Francia, loro ex potenza coloniale dopo questo triennio sono diventati paesi a forte orientamento anti-europeo e anti-occidentale e, soprattutto hanno assunto un atteggimento palesemente filo-russo, peraltro rinverdendo quella vecchia tradizione sovietica che vedeva spesso Mosca a capo delle tante rivoluzioni anti-coloniali avvenute in Africa nella seconda metà del secolo scorso.

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Immagine 1: Il Sahel

Il primo paese a subire il colpo di stato “anti occidentale” è stato il Mali che nel 2020 ha visto salire al potere una giunta militare che ha nominato un triunvilato composto da Assimi Goita, Malick Diaw e Sadio Camara i quali hanno traghettato il paese verso Mosca. Nel 2022 è stata la volta del Burkina Faso on un colpo di Stato che ha portato al potere Ibrahim Traoré. A metà dello scorso anno è arrivato il turno del Niger che è forse il pezzo territoriale più ambito (a causa delle sue importanti risorse naturali, quali l'Uranio). Anche a Niamey ad essere andato in scena è stato un colpo di stato il vecchio satrapo filo-occidentale Mohamed Bazoum che ha dato vita ad una giunta che ha mandato immediatamente via i militari francesi presenti nel paese, rotto i rapporti diplomatici con Parigi e, in aggiunta, sospeso le forniture di uranio assolutamente fondamentali per le necessità del settore nucleare francese. Va anche detto che i militari italiani e americani presenti in Niger sono però rimasti al loro posto anche se l'apertura di Niamey nei confronti della Russia c'è stata con l'arrivo di istruttori militari della Wagner e ovviamente con le attrezzature militari.

Questa area dell'Africa che ha visto un così repentino cambiamento di orientamento in politica estera non si è però stabilizzata e riappacificata; puntuali come sempre si sono fatti vivi i guerriglieri islamici dell'ISIS che hanno iniziato a mettere a ferro e fuoco con la guerriglia la parte più a nord del Mali e del Niger. E già, proprio quell'ISIS che Hillary Clinton ha apertamente definito come un asset del Dipartimento di Stato USA. A tale proposito non possiamo non notare che secondo molti organi di stampa la Turchia (paese Nato e dunque alleato degli USA) starebbe infiltrando nel Nord del Niger membri della Sultan Murad Division, la quale fa parte della Syrian National Army che tenta da anni di rovesciare il governo di Assad. Sempre per quelle strane coincidenze, va anche detto che, proprio per combattere la guerriglia dell'ISIS nel Sahel il Cremlino sta preparando un suo specifico contingente denominato Africa Corps (1) con il compito di sostenere i paesi del Sahel per lottare contro i terroristi e stabilizzare il proprio territorio. Non sembra azzardato dire che se Washington chiama con l'ISIS, la Russia risponde con l'Africa Corps!

Nessuna delle grandi potenze sembra dunque disponibile a cedere il Sahel sia per le ingenti risorse minerarie sia per non lasciare un vantaggio strategico all'avversario.

 

La guerra civile in Sudan

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Immagine 2: la guerra tra SAF e RSF in Sudan

Va immediatamente chiarito che il Sudan vive dalla sua indipendenza una situazione di forte instabilità, di lotte intestine tra le varie fazioni, di continui golpe e di guerre civili certamente a bassa intensità ma non per questo meno sanguinose. Si pensi che solo a partire dal 2019 si sono avuti due colpi di stato (nel 2019 e nel 2021) oltre all'esplosione della guerra civile a partire dal 2023. Appunto, in questo contesto difficilissimo, è scoppiata la guerra civile nell'aprile del 2023 che vede contrapposte le forze regolari (SAF), comandate dalla giunta militare, e le milizie della Rapid Support Forces (RSF), un potente gruppo paramilitare già utilizzato in passato nella guerra del Darfur. E' certamente vero che in questo panorama complicato è davvero difficile sostenere l'ipotesi di una guerra per procura tra grandi potenze ma è altrettanto vero che immediatamente è emerso il solito schema noto: gli USA che appoggiano una parte (segnatamente i ribelli del Rapid Support Forces) e accusano le forze governative di crimini di guerra (2), mentre è ampiamente risaputo che la Russia ha rapporti di sostanziale alleanza con il governo sudanese, a tal punto che il governo di Khartum ad inizio dell'anno scorso annunziò di aver concesso ai russi una base navale a Port Sudan nel Mar Rosso (3). Inutile sottolineare l'enorme valore strategico per la marina russa di un punto d'appoggio in un tratto di mare così strategico per i commerci mondiali e allo stesso tempo così lontano dalla madre patria e sostanzialmente impossibile da presidiare. E appunto, dopo questo annuncio è partita la ribellione delle Rapid Support Forces con l'immediata sponsorizzazione del Dipartimento di Stato americano.

Insomma, è certamente corretto affermare che il conflitto sudanese ha peculiarità “autoctone” che si inseriscono in un contesto di continue lotte intestine, ma sullo sfondo, anche in questo caso, si vede la forte presenza degli eterni contendenti, gli USA e la Russia entrambe interessate al controllo di un paese fortemente strategico per la sua collocazione geografica che s'affaccia sul Mar Rosso. Del resto, le armi e le risorse finanziarie in qualche modo le fazioni in lotta le devono ottenere...

 

La situazione nel corno d'Africa

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Immagine 3: il Corno d'Africa

In questo complicatissimo puzzle non poteva di certo mancare l'area del Corno d'Africa. Un'area enormemente strategica perché s'affaccia sul Mar Rosso e l'Oceano Indiano, ed è dunque di assoluta importanza per il controllo di quella “strozzatura” di Bab al-Mandab che interconnette l'Oceano indiano, il Mar Rosso, Suez e il Mediterraneo e da cui passa una grossa fetta dell'export di merci dall'Estremo Oriente all'Europa. Il paese chiave di questa area è chiaramente l'Etiopia, secondo paese più popoloso dell'Africa, sede dell'Unione Africana e soprattutto, a partire dal 1° gennaio di quest'anno, componente a pieno titolo dei BRICS. Proprio il 1° gennaio Addis Abeba ha annunciato anche un accordo con il Somaliland per la concessione del porto di Barbera (con contratto di locazione di 50 anni) all'Etiopia che così ottiene il tanto agognato sbocco al mare, fondamentale per impostare un piano di sviluppo del paese sostenibile e credibile. Immediatamente questo annuncio ha scosso la politica di tutti i paesi dell'area, innanzitutto perché l'Etiopia riconosce il Somaliland, l'area del nord della Somalia de facto indipendente dagli anni 90 del secolo scorso sebbene non riconosciuta a livello internazionale. Se per Addis Abeba lo sbocco sul mare significa possibilità di sviluppo anche grazie alla possibilità di interconnettersi direttamente agli altri paesi dei BRICS, per il Somaliland il riconoscimento etiope significa altresì la possibilità di raggiungere il riconoscimento internazionale come stato indipendente. Dall'altro lato però si addensano forti nubi; le altre potenze regionali, compresi Eritrea, Sudan ed Egitto oltre ovviamente al governo di Mogadiscio, stanno avversando questo accordo (4). Senza contare poi - che l'entrata dell'Etiopia nei BRICS - rende questo passo di Addis Abeba molto sgradito a tutte le potenze occidentali – a partire dagli USA – le quali di fatto stanno mettendo a ferro e fuoco il mondo con l'intento di indebolire i BRICS ed in particolare Russia e Cina.

 

Conclusione

In definitiva, se non ci si limita a guardare le vicende dei singoli paesi, ma ci si sforza di osservare con più attenzione provando a capire chi si muove dietro le quinte, ci si rende conto che in tutte le aree di crisi (ormai un unico calderone che fagocita quasi l'intera Africa a Nord dell'equatore) le grandi potenze giocano una partita senza esclusione di colpi e senza lesinare uomini e mezzi. L'Africa, dunque, come un campo di battaglia silenzioso (forse anche a causa della indifferenza dei nostri mass media) ma non per questo meno insanguinato e meno pericoloso di altri teatri bellici. Un continente ancora una volta piegato ai giochi di potere di altre capitali che sono pronte a sacrificare l'ancora fragile sviluppo di questa area del mondo.


Note parte I
(1) Corriere della Sera, <<Made in Ethiopia>>, la nuova fabbrica del mondo.
(2) Insideover.com, Marocco e Algeria: la lotta fratricida che può incendiare il Maghreb
(3) Bloomberg.com, Putin’s Move to Secure Libya Bases Is New Regional Worry for US
(4) Nova, Libya, Nova sources: "A Russian transport plane destroyed at the Jufrah base"

 

Note parte II
(1) Business Insider, A new Russian military formation in Africa with the same name as a Nazi unit is trying to recruit former Wagner fighters and Ukraine war vets

(2) Reuters, US says members of Sudanese Armed Forces, Rapid Support Forces committed war crimes

(3) Dire, Port Sudan: la base navale è un tassello della strategia russa dal Mediterraneo al Mar Rosso

(4) il Manifesto, Il Memorandum Etiopia-Somaliland agita il Corno d'Africa
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