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sinistra

La “brutta vittoria della Russia” e la “finis Europae”

di Eros Barone

2143611 weydac 611178640 highres.jpg1. La crisi finanziaria del 2008 e la svolta protezionista

I massimi rappresentanti della politica internazionale non si peritano di affermare a chiare lettere che la guerra in Ucraina, così come il conflitto israelo-palestinese e, più in generale, i venti di guerra che soffiano impetuosi nel periodo che stiamo vivendo, costituiscono un ‘turning point’ di portata storica non solo sul terreno della definizione dei confini territoriali, ma anche nel senso che gli esiti delle guerre in corso potrebbero contribuire a delineare il volto del futuro economico mondiale. Si tratta, per l’appunto, delle cause materiali dei conflitti militari, ossia degli interessi economici che muovono i conflitti militari contemporanei, in Ucraina e nel resto del mondo.

Orbene, per comprendere questo determinante ordine di cause occorre partire da una grande svolta, che da diversi anni caratterizza la politica economica degli Stati Uniti d’America: la crisi finanziaria del 2008. 1 In quella congiuntura critica gli americani si sono resi conto, infatti, che stavano importando molte più merci di quante ne riuscissero a esportare, e che così stavano accumulando un ingente debito verso l’estero, non solo pubblico ma anche privato: un debito potenzialmente insostenibile. Basti pensare che il passivo netto americano verso l’estero è arrivato a 18.000 miliardi di dollari, un primato negativo senza precedenti. Di contro, l’attivo netto cinese verso l’estero è arrivato a 4.000 miliardi, l’attivo netto russo a 500 miliardi, e così via. Sennonché il problema è che il creditore può utilizzare il suo attivo per cominciare ad acquisire il capitale del debitore. In altre parole, l’Oriente può iniziare a comprare aziende occidentali, ponendo in atto quel fenomeno che Marx definisce come “centralizzazione del capitale” in un nucleo ristretto di grandi imprese. Tale tendenza è tipica del capitalismo; la novità è però che, questa volta, si tratta di grandi imprese orientali.

Dinanzi a questa nuova tendenza, di una potenziale centralizzazione capitalistica nelle mani dei grandi creditori orientali, dal 2008 in poi l’amministrazione americana ha compiuto una svolta: non più verso il libero scambio globale ma verso un protezionismo sempre più unilaterale e aggressivo.

Del resto, le avvisaglie di questa linea risalgono alla presidenza di Obama, mentre il pieno sviluppo si è avuto con la presidenza di Trump e pure, in piena continuità con questa, sotto la presidenza di Biden, confermando in tal modo che il protezionismo è una questione decisiva per gli interessi economici statunitensi. La storia ci insegna che questi mutamenti unilaterali, ovvero il passaggio dal globalismo al protezionismo – sono stati spesso sorgenti di conflitti economici sfociati poi in vera e propria guerra militare, che è quanto dire in un classico conflitto imperialista. 2

Sennonché occorre rammentare che nel linguaggio corrente (anche, e ‘pour cause’, giornalistico) i termini di Europa e Unione Europea vengono usati come sinonimi, mentre la cronaca politica ci dice che non sono affatto sovrapponibili. Basti osservare che a importanti incontri fra capi di governo e di Stato, come quelli svoltisi a Parigi, a Londra e in altre capitali europee, hanno preso parte i leader del Regno Unito, che non fa più parte dell’Unione Europea e oggi rappresenta la testa velenosa di quel serpente che si chiama NATO, e il Canada che non è in Europa. Si è così deciso di costituire, allo scopo di proseguire e allargare la guerra contro la Russia, una “coalizione dei volenterosi”: sintagma, questo, risalente all’epoca del conflitto tra gli Stati Uniti e l’Iraq nel 2003. È in questo quadro, a un tempo caotico e isterico, che si inserisce il progetto di riarmo promosso dalla Commissione europea sotto la direzione di Ursula von Der Leyen, incentrato sull’obiettivo di investire 800 miliardi di euro nella difesa militare europea. Tuttavia, la logica spietata dell’eterogenesi dei fini è tale, che un simile progetto bellicista, facendo lievitare il debito pubblico, determinerà tassi di interessi più alti per i paesi, come l’Italia, già altamente indebitati. L’aumento delle tasse, che sarà il logico corollario del bellicismo riarmista europeo, si accompagnerà pertanto, come è inevitabile, a una riduzione dello Stato sociale o “Welfare State”, concomitante alla costruzione di un “Warfare State”, fondato sulla crescita esponenziale della spesa militare.

L’Unione Europea, mai così unita e mai così divisa, ricerca dunque nella spesa militare l’ennesimo campo nel quale esercitare la sua propensione a far tutto e insieme il suo contrario. I paesi orientali e quelli nord-orientali, più vicini alla Russia, hanno quasi raddoppiato tale spesa nel corso di un decennio, mentre quelli dell’Ovest l’aumentano pian piano. Questi ultimi prendono tempo. Nel mercato bellico dell’Est si vendono molte armi (sia in forma diretta che in forma ‘duale’) e manca ancora il contributo più rilevante, quello della Germania, che sicuramente apparirà con la massima evidenza entro la fine del ventennio. In quel momento anche l’Europa dell’Ovest farà sentire il peso dei propri bilanci militari. Così, negli anni Trenta del XXI secolo, la paura di un cambiamento di sistema e il disperato bisogno di smaltire la sovrapproduzione di merci e di capitali per sfuggire alla depressione economica faranno dell’Europa, sia a Est sia a Ovest, un immenso mercato armato. Esattamente come un secolo fa.

 

2. I rapporti di forza e l’equazione della deterrenza

Per quanto concerne le forze militari della Nato schierate in Ucraina, va detto che non si tratta di forze militari di carattere regolare facenti capo alla diade Nato-Unione Europea, giacché la Russia non tollererebbe la presenza di truppe occidentali ai confini del proprio territorio. Al momento, la politica ufficiale dei paesi europei è quella di evitare di porre in atto una simile opzione militare per non espandere il conflitto, anche se Francia e Gran Bretagna sono le principali promotrici di un’ipotesi interventista. Ciò che invece è accertato è la presenza di personale per l’assistenza logistica, la formazione e l’addestramento sui sistemi d’arma occidentali. A questo personale si aggiungono poi le forze speciali di alcuni paesi, i ‘contractors’ e gli agenti dei servizi di spionaggio e controspionaggio.

Va inoltre considerata l’incidenza potenziale e reale degli armamenti ipersonici. Tale incidenza, secondo gli specialisti, si esprime in termini di deterrenza militare e corrisponde a un’equazione mediante la quale viene stabilito un rapporto fra tre fattori: la funzionalità di uno strumento operativo capace di esplicare il suo potenziale distruttivo in tutte le dimensioni e di proiettarsi in tutte le direzioni (terrestre, aerea, navale, cibernetica, spaziale, convenzionale e nucleare); la volontà di impiegare questo strumento per attuare gli obiettivi politico-militari che si vogliono perseguire; una efficace comunicazione strategica che renda ben visibili i primi due fattori ai gruppi dirigenti dei paesi avversari e alla opinione pubblica di tali paesi. È da osservare che nell’equazione della deterrenza questi tre elementi non compaiono come addendi di una somma, ma come fattori di un prodotto, talché, se i valori dei singoli fattori di questa equazione sono bassi, essi generano un prodotto modesto, e se uno solo dei fattori è pari a zero, il risultato finale è nullo e la deterrenza semplicemente non esiste. Sennonché bisogna riconoscere che in questo momento la Russia, a differenza di qualsiasi paese della Nato (Stati Uniti compresi) o della Unione Europea, esprime il massimo valore possibile di questa equazione, il che la rende imbattibile. La Russia ha peraltro dimostrato chiaramente, un anno fa, quello che può accadere (il terzo fattore), quando, in risposta a un attacco in cui 12 missili Storm Shadow inglesi colpirono la regione russa di Kursk, Putin replicò lanciando nella regione di Dnipro il missile intercontinentale a medio raggio di nuova generazione Oreshnik, che non può essere intercettato dal 90% dei sistemi di difesa aerea della Nato. 3

Dal canto loro, gli Stati Uniti hanno compiuto con Trump una scelta strategica, peraltro condivisa da tutto il gruppo dirigente statunitense, in base alla quale la Cina viene individuata come il nemico principale e l’area dell’Indo-Pacifico viene considerata il fronte principale, in cui si deciderà l’egemonia nella contesa mondiale del XXI secolo. L’Europa, quindi, non sarà più al centro della politica estera degli Stati Uniti, i quali da tempo stanno spostando importanti risorse verso oriente. Sennonché, a quel punto i dirigenti dell’Unione Europea dovranno prendere atto che, una volta venuto meno il sostegno statunitense, l’Ucraina sarà costretta ad accettare la via diplomatica e che, cessata la guerra, si spezzerà anche il filo sempre più sottile che tiene uniti i paesi, a causa dell’ineguale sviluppo economico e politico diversi e talora avversi, che fanno parte della stessa Unione Europea. Così, gli Stati Uniti, pur non essendo riusciti a indebolire la Russia, avranno raggiunto, senza colpo ferire, il loro obiettivo principale: assestare una forte spallata all’economia europea, dividendola dalla Russia e accrescendo la sua dipendenza dagli Stati Uniti. 4

 

3. Analisi di una catastrofe in atto

Il politologo statunitense John Mearsheimer, basandosi sull’orientamento e sul metodo del realismo, di cui egli è uno dei principali esponenti, ha condotto una lucida analisi delle cause della guerra in Ucraina e ha così riassunto la conclusione alla quale è pervenuto: «La triste verità è che non c’è speranza di negoziare un accordo di pace significativo. Questa guerra sarà risolta sul campo di battaglia, dove è probabile che i russi ottengano una brutta vittoria che si tradurrà in un conflitto congelato con la Russia da una parte e l’Ucraina, l’Europa e gli Stati Uniti dall’altra… Una risoluzione diplomatica della guerra non è possibile perché le parti in conflitto hanno richieste inconciliabili. Mosca insiste sul fatto che l’Ucraina debba essere un paese neutrale, il che significa che non può far parte della NATO né ricevere garanzie di sicurezza significative dall’Occidente. I russi chiedono inoltre che l’Ucraina e l’Occidente riconoscano l’annessione della Crimea e delle quattro oblast’ dell’Ucraina orientale. La loro terza richiesta chiave è che Kiev limiti le dimensioni del suo esercito al punto da non rappresentare una minaccia militare per la Russia. Non sorprende che l’Europa, e in particolare l’Ucraina, respinga categoricamente queste richieste. L’Ucraina si rifiuta di concedere qualsiasi territorio alla Russia, mentre i leader europei e ucraini continuano a premere per l’ingresso dell’Ucraina nella NATO o almeno per consentire all’Occidente di fornire a Kiev una seria garanzia di sicurezza. Anche disarmare l’Ucraina a un livello che soddisfi Mosca è un’impresa impossibile. Non c’è modo che queste posizioni contrapposte possano essere conciliate per produrre un accordo di pace. Pertanto, la guerra si risolverà sul campo di battaglia. Sebbene io creda che la Russia vincerà, non otterrà una vittoria decisiva che la porterà a conquistare tutta l’Ucraina. Piuttosto, è probabile che otterrà una brutta vittoria, occupando tra il 20 e il 40% dell’Ucraina pre-2014, mentre l’Ucraina finirà per essere uno stato residuo disfunzionale che copre il territorio che la Russia non conquista. È improbabile che Mosca cerchi di conquistare tutta l’Ucraina, perché il 60% occidentale del paese è popolato da ucraini etnici che opporrebbero strenuamente resistenza a un’occupazione russa, trasformandola in un incubo per le forze di occupazione. Tutto questo per dire che il probabile esito della guerra in Ucraina è un conflitto congelato tra una Russia più grande e un’Ucraina residua sostenuta dall’Europa. […] La guerra in Ucraina è stata un disastro. Anzi, è un disastro che quasi certamente continuerà a dare i suoi frutti negli anni a venire. Ha avuto conseguenze catastrofiche per l’Ucraina. Ha avvelenato le relazioni tra Europa e Russia per il prossimo futuro e ha reso l’Europa un luogo più pericoloso. Ha anche causato gravi danni economici e politici all’interno dell’Europa e ha gravemente danneggiato le relazioni transatlantiche. Questa calamità solleva l’inevitabile domanda: chi è responsabile di questa guerra? La domanda non scomparirà presto, e semmai diventerà più pressante nel tempo, man mano che l’entità dei danni diventerà più evidente a un numero sempre maggiore di persone.» 5

L’approccio soggettivista impedisce anche a uno studioso borghese acuto e lungimirante di comprendere che l’unica risposta corretta alla domanda che egli si pone chiama in causa, di là dalle responsabilità di questo o di quell’uomo politico, di questo o di quel paese (che certamente vi sono, ma non costituiscono il fattore fondamentale), la logica profonda e inesorabile di una crisi che, così a Ovest come a Est, così al Nord come al Sud, investendo e sconvolgendo i rapporti di produzione creati dal capitalismo imperialista fa delle guerre altrettanti figli bastardi generati da un solo padre e da molte madri.

La “forza”, in altri termini, delle parti impegnate nel conflitto dal punto di vista soggettivo non è né la “politica” né il governo né il comando delle forze armate in quanto tali, bensì innanzitutto la proprietà della parte decisiva del capitale finanziario. Qui sta il centro delle decisioni fondamentali e qui ovviamente la principale responsabilità. Tutte le altre componenti della società si trovano invece nella condizione di strumenti, di parti, anzi, del sistema mondiale facente capo al capitale finanziario internazionalizzato. Pertanto, se dal conflitto usciranno sconfitte le formazioni più “deboli” e vittoriose le formazioni più “forti”, non sarà mai (e non è mai stata) questione di forza o di debolezza legate al maggiore o minore livello tecnologico, alla maggiore o minore quantità di uomini e di mezzi, al maggiore o minore livello organizzativo ecc., o, meno che meno, alle più alte o più basse doti e qualità marziali dei singoli o delle formazioni militari. Sarà invece (ed è sempre stata), nelle società divise in classi, questione sia del tipo di contraddizione fondamentale all’origine della guerra, sia del tipo di contraddizioni da questa derivate o ad essa legate, all’interno di ciascuna formazione politico-militare e ancor prima di ciascuna formazione economico-sociale coinvolta nel conflitto, sia dello scopo dell’azione militare delle forze tra di loro contrapposte.


Note
1 Cfr. E. Brancaccio, R. Giammetti, S Lucarelli, La guerra capitalista. Competizione, centralizzazione, nuovo conflitto imperialista. Milano 2022. Dopo la prima guerra mondiale, nel 1919, John Maynard Keynes spiegò nel suo saggio su “Le conseguenze economiche della pace” che il principale fattore di conflitto tra gli Stati è il debito: il rapporto tra i debitori e i creditori porta molto facilmente, se non inevitabilmente, alla guerra. Questo approccio interpretativo keynesiano, mescolato ecletticamente con frammenti di categorie marxiane e leniniane, fornisce un esempio interessante del valore e dei limiti del contributo conoscitivo che la cultura accademica ‘di sinistra’ è in grado di fornire circa il rapporto tra guerra ed economia.
2 Ho cercato di focalizzare il significato storico, politico e culturale della svolta nazionalista e protezionista introdotta da Donald Trump nella politica degli Stati Uniti in un articolo al quale mi permetto di rinviare: https://www.sinistrainrete.info/estero/29946-eros-barone-l-ideologia-dell-imperialismo-americano-tra-riflesso-e-progetto.html.
3 I dati sono tratti dal sito AD – Analisi Difesa, che offre una ricca informazione riguardo alle vicende politico-militari della guerra in Ucraina.
4 Ho analizzato l’interconnessione fra le quattro principali questioni della politica internazionale nel seguente articolo: https://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/28687-eros-barone-ucraina-israele-iran-e-taiwan-a-che-punto-e-la-notte.html.
5 Cfr. https://www.sinistrainrete.info/geopolitica/31808-john-j-mearsheimer-il-futuro-cupo-dell-europa.html.
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Comments

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AlsOb
Sunday, 14 December 2025 10:40
Di questo scritto, per certi versi, si potrebbe dire che appare un poco idealistico per le assunzioni e parzialmente utilizzatore della tecnica della reificazione di parole per consolidare una logica.
In termini pratici, probabilmente, la vittoria della Russia sarà “brutta” se, nonostante lo sforzo e il sangue sacrificato, non occuperà Odessa.
Nel 2008 non avvenne una particolare e drammatica presa di coscienza da parte dell'impero del fatto che importasse troppe merci.
L'imperialismo del dollaro e finanziario, principale caratteristica delle politiche della classe dominante imperiale, ha logicamente portato alla intensificazione del conflitto economico con la Cina, specie per il non verificarsi di determinati eventi desiderati e pianificati.
Il conflitto, in teoria, potrebbe essere affrontato e risolto secondo modalità e politiche differenti,(reciprocamente vantaggiose), non necessariamente con il ricorso alla sola opzione della esasperazione dei disaccordi e a comportamenti sempre più guerreschi, ma vi sono riflessi condizionati di assolutismo che prevalgono da decenni in alcune elite.
La questione specifica dei debiti trattata da Keynes, detto un poco rozzamente, non ha molto a che vedere con la situazione attuale, il parallelismo risulta forzato.
Per quanto riguarda l’Unione Europea, come osservò uno studioso di notevole cervello, l’affidare il ruolo guida alla Germania, paese la cui classe dominante non ha mai nemmeno rispettato la propria popolazione, in un contesto di creazione di una assemblea equivocamente chiamata parlamento, utile solo e a soddisfare l’ingordigia di mediocri burocrati e politicanti, e di attuazione di un esasperato neomercantilismo, tutelato dalla spalmatura dei costi su tutti, via euro, ha portato alla riedizione di rapporti di debito e credito, questi sì pericolosamente “keynesiani”, e, nella sostanza, alla ricostituzione di un progetto nazifascista.
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