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sinistra

Il compagno “Osvaldo”*

di Eros Barone

06 giangiacomo e fidel le28099editore feltrinelli incontra castro a cuba foto di inge schoental feltrinelli grazia neri 2 scaled.jpg«Dunque… devo definire me stesso in quanto editore… in rapporto col mestiere che per il novanta per cento del mio tempo faccio da quasi quindici anni. Potrei cominciare dal mestiere… togliendo di mezzo la mia persona; oppure potrei cominciare dalla mia persona, ma in questo caso, purtroppo, non riuscirei a togliere di mezzo il mestiere… Ma non voglio definire l’editore, anzi l’Editore: a mio modo di vedere si tratta di una funzione indefinibile, o meglio definibile in mille modi. Basterebbe, a questo proposito, elencare tutti coloro che, facendo l’editore, hanno costruito una fortuna, ed elencare, d’altra parte, tutti coloro che (sempre facendo l’editore) una fortuna hanno distrutto. … il termine “fortuna” acquista un significato non soltanto economico, ma… “politico”. Lasciamo perdere, dunque, l’editoria fortunata a livello business: i mastodonti che possiedono mezzo milione di titoli, cinquanta staff redazionali, una dozzina di rivistacce per le “serve” intellettuali, o per gli intellettuali serva, le tipografie con le supermacchine degli “aiuti” americani, gli apparati di intimidazione e gli “uffici acquisto premi letterari”… Sarà un difetto, sarà un vizio: ma anche se auspico la fortuna economica della mia casa editrice, non posso fare a meno di ricordare che essa è nata soprattutto… da un’intenzione, addirittura da un bisogno e da un desiderio che esito a definire culturali soltanto perché la parola cultura… mi appare gigantesca, enorme, degna di non essere scomodata di continuo.»

Così, nel 1967, in un articolo scritto per la rivista «King», Giangiacomo Feltrinelli definiva il senso di un’attività politico-culturale che ha inciso, come poche altre, nella storia del nostro Paese. E aggiungeva: «Poiché la micidiale proliferazione della carta stampata rischia di togliere alla funzione di editore qualsiasi senso e destinazione, io ritengo che l’unico modo per ripristinare questa funzione sia una cosa che, contro la moda, non esito a chiamare “moralità”: esistono libri necessari, esistono pubblicazioni necessarie… occorre incontrare e smistare i messaggi giusti, occorre ricevere e trasmettere scritture che siano all’altezza della realtà…».

Chiariva, infine, le ragioni della sua attività in questi termini: «… un editore può anche affrontare il proprio lavoro sulla base di una ipotesi di lavoro molto azzardata: che tutto, ma proprio tutto, deve cambiare, e cambierà ».

Sennonché per capire l’insistenza di Feltrinelli sul tema del cambiamento rivoluzionario e, correlativamente, sul tema del colpo di Stato reazionario, occorre prendere le mosse dalla stagione, politicamente drammatica e socialmente dirompente, concomitante e successiva al grande ciclo delle lotte studentesche e operaie del biennio ’68-’69. Nel dicembre 1970, infatti, Junio Valerio Borghese tentava un colpo di Stato che prevedeva l’occupazione, da parte dei suoi manipoli, del Quirinale, del Viminale e della Rai. Ma il golpe, che si stava preparando nel corso della notte, venne interrotto da una misteriosa telefonata che annullava ordini già impartiti e in parte eseguiti con la breve occupazione, da parte di Borghese e del missino Sandro Saccucci, dell’armeria del ministero dell’Interno.

S’inseriva già nella logica della “strategia della tensione” e ne anticipava le prime manifestazioni un presunto attentato sventato a Genova, il 7 marzo 1969, contro Melina Mercouri, grande attrice e cantante greca, che stava girando l’Europa per promuovere la solidarietà democratica verso il proprio paese oppresso dalla dittatura dei colonnelli. Non per nulla i cortei di protesta dell’8 marzo, cui prese parte anche l’autore di queste righe, furono tra i più radicali del Sessantotto genovese e videro confluire lo storico antifascismo dei lavoratori portuali e il nuovo antifascismo delle organizzazioni politiche ‘extraparlamentari’, la cui riflessione e azione si andava appuntando sulla “critica delle armi”, ossia sull’ipotesi di una lotta armata preventiva che si riallacciasse in funzione antigolpista, ma non più soltanto difensiva, alla guerra partigiana. Così, esattamente come era accaduto nell’ottobre 1966 con la vampata di lotta per i cantieri navali, sempre a Genova, la protesta per Melina Mercouri poneva in campo alcuni dei temi (il pericolo di golpe, le bombe fasciste, un nuovo antifascismo sganciato dai fronti popolari con la borghesia e agganciato a una prospettiva rivoluzionaria di carattere anticapitalistico) che caratterizzeranno tanto la “strategia della tensione” quanto lo sviluppo della lotta armata comunista.

Significativa, in questa ottica, fu nel 1968 la missione che Feltrinelli svolse recandosi in Sardegna, dove prese contatto con gli ambienti della sinistra di classe e dell’indipendentismo isolani. Il progetto di Feltrinelli era quello di trasformare la Sardegna in una “base rossa” del Mediterraneo, avviandovi un processo rivoluzionario. L’idea portante dell’editore era quella di affidare la gestione e il coordinamento delle truppe ribelli al bandito Graziano Mesina, in quel periodo latitante per via dei suoi sequestri di persona e per le sue spettacolari evasioni carcerarie. Mesina, però, all’ultimo rifiutò l’offerta di Feltrinelli.

Nel luglio 1969 il compagno “Osvaldo”, perseguendo l’obiettivo di porsi come ‘trait d’union’ fra l’antifascismo partigiano, del quale frequentava allora alcuni esponenti nell’entroterra ligure-piemontese, e nuovo antifascismo, pubblicava un opuscolo sulla minaccia e le trame golpiste, Estate 1969, con un’appendice dello scrittore greco Vassili Vassilikos, il quale così commenta il colpo di Stato dei colonnelli: «Anche noi non credevamo che in Grecia fosse possibile». Un altro passo di tale opuscolo merita di essere citato, in quanto descrive con precisione ed efficacia quella congiuntura storica: «Questi piani e la loro parziale attuazione hanno preso nuovo impulso dalla visita di Nixon in Italia ed è possibile che trovino attuazione nel corso di quest’estate, facilitati dall’esodo estivo, dal generale disinteresse, dalla impreparazione delle tradizionali organizzazioni operaie (Pci e sindacati), e dalla sostanziale inefficienza di gruppi che si rifanno ad astratti estremismi ideologici. […] L’intervento delle forze repressive farà crollare, questa volta definitivamente, la prospettiva di riuscire a cambiare le cose con il solo uso delle armi della critica, del convincimento democratico. Si vedrà il definitivo tramonto non solo del revisionismo – già condannato dalla storia – ma anche dell’ipotesi che si possa compiere una rivoluzione socialista senza la critica delle armi».

L’insistenza di Feltrinelli sull’incombente pericolo di golpe ha fortemente condizionato la lettura del suo ruolo in quella fase iniziale della lotta armata: così, la presunta ossessione antifascista, la stessa sua morte – dilaniato sotto un traliccio a Segrate, mentre compie un attentato – sembrano accreditare l’immagine di un personaggio fragile e velleitario, suggerendo che in qualche modo, da miliardario eccentrico, tendesse a giocare con la rivoluzione. Ma il capitolo genovese e ligure della sua esperienza (ad esempio, i rapporti con i vecchi partigiani, come Saetta) e la sua attività internazionale (non solo i contatti con Cuba e la guerriglia latino-americana, ma anche e soprattutto con la “Rote Armee Fraktion”) fanno di lui un anello di congiunzione fondamentale tra l’antifascismo storico e gli embrioni della lotta armata comunista. In realtà, Feltrinelli rappresenta un nodo essenziale in cui si intrecciano alcuni dei fili più solidi e rivelatori che formano la trama della lotta armata comunista nella fase delle origini: connessioni internazionali e rapporti tra Gap, Br e Potere operaio. Va detto, quindi, che la teoria del maniaco solitario, ossessionato dal timore del colpo di Stato fascista, è suggestiva e rassicurante, ma falsa, e serve solo a confondere le idee, stendendo una cortina di nebbia sulle origini del terrorismo.

Da questo punto di vista, non è da escludere che una struttura paramilitare clandestina esistente, almeno formalmente, fino alla fine degli anni Sessanta (quella Vigilanza rivoluzionaria che entrò in azione nel luglio 1948 in occasione dell’attentato a Togliatti, abbia contribuito alla formazione dei Gap (Gruppi d’azione partigiana) di Feltrinelli, che s’innestavano anche su esperienze più limitate, come la Volante rossa). Sennonché la critica delle armi di Feltrinelli è ancora in fase di elaborazione, in quell’estate del 1969 segnata dalle bombe sui treni, che faranno 12 feriti. L’autunno, mentre si avviano a conclusione le lotte sindacali, è segnato dalla morte a Milano, nel corso di una manifestazione unitaria per la casa, dell’agente di polizia Antonio Annarumma. A questo proposito, va rammentato che il telegramma di Giuseppe Saragat, presidente della Repubblica, fu durissimo e parlò di “barbaro assassinio”. La sensazione, nel paese, fu intensa e cominciarono a crearsi le condizioni per la nascita, promossa anche dalla destra democristiana, di quella “maggioranza silenziosa” che sfilerà spesso nella Milano dei primi anni Settanta, “protetta” dai giovani neofascisti muniti di mazze da baseball. Ma già nel novembre 1969 s’intensificavano le aggressioni squadristiche a militanti della sinistra di classe.

Il 12 dicembre 1969, nel salone della Banca dell’Agricoltura in piazza Fontana a Milano, esplose un ordigno che provocò la morte immediata di tredici persone e 90 feriti, due dei quali morirono in seguito. Le indagini della polizia si orientarono subito su una pista anarchica, anche se il Sid (Servizio informazioni difesa) era a conoscenza dell’attività del gruppo neofascista al quale verrà attribuita, dopo molti processi, la responsabilità operativa della strage. Dopo piazza Fontana scattò la repressione contro la sinistra sindacale ed extraparlamentare: già nel gennaio 1970 saranno non meno di diecimila i denunciati per le manifestazioni dell’“autunno caldo”. I Gap di Feltrinelli entrarono allora in azione a Genova con lo scopo di infrangere la cappa di quell’atmosfera plumbea: era l’aprile 1970. La loro radio clandestina s’inserì sul tiggì nazionale delle 20.30, l’ora di maggiore ascolto, in molte zone della città. Il messaggio, accompagnato dalle note di Bandiera rossa, era esplicito: «Qui Gap, gruppi d’azione partigiana. Il fascismo è risorto, ricordiamoci del luglio 1960, prepariamoci a scendere in lotta. Sabato prossimo c’è una manifestazione fascista a Genova, impediamo questa provocazione simile a quella di Milano e di Roma».

Il comizio di Giorgio Almirante, cui faceva riferimento “radio Gap”, venne effettivamente contestato e nel corso degli scontri che ne derivarono venne mortalmente ferito il capo dei “volontari nazionali” del Msi di Genova, Bruno Venturini. Alle attività dei Gap – e del gruppo “XXII Ottobre”, sorto nel 1969 e a essi collegato – si devono anche alcune importanti iniziative della lotta armata comunista finalizzate all’autofinanziamento, dal rapimento di Sergio Gadolla, giovane appartenente a una famiglia di imprenditori (ottobre 1970), alla rapina all’Istituto case popolari (Iacp), nel corso della quale verrà ucciso il fattorino Alessandro Floris (marzo 1971). L’arresto della “banda Rossi” (dal nome del suo capo) e la morte violenta di Feltrinelli, nel marzo 1972, segneranno la fine della corrente neo-gappista, la quale resta tuttavia, all’insegna di una forte valorizzazione dell’antifascismo di classe (quello del giugno 1960, piuttosto che quello interclassista della Liberazione), la prima organica espressione della lotta armata comunista italiana degli anni Settanta.

Dopo aver inserito l’azione di Feltrinelli nel quadro storico, politico e ideologico a cui appartiene, da cui prende risalto ed entro cui diviene intelligibile, è possibile soffermarsi sulla sua personale biografia. Raccontata dal figlio Carlo con un misurato distacco e, nel contempo, con una partecipazione intensa, in un libro ricco di documenti editi e inediti, a mezza via tra memoria famigliare e ricostruzione storica dei “formidabili” anni Sessanta, la vita di questo editore acquista lungo le oltre quattrocento pagine di Senior Service (il titolo allude alla marca di sigarette preferita da Giangiacomo Feltrinelli) tutto il rilievo che le conferisce la singolare traiettoria umana, politica e ideale dell’erede di una famiglia di nobili e di grandi capitalisti, il quale diventa un militante rivoluzionario, segue (e talora, come si è visto, anticipa) il complesso percorso dei movimenti di liberazione che si sviluppano a livello nazionale e internazionale, e arriva a compiere, pagandone il prezzo con la sua morte, il passaggio dalle armi della critica alla critica delle armi.


* Nome di battaglia di Giangiacomo Feltrinelli.

Nota bibliografica
R. Del Carria, Proletari senza rivoluzione, Edizioni Oriente 1966
C. Feltrinelli, Senior Service, Feltrinelli 1999
G. Feltrinelli, Estate 1969, Feltrinelli 1969
G. Galli, Storia della Dc, Laterza 1978
P. Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi, Einaudi 1989
https://www.sinistrainrete.info/politica-italiana/28065-eros-barone-un-oggetto-di-speculazione-storiografica-le-brigate-rosse.html
Il Secolo XIX, 17 aprile 1970
A. Silj, «mai più senza fucile!». Alle origini dei NAP e delle BR, Vallecchi 1977
Sito della fondazione Cipriani < https://www.fondazionecipriani.it/home/ >
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