Perché la sinistra non è all’altezza dei problemi che deve affrontare?
di Guido Ortona
Osservazioni preliminari. L’autore di questa nota ha militato a sinistra per circa 60 anni; ed è stato ricercatore e poi professore di Politica Economica per più di 50. Scrivo questo perché le cose che leggerete potranno apparire banali, spero anzi che sia così; ma può essere utile sapere che queste banalità sono il risultato di decenni di pratica e di studio. Per “sinistra” intendo l’area a sinistra del PD, e una parte minoritaria di esso, la cui estensione non sono in grado di valutare.
1. Occorre affrontare i grandi problemi. La situazione politica generale in Italia (ma le considerazioni che faremo valgono anche per altri paesi) è grave e pericolosa, ma ha almeno un vantaggio: dovrebbe obbligare la sinistra a mettere al centro della propria proposta politica le grandi scelte, che invece preferisce trascurare, per vari motivi. Discutere di questi motivi e della loro importanza è il tema di questo articolo.
Le grandi scelte che non possono più essere eluse sono l’alternativa fra accettare le politiche europee o no, e quella fra tassare i ricchi o no. Chiamo queste alternative “grandi scelte” per questo: non è possibile proporre serie politiche di sinistra se non vengono affrontati questi nodi. Il motivo di ciò è che se non interviene con serie politiche di rottura su quei punti, allora mancheranno necessariamente le risorse per qualsiasi politica di sinistra di ampio respiro; il che renderebbe, e rende, impraticabile qualsiasi proposta di politiche economiche di sinistra che aspiri a incidere in modo significativo sulla nostra società.
L'Italia dovrà pagare (almeno) 10 miliardi all'anno per ridurre il disavanzo pubblico onde rispettare i vincoli europei sul rientro dal debito. Ma non basta: questa somma si aggiunge al normale servizio del debito, per un totale, a quanto pare, compreso fra 80 e 100 miliardi all’anno. Una parte, circa un quarto, ritorna come interessi sulla quota di debito detenuta dalla Banca d’Italia; ma per quanto riguarda l’attivazione sull’economia del nostro paese il resto è sostanzialmente buttato via - si tratta di almeno il 3% del PIL.
E’ evidente che se si accetta che il 3% del PIL (e quindi circa il 7% delle entrate fiscali) venga sottratto all’economia reale, diventa velleitario rivendicare più servizi sociali e più investimenti pubblici. Si possono trovare altrove risorse significative? A prima vista, si potrebbe intervenire sull’evasione fiscale, che ammonta a circa 90 miliardi all’anno; ma su questa ipotesi è bene essere chiari. E’ giusto combattere tale evasione, ma essa è costituita perlopiù dalla somma delle tasse non pagate da piccoli operatori (i grandi eludono il fisco più che evaderlo). Obbligarli a pagare avrebbe pesanti effetti di stagnazione e di inflazione; e sposterebbe risorse dai privati allo Stato, senza aggiungere risorse all’economia nazionale. Ciò che invece si può fare è tassare i ricchi. Tassare i loro redditi è difficile, perché possono decidere dove produrli e farli tassare lì. E’ però agevole tassare i loro patrimoni, in particolare la ricchezza finanziaria, e per loro sarebbe praticamente impossibile evadere o eludere l’imposta relativa. Dal momento che la loro ricchezza finanziaria è investita perlopiù in speculazioni a breve e la quota investita in investimenti reali viene investita ovunque nel mondo e quindi in misura molto limitata in Italia, i proventi di un’imposta patrimoniale a loro carico sono sostanzialmente risorse aggiuntive. E non di poco conto: un’imposta dell’1% sulla sola ricchezza finanziaria non in “nero” del solo 20% più ricco delle famiglie italiane renderebbe più di 40 miliardi.
2. Perché non si fa di più. Tassare i ricchi e opporsi al Bruxelles Consensus è quindi necessario. Però la sinistra non mette le corrispondenti lotte al centro del suo programma. In altri termini, su quei temi così importanti rifiuta il conflitto. Ma perché lo rifiuta? E’ utile a questo punto osservare che questa inadeguatezza della sinistra italiana nell’affrontare i “grandi problemi” non è qualcosa di originale né nel tempo né nello spazio. Ciò sta succedendo in buona parte dell’Europa; e storicamente è successo molto spesso nei momenti difficili, vedi il “né aderire né sabotare” del Partito Socialista che nel 1915 propiziò l’entrata in guerra o l’obbedienza del governo di Weimar ai diktat dei mercati finanziari nella crisi del 1929. In entrambi i casi le conseguenze sono state catastrofiche, a dimostrazione che non necessariamente la scelta che appare più logica è quella giusta.
In presenza di un comportamento diffuso, dobbiamo cercare una causa strutturale. La mia ipotesi è questa: non esiste uno strato di dirigenti politici che abbiano interesse a occuparsi seriamente dei grandi problemi. E questo, si badi, non per loro cattiveria o limitatezza (che naturalmente, ove presenti, e purtroppo lo sono molto spesso, aggravano comunque il problema), ma per una caratteristica fondamentale (e preziosa) di una democrazia, e cioè il fatto che la politica viene fatta da professionisti – tranne che al livello di base. Per usare la valida terminologia della mia passata professione di studioso delle scelte collettive, gli imprenditori politici non sono interessati a proporre la soluzione dei “grandi problemi”, perché a loro conviene fare proposte di livello più basso.
Cerco di chiarire. Ci sono tre tipi di militanti di sinistra (sto semplificando molto, ma ricordo che questa tripartizione è sostanzialmente quella proposta da Gramsci – p. 757 dell’Antologia curata da P. Spriano per gli Editori Riuniti).
Il primo tipo di militante sono i militanti di base, quelli che riempiono (giustamente) le piazze. Lo facciamo per il (giusto) sdegno nei confronti delle politiche di destra, e per la (giusta) esigenza di “fare qualcosa”. E’ evidente che non è a questo livello di militanza che si può chiedere che si formino proposte sui “grandi problemi”. Si può –e si deve- scendere in piazza per rivendicare l’estensione della Sanità Pubblica; ma sarebbe molto meglio scendere in piazza per rivendicare non solo questa estensione, ma anche dove si trovano i soldi, e questo richiede un’elaborazione che non nasce dalla piazza.
Il secondo tipo di militanti sono i militanti impegnati nelle istituzioni di governo locale, o in altri enti della società civile, come i sindacati ufficiali. Costoro devono tipicamente svolgere un lavoro quotidiano che richiede compromessi, come normale in politica. Devono quindi impegnare tutto il loro tempo e le loro capacità per ottenere il consenso di forze più moderate. In queste condizioni esporsi su un tema di livello nazionale di rottura e poco praticabile come una tassa sui patrimoni dei ricchi è non solo inutile ma dannoso, in quanto ostacola il raggiungimento dei compromessi che è giusto ricercare. Due sviluppi di ciò sono molto probabili, forse inevitabili. Un (per esempio) consigliere comunale aspira a incarichi ulteriori, al tempo stesso più prestigiosi e in cui potrà meglio perseguire gli obbiettivi politici che si propone, compito per il quale sa (o crede) di essere la persona adatta. Perché dovrebbe mettere a repentaglio tutto ciò polemizzando su questioni irrilevanti per la prassi politica? Di qui a ritenere che “le grandi questioni” sono poco rilevanti, roba da giovani o ingenui, e quindi a non pensarci, il passo è brevissimo. (Si noti che questo disinteresse per le grandi scelte non contrasta con l’impegnarsi sulle grandissime scelte, quelle su cui tutti sono d’accordo, come “la salvezza del pianeta”, e nemmeno con quelle di principio, come i diritti delle minoranze sessuali; anzi, lo richiede a dimostrazione di essere di sinistra). Quindi non è nemmeno a questo livello che si può chiedere che nascano i programmi sui “grandi problemi”, né che su di essi si organizzi la mobilitazione.
Infine ci sono i dirigenti nazionali. Costoro provengono (o dovrebbero provenire) dalla militanza, come è giusto perché un dirigente deve essere riconosciuto dai militanti di base (quel poco che c’è) come uno dei loro. Non avranno né il tempo né una storia politica che possa indurli a dedicare tempo ed energie alla elaborazione di un programma fatto di pochi punti essenziali (anche se a volte vengono proposti programmi di decine di punti, per ciò stesso privi di significato), cosa che richiede studio e applicazione (come non si stancava di ripetere Gramsci; e anche Lenin). E qui si crea un circolo vizioso: saranno indotti a promuovere quelle attività (come la protesta di piazza) che servono alla coesione e all’estensione del movimento e quei temi abbastanza generici e indiscutibili da consentire di evitare la necessità di elaborazioni specifiche (“l’Europa dei popoli” ma non “lotta per cambiare lo statuto della BCE”); e/o a privilegiare i temi dei diritti individuali, per i quali si lotta sul terreno del conflitto ideologico, rispetto a quelli che richiedono di scendere sul terreno del conflitto sociale (la battaglia –più che giusta- per i diritti delle minoranze sessuali invece anziché in aggiunta a quella per la redistribuzione); e infine a promuovere lotte difensive, di cui c’è molto bisogno in questi decenni di attacco ai diritti e che quindi favoriscono la mobilitazione, e danno per conseguenza l’illusione di essere sufficienti (“lottiamo contro la distruzione della Sanità Pubblica”; giustissimo, ma quanto sarebbe meglio se si avesse lo stesso livello di mobilitazione a favore di una proposta di riforma seria e praticabile del sistema sanitario, con l’indicazione di dove trovare i soldi). Nemmeno a questo livello è quindi da aspettarsi una elaborazione sufficiente. Se è comprensibile che i dirigenti nazionali trascurino i “grandi problemi”, non è però giustificabile. La responsabilità è loro. Anche in questo caso, come 110 anni fa, il comportamento più naturale non è quello giusto.
Parlando degli ultimi due livelli non ho considerato la corruzione, che pure è largamente diffusa, e certamente rende ancora più difficile la mobilitazione sui grandi problemi. L’ho fatto a ragion veduta, perché ciò che volevo suggerire è che gli esponenti di sinistra non riescono a essere all’altezza anche se non sono corrotti. Ma la realtà è più sfumata. Anche qui faccio una tripartizione: un dirigente politico può essere integerrimo, può essere corrotto e può essere una via di mezzo, vale a dire non lasciarsi corrompere ma al tempo stesso non mettere a repentaglio la propria carriera politica, cosa che richiede, come abbiamo visto, di non mettere al centro della propria militanza i “grandi problemi”. Ritengo che il dirigente di sinistra tipico rientri in quest’ultima categoria.
3. Conclusioni. Riassumendo fin qui: se la sinistra vuole praticare una lotta politica efficace non può più ignorare i grandi problemi; e tuttavia essi vengono ignorati. Vediamo tutti i giorni le gravi conseguenze di quanto sopra. I militanti di base sono disorientati; è diffusa la convinzione che sia normale non prendere posizione sui grandi temi, in effetti molti pensano che sia sbagliato occuparsene perché tanto non c’è nulla da fare; e infine si giustifica l’ignoranza (la si autogiustifica per i dirigenti) – “sono cose da economisti”.
Inoltre, ignorare i grandi problemi è probabilmente la causa principale della perdita di consenso elettorale a sinistra. Ci si può rallegrare per qualche vittoria in elezioni locali, ma gli strati sociali che dovrebbero essere il riferimento della sinistra a grande maggioranza si astengono (o votano a destra), e questo è grave e pericoloso. Se un elettore non vota, il motivo è ovviamente perché non vede proposte credibili all’altezza dei problemi che lo riguardano direttamente. Il messaggio che un elettore che si astiene manda alla classe politica è “tanto qualsiasi proposta facciate non cambia nulla”. E questo vuol dire che richiede che la sinistra faccia delle proposte che incidano sui problemi di fondo, e siano realistiche. Quell'elettore sa, per esempio, che è inutile chiedere più soldi per il sistema di welfare se non si dice dove trovarli. Sa anche che non si può continuare con le politiche di austerità imposte dall’Europa. E giustamente non si fida di una sinistra che invece non lo sa.
I dirigenti della sinistra non fanno insomma ciò che dovrebbero fare. Ne segue che oggi uno dei compiti principali, forse il principale, dei militanti di sinistra è premere sui propri dirigenti perché siano più responsabili. E’ un compito che spetta a tutti, ma soprattutto agli scienziati sociali di sinistra (una volta si sarebbe detto “agli intellettuali”), sia per le loro conoscenze, sia perché nonostante tutto godono ancora di un minimo di ascolto presso i politici, anche se sempre meno.
@mattia...
Nel tuo commento ,in parte condivisibile , c'è però una rimozione della realtà enorme (rimozione riscontrabile anche nell'articolo in commento) evidenziata nella citazione di sopra.
Questa finta sinistra,ovvero il PD ,che è ancora il partito più votato non dimentichiamolo,ha prodotto una sua egemonia culturale attraverso il neofemminismo,capace di mobilitare centinaia di migliaia di manifestanti contro la violenza di genere (Sic!) con il supporto entusiasta di Media,Governi, Establishment...Di tutta la classe dirigente.
Attenzione... questa è il sintomo più evidente dell'egemonia culturale che fa diventare senso comune l'ideologia delle nuove imprenditrici, manager,professioniste,docenti universitarie impegnate in una cordata sociale per l'integrazione nella nuova classe dirigente.
Per non svolgere il solito "teorema" , discorso astratto senza un minimo riferimento alla realtà dei fatti...Come quello dell'articolo in commento...propongo di prendere in considerazione l'esemplare attività della
Fondazione (ex?) Socialista Giacomo Brodolini , padre dello Statuto dei Lavoratori,del diritto al reintegro nel posto di lavoro ...art.18, pubblica quasi solo esclusivamente una rivista femminista "In Genere" ...tipicamente neofemminista ....che non si interessa delle lavoratrici licenziate da reintegrare o reintegrate (neanche per verificare quante siano ogni anno, se siano più o meno dei lavoratori... ad esempio),ma di censire le locuzioni politicamente scorrette sui giornali che promuoverebbero la violenza di genere...ed altre iniziative simili con erogazione di fondi per milioni di euro, proventi dall'UE.
La fondazione Brodolini promuove da oltre un decennio ormai la lotta di genere in luogo della lotta di classe per l'affermazione del diritto al reintegro di lavoratrici e lavoratori ,vittime di licenziamenti illegittimi.
Ovviamente la stessa fondazione riesce ad ignorare la giornata lavorativa legale di 13 ore ed oltre in vigore dal 2003 (dlgs 66)in Italia e dall'anno scorso in Grecia ...Ma promuove anche all'estero le politiche di genere...
Questo quadro è esemplare della sostituzione del Socialismo scientifico con l'ideologia irrazionalista antiscientifica degli studi di genere ovvero Neofemminismo , transfemminismo etc, elaborati nelle stesse università che hanno elaborato e promosso l'egemonia culturale dell'ideologia neoliberista.
Di fronte alle varie contingenze, dovrebbero essere presentate e discusse adeguate analisi scientifiche dei fatti, le possibili, specifiche grandi scelte, con relativa giustificazione; e in questo processo assumerebbero un particolare ruolo gli scienziati sociali, a cui Ortona fa riferimento, dato che certe conoscenze, oltre a richiedere una personale sensibilità, come direbbe Keynes, esigono spesso anche un paio di decenni di studi e riflessioni.
La sinistra a cui poi Ortona si indirizza, per quanto delineata in modo abbastanza suggestivo, resta sostanzialmente potenziale, per non volere o riuscire a incarnare i principi comportamentali motivatamente raccomandati, ovvero per neanche esistere al momento.
Dagli anni settanta, in modo esplicito, la classe dominante ha portato avanti in modo spietato una agenda neoliberale nazifascista e imperialistica e gran parte di quella che viene etichettata come sinistra ha aderito e promosso tale programma, perciò la diffusione di distrazioni e pseudometafisica sono state la norma.
Con la sinistra, o supposta tale, a svolgere un siffatto ruolo compressore di manipolazione, le narrazioni sono diventate la ripetizione univoca delle fake news e mistificazioni dei mediocri e noiosi propagandisti dei giornali e televisioni controllati dai dominanti.
Pertanto, un primo semplice passettino che potrebbe compiere chiunque è di sinistra, dovrebbe consistere nel perseguire un irrobustimento ideologico e di senso critico, così da non perdere tempo a dare troppa importanza alle mistificanti informazioni provenienti dai media dominanti.