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La scuola riparte da Gaza
di Marina Polacco
1. Una sublime opera di fantapolitica: l’Agenda 2030
1. Non so quanti conoscono al di fuori del mondo scolastico l’Agenda 2030. In realtà non si tratta di un documento pensato per la scuola, ma di una dichiarazione politica di intenti: presentata come “programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità”, sottoscritta il 25 settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri delle Nazioni Unite, e approvata dall’Assemblea Generale dell’ONU, l’Agenda 2030 è un capolavoro assoluto di fariseismo. Con impeccabile rigore indica diciassette obiettivi da realizzare entro il 2030, ovviamente sulla base dell’accordo e dell’azione condivisa di tutti i paesi firmatari: sconfiggere la povertà nel mondo; eliminare la fame; assicurare salute e benessere per tutti; garantire un’istruzione di qualità, equa e inclusiva; porre fine a ogni forma di discriminazione di genere; raggiungere la completa disponibilità e la gestione sostenibile dell’acqua e delle strutture igienico-sanitarie; sostenere una crescita economica duratura e sostenibile, un’occupazione piena e produttiva, un lavoro dignitoso per tutti; rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili; garantire modelli sostenibili di produzione e di consumo; adottare misure urgenti per combattere il cambiamento climatico e le sue conseguenze, promuovere società pacifiche e inclusive. Chi potrebbe avere qualcosa da ridire su un simile programma? Peccato che tutte le affermazioni siano completamente de-materializzate, avulse da qualsiasi contestualizzazione socio-politica ed economica, affidate genericamente al potenziamento di “buone pratiche” e di “spirito di resilienza”, prive di ogni riferimento ai dati di realtà (se non le statistiche che fotografano la situazione oggettiva di partenza), e quasi sempre in netta controtendenza rispetto alle reali politiche europee e internazionali. In definitiva, condividono lo stesso statuto immaginifico-fantastico delle letterine di buoni propositi indirizzate al bambino Gesù la sera di Natale. Eppure, per quanto del tutto estranea al piano della politica fattuale, l’Agenda 2030 è stata diffusamente adottata come punto di riferimento da scuole (e in seconda battuta da molte Università) per promuovere progetti di greenwashing e attività in linea con i diciassette obiettivi proposti.
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Sharm el-Sheikh. C'è una soluzione?
di David Bidussa
Ho molti dubbi sulla possibilità di dare forma definitiva e condivisa alla carta geografica e politica del Medio Oriente a partire dal testo degli accordi firmati a Sharm el-Sheikh lunedì 13 ottobre. Ovvero: da una parte dare una soluzione statuale a chi è senza Stato da più di settant’anni, dall’altra stabilizzare la linea di confine dello Stato di Israele.
Sono quattro i punti su cui propongo di riflettere, anticipati da una premessa – che riguarda quel che non ricordiamo – e seguiti da un breve postscriptum – che riguarda le questioni evitate da noi “spettatori”. Il primo punto riguarda l’assenza di un rappresentante diretto dei palestinesi nel documento firmato lunedì 13 ottobre; il secondo cosa significa sancire un dopoguerra garantito da un sistema di controllo internazionale; il terzo punto riguarda il fatto che qualsiasi nazione moderna nasce, anche, da una dimensione di lotta interna tra progetti politici distinti, quindi non solo liberazione dall’occupante ma anche confronto tra più ipotesi circa il “dopo”; il quarto punto, infine, riguarda la necessità di una condizione culturale che consenta di pensare il domani (e che a me pare inesistente).
Premessa
Saramago scrive che le persone “sono essenzialmente il passato che hanno avuto” per cui “noi avanziamo nel tempo come avanza un’inondazione: l’acqua ha dietro di sé l’acqua, è questo il motivo per cui si muove, ed è questo che la muove” [Quaderni di Lanzarote, Feltrinelli]. Per costruire un futuro, dunque, non è sufficiente immaginarlo, è necessario prendere in carico il presente e gli attori in campo, che sono il presente in forza di ciò che hanno dietro, il passato che hanno avuto. Ma vi è un altro elemento, e cioè che esiste anche chi si è mosso in direzione contraria – non senza incertezze, doppiezze, e contraddizioni –, eliminato dalla scena pubblica non dal nemico, ma da quella parte «dei suoi» che non erano d’accordo: coloro che un qualsiasi processo di pace non lo volevano o lo avvertivano (e ancora lo avvertono) come una «ostacolo» al loro sogno.
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Lettera aperta al giornale il manifesto: niente di personale!
di Michele Castaldo
Da vecchio militante comunista, a fine agosto 2025, mi ero rivolto al quotidiano il manifesto - che conserva ancora, anche se in caratteri infinitesimali, sul titolo, la scritta quotidiano comunista – per poter postare a pagamento la copertina del mio libro La crisi di una teoria rivoluzionaria. Mi fu chiesto di visionare il libro, cosa che feci portandolo nella sede romana di via Bargoni 8, dove lo lasciai in attesa di conoscere l’esito. Ero interessato a pubblicare lo spot per il 28 settembre 2025, perché compivo 80 anni, che si compiono una volta sola, se si compiono.
Dopo giorni di silenzio mi premunii di telefonare, parlando con la signora Caterina, con la quale ero entrato in contatto fin dalla prima telefonata, e mi fu risposto che avrei dovuto pazientare ancora qualche giorno. Ma di giorni ne passarono ancora e non ebbi mai risposta. Spazientito, nonché offeso, ma mai arreso, mi diedi da fare.
Ricordandomi del proverbio che ripeteva spesso mia mamma, comunista: «se pensi di suicidarti, vai al mare, perché nelle pozzanghere ti sporchi e non muori », lunedì 22 settembre telefonai al Corriere della sera per chiedere di pubblicare lo spot del libro di cui sopra. Mi fu chiesto il prezzo, gli inviai tramite l’editore l’impostazione grafica, feci il bonifico il 25 settembre e il giorno 28 settembre, come convenuto, comparì un piede nella pagina della Cultura, del più importante quotidiano italiano, lo spot de La crisi di una teoria rivoluzionaria.
Su suggerimento del mio sodale Alessio Galluppi, avevo fatto la stessa richiesta a Il Fatto quotidiano in contemporanea al il manifesto e anche a loro avevo consegnato il libro perché si rendessero conto del contenuto. Ma anche da Il Fatto ci fu silenzio. Poi, però, dopo che era stato pubblicato sul Corriere della sera mi telefonò il responsabile di Roma per chiedermi se volessi ancora pubblicare lo spot del libro. Mi chiesero il prezzo per una intera pagina, gli spedii tramite l’editore l’impostazione grafica, feci il bonifico e domenica 19 ottobre è comparso a tutta pagina anche su Il Fatto quotidiano lo spot de La crisi di una teoria rivoluzionaria.
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Chi paga il “miracolo economico” (che poi è la solita austerità) del Governo Meloni
di Alessandro Volpi, da Altreconomia
Il prelievo fiscale è salito dal 2024 al 2025 dal 41,4% al 42,6% del Pil, toccando un picco da record a danno di milioni di contribuenti con redditi medio bassi, e non certo per via del contributo di banche, detentori di rendite finanziarie o successioni dei super ricchi. Mentre manca ancora un reale sistema di indicizzazione delle retribuzioni al costo della vita. Confindustria e sistema bancario ringraziano. L’analisi di Alessandro Volpi.
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti mostrano grande soddisfazione per lo stato dei conti pubblici che hanno ripristinato l’avanzo primario (in sintesi più entrate rispetto alle spese, al netto degli interessi sul debito). Ma questo “miracolo” -che in parole più chiare si chiama austerità- chi lo paga?
La risposta è semplice: chi paga le tasse. I numeri lo dicono con chiarezza: il prelievo fiscale è salito dal 2024 al 2025 dal 41,4% al 42,6% del Prodotto interno lordo (Pil), un livello record che è dipeso non certo dall’aumento della pressione sulle banche, sulle rendite finanziarie o sulle tasse di successione dei super ricchi, ma da un vero e proprio “furto” ai danni di milioni di contribuenti con redditi medio bassi.
Infatti, l’aumento dell’inflazione registrato negli ultimi anni ha gonfiato il valore nominale delle retribuzioni e delle pensioni delle lavoratrici e dei lavoratori che, spesso, ha generato il loro passaggio a un’aliquota superiore con maggiore prelievo fiscale non certo giustificato da un aumento di reddito reale, del tutto assente.
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Una manovra da poco
di coniarerivolta
Non si possono servire due padroni, dicono i cristiani, perché l’amore per l’uno ci porterebbe a odiare l’altro. Perché i due padroni vogliono cose inconciliabili tra loro.
Il Governo Meloni ha trovato un modo davvero singolare di rispettare il precetto evangelico: non si possono servire due padroni, quindi ne serve tre, e lo scrive a chiare lettere nel Documento programmatico di bilancio (DPB) inviato alla Commissione europea lo scorso 14 ottobre. Il miracolo, è proprio il caso di dirlo, ha una sua logica: i tre padroni in questione vogliono cose che si conciliano perfettamente tra loro, guerra, austerità e profitto.
Il padrone americano chiede soldi per il riarmo, per alimentare quella guerra permanente che serve a puntellare il suo progetto imperialista. Il padrone europeo chiede tagli alla spesa pubblica, per continuare a traghettare il vecchio continente dal modello sociale europeo a una moderna economia capitalistica orientata al profitto. Il padrone italiano, vaso di terracotta costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro, si accontenta delle briciole, strappandole ai settori sociali più vulnerabili ed esposti all’inflazione.
I documenti di finanza pubblica adottati dal Governo Meloni sono interessanti da decifrare perché contengono questa equazione miracolosa che tiene insieme una prospettiva di aumento della spesa militare, in ossequio ai padroni americani, il rispetto dei vincoli di bilancio europeo, in ossequio alle élite di Bruxelles, e qualche mancia per i padroncini italiani, perché le elezioni politiche si avvicinano.
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Gheddafi, Africa e dignità
di Matteo Parini
“L’Africa è stato un continente colonizzato, isolato, oltraggiato. Trattato come una terra abitata da animali, poi utilizzato come serbatoio per la tratta degli schiavi. E dopo tutto questo, ridotto a una rete di colonie sotto mandato straniero.”
Il virgolettato è tratto dal discorso pronunciato da Muammar Gheddafi il 23 settembre 2009, alla 64ª sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York, discorso che oggi torna alla memoria nel giorno in cui ricorre il quattordicesimo anniversario della sua morte. Una denuncia planetaria dell’ingiustizia nel mondo e della sofferenza dei popoli a causa delle guerre, della colonizzazione e dell’imperialismo, cifra stilistica dell’impero statunitense e dei suoi accoliti. L’invocazione di un nuovo ordine mondiale, finalmente basato su uguaglianza e giustizia per tutti i Paesi, in particolare per quelli africani, relegati alla schiavitù da troppo tempo.
Anche per questo, gli araldi della sedicente comunità internazionale, la minoranza suprematista occidentale, lo etichettavano come “dittatore”, al pari di tutti quelli che non sono in grado di comprare, semplicemente perché non in vendita. Non gli perdonavano l’affronto di aver edificato, nel continente africano — per solito oggetto di rapina e scorribande da parte dell’uomo bianco — uno Stato sovrano, laico e indipendente: uno Stato africano per gli africani, con la schiena dritta, capace di gestire sé stesso e le proprie ricchezze. Non gli perdonavano, altresì, di aver costruito un modello di società socialista impegnata a non lasciare indietro nessuno, traino e stella polare di ogni popolo in lotta per l’autodeterminazione.
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CUBA. Con Lenin all’Avana, le sfide globali della sinistra
di Geraldina Colotti
Con la sua presenza discreta, ma attenta, il presidente di Cuba, Miguel Díaz Canel, ha accompagnato le giornate del Terzo incontro internazionale di pubblicazioni teoriche di partiti e movimenti di sinistra (el Tercer Encuentro Internacional de Publicaciones Teóricas de Partidos y Movimientos de Izquierda). Un appuntamento periodico che ha riunito quest’anno oltre 100 delegati di 36 nazioni, e che ha avuto al centro una straordinaria manifestazione di sostegno al socialismo bolivariano e al suo presidente legittimo, Nicolas Maduro.
L’incontro si è svolto nell’Università del Partito comunista di Cuba, intestata a Ñico López, figura storica del Movimento 26 di luglio, che ha lottato contro il regime del dittatore Fulgencio Batista, sotto la guida di Fidel Castro. Una università dedicata alla formazione di quadri politici e dirigenti del partito, e che mira a promuovere e a rafforzare la teoria e la pratica del socialismo a Cuba, preparandone i futuri dirigenti.
Con che spirito e metodo si dà la loro preparazione lo si poteva notare vedendoli trasportare casse di vettovaglie o documenti. Per questo, l’omaggio finale a Lenin e alle speranze mai concluse della rivoluzione bolscevica sulle note dell’Internazionale hanno riempito la sala di un’emozione profonda che, in Europa, le masse sono abituate a provare solo durante il tifo da stadio: o a riscoprire durante le grandi manifestazioni che ricominciano denunciare i propri governi a seguito del genocidio in Palestina.
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La guerra è la pace
di Giorgio Agamben
Fra gli orrori della guerra che vengono spesso dimenticati è il suo sopravvivere in tempo di pace attraverso le sue trasformazioni industriali. È noto – ma lo si dimentica – che i fili spinati con cui molti ancora recingono i loro campi e le loro proprietà provengono dalle trincee della prima guerra mondiale e sono macchiati del sangue di innumerevoli soldati morti; è noto – ma lo si dimentica – che i gommoni che affollano le nostre spiagge sono stati inventati per lo sbarco delle truppe in Normandia nella seconda guerra mondiale; è noto – ma lo si dimentica – che i diserbanti in uso nell’agricoltura derivano da quelli usati dagli americani per deforestare il Vietnam; e, ultima conseguenza e di tutte peggiore, le centrali nucleari con le loro indistruggibili scorie sono la trasformazione “pacifica” delle bombe atomiche. Ed è bene ricordare, come Simone Weil aveva compreso, che la guerra esterna è sempre anche una guerra civile, che la politica estera è, in verità, una politica interna.
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C’è una sola strada: la lotta per il socialismo
di Carlo Lucchesi
Ecco cosa accade nella nostra parte di mondo. Prima l’Ucraina. I neocon USA, la NATO e, in coda, l’U.E., hanno messo nel mirino la Russia con l’obiettivo di destabilizzarla, farla deflagrare e spartirsi le ricchissime spoglie. L’Ucraina è stata scelta allo scopo. In sequenza: colpo di stato, dichiarazione d’ingresso nella NATO, guerra, rifiuto di riconoscere le ragioni di sicurezza della Russia, sabotaggio dei tentativi di Trump di trovare un compromesso. Persa la guerra, non potendo passare allo scontro frontale data la superiorità nucleare e missilistica della Russia e temendo le reazioni popolari che seguirebbero una simile scelta, si lavora per aprire un altro fronte nella speranza di provocare quel logoramento di cui l’Ucraina e la NATO non sono stati capaci. Non basta. Si inventa un inimmaginabile pericolo di aggressione da parte della Russia per giustificare la moltiplicazione delle spese militari, portare a compimento la privatizzazione dei servizi pubblici a vantaggio dei centri finanziari, ridurre gli spazi di democrazia e irrobustire le forme di controllo sociale. Un disegno agghiacciante che la quasi totalità dei media, oramai a servizio di quelli stessi poteri che hanno inscenato lo spettacolo, si è affrettata ad abbracciare senza vergogna.
Poi il Medio Oriente. Israele programma il genocidio dei palestinesi, Israele e gli USA lo attuano, l’Europa per un bel po’ fa finta di nulla, poi balbetta qualche critica ma si guarda bene da mettersi di traverso sul serio. Intanto Israele compie azioni di guerra e terroristiche quando vuole e contro chi vuole, sempre nel silenzio quando non col plauso dell’Occidente. Taccio su quella specie di accordo imposto da Trump. Comunque non sposta di una virgola il giudizio su quello che è stato.
Ce ne sarebbe abbastanza, ma se inseriamo questi avvenimenti nel bilancio dell’ultimo cinquantennio è impossibile non trarre conclusioni definitive.
Le contraddizioni del capitalismo sono arrivate a un livello insostenibile per gran parte dell’umanità. La guerra ne è una componente intrinseca, è una necessità ineliminabile per la sua sopravvivenza. La violenza, anche la più disumana, quando viene dal nostro mondo, è essa stessa diritto indiscutibile, sacrosanto perché contrasta il male che è tutto e solo dall’altra parte.
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Giuliano Da Empoli e l’Intelligenza Autoritaria
di Lelio Demichelis
Guardare il potere da dentro o da vicino, osservare i suoi uomini (molti) e donne (poche) con lo sguardo dell’osservatore-sociologo e quindi con il dovere di un pensiero critico che ne metta in luce soprattutto atteggiamenti, paranoie, meschinità, egocentrismi, narcisismi, spregiudicatezza, volontà di onnipotenza, vanità, predazione e corruzione, irresponsabilità e immoralità, sfruttamento e doppio standard.
Una storia antica – pensiamo solo ai Borgia e a Machiavelli e al suo Principe – che arriva infine a oggi, con il trionfo di algoritmi e intelligenza artificiale e al potere delle macchine che imparano da sole e a una società amministrata e automatizzata dalle macchine, cioè totalitaria e senza più libertà soprattutto cognitiva (la libertà di pensare con una intelligenza naturale da potenziare invece di delegare tutto all’IA) come temeva la prima Scuola di Francoforte e con gli uomini ridotti a imparare solo quali pulsanti premere rispondendo ai comandi dei dispositivi tecnici (ultima forma del potere); finendo con gli oligarchi/oligopolisti della tecnologia che stanno spazzando via la vecchia classe politica e le vecchie élite, cieche come talpe davanti al nuovo potere della tecnica, ma la tecnica avendo anche la loro correità (e la nostra) come feticisti dell’innovazione per l’innovazione e per lo sviluppo sempre e comunque delle forze produttive, la tecnica (soprattutto quella digitale) vista come forza di emancipazione e di liberazione quando è vero il contrario.
E dunque, quale potere? Quello dei predatori, come li definisce Giuliano da Empoli – saggista e consigliere politico che vive a Parigi e che insegna a Sciences Po – in questo suo breve ma importante saggio (L’ora dei predatori, Einaudi Stile libero, pag. 123, € 14.00), scritto con uno stile narrativo che prende e chiama il lettore a capire in che mondo i predatori e i Borgiani eredi di Cesare Borgia (ma “i signori del digitale sono Borgiani a tutti gli effetti”) lo stanno portando, fin qui a sua insaputa: un saggio (una analisi del Nuovo potere mondiale visto da vicino, come da sottotitolo) che “conquista come un romanzo o una tragedia greca”, come ha sintetizzato Le Monde, ma che è anche, per noi, un potentissimo e splendido saggio di filosofia politica.
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La resa energetica dell'Europa: perché il bando al gas russo è una condanna senza appello
di La Redazione de l'AntiDiplomatico
Bruxelles celebra il bando definitivo, ma le imprese chiudono. Il paradosso di un'Europa che, per colpire Mosca, affossa la propria economia a beneficio esclusivo degli USA
L'Europa ha deciso di infliggersi una ferita profonda, votando per un suicidio energetico i cui costi sono già drammaticamente visibili e destinati a crescere. Il via libera del Consiglio UE a un regolamento che sancisce il bando totale delle importazioni di gas russo – sia via gasdotto che GNL – entro il 1° gennaio 2028, rappresenta l'atto conclusivo di una strategia autolesionista dettata più dalle pressioni atlantiche che da una razionale valutazione del proprio interesse nazionale.
Il percorso è scandito: stop ai nuovi contratti dal 2026, fine dei contratti a breve termine entro giugno dello stesso anno, e addio definitivo a tutto, compresi i contratti a lungo termine, dal 2028. Una scelta presentata come un'arma per privare il Cremlino di risorse, ma che in realtà è un boomerang che sta paralizzando la competitività industriale del Vecchio Continente. La Germania – caso paradigmatico - un tempo locomotiva d'Europa, assiste a una lenta e inesorabile deindustrializzazione, mentre i costi dell'energia alle stelle strangolano imprese e cittadini.
Il paradosso è stridente. Fino a poco tempo fa, la Russia copriva circa il 40% del fabbisogno di gas europeo, un flusso affidabile e a basso costo garantito da infrastrutture come i gasdotti Nord Stream, fortemente voluti dalla Germania nell'interesse della prosperità europea.
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Morale, impero e la forma silenziosa della guerra
di Pasquale Pas Liguori
A poco più di due anni dal 7 ottobre, si parla di tregua. Non cadono bombe, si dice, ma i confini restano chiusi, l’assedio continua e il furto della terra e delle vite non conosce interruzioni. L’assenza momentanea di bombardamenti non è affatto pace, è la forma silenziosa della guerra: la prosecuzione dell’ordine coloniale con altri mezzi.
Nel linguaggio del potere, la tregua è il meccanismo che consente di preservare la violenza mentre la si nega, il momento in cui l’impero sospende la distruzione per riaffermare la propria capacità di gestirla. È, in sostanza, una pace amministrata, in cui la brutalità diventa compatibile con la normalità.
Questo tempo sospeso non è soltanto politico: è, prima di tutto, morale. È il tempo in cui si riorganizza la coscienza occidentale, che negli ultimi mesi si è esercitata nella contrizione, nei cortei e nei balconi, nelle bandiere e negli slogan di solidarietà. Un moto collettivo apparso come risveglio ma rivelatosi, a conti fatti - come si era paventato, non senza attirare polemiche - un gesto di purificazione. Non la nascita di un nuovo pensiero politico, ma un rito di espiazione collettiva: il tentativo di liberarsi dal senso di colpa, non di tradurlo in progetto di trasformazione.
Vale allora la pena rianalizzare uno dei fondamenti politici più imprescindibili e oggi più adulterati: il valore insostituibile della resistenza. È un concetto che la morale pubblica ha svuotato di ogni significato storico e che i media e la cultura liberal hanno trasformato in un reperto linguistico da addomesticare e neutralizzare. La resistenza, da categoria politica, è stata ridotta a categoria morale; da pratica di liberazione a problema di “equilibrio”.
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Baricco e gli altri
di Tiziano Tussi
Sul sito de la Repubblica si possono trovare sia un articolo scritto da Alessandro Baricco e un elenco di reazioni a quanto da lui elaborato su una questione che si può riassume, grazie appunto a Baricco, in un solo termine: Gaza.
Il pensiero guida centrale del suo dire, che ha procurato molto scalpore e reazioni da parte di un gruppo di intellettuali, intervenuti nella questione sollevata da Baricco, e che il quotidiano la Repubblica ha elencato sul suo sito, è che i ragazzi che sono scesi in piazza per Gaza hanno dato un addio al Novecento, secolo oramai stantio e pregno di tragedie e disperazione. Il loro muoversi, dice Baricco, dimostra la lontananza da quel secolo e la divisione tra Novecento e Duemila sta in una insanabile rottura che i giovani hanno costruito e con le loro manifestazioni l'hanno resa evidente. Una lontananza che si coglie con il loro stare sulla "falda" che divide quel secolo dall'attuale. Tutto il marciume accumulato nel primo e una bellezza contemporanea ma, soprattutto, nel futuro in questo attuale.
Certo è che la guerra in Ucraina e quella tra "Hamas e Israele" sono la zampata finale del secolo morente. Sono rimasugli del Novecento che fanno fatica a scomparire del tutto lasciando sul terreno, soprattutto Gaza, così come è ora, che nella sua enormità illustra il nuovo secolo, quello per cui si deve dimostrare e pretendere che in futuro non si sia più una tragedia novecentesca così come "il culto dei confini, la centralità delle armi, e degli eserciti, la religione del nazionalismo" impongono.
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Normalizzare il genocidio: quello di Gaza e quello dell’Europa
di Carlos X. Blanco
Il mondo sta precipitando nell’abisso. Tutti i demoni sono stati scatenati e, da quello stesso abisso infernale, emergono fuoco e morte: saranno come talpe meccaniche sempre più grandi che scavano, finché l’oscurità che segue sempre il calore rosso della guerra non riempirà il globo.
C’è una macchia di fuoco e cenere in Medio Oriente, che si estenderà all’Europa, ai Caraibi, all’Estremo Oriente… Come residente in Europa, sono cresciuto con la solita domanda nelle lezioni di storia al liceo: il tedesco medio era a conoscenza dell’orrore dei campi di sterminio? Rimase in silenzio e acconsentì? C’erano voci, supposizioni, dati – anche se confusi – sulla Grande Vergogna?
Oggi, non solo il tedesco medio, ma anche l’europeo o l’occidentale medio, non hanno più bisogno di porsi queste domande di fronte al genocidio degli abitanti di Gaza? Morte, distruzione, la riduzione di intere città in macerie e cenere sono fatti sotto i nostri occhi. Il nazismo non nasconde nemmeno i suoi orrori, come si potrebbe dire dello Stato nazionalsocialista con il suo intero apparato di censura e indottrinamento. Sebbene oltre l’80% della stampa occidentale odierna sia comprata e prostituita dal nazismo, l’orrore di Gaza è “disponibile” al pubblico che vuole vederlo. L’orrore del XXI secolo, a differenza di quello del secolo precedente, risiede nel fatto che si tratta di un orrore trasmesso in televisione, ritwittato, condiviso e viralizzato fino allo sfinimento.
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Di piazze piene a milioni e di carogne, canaglie e cialtroni…
di Carlo Modesti Pauer
Un cattolico dice a un sedicente ateo: “In te vedo comportamenti cristiani…” E il sedicente ateo: “Ma io mica ero nato al tempo di Cristo!”
“Il fascismo è contro la democrazia che ragguaglia il popolo al maggior numero abbassandolo al livello dei più; ma è la forma più schietta di democrazia se il popolo è concepito, come dev’essere, qualitativamente e non quantitativamente, come l’idea più potente perché più morale, più coerente, più vera, che nel popolo si attua quale coscienza e volontà di pochi, anzi di Uno, e quale ideale tende ad attuarsi nella coscienza e volontà di tutti.” (Enciclopedia Italiana, Treccani 1932, voce Fascismo).
In questo breve estratto si può trovare espressa la quintessenza dell’operazione fascista: un rovesciamento della nozione di democrazia. Non più la regola della maggioranza, bensì la concentrazione dell’Idea nel Capo. È un passo intriso di hegelismo filtrato dalle teorie di Gentile, il filosofo al servizio del Dittatore e autore della voce. Vi emerge la fenomenologia del popolo come Spirito oggettivo e dello Stato come Idea morale che si realizza attraverso la mediazione di un soggetto unico, all’interno di un quadro para-teologico in cui prende forma, allo scopo di conferire l’autorità assoluta, un legame mistico tra il Duce e gli imperatori Augusto e Costantino. Infatti, è esemplare come nel catalogo della “Mostra augustea della romanità” (Roma 1937), si leggeva dell’arco di trionfo costantiniano “eretto per celebrare la vittoria su Massenzio del 28 ottobre 312 che segnò l’avvento della Cristianità […] riportata presso quello stesso ponte Milvio, che il 28 ottobre 1922 le Camicie Nere varcarono, iniziando l’Era dei Fasci”.
Dunque, non si tratta solo di retorica propagandistica: questa formulazione afferma una vera metafisica politica, in cui la democrazia “reale” (quantitativa, misurata da libere elezioni) viene bollata come degrado, mentre la qualità “spirituale” è naturale prerogativa di pochi, o meglio, di uno solo. In questo modo, appare decisamente configurato e tracciato il carattere messianico dei fascismi storici: il Capo (duce o fuhrer) come incarnazione della volontà collettiva.
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Palestina: dall'abisso dell'oblio alla vetta del mondo
di Nicola Casale
La pace sottoscritta in pompa magna a Sharm el Sheik non risolve alcuno dei problemi di stabilità dell’Asia Occidentale, ma fonda le premesse per nuovi devastanti sconvolgimenti. (1)
Per esaminare i possibili sviluppi è necessario, tuttavia, ricostruire come ci si è arrivati.
Il Diluvio di Al Aqsa è stata un’operazione militare dettata dall’urgenza di incrinare il totale abbandono dei palestinesi nelle mani di Israele, cresciuto nei decenni precedenti e a cui l’imminente conclusione degli Accordi di Abramo stava per imprimere la definitiva sanzione. Gli obiettivi politici dell’operazione erano: dimostrare che la resistenza palestinese è viva e forte, che Israele non è invincibile, che la prigione oppressiva di Gaza poteva essere scardinata. Quello immediato era la presa di ostaggi da scambiare con gli ostaggi palestinesi nelle carceri israeliane.
Il successo dell’operazione, come noto, è stato clamoroso. La leggendaria deterrenza di Israele, il mito della sua schiacciante potenza militare, nonché la presunta capacità di controllo e sorveglianza totale, frutto della sua celebrata superiorità tecnologica, sono state sbriciolate. Il panico ha colpito la società israeliana a tutti i livelli, e analogo panico si è diffuso in tutti i governi occidentali per conto dei quali Israele fa il lavoro sporco nella regione.
La superiorità di Israele sotto ogni punto di vista, soprattutto militare, andava immediatamente ripristinata. Essa, infatti, è decisiva sia per Israele nei confronti dei palestinesi sia per i suoi sponsor per conservare il dominio incontrastato sull’Asia Occidentale, snodo geopolitico fondamentale, cornucopia di risorse energetiche e di rendite finanziarie indispensabili per l’economia, la finanza e gli stati imperialisti.
Un’impressionante campagna politica e mediatica ha immediatamente invaso tutto il mondo. Con essa si negava che il 7 ottobre fosse stato un atto di resistenza di un popolo sottomesso all’occupazione di una potenza estranea, ma che si fosse trattato di un pogrom con l’unico intento anti-semita di sterminare gli israeliani in quanto ebrei.
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Alcune osservazioni in margine ai saggi di Thanasis Spanidis sulla politica antifascista e sulla pianificazione socialista
di Eros Barone
… un nuovo, più profondo e più ampio senso di comunanza umana, che determina… ciò che può oramai dirsi l’etica del socialismo: cioè il postulato della solidarietà contrapposto all’assioma della concorrenza.
Antonio Labriola, Da un secolo all’altro, in Scritti varii di filosofia e politica, Laterza, Bari 1906, p. 458.
L’autore del contributo che qui viene proposto ritiene che la genesi della svolta opportunista del movimento comunista mondiale sia da ricercare: a) nel VII Congresso dell'Internazionale Comunista (1935); b) segnatamente, nella concezione bifronte del "partito operaio comune" e della democrazia antimonopolista (DAM), laddove l'uno è strettamente connesso all'altra ed entrambi sono correlativi a una strategia antimonopolista (SAM); c) nel conseguente abbandono della teoria marxista dello Stato come dittatura di classe. 1 Certamente, il VI Congresso dell’Internazionale Comunista (1928) merita, per il suo contenuto teorico, strategico e programmatico, di essere rivalutato rispetto al contenuto tattico-politico del VII Congresso dell’Internazionale Comunista, distorto successivamente sia dal punto di vista strategico che teorico a causa della prassi opportunista. 2 È quindi del tutto conseguente il drastico giudizio formulato da Thanasis Spanidis il quale, pur senza trascurare taluni aspetti positivi in esso presenti, ravvisa essenzialmente nel VII Congresso l’atto di nascita del revisionismo che via via si affermerà nel movimento comunista mondiale e, in particolare, nel movimento comunista europeo. Tale giudizio sottolinea gli aspetti semi-opportunisti presenti nel discorso di Dimitrov e il tacito consenso di Stalin a un'impostazione che, ribaltando la direttrice rivoluzionaria del VI Congresso, rischiava di essere ambigua, come i fatti dimostreranno nel prosieguo delle vicende.
Del resto, anche per l'opportunismo e il revisionismo vi è sempre un inizio: come il virus infetta il corpo, così la ruggine logora il ferro. Sicuramente, il nodo non sciolto dal movimento comunista era, allora come oggi, quello del rapporto multilaterale, fatto di sovrapposizioni e di intrecci, fra guerra interimperialista e guerra di liberazione nazionale, così come tra democrazia borghese e fascistizzazione.
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Il terzo ladro: dalla cattura della scienza allo svuotamento della democrazia
di Il Chimico Scettico
Catturare la scienza: mascherare da "fondate sulla scienza" istanze politiche, con titolati di discipline tecniche e scientifiche che supportano il processo. È quella Scienza "terzo ladro" nella visione di Isabelle Stengers.
Si tratta forse dello strumento più sfacciato attraverso cui il potere politico contemporaneo sottrae le proprie decisioni al vaglio della legittimità democratica. Non si tratta di un processo casuale o spontaneo, ma di una strategia deliberata che trasforma la conoscenza scientifica da strumento di comprensione del mondo in simulacro e arma di legittimazione politica.
Il meccanismo funziona attraverso una selezione strategica: si identificano gli studi, gli esperti e le ricerche che supportano l'agenda politica desiderata, trasformando risultati spesso incerti e dibattuti in "verità scientifiche" indiscutibili. Questa operazione non richiede necessariamente la falsificazione dei dati, ma piuttosto una loro presentazione selettiva e una amplificazione mediatica mirata.
L'esempio più recente di questo processo lo troviamo nelle politiche europee degli ultimissimi anni. Il Green Deal è stato presentato come una necessità scientifica incontestabile, con l'urgenza climatica utilizzata per giustificare trasformazioni economiche e sociali radicali. Tuttavia, quando le priorità politiche sono cambiate con l'evolversi del contesto geopolitico, la stessa urgenza scientifica è diventata improvvisamente negoziabile.
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“Amato Popolo”: la sintonia da ricostruire
di Gerardo Lisco
Recensione al saggio di Antonio Cantaro, Amato Popolo. Il sacro che manca da Pasolini alla crisi della democrazia, Bordeaux Edizioni in libreria dal 3 novembre
1. Introduzione: un saggio “eretico” sul popolo e sulla democrazia
Il saggio di Antonio Cantaro, professore di Diritto costituzionale presso l’Università di Urbino “Carlo Bo”, ruota intorno al concetto di Popolo, categoria cardine della riflessione politico-giuridica e, al tempo stesso, concetto oggi spesso svuotato o ridotto a etichetta del “populismo”.
Il pregio del volume di Cantaro è di andare oltre questa semplificazione, restituendo al termine Popolo una profondità storica, culturale e simbolica che lo colloca al centro della crisi della democrazia contemporanea.
Come precisa lo stesso autore, Amato Popolo nasce dal suo “retrobottega”: una raccolta di interventi, relazioni e appunti nati per diverse occasioni ma accomunati da un filo rosso coerente. Cantaro li definisce “prove d’autore”, ma in realtà si tratta di veri e propri “scritti eretici”. Eretici non solo per i riferimenti a Leopardi, Gramsci e Pasolini — pensatori marginalizzati o reinterpretati in chiave funzionale al sistema — ma perché si sottraggono al conformismo del pensiero critico dominante.
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Tempi interessanti
di Miguel Martinez
“Ti auguro di vivere in tempi interessanti…”
E in effetti, noi stiamo vivendo i tempi più interessanti finora esistiti.
Non è per dare centralità a noi stessi: i tempi dei nostri figli saranno ancora più interessanti, semplicemente perché saranno ancora più accelerati.
Mio suocero ha raccolto una serie di oggetti della sua infanzia in campagna, che si distinguevano dal neolitico, solo per l’occasionale presenza del fabbro. E non so se fosse del neolitico, o dell’età del ferro o dei tempi nostri, il Calzolaio Indaco che arrivava in paese, si faceva ospitare il tempo di fare le scarpe per tutti, e poi passava a un altro paese.
Io oggi vivo in un inferno sorvegliato da innumerevoli satelliti che hanno reso invisibili le stelle, tra umani che affidano il controllo di ogni loro gesto, ma anche di ogni loro minima emozione, persino della loro impronta digitale, a due o tre sataniche aziende che potranno spegnerne l’esistenze con un clic.
In pochi decenni siamo passati dall’esistenza dell’immagine fotografica, che credevamo finalmente vera al contrario delle fantasie dei pittori; all‘immagine truccata che non puoi sapere se è vera o falsa.
Mentre basta rispondere a un messaggio perché io resti cieco per il resto della vita, come è successo in Libano, io traduttore non ho più lavoro perché c’è un’intelligenza artificiale che traduce al posto mio (e lo fa benissimo).
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«Le democrazie liberali rischiano di trasformarsi in oligarchie autoritarie»
di Elena Basile
L’ambasciatrice denuncia la degenerazione dell’Occidente, fra collasso delle élite, erosione dei diritti e crisi etica
Nel suo ultimo libro «Approdo per noi naufraghi», Elena Basile analizza il declino delle società occidentali. Dalla dissoluzione dell’umanesimo alla scomparsa della sinistra, dall’ascesa dei potentati finanziari al conformismo mediatico, l’ambasciatrice denuncia un sistema che ha smarrito la dimensione collettiva e il senso di giustizia e solidarietà. Mai come oggi, denuncia, «prevalgono la giungla e la competizione in un individualismo sfrenato».
L’attualità della politica internazionale rimanda alle distopie descritte da autori come George Orwell oppure Aldous Huxley. Ma è la lettura di Se questo è un uomo di Primo Levi a ricordarci l’immutabile Dna umano che la vita nel lager ha evidenziato: l’istinto di sopravvivenza piega l’uomo. Rivalità con i pari e genuflessione al superiore sono le caratteristiche del microcosmo del lager.
In una società che ha perso l’anima, nella quale il senso di comunità è scomparso, trionfano la competizione, l’individualismo sfrenato, la sopraffazione del debole e l’allineamento feroce al potere. Non siamo nell’universo semplificato del lager forse, ma per molti aspetti la sua essenza spirituale vive nelle oligarchie illiberali attuali.
La corruzione ha plasmato la politica come le istituzioni culturali, l’accademia e lo spazio mediatico. Le democrazie liberali del secondo Dopoguerra si sono trasformate in oligarchie che tendono all’autoritarismo.
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Usa, Venezuela, Palestina. JOKER IN AZIONE
di Fulvio Grimaldi
Basato sulla figura del pagliaccio malefico, Joker è uno dei supercriminali più famosi della storia dei fumetti, nonché la nemesi del Cavaliere Oscuro[5]. Presentato come uno psicopatico con un senso dell'umorismo contorto e sadico. Così la presentazione del personaggio su Wikipedia. E’ la personificazione di Donald Trump.
Da ragazzini uscivamo dai film di grandi personaggi positivi, di eroi medievali, immaginandoci tali anche noi. Eravamo, a seconda dei gusti, dei Robin Hood, dei Cavallo Pazzo, dei D’Artagnan, dei Sandokan. Personalmente mi rifacevo a Widukind, o Vitichindo, re dei Sassoni pagani e per questo genocidati da Carlo Magno, un altro che ammazzava in onore del suo dio. Queste fantasticherie duravano finchè, all’urto con la realtà, non venivano drasticamente demensionate a livello di impiegato di banca, operatore ecologico, vigile urbano, medico della mutua, operaio alla catena, start up con IVA.
Con Donald Trump, personaggio eccessivo in senso fisico e metafisico, dall’onda gialla in capo, votato al disdegno di ogni minima regola del vivere civile in omaggio al principio Forza su Diritto, il copia e incolla è stato immediato. Qui, tra supereroi e supermalfattori, che nella supercultura del superuomo hanno dominato l’immaginario americano, dal generale Custer a Jesse James e ad Al Capone, l’adolescente The Donald si è immediatamente riconosciuto nel più affine: Joker.
E se la Nuova Frontiera di Bibi Netaniahu è quel Grande Israel le cui fondamenta si reggono su strati multipli di ossa cementate dall’IDF, come non poteva non accorrere in suo soccorso The Donald-Joker? Soccorso alla disperata, vista la sorte che allo Stato ebraico stava approntando lo tsunami della rabbia e della sollevazione di tante genti in Gotham City. Soccorso just in time di uno che, anche da Joker, si porta dentro e impone fuori morale, metodi, strumenti e valori di quell’altro genocidio, quello dei “palestinesi” delle Americhe, detti indiani e indios. Esattamente ciò che è previsto per Gaza e per tutti i luoghi dove formicolino quei non umani che si ostinano a brucare la dove dal dio degli ebrei la terra e i suoi frutti sono stati riservati al popolo eletto e ai suoi armenti e greggi.
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Dialettica senza speranza?
Il comunismo nel buio (14)
di Ennio Abate
Il tarlo di La Grassa: Ripensare Marx per abbandonarlo? Contrapporgli Comunismo del 1989 di Fortini. (Lotta per il comunismo e non domande sulla sua realizzabilità). Inutile ripetergli ancora le stesse obiezioni. Gli ho, però, mandato “Filtrando e rifiltrando il manifesto di Marx” con dedica. Paura elementare: lasciando da parte Marx (e i dominati), con chi ci ritroviamo?
(E. A. Riordinadiario, 9 gennaio 2010)
Nel quasi dibattito su “Il comunismo nel buio” è sottinteso questo dilemma: il socialismo/comunismo, che da ottocentesco sol dell’avvenire è finito – appunto – al buio (non ne vediamo neppure più un raggio) -, è morto definitivamente? Anche nella versione che Fortini delineò nella voce ‘Comunismo’ del 1989? E, dunque, ogni sua idea o ipotesi (di ripresa, rifondazione, rinnovamento) va abbandonata? Oppure, in forme oscurate e per ora indecifrabili, è ancora da ricercare?
Se si risponde sì, non resta che adattarsi alla “realtà com’è” – (come ce la raccontano, come ciascuno la vede o l’immagina) – e dimenticare la “Cosa”, la “Grande Illusione”, la “Rivoluzione”. Se si risponde no, ci si pone – mai dimenticando la “realtà com’è” – il compito di ridefinirla meglio quell’idea, di ricercarne ancora alcuni segni nella cronaca, nelle ricerche scientifiche, nella storia e nel pensiero (antico, moderno, postmoderno), ripartendo – ma non necessariamente – dalle rovine (buone e cattive) che le esperienze socialiste otto-novecentesche (di vario tipo) ci hanno lasciato.
In Dialettica e speranza di Partesana una risposta chiara al dilemma appena ricordato non la trovo. Trovo, invece, due affermazioni chiave: «La lotta per il comunismo non è già il comunismo»; «Finora abbiamo solo interpretato Fortini, è venuto il momento di cambiarlo». E una (vaga) indicazione o un invito a studiare Hegel (in particolare la sua Scienza della logica) e Adorno. Mi pare, perciò, di trovarmi di fronte a una sostituzione di Fortini come riferimento principale (ma non per questo unico o indiscutibile), che viene articolata attraverso quattro passaggi:
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Nuovo DDL nucleare: via libera all’energia dell’atomo in Italia
Alcune considerazioni per prepararsi al contrattacco
di Collettivo Ecologia Politica di Torino
Pubblichiamo il primo di una serie di contributi sul tema del nucleare. Questo testo è stato realizzato dal collettivo Ecologia Politica di Torino che prende parte al progetto Confluenza
Il disegno di legge sul nucleare "sostenibile”
Il Consiglio dei Ministri ha approvato lo scorso 2 ottobre il disegno di legge delega che punta a reintrodurre l’energia nucleare nel mix energetico nazionale, ignorando i risultati dei due referendum popolari — nel 1987 e nel 2011 — che avevano sancito la volontà della popolazione di abbandonare l’atomo. Come già annunciato durante la COP29 in Azerbaijan, il governo Meloni inserisce il nucleare sostenibile nel piano energetico nazionale, presentandolo come un passo “strategico” verso la sicurezza e l’autonomia energetica della Nazione.
Il decreto legge delega il Governo a disciplinare la produzione di energia nucleare sostenibile (anche ai fini della produzione di idrogeno), la disattivazione o lo smantellamento degli impianti esistenti e la gestione dei rifiuti radioattivi. Attraverso questo decreto si delineerà un Programma nazionale che implementerà la ricerca, lo sviluppo e l’utilizzo dell’energia nucleare da fissione e da fusione. Fondi pubblici verranno destinati alla costruzione di prototipi, alla formazione di personale tecnico e alla partecipazione italiana ai programmi europei sul nucleare e sui suoi avanzamenti in ambito tecnologico in particolare quelli riguardanti gli SMRs (Small Modular Reactors).
Il nuovo decreto assicura di occuparsi di un nuovo nucleare, quello di terza generazione, talmente nuovo che ancora non esiste su forma commerciale, vedi l’energia da fusione e i tanto citati SMRs. L’energia atomica sarebbe diventata sicura, affidabile e facilmente regolabile: motivo per cui il Governo con questo decreto prevede di scrivere una nuova pagina della storia energetica italiana (facendo passare tutto in sordina).
Nel DDL aleggia la solita strada spianata propria delle grandi opere: possibilità di cambiare i piani urbanisitici, possibilità di annoverare tali centrali e opere annesse come di pubblica utilità, indifferibili e urgenti e pertanto potenzialmente accompagnate da espropri. Nel caso in cui qualcuno non dovesse credere alla favola del nucleare sostenibile, sono pronte campagne di informazione e convincimento destinate ai cittadini.
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"L’antisemitismo razzista non è quello dei pro-pal"
di Elena Basile*
Se rileggiamo Se questo è un uomo di Primo Levi troviamo pagine pacate e disperate sulla natura umana e su come all’interno del lager il microcosmo sociale si organizza. L’istinto di sopravvivenza è soddisfatto attraverso la sopraffazione dell’altro, la competizione con coloro che sono a noi pari e la soggezione conformista a chi è anche solo di un gradino a noi superiore. Non c’erano le SS a controllare i campi, ma una struttura piramidale divisa in tre gruppi, ciascuno con i loro capetti all’interno, prigionieri comuni, politici ed ebrei. La lettura è straziante perché rimanda senza possibilità di speranza a un Dna che si ripete nella storia, facendo avanzare gradualmente la barbarie sino alla sua esplosione: nazismo, razzismo, colonialismo, guerre.
Osservare la realtà politica, italiana, europea, occidentale, conferma le lucide visioni del grande scrittore umanista ebreo. Nell’indifferenza dell’opinione pubblica la corruzione delle classi dominanti appare ormai senza camuffamenti. Il prevalere della forza contro il diritto è all’ordine del giorno come la retorica razzista, contro l’islam e il terrorismo, contro il nemico russo, contro il diverso, che non è più l’ebreo oppure l’omosessuale, ma colui che non si allinea alle logiche belliciste, filoatlantiche e filoisraeliane, suprematiste bianche.
Il presidente statunitense afferma pubblicamente nel suo recente discorso a Tel Aviv di essere pressato dalla coppia di miliardari (specifica 60 miliardi in banca), Miriam e Sheldon Adelson, ebrei americani, che irrompono nello Studio Ovale e chiedono politiche filoisraeliane.
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Autori Vari: Sul compagno Stalin

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A cura di Aldo Zanchetta: Speranza
Tutti i colori del rosso
Michele Castaldo: Occhi di ghiaccio

Qui la premessa e l'indice del volume
A cura di Daniela Danna: Il nuovo volto del patriarcato

Qui il volume in formato PDF
Luca Busca: La scienza negata

Alessandro Barile: Una disciplinata guerra di posizione
Salvatore Bravo: La contraddizione come problema e la filosofia in Mao Tse-tung

Daniela Danna: Covidismo
Alessandra Ciattini: Sul filo rosso del tempo
Davide Miccione: Quando abbiamo smesso di pensare

Franco Romanò, Paolo Di Marco: La dissoluzione dell'economia politica

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Giorgio Monestarolo:Ucraina, Europa, mond
Moreno Biagioni: Se vuoi la pace prepara la pace
Andrea Cozzo: La logica della guerra nella Grecia antica

Qui una recensione di Giovanni Di Benedetto















































