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ilsimplicissimus

Congo, i chip della strage occidentale

di ilsimplicissimus

Quando si parla di immigrazione l’occidentale medio, che ormai parla e pensa come se fosse un pixel di un megaschermo globale, si divide e si azzuffa tra xenofobi o accoglienti dando l’impressione della vita, mentre si tratta di un fenomeno galvanico, di nervi scoperti che non chiedono di andare al cuore delle cose, che non si chiedono le ragioni della migrazione e non pretendono che l’informazione fornisca delle tracce, come avvertendo che questo sarebbe un peso sulle loro coscienze e una rivelazione sulle loro vite. Sì, è vero, il macello siriano ha fatto muovere un po’ l’ago dell’encefalogramma, ma ha anche prodotto un nuovo equivoco ben presto sfruttato dalle oligarchie euroamericane per dividere l’incessante flusso di naufraghi della civiltà tra richiedenti asilo cui la cattiva coscienza offre formalmente una possibilità di accoglienza e i migranti economici che invece non hanno alcun diritto se non quello, all’occorrenza, di essere gestiti in funzione del nuovo schiavismo.

In questo modo, paradossalmente, l’occidente nasconde il sangue che costa lo sfruttamento intensivo dell’Africa che per essere attutato si serve di regimi assoldati, di guerre che rendono impossibile il controllo dei governi sulle risorse, di spedizioni punitive. E tutto questo ha il suo acme in Congo dove per rapinare diamanti, oro, stagno, gas, petrolio, uranio e soprattutto coltan, ovvero quella columbite tantalite necessaria per produrre computer, telefonini, chip utilizzati ormai in qualsiasi prodotto, dalle penne usb ai missili a costi che garantiscano altissimi profitti. Per poter procedere senza intoppi e a prezzi da svendita alla rapina l’occidente ha creato una tragica situazione: da un quarto di secolo fomenta con soldi, armi, appoggi varie guerre interne ed esterne, vedi Ruanda, Burundi e Uganda, bande armate, eserciti di liberazione, che hanno fatto finora, tra eccidi e denutrizione, 6 milioni di morti di cui la metà bambini che non potranno godere delle amorose cure di Save the Children, la cui presenza in  Congo costituisce uno straordinario e mefitico esempio di ipocrisia occidentale.

Però naturalmente di tutto questo le opinioni pubbliche occidentali non sanno assolutamente nulla, il che mi testimonia anche del declino cognitivo occidentale, del suo disfacimento e imbarbarimento: quando ero bambino i giornali erano pieni di notizie sulla guerra civile in Congo, tanto che i nomi di Lumumba, Kasavubu, Katanga e in seguito Mobutu mi sono rimasti conficcati nella mente, mentre adesso su questa immensa strage che poi è una delle spinte principali nella reazione a catena delle migrazioni non filtra alcuna notizia, anzi si fa finta di nulla, salvo qualche episodica notizia su qualche uccisione di missionari che vengono facilmente attribuite alla barbarie delle popolazioni. Questo cuore di tenebra che pulsa su un enorme territorio semplicemente ritagliato sulle logiche colonialiste ottocentesche, dunque tormentato fin dall’indipendenza, non serve solo alle operazioni illegali della criminalità transanazionale che per i suoi traffici coinvolge anche i territori di Tanzania, Uganda, Ruanda e Burundi, ma è un vero paradiso per le multinazionali americane, canadesi e britanniche del business minerario che operano ben difese da eserciti privati o da finanziamenti forniti ai gruppi armati, per non parlare di quelle europee o di quelle cinesi, che però hanno almeno offerto sei miliardi di euro in infrastrutture ospedaliere e di trasporto, pur essendo anche gli unici ad essere stati messi sotto accusa da quella sezione dei servizi di Washington che si chiama Amnesty international e nella quale qualche mentecatto ancora crede. Praticamente si può estrarre e portare via quello che si vuole al solo costo assolutamente infimo della mano d’opera e delle mani assassine.

E l’esempio più rivoltante e tragico di una logica, intrapresa dovunque, che alla fine ha un risvolto statistico inquietante e desolante: in Africa i Paesi più ricchi di risorse crescono due o tre volte meno di quelli che hanno meno da offrire. Grazie agli occidentali e alle loro imprese di rapina la ricchezza del sottosuolo è diventata una maledizione. E alla strage si aggiunge la beffa perché quando, nell’ambito del cosiddetto Dood-Frank Act con il quale si intendeva dare qualche regola al mercato finanziario, si impose il dovere da parte delle aziende di denunciare la provenienza dei materiali “strategici” ci fu un’insurrezione da parte delle multinazionali dell’elettronica, da Microsoft ad Apple, da Hp a Intel, le quali paventavano che con queste regole ci sarebbero stati “migliaia di disoccupati“ nelle miniere. Ma guarda che attaccamento ai diritti del lavoro, visto tra l’altro che un chilo di Coltan costa seicento dollari mentre un minatore congolese ne prende 200 al mese. Di fatto quella legge è rimasta  lettera morta e non viene rispettata da nessuno, ma in realtà essa non era stata concepita per dare sollievo alle piaghe del Congo, ma per altri motivi: in primo luogo dare al governo centrale una maggiore stabilità e quindi poter contrattare con esso come avevano fatto i cinesi per garantirsi il futuro e l’ equa spartizione tra americani, francesi e belgi, mentre in seconda istanza si sperava di  diminuire i finanziamenti alle bande armate, specie quelle che operano a ridosso dei confini dell’Uganda, decise ad abbattere il governo dittatoriale di Museveni e instaurare uno stato islamico proprio in un Paese sotto diretto controllo degli Usa.

Poi fanno gli stupiti se non addirittura gli indignati di fronte alla “migrazione” economica.

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