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Lenin con gli occhi a mandorla: l’asiacentrismo

di Daniele Burgio, Massimo Leoni e Roberto Sidoli

720x410c50mnjourfvLenin, Meglio meno ma meglio (1923): «L’esito della lotta» (tra comunismo e imperialismo moderno) «dipende, in ultima istanza, dal fatto che la Russia, l’India, la Cina ecc., costituiscono l’enorme maggioranza della popolazione».

Dato per assodato il decisivo apporto reso da Lenin, dal 1893 al 1923, alla vittoria e al consolidamento dell’epocale Rivoluzione d’Ottobre, in gran parte sull’ex impero zarista, risulta ora poco apprezzato nella sinistra antagonista delle metropoli imperialiste il geniale contributo teorico (oltre che pratico) offerto da Lenin al processo di sviluppo del marxismo creativo e antidogmatico: gli schemi e le analisi innovative via via prodotte dal grande rivoluzionario russo (1870-1924) rispetto al capitalismo russo dal 1894 al 1916, al partito rivoluzionario, allo sviluppo in fasi differenti del processo rivoluzionario, al materialismo e alla logica dialettica, all’imperialismo contemporaneo, al capitalismo monopolistico di stato, al complicato processo di costruzione del socialismo in Russia, costituiscono una serie impressionante di gemme assai preziose e incastonate tra loro che servono, ancora oggi, all’elaborazione e alla praxis collettiva dei comunisti del Ventunesimo secolo, a un secolo dalla scomparsa del fondatore del bolscevismo/comunismo moderno.

Molto meno nota si rivela invece un’altra sezione del pensiero leninista, rilevante e importante, che consiste nella teoria dell’asiacentrismo.

Bisogna subito precisare che lo stesso concetto di Asia risulta di origine europea e risale allo storico greco Erodoto, essendo una categoria geopolitica non accettata dagli abitanti dell’Asia fino ai primi del Novecento.

Se dunque non sorprende che eurocentrismo, USA centrismo (dottrina Monroe, ecc.) e sino centrismo (fino all’orrenda guerra dell’oppio, scatenata per la prima volta dal colonialismo anglofrancese contro il popolo cinese nel 1839-42) rappresentano dei fenomeni culturali e ideologici diversi tra loro, ma con radici profonde e plurisecolari, l’asiacentrismo di matrice comunista costituisce invece una corrente di pensiero relativamente recente e che trovò il suo fondatore proprio in Vladimir Ilic Ulianov: ossia un russo innamorato anche dell’allora sofferente, martoriata e gigantesca sua patria e che prese il suo soprannome da uno dei principali fiumi asiatici, la Lena, collocata in quella Siberia che Lenin conobbe direttamente negli anni della sua deportazione, tra il 1897 e il 1899.

Il primo tassello dell’asiacentrismo di Lenin venne dalla sua autocoscienza del carattere dualista e sdoppiato, europeo ma anche asiatico sotto l’aspetto geopolitico ed economico, della sconfinata Russia del XIX e XX secolo: un vero e proprio subcontinente i cui confini si estendevano dalla frontiera con l’impero della Germania fino alla Cina, alle coste orientali della Siberia e a Vladivostock, come notò del resto Stalin nel suo eccellente saggio Il marxismo e la questione nazionale, pubblicato nel 1913 con la supervisione politica di Lenin.[1]

Fin dall’autunno del 1895 Lenin aveva sottolineato, in un articolo in cui ricordava ed elogiava il grande rivoluzionario e scienziato F. Engels, che «Marx ed Engels vedevano chiaramente che la rivoluzione politica» (antizarista) «in Russia avrebbe avuto un’immensa importanza anche per il movimento rivoluzionario dell’Est europeo. L’autocrazia russa è sempre stata il baluardo della reazione europea in generale» nel 1902 e nel suo lucido capolavoro politico intitolato Che fare? Lenin effettuò un salto di qualità teorico sottolineando già allora che al proletariato russo la storia «pone un compito immediato, il più rivoluzionario di tutti i compiti immediati del proletariato di qualsiasi altro paese. L’adempimento di questo compito, la distruzione del baluardo più potente della reazione» ossia lo zarismo “non soltanto europea, ma anche (oggi possiamo dirlo) asiatica, farebbe del proletariato russo l’avanguardia del proletariato russo internazionale”».[2]

A partire dunque dal 1902 la componente asiatica, di natura sia politico-economica che di relazioni internazionali della Russia, costituiva un dato di fatto e un’evidenza empirica ben presente nella coscienza del geniale Lenin: e quest’ultimo costruì negli anni successivi una seconda architrave della sua teoria asiacentrica mediante importante ma controintuitiva tesi sul carattere politico-sociale avanzato dell’Asia all’inizio del XX secolo, connesso e collegato da Lenin alla natura invece arretrata dell’Europa e del mondo occidentale in generale.

In un suo memorabile articolo pubblicato nel maggio del 1913 sulla semilegale Pravda, intitolato per l’appunto L’Europa arretrata e l’Asia avanzata, Lenin iniziò il suo ragionamento analitico ammettendo che «la contrapposizione di queste parole sembra un paradosso. Chi non sa che l’Europa è avanzata, e l’Asia arretrata? Eppure le parole che formano il titolo di quest’articolo racchiudono in sé un’amara verità.

L’Europa civile e avanzata – con la sua brillante tecnica sviluppata, con la sua cultura ricca e multiforme e la sua Costituzione – è giunta a un momento storico in cui la borghesia che comanda sostiene, per tema del proletariato che moltiplica i suoi effettivi e le sue forze, tutto ciò che è arretrato, agonizzante, medioevale. La borghesia moribonda si allea a tutte le forze invecchiate e in via di estinzione per mantenere la schiavitù salariata ormai scossa.

Nell’Europa avanzata comanda la borghesia che sostiene tutto ciò che è arretrato. Nei nostri giorni l’Europa è avanzata non grazie alla borghesia, ma suo malgrado, poiché il proletariato, ed esso solo, alimenta ininterrottamente l’esercito formato dai milioni di uomini che combattono per un avvenire migliore; esso solo serba e diffonde un odio implacabile per tutto ciò che è arretrato, per la brutalità, i privilegi, la schiavitù e l’umiliazione inflitta dall’uomo all’uomo.

Nell’Europa “avanzata” solo il proletariato è una classe avanzata. La borghesia ancora in vita, è pronta invece a qualsiasi atto brutale, feroce e a qualsiasi delitto per salvaguardare la schiavitù capitalista che sta per perire.

Non si saprebbe fornire un esempio più impressionante di questa putrefazione di tutta la borghesia europea che quello del suo appoggio alla reazione in Asia per i cupidi scopi degli affaristi della finanza e dei truffatori capitalisti.

In Asia si sviluppa, si estende e si rafforza ovunque un potente movimento democratico. Là la borghesia marcia ancora col popolo contro la reazione. Centinaia di milioni di uomini si svegliano alla vita, alla luce, alla libertà. Quale entusiasmo suscita questo movimento universale nel cuore di tutti gli operai coscienti, i quali sanno che il cammino verso il collettivismo passa per la democrazia! Quale simpatia sentono tutti i democratici onesti verso la giovane Asia!

E l’Europa “avanzata”? Essa saccheggia la Cina e aiuta i nemici della democrazia, i nemici della libertà in Cina!

Ecco un piccolo calcolo, semplice ma istruttivo. Il nuovo prestito cinese è stato contratto contro la democrazia cinese: l’“Europa” è per Yuan Sci Kai, che prepara una dittatura militare. Ma perché lo sostiene essa? Perché fa un buon affare. Il prestito è stato contratto per una somma di quasi 250 milioni di rubli, al corso dell’84 per cento. Ciò significa che i borghesi d’“Europa” versano ai cinesi 210 milioni mentre ne fanno pagare al pubblico 225. Eccovi di colpo, in qualche settimana, un beneficio netto di 15 milioni di rubli! Non è, in realtà, un beneficio veramente “netto”?

E se il popolo cinese non riconoscerà il prestito? In Cina c’è la repubblica, e la maggioranza del Parlamento non è forse contraria al prestito?

Oh, allora l’Europa “avanzata” leverà alte grida a proposito della “civiltà”, dell’“ordine”, della “cultura” e della “patria”! Allora farà parlare i cannoni e schiaccerà la repubblica dell’Asia “arretrata”, in alleanza con l’avventuriero, il traditore e amico della reazione Yuan Sci Kai!

Tutta l’Europa che comanda, tutta la borghesia europea è alleata con tutte le forze della reazione e del Medio Evo in Cina.

In compenso la giovane Asia, vale a dire le centinaia di milioni di lavoratori dell’Asia, ha un alleato sicuro nel proletariato di tutti i paesi civili. Nessuna forza al mondo sarà capace di impedire la sua vittoria, che libererà sia i popoli d’Europa che i popoli d’Asia».[3]

Secondo il corretto giudizio di Lenin, che assunse un rilievo epocale oltre che esteso a larga parte del pianeta, ormai «la giovane Asia, vale a dire le centinaia di milioni di lavoratori dell’Asia» aveva ormai dimostrato un potenziale politico-sociale di livello così elevato che «nessuna forza al mondo» sarebbe stata in grado di impedire la sua vittoria nella lotta contro il feroce imperialismo dell’“Europa arretrata”: profezia leninista rivelatasi assolutamente corretta, ma compresa da pochi nel 1913.

Un ulteriore tassello dell’asiacentrismo di Lenin viene alla luce nel marzo 1923 attraverso un suo scritto avente per oggetto anche il dato di fatto, sicuro e indiscutibile, per cui l’Asia (ivi compresa la Russia) rappresentava nel 1923 la grande maggioranza della popolazione del pianeta, oltre che il continente più esteso: elementi empirici che acquisivano un immenso significato politico-sociale agli occhi del lucido e appassionato rivoluzionario russo, ormai vicino alla morte, trasformandosi nei fattori e nelle forze decisive in ultima istanza per la vittoria su scala planetaria del socialismo, nel suo scontro secolare con l’imperialismo di matrice prevalentemente occidentale.

Nel profondo, articolato e complesso articolo in via di esame Lenin infatti analizzò la situazione mondiale di quel periodo con la sua solita chiarezza.

«Ci troviamo così, nel momento attuale, davanti alla domanda: saremo noi in grado di resistere con la nostra piccola e piccolissima produzione contadina, nelle nostre condizioni disastrose, fino a che i paesi capitalistici dell'Europa occidentale non avranno compiuto il loro sviluppo verso il socialismo? Ed essi tuttavia non lo compiono come ci attendevamo. Essi lo compiono non attraverso una "maturazione" uniforme del socialismo, ma attraverso lo sfruttamento di alcuni Stati da parte di altri, attraverso lo sfruttamento del primo Stato vinto nella guerra imperialistica, unito allo sfruttamento di tutto l'Oriente. L'Oriente d'altra parte, è entrato definitivamente nel movimento rivoluzionario appunto in seguito a questa prima guerra imperialistica, ed è stato trascinato definitivamente nel turbine generale del movimento rivoluzionario mondiale.

Quale tattica prescrive dunque tale situazione per il nostro paese? Evidentemente la seguente: dobbiamo essere estremamente cauti per poter conservare il nostro potere operaio, per poter mantenere sotto la sua autorità e sotto la sua guida i nostri piccoli e piccolissimi contadini. Dalla nostra parte c'è il vantaggio che tutto il mondo sta già passando a un movimento da cui dovrà nascere la rivoluzione socialista mondiale. Ma vi è anche lo svantaggio che gli imperialisti sono riusciti a scindere tutto il mondo in due campi, e che inoltre questa scissione si complica per il fatto che la Germania, paese capitalistico effettivamente sviluppato e colto, incontra estreme difficoltà per rimettersi in piedi. Tutte le potenze capitalistiche del cosiddetto Occidente la beccano e non le permettono di rialzarsi. E d'altra parte tutto l'Oriente, con le sue centinaia di milioni di lavoratori sfruttati e ridotti all'estremo limite della sopportazione, è messo in condizioni tali che le sue forze fisiche e materiali non possono essere messe a confronto con le forze fisiche materiali e militari di uno qualsiasi degli Stati più piccoli dell'Europa occidentale.

Possiamo noi salvarci dall'incombente conflitto con questi Stati imperialistici? Possiamo noi sperare che gli antagonismi e i conflitti interni fra i floridi Stati imperialistici dell'Occidente e i floridi Stati imperialistici dell'Oriente ci diano un periodo di tregua per la seconda volta come ce l'hanno dato la prima volta, allorché la campagna della controrivoluzione dell'Europa occidentale, volta ad appoggiare la controrivoluzione russa, fallì a causa delle contraddizioni esistenti nel campo dei controrivoluzionari d'Occidente e d'Oriente, nel campo degli sfruttatori orientali e degli sfruttatori occidentali, nel campo del Giappone e dell'America?

A questa domanda, io penso, dobbiamo rispondere che la soluzione dipende qui da troppe circostanze, e che l'esito di tutta la lotta in generale può essere previsto solo considerando che, in fin dei conti, il capitalismo stesso educa e addestra alla lotta l'enorme maggioranza della popolazione del globo.

L'esito della lotta dipende, in ultima analisi, dal fatto che la Russia, l'India, la Cina, ecc. costituiscono l'enorme maggioranza della popolazione. Ed è appunto questa maggioranza che negli ultimi anni, con una rapidità mai vista, è entrata in lotta per la propria liberazione, sicché in questo senso non può sorgere ombra di dubbio sul risultato finale della lotta mondiale. In questo senso la vittoria definitiva del socialismo è senza dubbio pienamente assicurata».[4]

La tendenza all’asiacentrismo di Lenin trovò un’ulteriore trave portante nella teoria del “tallone di Achille” del capitalismo internazionale, a partire dall’agosto del 1919 e dopo la sconfitta sanguinosa del processo rivoluzionario in Ungheria.

Lenin comprese infatti, da quella durissima disfatta, che ormai l’Asia costituiva su scala planetaria e assai più dell’Europa – con la parziale eccezione della Germania sconfitta nel primo conflitto mondiale – l’anello debole della catena globale dell’imperialismo dichiarando che «l’Inghilterra è il nostro peggiore nemico. È in India che la dobbiamo colpire con forza», oltre a sostenere che «l’Oriente ci aiuterà a conquistare l’Occidente» con la Russia rivoluzionaria, bolscevica ed euroasiatica a fare da perno e da cardine geopolitico tra le due aree del globo in oggetto.[5]

Anche uno storico anticomunista ma intelligente come A. Ulam comprese l’abile e spregiudicata strategia asiatica di Lenin esaminando i rapporti sovietico–afghani del 1919-20.

«Per fare un esempio, pochi stati contemporanei» (alla fin della prima guerra mondiale) «potevano essere definiti con più esattezza stati feudali, per quanto riguarda il loro ordinamento sociale e la loro struttura politica, dell’Afghanistan. Il nuovo re di quel paese, il re Amanullah, aveva da poco ottenuto la sua indipendenza dalla Gran Bretagna. Il regime sovietico si affrettò a rendere omaggio al monarca e a stabilire relazioni diplomatiche col suo governo, che sembrava in grado di creare grandi difficoltà agli inglesi in India. Nel maggio del 1920 il rappresentante sovietico in Asia centrale inviò una nota diplomatica agli afgani, nella quale rendeva omaggio “all’Afghanistan indipendente”, e come simbolo dell’amicizia sovietica per il suo paese gli annunciò che il governo sovietico avrebbe fatto dono all’Afghanistan dell’equipaggiamento necessario alla costruzione di una stazione radiotelegrafica.

La politica estera sovietica seguì dunque il principio di appoggiare, tanto a livello statale quanto attraverso il Comintern, qualsiasi movimento rivoluzionario e di emancipazione nazionale diretto contro gli interessi delle grandi potenze».[6]

Appoggio politico e materiale specialmente e soprattutto in Asia, dall’Afghanistan fino alla Turchia e dalla Cina fino all’India, durante gli anni compresi tra il 1917 e il 1923.

Come ha ammesso anche Ulam, la lungimirante progettualità-praxis leninista verso le sterminate masse popolari asiatiche divenne presto egemone sia all’interno del partito bolscevico che dall’Internazionale comunista fondata a Mosca nel marzo del 1919, seppur dovendo superare le resistenze dei marxisti dogmatici ed eurocentrici, come ad esempio Serrati e Bordiga, uniti dal rifiuto dell’opzione leninista nei confronti dei popoli sottoposti al giogo imperialista durante il secondo congresso dell’Internazionale, tenutosi nell’estate del 1920 a Mosca.

«A parte le grandiose visioni di Trockij, l’idea che l’Estremo Oriente offrisse il campo più fertile per l’avvenire della rivoluzione e che le masse asiatiche potessero diventare le alleate più preziose dello stato sovietico nacque nei primi tempi del regime sovietico e doveva costituire un punto di riferimento per la sua politica estera per molto tempo. Tuttavia questa concezione poneva un problema ideologico e tattico molto serio: infatti, in base alla lettera della ortodossia marxista o alla osservazione della realtà contemporanea, era difficile aspettarsi che in Egitto o in Cina potesse sorgere un regime socialista entro un periodo di tempo relativamente breve. Questi paesi avevano un proletariato industriale scarso o inesistente e attraversavano quella fase di sviluppo che secondo le categorie marxiste veniva definita “preindustriale”. Ma secondo il pensiero di Lenin, nessuno scrupolo ideologico doveva impedire alla comunità di allearsi con i nemici dei loro nemici. La logica della sua dottrina voleva che i comunisti appoggiassero un movimento nazionalista basato sulle classi medie purché esso fosse diretto contro una potenza imperialista, e non bisognava trascurare nemmeno i gruppi sociali più retrogradi (signori feudali o capi religiosi) nella misura in cui essi lottavano contro l’Inghilterra o la Francia per la liberà del loro paese. Qualsiasi esitazione o apparenza di duplicità per quanto riguardava questo punto avrebbe privato la dottrina dell’autodeterminazione dei popoli, sostenuta dai comunisti, di gran parte del suo valore propagandistico. [...] Ma non si trattava solo di formule astratte: in India, in Cina, in altri paesi sarebbero stati creati dei partiti comunisti. Questi partiti avrebbero forse dovuto subordinare la loro lotta per il potere e per le riforme alla lotta nazionalista, servendo semplicemente da alleati alle classi alte?

Questo problema doveva suscitare molte discussioni e molte dispute, che tormentarono coloro che dovevano decidere della politica del Comintern, e dell’Unione Sovietica, nei decenni seguenti. Già nel corso del secondo congresso del Comintern, Lenin si trovò in disaccordo con un giovane comunista indiano, M. N. Roy, che si era dichiarato contrario ad attribuire la patente di alleato rivoluzionario a tutti i movimenti di liberazione nazionale senza tener conto del loro carattere classista o meno. Nelle sue memorie, Roy cita Lenin: “Illustrandomi la sua teoria secondo cui i movimenti di liberazione dei popoli coloniali erano una forza rivoluzionaria... egli avvertì però: “Non per questo bisogna tingere di rosso il nazionalismo”.»[7]

Lenin non costituì certo il primo pensatore russo a comprendere il carattere peculiare e diverso dal resto dell’Europa e della Russia.

Come ha notato alla fine del 2022 lo studioso russo K. Rakhimov in un rapporto all’autorevole Club Valdai di discussione internazionale, in Russia «la questione dell’autodeterminazione sull’argomento “Europa o Asia” è stato posto sull’agenda a partire dal tempo di Pietro il Grande, quando la Russia iniziava a dichiararsi come stato europeo. Allo stesso tempo, c’è un paradosso: la maggior parte del territorio della Russia era già allora collocato in Asia, fatto che diede la nascita alle discussioni tra Occidentalisti e Slavofili sulla posizione del paese».[8]

La particolare posizione geopolitica, oltre che socioproduttiva, della Russia del resto era già stata riconosciuta verso la metà dell’Ottocento anche da un sincero democratico, molto stimato dallo stesso Lenin, come A. I. Herzen, il quale tra l’altro individuò nella proprietà collettiva del suolo e nella comune contadina la chiave di volta per il processo di sviluppo del socialismo nella Russia del XIX secolo.[9]

Lenin rappresentò invece il primo teorico ad avere il coraggio, sfidando l’ira dei marxisti dogmatici del suo tempo come del presente, a sostenere la superiorità politico-sociale acquisita dall’avanzata Asia sul retrogrado e reazionario mondo occidentale fin dagli inizi del XX secolo, oltre a riconoscere la popolazione lavoratrice dell’Asia come la leva decisiva di ultima istanza per il successo del movimento antimperialista e comunista in campo mondiale.

La nuova fase di sviluppo del marxismo creativo su scala planetaria, ossia il pensiero di Xi Jinping sul socialismo con caratteristiche cinesi della nuova èra, ha ripreso e ampliato l’ancora embrionale teoria leninista in via di esame innanzitutto considerando da tempo superata qualunque forma di occidental-centrismo anche in campo teorico, dimostrando anche sotto questo aspetto il degno continuatore del leninismo, seconda tappa di crescita del marxismo antidogmatico.

Sul piano pratico, poi, il partito comunista cinese non è certo stato inerte.

Verso la metà del 2017 un marxista indiano quale Y. Chemarapally aveva ad esempio individuato l’importanza dell’ingresso dell’India e del Pakistan quali paesi associati a pieno titolo nel patto di Shanghai.

A tal proposito l’analista indiano aveva notato che «India e Pakistan sono diventati formalmente gli ultimi membri dell’Organizzazione della Cooperazione di Shanghai (SCO) nell’ultimo vertice del gruppo che si è tenuto ad Astana, capitale del Kazakistan, nella seconda settimana di giugno. I due paesi avevano ricoperto per molti anni lo status di osservatori nell’organizzazione e sono stati elevati ora al rango di membri a pieno titolo. L’Iran è il prossimo paese che si prevede aderisca al gruppo nel prossimo futuro.

I membri che hanno dato vita al gruppo, creato nel 1995 e inizialmente conosciuto come “I cinque di Shanghai”, sono Russia, Cina, Kazakistan. Kirghizistan e Tagikistan. Il gruppo è stato denominato SCO dopo che vi si è aggiunto l’Uzbekistan nel 2001. Dall’inizio, la SCO è stata considerata un patto per la sicurezza e un rivale emergente della NATO. Negli anni recenti si è trasformata in un’organizzazione impegnata nella lotta al terrorismo e impegnata nella promozione della cooperazione economica e commerciale.

Con India e Pakistan ora parte del raggruppamento, la SCO emerge come una delle più grandi organizzazioni del suo tipo con tre significative potenze mondiali, Russia, Cina e India, sotto il suo ombrello. Il 44% della popolazione mondiale, il 25% del PIL mondiale e tre dei cinque paesi BRICS. L’obiettivo primario del raggruppamento è il coordinamento contro il terrorismo e ciò che vi è collegato. La SCO ha creato una Struttura Regionale Anti-Terrorismo (RATS) con sede a Tashkent, la capitale dell’Uzbekistan. Il presidente cinese Xi Jinping, parlando al vertice SCO, ha sottolineato che “la sicurezza è il prerequisito per lo sviluppo”. Il presidente Xi, in un articolo firmato scritto per un giornale kazako, ha sostenuto che la SCO «ha attivato meccanismi per combattere il terrorismo, il separatismo, l’estremismo, le droghe e i crimini transnazionali».[10]

Il difficile e contraddittorio processo di cooperazione pan-asiatica sta ormai consolidandosi e rafforzandosi su molti fronti, a partire dalle nuove Vie della Seta, rendendo sempre più attuale e concreta l’intuizione leninista riguardo all’attuale superiorità asiatica nei confronti del reazionario e imperialista mondo occidentale, con i suoi stati vassalli e le sue marionette sparse per il pianeta.

Avendo presente tale prospettiva e quadro generale, diventa perfettamente comprensibile che sia stata elaborata, seppur in modo parziale, una teoria sulla via “infrastrutturale” al socialismo su scala asiatica e mondiale.

«Essa venne avanzata in via embrionale dal marxista cinese Cheng Enfu quando quest’ultimo, sulle pagine dell’autorevole rivista cinese International Critical Thought, evidenziò in modo esplicito come il progetto globale della Nuova Via della Seta non rappresenti solo un piano infrastrutturale – come scorgiamo nitidamente anche in Occidente – ma “assume il volto di una iniziativa di edificazione globale del socialismo con caratteristiche cinesi” e quindi una planetaria operazione di soft-power con la quale “i comunisti cinesi contribuiscono al rafforzamento e allo sviluppo del movimento comunista a livello internazionale”».[11]

Comunque non è stato solo il centro di gravità del processo rivoluzionario globale a spostarsi via via verso oriente e infine in Asia, come aveva del resto previsto Lenin tra il 1902 e il 1920, quest'ultima data di pubblicazione del suo eccellente saggio intitolato Estremismo, malattia infantile del comunismo. Anche le coordinate tecnoscientifiche, produttive ed energetiche del continente asiatico si sono enormemente espanse e dilatate nel corso dell'ultimo secolo.

Si è ormai affermata anche in questi campi una nuova centralità dell’Asia: continente nel quale attualmente vivono quasi due terzi della popolazione mondiale, che conta e pesa per la metà del prodotto interno lordo globale (a parità di potere d’acquisto) e in cui risiede l’arco principale delle risorse mondiali di idrocarburi, il quale si snoda dalla zona meridionale della penisola arabica per risalire all’Iran/Iraq e al Mar Caspio, attraversando l’Asia centrale e giungendo infine alla sezione orientale della Siberia.[12]

Come diceva giustamente il grande filosofo Eraclito, tutto scorre e tutto si trasforma: anche gli equilibri e la correlazione di potenza geoeconomica del pianeta, certo…


Note
[1] I. V. Stalin, “Il marxismo e la questione nazionale”, capitolo VII, in marxists.org
[2] V. I. Lenin, “Frederick Engels, autunno del 1895”, in marxists.org; V. I. Lenin, “Che fare?”, capitolo I
[3] V. I. Lenin, “L’Europa arretrata e l’Asia avanzata”, 31 maggio 1913, in resistenze.org
[4] V. I. Lenin, “Meglio meno ma meglio”, 4 marzo 1923, in marxists.org
[5] P. Hopkirk, “Avanzando nell’Oriente in fiamme”, p. 15–16, ed. Mimesis
[6] A. B. Ulam, “°Storia della politica estera sovietica”, p.178–179, ed. Rizzoli
[7] A. Ulam, op. cit., p. 177–178
[8] K. Rakhimov, “Asiacentrismo: Russia in search of a new identity”, 19 dicembre 2022, in valdaiclub.com; Eurocentrismo, asiacentrismo e orientalismo. La critica di Giorgio Borsa" , gennaio 2008, in jstor.org
[9] V. I. Lenin, “In memory of Herzen”, 8 maggio 1912, in marxists.org
[10] Y. Chemarapally, “L’India aderisce all’Organizzazione della Cooperazione di Shanghai”, 25 luglio 2017, in marx21.it
[11] D. Burgio, M. Leoni e R. Sidoli, “Il pensiero di Xi Jinping come marxismo del XXI secolo”, ed. Lantidiplomatico
[12] A. Galiani, “Tra 9 mesi torneranno gli equilibri economici globali del 1700”, 27 marzo 2019, in agi.it; A. Amighini, “Con la RCEP la Cina chiude il cerchio”, 17 novembre 2021, in lavoce.info

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