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lafionda

La fine dell’illusione democratica

di Thomas Fazi

Per gentile concessione dell’editore pubblichiamo la prefazione del libro di Paolo Botta, Cos’è lo Stato. Capitalismo, democrazia e socialismo del XXI secolo (Rogas, 2025), in uscita oggi. Buona lettura!

IMG 2272.jpegEsistono libri che cambiano per sempre il modo in cui guardiamo la realtà, costringendoci a rimettere in discussione concetti che ritenevamo assodati. Il libro di Paolo Botta è, a mio avviso, uno di quei libri. Il tema è lo Stato, inteso non come sinonimo di Paese ma come apparato statuale. Un tema apparentemente ostico, ma in realtà – come dimostra l’autore – centrale in quasi ogni aspetto della nostra vita, da cui discende tutto: la politica, l’economia, la società, la cultura. Il punto di partenza è la consapevolezza che «le nostre conoscenze sullo Stato sono da considerare ancora troppo ristrette, sia sul piano disciplinare che su quello di una visione complessiva». Una consapevolezza che, al termine della lettura, difficilmente il lettore potrà non condividere. 

Come spiega Botta nelle primissime pagine: «Il presente contributo non ha avuto come finalità prioritaria quella di esaminare in maniera astratta o normativistica il concetto di Stato, anche se in alcuni passaggi si è proceduto a chiarire la natura giuridica e politica dello stesso, ma di definire secondo un approccio realistico le sue caratteristiche oggettive che si manifestano nelle sue performance strategiche in interazione in primis con la società e l’economia». In altri termini, il libro non si muove sul terreno delle astrazioni teoriche o delle speculazioni accademiche, ma su quello di un’analisi rigorosa e scientificamente fondata, che ambisce a cogliere le dinamiche reali del potere statale così come si manifestano nei contesti concreti: nei rapporti sociali, nei meccanismi economici, nei conflitti geopolitici. È questo approccio empirico e strutturale che conferisce al testo la sua forza esplicativa e la sua rilevanza politica. 

Il libro si apre con un’analisi della perdurante centralità dello Stato. Contro la vulgata secondo cui, negli ultimi decenni, lo Stato sarebbe stato progressivamente marginalizzato o reso obsoleto dai “mercati” e da dinamiche globali e sovranazionali, l’autore mostra come in realtà esso rimanga un’istituzione assolutamente centrale nella vita politica ed economica.

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 machina

Gli Stati Uniti e il «capitalismo fascista»

di Maurizio Lazzarato

0e99dc f7c46ea01f0d4fcf962adefa191dd312mv2Siamo dentro a una nuova accumulazione primitiva, a un nuovo ciclo strategico innescato da Trump. È questo il fulcro, il significato politico del nuovo governo USA, le cui decisioni politiche, arbitrarie e unilaterali, mirano a espropriare la ricchezza di alleati e nemici. Trump sta imponendo i rapporti di potere con la forza; una volta stabilita la divisione tra chi comanda e chi obbedisce, si possono ricostruire le norme economiche e giuridiche, gli automatismi dell’economia, le istituzioni nazionali e internazionali, espressione di un nuovo «ordine». In un certo senso, Trump politicizza ciò che il neoliberalismo aveva cercato di depoliticizzare: non è più l'«oggettività» del sistema di mercato, delle leggi finanziarie a comandare, ma l'azione di un «signore» che decide in modo arbitrario le quantità di ricchezza che ha diritto di prelevare dalla produzione dei suoi «servi».

Così, oggi, il capitalismo non ha più bisogno, come un tempo, di affidare il potere ai fascismi storici, perché la democrazia è utilizzata a propri fini, fino a produrre e riprodurre guerra, guerra civile, genocidio. I nuovi fascismi sono marginali rispetto ai fascismi storici e, quando accedono al potere, si schierano immediatamente dalla parte del capitale e dello Stato, limitandosi a intensificare la legislazione autoritaria e repressiva e agendo sull’aspetto simbolico-culturale.

Un articolo importante, da discutere approfonditamente.

* * * *

«L’accumulazione originaria, lo stato di natura del capitale,
è il prototipo della crisi capitalista»
Hans Junger Krahl

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analisidifesa

Droni russi sulla Polonia: dall’allarme rosso all’ennesima farsa di guerra

di Gianandrea Gaiani

5916006937445649422 121 002.jpgL’infiltrazione di uno sciame di droni russi Gerbera nello spazio aereo polacco la notte tra il 9 e 10 settembre ha suscitato molto allarmismo per la supposta iniziativa di Mosca e qualche preoccupazione per la scarsa reattività delle difese aeree polacche e alleate, capaci di intercettare 3 o forse 4 dei 19 Gerbera segnalati sulla Polonia.

Analisi Difesa si è occupata della vicenda (peraltro venendo ripresa e citata da molti altri media in Italia e all’estero) evidenziando tre possibili opzioni: un tentativo russo di intimidire gli europei e testare la reattività delle difese aeree polacche (ipotesi che preso subito piede in Europa), uno sconfinamento dovuto a errore o agli effetti delle contromisure elettroniche ucraine (ipotesi accreditata negli Stati Uniti) oppure un finto attacco  orchestrato con scopi propagandistici da ucraini e polacchi per evidenziare che la minaccia russa incombe su Europa e NATO.

Immagini e notizie emerse successivamente rendono molto probabile che la terza ipotesi si riveli la più plausibile. Non solo perché Mosca ha sempre negato di aver inviato droni verso lo spazio aereo polacco ma anche perché negli ultimi tempi in Ucraina ed Europa si sono moltiplicate le operazioni propagandistiche tese ad accentuare la percezione dei russi come una minaccia spietata per tutta l’Europa.

Molte di queste operazioni propagandistiche sono sprofondate nel ridicolo come nel caso dell’attacco elettronico al GPS dell’aereo del presidente della Commission e europea Ursula von der Leyen in atterraggio in Bulgaria, Un’operazione così raffazzonata da venire smentita da tutti gli esperti di navigazione aerea e persino dalle autorità di Sofia.

Non meno ridicola la notizia dell’attacco contro il palazzo del governo a Kiev, dove è davvero scoppiato un incendio ma non vi sono prove né video o foto che documentino l’impatto di un drone russo. Purtroppo (per la credibilità complessiva di UE, NATO e dei singoli governi), anche la drammatica storia dell’attacco dei droni Gerbera alla Polonia sta trasformandosi in una patetica farsa.

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sbilanciamoci

Alla ricerca della verità nascosta: il Pil di Usa e Cina

di Vincenzo Comito

Con il summit di Tianjin dei primi di settembre l’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai a guida cinese è apparsa come il primo passo di un nuovo ordine mondiale. Ma resta il rebus della valutazione del Pil della Cina e anche di altri Paesi, su cui le stime divergono

AA1D2Sfx.jpegPremessa

Con le sue continue mosse destabilizzanti, Donald Trump sembra alla fine privilegiare, tra i tanti punti di conflitto, quello con la Cina, seguendo in questo, e sviluppando, i lasciti in proposito di Joe Biden e della sua stessa prima presidenza, nonché le mosse di Obama.

Il punto di partenza delle ostilità può essere fatto risalire al 2015, quando la Cina lanciava la Belt and Road Initiative e contemporaneamente il piano 2015-2025 per l’avanzamento tecnologico del Paese (cf. Jeffrey Sachs). Questi due progetti hanno cominciato ad allarmare seriamente i gruppi dirigenti degli Stati Uniti e l’allora presidente Barack Obama arrivò a lanciare il suo slogan “Pivot to Asia” (peraltro, gli statunitensi impararono presto a sostituire la parola “Asia” nella frase con “Indo-Pacifico”, per sottolineare che l’America c’entrava a pieno titolo con l’intera regione).

Ora la postura di lotta di Trump appare certamente motivata dal fatto che il Paese asiatico minaccia di raggiungere e anche di superare gli Stati Uniti, quando non lo abbia già fatto, sul fronte commerciale, economico, tecnologico, finanziario, militare – cosa impensabile sino a poco tempo fa in un Paese che si ritiene guidato da Dio, almeno secondo i suoi gruppi dirigenti, ma anche secondo una larga parte dell’opinione pubblica.

Probabilmente l’ostinazione di Trump appare anche guidata da valutazioni e informazioni a noi non note sui temi citati. In ogni caso il Paese asiatico appare un osso molto duro anche per gli Stati Uniti.

Sul piano economico in particolare normalmente, quando si parla della Cina, si aggiunge di solito l’espressione “la seconda economia del mondo”. Ora, questa definizione, vera o falsa che sia, sembra andar bene ad ambedue i protagonisti presenti sulla scena: agli Stati Uniti, che si sentono così confermati e confortati nel loro supposto primato mondiale, ma anche alla Cina, che tende in generale a mantenere, secondo la tradizione, un profilo basso e preferisce essere ancora considerata un Paese in via di sviluppo, appartenente al Sud del mondo.

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comuneinfo

Nel laboratorio della guerra

di Paolo Vernaglione Berardi

Il riarmo mondiale, a cominciare da quello dell’Ue. L’esercizio autoritario di governo in molti paesi. Le trasformazioni del diritto internazionale e i nuovi modi di esercizio del potere, come la securizzazione dei territori, in rapporto a un diritto che occupa una posizione marginale rispetto al potere di guerra e di pace. La guerra è un grande laboratorio con molti volti

army 1835300 1920.jpgPochi dati bastano per ricordare ciò che è di dominio pubblico. Il folle riarmo deciso dall’Unione Europea consta di 800 miliardi, reali o virtuali poco conta perché sottratti a sanità, conversione ecologica, istruzione e servizi sociali. E sono soldi a debito. Il piano “Re-arm Europe” (“Readiness 2030”) propone di mobilitare gli 800 miliardi attraverso un nuovo strumento di prestito da 150 miliardi di euro (SAFE), il riorientamento dei fondi di coesione, la mobilitazione di capitali privati e un maggior sostegno della Banca Europea degli Investimenti. L’effetto della proposta è stato il riarmo della Germania e l’idea della Francia di condividere la propria capacità nucleare nazionale.

Dal 2021 i fondi destinati ai programmi militari sono aumentati di circa il 350%. Nel 2024 le spese nazionali aggregate dei paesi UE della NATO sono aumentati a più di 40 volte il totale dei fondi per il settore militare stanziati dall’Unione Europea. L’Ucraina ha ottenuto dal Fondo Europeo per la Pace (sic!), il più grande programma in ambito militare, 5,6 miliardi di euro di forniture militari (fonte Sbilanciamoci!).

La pressione per sviluppare un profilo di difesa adeguato per l’UE è stata intensificata nel corso della prima elezione di Trump (2016) che ha messo in discussione il futuro della NATO in Europa e le politiche transatlantiche. D’altra parte la guerra in Ucraina ha accelerato l’espansione della NATO a est su richiesta di Svezia, Finlandia e paesi baltici, noti per le posizioni integraliste nei confronti della Russia.

Nel 2024 la Svezia è entrata nella NATO e la spesa militare è aumentata del 34%, raggiungendo i 12 miliardi e il 2% del PIL. La Polonia ha raggiunto i 38 miliardi con aumento del 31% (4,2% del PIL).

La crescita vertiginosa delle spese per le iniziative di difesa testimonia la trasformazione dell’Europa da progetto di pace ad attore militare. La Commissione è il principale attore del riarmo. Tra il 2017 e oggi ha speso 6,836 miliardi del bilancio europeo per la difesa.

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machina 

Per un'analisi scientifica del potere nel capitalismo contemporaneo

di Andrea Pannone

0e99dc 5496bdbd62db4ba0a638569a3cc6dec8mv2.jpgAlla luce delle trasformazioni strutturali del capitalismo contemporaneo Andrea Pannone scrive che oggi è necessario ridefinire il concetto di potere, superando la concezione che lo intende come semplice capacità di influenzare l’azione altrui tipica dell'economia mainstream e ampliando la prospettiva marxista. Pannone in quest'articolo definisce potere come la capacità differenziale di agire sulla sfera economica, politica e sociale attraverso la centralizzazione del controllo di risorse materiali, umane e finanziarie.

* * * *

L’analisi scientifica del potere: un vuoto da colmare

Nel panorama dell’analisi economica, il concetto di potere — inteso come capacità di plasmare relazioni sociali e controllare risorse — rimane sorprendentemente marginale, specialmente nell’economia mainstream. I paradigmi neoclassici, focalizzati su equilibrio di mercato, efficienza e razionalità individuale, tendono infatti a ridurre il potere a un effetto secondario di dinamiche competitive, trascurando il suo ruolo strutturale nelle asimmetrie tra capitale e lavoro, o tra grandi corporation e interessi collettivi. Sebbene però le scuole eterodosse, come l’economia marxista, riconoscano il potere come intrinseco alle relazioni di produzione, le loro analisi, pur ricche di profondità teorica, spesso mancano di un approccio sistematico che combini rigore analitico con una chiara validazione empirica. Questo paper rappresenta un primo passo verso la costruzione di un quadro metodologico scientifico che integri il potere come categoria centrale nello studio delle dinamiche dell’economia contemporanea, dalla finanziarizzazione, alla centralizzazione del capitale, fino alla formazione di temibili oligarchie transnazionali.

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transform

Il suicidio del capitalismo occidentale

di Alessandro Scassellati

manifestazioni israele 25 17.jpgIl capitalismo è in difficoltà sempre maggiori negli Stati Uniti e in Europa, mentre rimane una storia di successo in Cina e per la stragrande maggioranza delle persone che vivono in Asia, Africa e America Latina, le quali hanno come probabile priorità quella di non essere più povere  e raggiungere il più rapidamente possibile uno sviluppo economico dignitoso. Certamente, ora il capitalismo continua a essere dinamico in Cina e non negli USA, né soprattutto in Europa.

Uno studio uscito in questi giorni dimostra che il CEO della catena di caffè Starbucks ha uno stipendio annuo oltre 6.666 volte superiore a quello del dipendente medio di Starbucks. È un dato emblematico. La ricerca dimostra che la società statunitense ha avuto una continuità negli ultimi 30 anni simile a quella della Cina, solo che in Cina la continuità si è tradotta in un tasso di crescita annuo del PIL nell’ordine del 4, 5, 6, 7, 8%, mentre gli Stati Uniti non hanno nulla di lontanamente simile. Sono fortunati se raggiungono il 2%.

Il dato veramente impressionante è quello relativo alla crescita della disuguaglianza negli Stati Uniti. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, gli Stati Uniti erano meno diseguali dell’Europa. Ora, hanno lasciato l’Europa indietro per il livello di disuguaglianza di reddito e di ricchezza che hanno. Quindi, è un capitalismo che non è più in grado di fare negli Stati Uniti ciò che ha promesso al suo popolo nel corso del XX secolo: creare e sostenere un’immensa classe media. Questo è tutto finito, questa fiducia è scomparsa e la realtà è ormai completamente cambiata. La classe media non c’è più. È letteralmente scomparsa. È così ovvio che persino i politici mainstream si attaccano a vicenda sostenendo che il loro avversario sta distruggendo la classe media e che il loro obiettivo è riportarla in campo. Tutti lo dicono, nessuno lo fa. Sono ormai decenni che ogni presidente, repubblicano o democratico, ha promesso di riportare la produzione manifatturiera in America, ma nessuno di loro l’ha fatto.

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lafionda

Francesca Albanese e la disumanità degli umani

di Alberto Bradanini

175845866 c690becc 623e 4406 9418 5c9d181d52c1.jpg1. Solo gli esseri umani sanno essere disumani. Quelli che nel creato qualifichiamo come animali si comportano in modo decisamente più umano. La mesta realtà che ci circonda riflette le prodezze di figure politiche dozzinali ed evanescenti, giornalisti reclutati tanto al chilo, accademici/esperti che misurano le parole per il loro rimbalzo su carriera e immagine, pubblici funzionari eviscerati al servizio funzionale di chi sta in alto. Tutti costoro hanno divelto dalle loro arterie ogni traccia di empatia nei riguardi dei loro simili. Ogni istante, uomini, donne e bambini palestinesi vengono massacrati dallo stato sion-nazista di Israele, senza alcuna ragione che non sia riconducibile a malvagità, odio, delirio di potenza, saccheggio e furto di terre. Eppure, coloro che dispongono di poteri o pubbliche tribune tremano all’idea di gridare l’evidenza. Devono obbedire al dominus atlantico, guardiano della finanza privata, dei produttori di armi o dei potenti ricattati per crimini dicibili o indicibili (pedofilia/Epstein, evasione fiscale, corruzione, depravazione senile …).

La realtà è invero plateale: Israele è uno stato terrorista, impunito e impunibile perché come le iene nella giungla dispone dell’astuzia e della forza, guidato da un governo che bombarda tutto ciò che si muove entro un raggio di 500 km dalla sua capitale (Tel Aviv, per il diritto internazionale, non Gerusalemme!), sicuro di farla franca perché protetto dai loro complici (gli amerikani sfrontati davanti alla storia e alla coscienza del mondo), violando la Carta delle Nazioni Unite, uccidendo civili come mosche, demolendo edifici pubblici dove capita (Teheran, Beirut, Gaza e ierlaltro 16 luglio 2025 a Damasco!) in una lista di nefandezze lunga fino al pianeta Marte, tutto e sempre per legittima difesa, che vergogna!

Codardi quali sono, i titolari delle nostre istituzioni – sulla carta guardiani della Costituzione più bella del mondo, quella umiliata ogni istante dalla incomprensibile cobelligeranza sul fronte ucro-nazista, della guerra predatoria Usa contro la Russia e del sostegno al sionismo espansionista, ladro di territori altrui – sostenuti dai maggiordomi mediatici-accademici-esperti, temono di essere puniti dal cerchio magico sionista che ha penetrato persino le sfere di un sistema-paese inconsistente come l’Italia

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sollevazione

Apologia del protezionismo

di Moreno Pasquinelli

PHOTO 2025 07 15 10 42 10.jpg«La libertà di pensiero ce l’abbiamo. Adesso ci vorrebbe il pensiero». Karl Kraus

La buona notizia

Bullo, giocatore d’azzardo, erratico, collerico, narcisista impulsivo, nazionalista, matto…

Questi sono solo alcuni degli epiteti che i nostalgici della globalizzazione neoliberista, calpestando le sottigliezze formali del politicamente corretto, appioppano a Donald Trump. Insulti che tradiscono lo stato confusionale in cui sono caduti. Erano caduti nel criosonno della fine della storia e si trovano alle prese con le leniniane contraddizioni inter-imperialistiche.

La vetusta bagascia del capitalismo europeo, sedotta e abbandonata dal suo giovane amante americano, vive una crisi esistenziale perché non riesce a darsi ragione di questo tradimento, che non sembra affatto un voltafaccia estemporaneo ma lungamente meditato e programmato. Fanno i finti tonti: com’è possibile che Trump dimentichi i dogmi liberoscambisti e rinneghi l’Abc della ricardiana Teoria dei costi comparati che regolerebbero il commercio internazionale?

La verità è che, sgomenti, i nostalgici condannano Trump per quello che considerano il più grave dei crimini:

«Una politica che non è motivata da un’ideologia politica, non già da un pensiero economico. Con Trump, il determinismo economico che ha orientato la fase neoliberale (è l’economia che determina la politica) è stato sostituito dall’autoritarismo politico (è la politica che determina l’economia». [1]  

[Notare la chicca e il tranello semantico: la chicca per cui ogni determinazione politica dell’economia è squalificata come “autoritaria” e l’imbroglio per cui la finanza predatoria è chiamata “mercato”].

Incapaci di fuoriuscire dalla loro gabbia concettuale liberal globalista — il cui motto è: “mai mettersi contro il mercato che ha sempre ragione anche quando ha torto”—, i censori di Trump, dopo aver affermato che “una bilancia commerciale in passivo ha i suoi grandi vantaggi”,  si consolano prevedendo sfracelli per l’economia americana.

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aldous

Colonizzati dal peggio

di Alberto Giovanni Biuso

mogettaCome è stato possibile che le scuole e le università dell’occidente anglosassone (USA e UE) siano pervenute allo stato di morte cerebrale nel quale versano? Quali fattori storici, prospettive pedagogiche, dinamiche sociali e mediatiche hanno condotto a un esito che si può certamente definire tragico per le nostre società?

Un libro di quasi trent’anni fa, tradotto soltanto ora in Italia, risponde a tali domande con una chiarezza persino lancinante. Eric Donald Hirsch mostra, sulla base di una documentazione amplissima e rigorosa, che quanto i pedagogisti che si autoproclamano ‘progressisti’ spacciano come ‘novità’ sono idee in realtà assai vecchie. Esse si riassumono in due prospettive: il formalismo dell’‘imparare a imparare’ e il naturalismo che ritiene bene tutto ciò che nel bambino non subisce l’intervento dell’educatore.

Per quanto riguarda il formalismo, «sapere come imparare» è «un’abilità astratta che neanche esiste» e che tuttavia viene ritenuta da molti pedagogisti (e anche insegnanti) «più importante che avere un ampio fondamento di conoscenze fattuali che davvero consentono l’apprendimento ulteriore» (E.D. Hirsch Jr., Le scuole di cui abbiamo bisogno e perché non le abbiamo, trad. e cura di P. Di Remigio e F. Di Biase Editrice Petite Plaisance, Pistoia 2024, p. 228).

Il naturalismo consiste nella convinzione «che la natura umana fosse innatamente buona, e dovesse dunque essere incoraggiata a seguire il suo corso naturale, non contaminata dalle imposizioni artificiali del pregiudizio e della convenzione sociale» (87).

Il formalismo è frutto di una didattica di forte impronta scientista ma con nessun fondamento scientifico, neppure nella psicologia. Il naturalismo educativo è la conseguenza del Romanticismo europeo che con Pestalozzi, Herbart, Froebel ha permeato di sé la pedagogia e la pratica educativa negli Stati Uniti d’America almeno a partire dal 1918.

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transform

Panorama estivo, prospettive autunnali e orizzonti futuri

di Roberto Rosso

armi rottamate 14.jpgIl tema della catastrofe ritorna, nei resoconti quotidiani, nelle previsioni degli andamenti stagionali e nelle proiezioni di più lungo periodo. Le notizie da Gaza, con i primi notiziari del mattino colmano la misura dell’orrore quotidiano con cui sia possibile confrontarci. Il sistema degli aiuti, israelo-americano, la Gaza Humanitarian Foudation1 trasforma il bisogno di nutrirsi di una popolazione affamata in una lotteria contro la morte, puoi ottenere cibo, puoi morire, puoi rimanere affamato. La stessa struttura organizzativa sta programmando la concentrazione della popolazione di Gaza in una cittadella umanitaria, completando lo sradicamento, rendendo totalmente dipendente la sopravvivenza dell’intera popolazione dalle disposizioni del governo di quella agenzia, che ha espulso l’intervento di qualsiasi organizzazione di soccorso umanitario. Sradicamento, concentrazione, controllo totale sui meccanismi di sopravvivenza regolati al livello minimo, precondizione per liberare la striscia dalla loro presenza; è facile prevedere che aprendo i chiudendo i rubinetti dei mezzi di sopravvivenza, in una condizione di dipendenza totale, l’alternativa che si imporrà sarà quella del migrare altrove, per quei pochi che resteranno la possibilità di servire i nuovi padroni. Ferocemente gli abitanti della striscia saranno guidati dal rombo dei bombardamenti, dallo sfacelo delle loro carni, dalla fame, dalla sofferenza e dalle malattie, le piaghe d’Egitto sono servite.

Gaza quindi è la catastrofe quotidiana che ci viene servita, in tutte le ore di veglia delle nostre giornate, è anche metafora e dispiegamento concreto della potenza della tecnica applicata al governo di una contraddizione, contraddizione nei confronti di una volontà di dominio; supremazia della tecnologia applicata ai sistemi d’arma, ai singoli dispositivi, al coordinamento, al dispiegamento delle linee strategiche. Da ultimo l’utilizzo delle tecnologie di Intelligenza Artificiale per individuare e selezionare gli obiettivi attraverso l’analisi delle dinamiche sociali, è guerra sociale fondata sulla collaborazione tra l’uomo e la macchina. Impressionante è la coniugazione della analisi raffinata, l’individuazione degli obiettivi nel magma della materia sociale assieme alla violenza indiscriminata, non solo nell’area attorno agli obiettivi strategici, ma nel massacro generalizzato, nella ‘gratuità’ della distruzione di obiettivi come l’internet cafè o forse per interdire ogni forma di comunicazione.

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carmilla

I palestinesi, l’avanguardia dell’ultima generazione globale senza futuro

di Fabio Ciabatti

Franco Berardi “Bifo”, Pensare dopo Gaza. Saggio sulla ferocia e la terminazione dell’umano, Timeo, Palermo 2025, pp. 250, € 18,00

bifo cover.jpgPensare dopo Gaza significa guardare in faccia la catastrofe dell’umano riconoscendo il definitivo fallimento dell’universalismo della ragione, della democrazia e della civiltà. Capire è l’unica cosa che ci rimane, anche se “Il pensiero non può pensare altro che la propria impotenza”. La disperazione è rimasta l’unico sentimento umano. L’unica opzione a nostra disposizione è quella di disertare la storia, pur non avendo alcuna idea di come farlo. Franco Berardi, al secolo Bifo, non conosce mezze misure nel suo ultimo libro intitolato, appunto, Pensare dopo Gaza. L’argomentazione è sempre portata all’estremo e talvolta sconfina nell’invettiva senza curarsi dei suoi possibili effetti disturbanti per i benpensanti, compresi quelli di sinistra. Per lui Israele è il paese che, dal punto di vista della ferocia sterminatrice, è quello più sviluppato e per questo mostra a quelli meno progrediti l’immagine del loro avvenire. Per esempio attraverso l’utilizzo bellico dell’intelligenza artificiale le cui ricerche sono essenzialmente finalizzate, in tutto il mondo, a ottimizzare lo sterminio, dal momento che il sistema militare è il loro principale committente. Applicazioni come il programma Lavender, utilizzato dagli israeliani a Gaza secondo le rivelazioni della rivista israelo-palestinese +972, consentono di perpetrare massacri in modo asettico, superando definitivamente gli ostacoli rappresentati dalle emozioni umane e dalla fatica di uccidere.

L’idea che gli israeliani si stiano comportando come i nazisti dà le vertigini. Eppure, sostiene Bifo, non si può arretrare di fronte a questo tabù perché la storia dello stato sionista ci insegna che ci sono traumi che non possono essere elaborati, ma solo riprodotti. Israele si costituisce per prevenire una nuova aggressione antisemita, ma lo fa rispondendo allo shock storico della Shoah in modo vendicativo e asimmetrico, punendo chi non ha alcuna colpa e non può difendersi. Per i sionisti la ragione universale, che ha preso forma con il contributo essenziale dell’intellettualità ebraica, non è stata una protezione sufficiente dallo sterminio antisemita. Un pensiero legittimo, sottolinea Bifo, che rende tragicamente comprensibile il passaggio successivo: per non essere più prede bisogna diventare predatori.

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transform

Assistiamo attoniti all’agonia del diritto internazionale

di Alessandro Scassellati

I paesi potenti si comportano come se il diritto internazionale non contasse, o addirittura non esistesse. Un numero crescente di studiosi e giuristi sta perdendo fiducia nel sistema attuale del diritto internazionale. Altri sostengono che la colpa non sia della legge, ma degli Stati che dovrebbero rispettarla. Proprio quando il mondo ha disperatamente bisogno di anziani saggi, il suo destino è nelle mani di vecchi e spietati patriarchi. Il diritto internazionale che presiede all’ordine globale sta venendo smantellato da una generazione di governanti che non vivrà abbastanza per vedere i detriti che si lascia alle spalle

212854074 91b8d631 780e 4cca 98f1 f54832d76015.jpgMentre il mondo è alle prese con un’ondata di conflitti armati, crisi umanitarie e palesi violazioni dei principi fondamentali del diritto internazionale (tra cui attacchi all’indipendenza delle corti internazionali, preoccupazioni sul genocidio e sulle guerre in Medio Oriente), i commentatori si interrogano sempre più sulla rilevanza del diritto internazionale. Ha mai avuto importanza? È mai stato espressione di solidarietà globale e di un’umanità comune? E se sì, perché oggi sta fallendo in modo così catastrofico? Allo stesso tempo – e ironicamente in mezzo a questa turbolenza globale – il diritto internazionale, incluso il diritto dei diritti umani, rimane il quadro normativo più dominante per legittimare e delegittimare i comportamenti sulla scena globale, a dimostrazione della sua persistente influenza anche quando la sua applicazione appare precaria. Con l’espressione “agonia del diritto internazionale” cerchiamo di mettere in luce un dibattito cruciale sull’efficacia e la legittimità del diritto internazionale nell’affrontare le sfide globali. Essa evidenzia il divario tra gli ideali del diritto internazionale e la sua applicazione pratica, in particolare in ambiti come la prevenzione dei conflitti militari, i diritti umani, la tutela ambientale e la giustizia economica.

A fine aprile, alcuni terroristi hanno ucciso 26 civili nella città indiana di Pahalgam, situata nella regione montuosa di confine del Kashmir. L’India ha rapidamente incolpato il Pakistan dell’attacco, ha lanciato attacchi missilistici verso di esso e ha annunciato la sospensione del trattato sulle acque dell’Indo, minacciando di fatto di interrompere i tre quarti dell’approvvigionamento idrico del Pakistan. L’India sta ipotizzando di chiudere il rubinetto a 250 milioni di persone. Ciò violerebbe non solo il trattato, ma anche le leggi internazionali sull’uso equo delle risorse idriche.

I governanti pakistani hanno la spaventosa consapevolezza che non ci sia molto da fare perché assistiamo a un’improvvisa erosione delle istituzioni multilaterali, delle norme istituzionali internazionali.

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lafionda

Tripolarità senza catastrofe

di Salvatore Minolfi

nbsujeiStorditi da un trentennio di monocultura unipolare, ci siamo largamente disabituati a ragionare di potere, il cui perimetro definitorio è andato sempre più sfumando negli ampi e rilevanti territori circostanti, per confondersi, di volta in volta, con la potenza industriale, la ricchezza finanziaria, la forza commerciale, l’esuberanza demografica, l’innovazione high tech, il fascino ideologico, ecc. Disabitudine insostenibile se rapportata a un tempo storico la cui cifra dominante è rappresentata da una crisi conclamata dell’ordine internazionale, la cui severità è testimoniata non solo dai sorprendenti sviluppi che pure la punteggiano, ma anche dai sempre più vistosi disaccordi che emergono quando si discute della forma che il mondo stesso oggi presenta o va tendenzialmente assumendo in conseguenza di questa crisi. In breve, l’incertezza investe non solo i tradizionali parametri di analisi, ma la realtà stessa, poiché fornisce spesso indicazioni contraddittorie e ci costringe a fare i conti con l’elusività che sembra avvolgere il potere nella sua forma più alta e distillata. È su questo livello che ha senso avventurarci, rinunciando per ciò stesso alle più diffuse e confortevoli semplificazioni.

Negli Stati Uniti – l’unico paese dove l’analisi del potere e la riflessione strategica non si sono mai interrotte – le divergenze sono tali da coprire pressoché l’intero spettro delle rappresentazioni possibili, ciascuna delle quali porta con sé, inevitabilmente, orientamenti e prescrizioni differenti per l’agire politico delle classi dirigenti.

 

Potere e influenza

Mi riferisco, innanzitutto, al fatto che la riflessione sul potere oscilla (ormai da più di mezzo secolo) tra due diversi campi semantici: il potere come “capacità” e il potere come “influenza”.

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tempofertile

Le radici oscure dell’Occidente

di Alessandro Visalli

repubbliche marinare e schiavitù.jpg“La prima [ragione della giustezza di questa guerra e conquista] è questa: essendo gli uomini barbari [gli indios] per natura servili, incolti e inumani, essi si rifiutano di accettare il comando di quelli che sono più prudenti, potenti e perfetti di loro; comando che darebbe loro grandi vantaggi, è infatti, cosa giusta, di diritto naturale, che la materia obbedisca alla forma, il corpo all’anima, l’appetito alla ragione, i bruti all’uomo, la moglie al marito, l’imperfetto al perfetto, il peggiore al migliore, per il bene di tutti”.

Juan Ginés de Sepúlveda, De la Justa causa del la guerra contro los indios, Roma 1550

Il razzialismo occidentale e le sue conseguenze

Cedric J. Robinson, nella sua imponente opera maggiore del 1983[1], ha cercato di individuare una tradizione radicale nera indipendente dalla radice occidentale della tradizione socialista per come si è formata intorno alle opere e all’azione di Marx, Engels e la socialdemocrazia europea. Una tradizione che si forma sulla base dell’esperienza di sradicamento violento e diasporica ed ha carattere egualitario e comunitario, all’inizio esemplificata nel marronaggio[2]. Nel compiere questa impresa, tuttavia, produce una notevole ricostruzione storico-culturale e decostruttiva della natura della civiltà occidentale che a suo parere è caratterizzata da una particolare forza materiale che ha dimensione sia sociale che culturale e viene condivisa in tutto lo sviluppo storico della civiltà occidentale, risultando antecedente al capitalismo: il razzialismo.

Una forma di distinzione e classificazione tra gruppi e individui, parte di una pratica di controllo e sfruttamento, che è interna alla civilizzazione europea e non si esprime solo verso l’Altro esterno, quanto creando costantemente ‘Altri’ interni, nicchie e enclavi, ghetti e periferie.

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lafionda

Dazi e Iran? Il debito USA fa politica estera (per la gioia dei mercati)

di Fabio Vighi

prova cover.pngNel film Finché c’è guerra c’è speranza (1974) Alberto Sordi interpreta Pietro Chiocca, imprenditore corrotto che vende armi a dittatori africani per garantire alla sua famiglia un tenore di vita lussuoso. Tutto sembra cambiare quando un giornalista del Corriere della Sera lo diffama pubblicamente come “mercante di morte”. A quel punto, davanti allo sdegno (ipocrita) dei familiari (la moglie Silvia, i tre figli Ricky, Giada e Giovannone, la suocera e lo zio), Chiocca si dice disposto, se lo vorranno, a tornare al suo vecchio e onesto lavoro di commerciante di pompe idrauliche; e chiede loro di comunicargli la decisione presa dopo un’ora di riposo. Ma la moglie manda la domestica a svegliarlo con un quarto d’ora d’anticipo, e lui capisce che per la famiglia, evidentemente più affezionata al lusso che alla morale, lo scandalo non è più un problema. Nella scena finale, Chiocca sale su un aereo per andare a piazzare un’altra commessa d’armi.

Dopo 50 anni quel film è ancora molto attuale. La sola differenza è che oggi le guerre, siano epidemiologiche (Covid), commerciali (dazi), o militari (Ucraina, Gaza, Siria, Iran), vengono innescate, a ritmi sempre più serrati, al fine di sostenere quella montagna di debito su cui l’occidente a traino USA ha costruito la propria illusione di benessere (che è lusso reale solo per lo 0.1%). Basti osservare la reazione dell’obbligazionario statunitense all’intervento militare ordinato da Trump contro l’Iran lo scorso fine settimana: con la riapertura di Wall Street (perché gli shock vengono sempre scatenati “a bocce ferme”) il rendimento del Treasury decennale, termometro della febbre di sistema, è crollato di 10 punti base nel giro di 5 ore. Tradotto: flusso d’investimenti verso il “porto sicuro” dei buoni del tesoro statunitensi; risparmio di miliardi di dollari in spese per gli interessi sul debito sovrano USA; conseguente sensibile rialzo a Wall Street (Dow, S&P 500 e Nasdaq).

Allora conviene davvero mettersi in testa che, esattamente come per la famiglia di Pietro Chiocca, il mercato ama le guerre (incluse le “pandemie”).

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tempofertile

La sconfitta dell’Occidente e la Guerra Mondiale a Pezzi

di Alessandro Visalli

0 10278.jpgIl 13 settembre 2014, profeticamente, Papa Francesco dichiarò il segno del nostro tempo tragico. Nel centenario della Prima Guerra Mondiale ricordò che “anche oggi, dopo il secondo fallimento di un’altra guerra mondiale, forse si può parlare di una terza guerra combattuta ‘a pezzi’, con crimini, massacri, distruzioni[1].

Sono passati solo undici anni, ma sembrano un’eternità. Si era nel tempo del Job Act di Renzi, di Schäuble che al G20 si oppose alle richieste di manovre anticicliche degli Usa, riaffermando il vangelo dell’austerità e il surplus di bilancio europeo e tedesco. Era il tempo in cui Obama spingeva perché fossero firmati due trattati di libero scambio, in chiave anti-cinese e a vantaggio delle aziende tecnologiche. Il TTIP (con l’Europa) e il TPP (con l’Asia) avevano infatti un solo scopo: come Jack Lew chiese al G20, quello di creare le condizioni per ribilanciare le partite commerciali statunitensi. Allora come ora il mondo esportava negli Stati Uniti molto più di quanto importasse da essi, e i cittadini americani consumavano più di quanto producessero. Allora come ora il debito pubblico, traduzione di quello privato, cresceva sempre di più. Allora come ora il sistema-America era complessivamente indebitato verso il mondo. E allora come ora la fiducia nella capacità sul lungo periodo (oggi anche sul breve) di sostenere questo ritmo era sfidata.

Sono passati undici anni e quei nodi sono giunti al pettine[2]. Sull’onda del progressivo svuotamento della posizione di forza americana[3], e dell’accelerazione della crisi europea passata per lo shock del Covid[4], la crescente competizione cinese e la guerra Ucraina che ha tagliato le sue forniture energetiche, l’Occidente appare disperato e pronto a tutto. La ragione è il vuoto che alberga nel suo cuore, in quelle classi medie e nelle contigue classi popolari attive, disinteressate e perse nella lotta per la vita, disperse in innumerevoli microcircuiti autistici di muto rancore coltivati scientemente dagli algoritmi[5] e ormai a quello che Todd chiama il punto zero (o stato zombi) del disperato individualismo.

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sinistra

Walt Withman, addio

di Algamica*

statualiberta«Io canto l’individuo, la singola persona, / al tempo stesso canto la Democrazia, la massa»
Verso tratto dalla poesia di Walt Whitman, “Io canto l’individuo”

Cosa succede in America?

Per chi conosce la sigla algamica (in calce a questo documento) sa che da alcuni anni, sul riflusso dell’insurrezione e del vastissimo movimento di George Floyd, sosteniamo che gli Stati Uniti d’America si stanno sbriciolando (“crumbling”) sotto l’incedere di una crisi generalizzata del modo di produzione capitalistico. Lo sbriciolamento approfondisce tutti i fattori di una nuova guerra civile. Non c’è questione sociale che immediatamente non porti ad assumere la forma della politica della violenza e così via.

Del resto, non siamo gli unici che avvertono il riverbero di onde telluriche profonde. Anche la stampa dell’establishment liberista occidentale avverte il tremolio e si domanda se l’America si stia avviando verso una nuova guerra civile americana. Se la seconda elezione di Trump ha segnato quel che scrivemmo nell’articolo “C’era una volta l’America”, i nuovi fatti che stanno accadendo in California, in Texas e in altre importanti città sono il riflesso agente di quella tendenza in marcia, che qui cerchiamo di esplicitare.

Perchè “Walt Withman, addio”? Perchè Walt Withman è, a ragione, ritenuto il padre della poesia statunitense, che in quei versi ha saputo condensare l’eccezionalità della storia americana che l’ha contraddistinta per oltre due secoli: ovvero la capacità di combinare la latente contraddizione tra lo sviluppo liberista delle libertà individuali con lo sviluppo della democrazia della maggioranza lungo un intero ciclo storico. Come più volte abbiamo scritto, già Alexis de Tecqueville indicava esservi una intrinseca, oggettiva contraddizione, ma la democrazia americana era dotata di quella incredibile capacità di compensarla.

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transform

La violenza sta cominciando a definire la crisi della democrazia liberale americana

di Alessandro Scassellati

no king 05.jpgC’è la violenza spettacolare come la parata militare di Trump e la violenza reale come l’assassinio di Melissa Hortman, i rapimenti e le deportazioni di migliaia di immigrati da parte delle milizie paramilitari dell’ICE e la repressione di coloro che protestano. La tendenza è decisamente in crescita mentre il regime trumpiano sta compiendo una torsione autoritaria. Gli Stati Uniti sono una società sfilacciata, lacerata dalla polarizzazione, da forti disaccordi e da un estremismo crescente. La democrazia liberale statunitense attraversa una grave crisi e si aprono scenari di autoritarismo.

Questa è la storia di un uomo che cade da un palazzo di cinquanta piani. Mano a mano che cadendo passa da un piano all’altro, il tizio, per farsi coraggio, si ripete: «Fino a qui tutto bene. Fino a qui tutto bene. Fino a qui tutto bene». Il problema non è la caduta, ma l’atterraggio. Dal film L’Odio di Mathieu Kassovitz

Sabato 14 giugno, con il boato di una salva di 21 colpi di cannone è iniziata la parata militare tanto desiderata da Donald J. Trump1 per festeggiare il 250° anniversario delle forze armate e, al tempo stesso, il suo 79° compleanno. Durante la parata, la banda musicale è passata da suonare “Jump” dei Van Halen a “Fortunate Son” dei Creedence Clearwater Revival, subito dopo che il presentatore aveva spiegato che gli obici M777 sono fatti di titanio. Nessuno, a quanto pare, aveva considerato il testo: “Alcune persone nascono, sono fatte per sventolare la bandiera, sono rosse, bianche e blu, e quando la banda suona Hail to the Chief, ti puntano il cannone addosso”. Un messaggio diretto che rischia di rappresentare in modo molto accurato quanto sta succedendo nel paese.

Gli Stati Uniti chiaramente non sanno come organizzare una parata militare autoritaria. Le parate militari autoritarie dovrebbero proiettare una forza invincibile. Dovrebbero impressionare il proprio popolo con la disciplina disumana delle truppe e incutere timore nei nemici con la capacità della propria organizzazione e dei sistemi d’arma.

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acropolis

La strategia piena di contraddizioni di Trump per preservare l’egemonia degli Stati Uniti

Nima Alkhorshid intervista Michael Hudson e Richard Wolff

NIMA ALKHORSHID: Ciao a tutti. I nostri amici Richard Wolff e Michael Hudson sono di nuovo con noi. Benvenuti.

shutterstock 2494420291 1080x607 1.jpgCominciamo con Lindsey Graham e la sua ultima visita in Ucraina. Non solo Lindsey Graham, Blumenthal e Mike Pompeo sono andati in Ucraina. Ecco cosa ha detto Lindsey Graham: (Lindsey Olin Graham è un politico, militare e avvocato statunitense, attuale senatore per lo stato della Carolina del Sud, è il neocon guerrafondaio che piace a Zelensky e alla Regina Von der Leyen, NdR)

LINDSEY GRAHAM: La Russia ha detto che l’Ucraina non ha buone carte. Beh, la Russia è molto più grande e ha molta più popolazione. Lo capisco. Ma il mondo ha molte carte contro la Russia. E una di queste carte che abbiamo sta per essere giocata al Senato degli Stati Uniti. In America, ci sono più di una persona al tavolo delle trattative. Abbiamo tre rami del governo, e la Camera e il Senato sono pronti ad agire. Cosa ci farebbe cambiare idea? Se la Russia si sedesse al tavolo delle trattative, accettasse un cessate il fuoco, e con serietà.

* * * *

NIMA ALKHORSHID: Richard, una delle carte di cui parla sono i dazi secondari del 500% sull’energia russa, che sappiamo influenzerebbero Cina, India e, alla fine, l’Europa. La tua opinione?

RICHARD WOLFF: Beh, Lindsey Graham è stato un senatore sbruffone per tutta la sua carriera. Questo è tutto teatro. Lui è stato tutto teatro. Lui è tutto teatro.

Ha radunato i molti altri membri di entrambe le Camere che, come lui, sono attori nell’anima e politici solo in secondo luogo. Questa è spettacolarità. Tutto qui. È qualcosa che ha deciso migliorerà la sua reputazione laggiù nel Sud degli Stati Uniti, da dove proviene e dove viene eletto da persone che approvano quel tipo di teatralità, anche se la loro situazione reale sta peggiorando.

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giubberosse

Il progetto Trump sta andando in frantumi?

di Alastair Crooke - conflictsforum.substack.com

image 76.pngLe ricadute tra Musk e Trump (almeno per ora) hanno un che di “televisivo”. Ma non lasciatevi ingannare dai contenuti di intrattenimento. Il battibecco illustra una contraddizione fondamentale al cuore della coalizione MAGA. È possibile che questa contraddizione esploda in futuro e finisca per innescare il lento declino del Progetto Trump.

Un momento cruciale delle ultime elezioni statunitensi è stato il passaggio dei ricchissimi oligarchi tecnologici della Silicon Valley dal loro sostegno ai Democratici a Trump. Questo ha portato sia denaro che un potenziale scintillante premio: l’America avrebbe potuto conquistare il monopolio sull’archiviazione globale dei dati, sull’intelligenza artificiale e su ciò che Yanis Varoufakis chiama “capital cloud”, ovvero la presunta capacità di ricavare una rendita (ovvero commissioni) per l’accesso all’immensa riserva di dati americana e alle piattaforme associate delle Big Tech. Si riteneva che un tale monopolio sui dati avrebbe poi dato agli Stati Uniti la possibilità di manipolare il modo di pensare del mondo e di definire i prodotti e le forme di progettazione considerati “cool”.

L’idea era anche che un monopolio sui data center avrebbe potuto rivelarsi potenzialmente redditizio quanto il monopolio statunitense del dollaro come principale valuta commerciale, che avrebbe potuto garantire ingenti afflussi di capitali per compensare il debito.

Tuttavia, la caratteristica esplosiva della coalizione tra oligarchi della tecnologia e populisti del MAGA è che entrambe le fazioni hanno visioni inconciliabili, sia per quanto riguarda la gestione della crisi del debito strutturale americano, sia per quanto riguarda il futuro culturale del Paese.

La visione dei “Tech Bros” [Fratelli Tecnologici] è selvaggiamente radicale; è un “libertarismo autoritario”. Peter Thiel, ad esempio, sostiene che un piccolo gruppo di oligarchi dovrebbe governare l’impero, libero da qualsiasi limitazione democratica; che il futuro dovrebbe basarsi sulla “tecnologia dirompente”; essere robotico e guidato dall’intelligenza artificiale; e che la popolazione dovrebbe essere strettamente “gestita” tramite il controllo dell’intelligenza artificiale.

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sinistra

La babele ambientale, la trappola climatica e l'inganno del Capitale

di Piero Campanile*

mina de orgueirel sabugal 1 510x340.jpg1) L’oblio dell’ambiente e l’unica questione ricorrente

Nell’attuale frangente storico, funestato dai molteplici scenari di guerra che ormai strutturalmente accompagnano le contraddizioni e le convulsioni del sistema capitalistico-imperiale a guida USA -la cui centralità e leadership è più che mai messa in discussione nelle regioni del mondo non coincidenti con l’occidente collettivo- l’interesse per lo stato dell’ambiente e per le molteplici crisi ecologiche è di fatto marginalizzato, se non addirittura rimosso. Ma fino a ieri (e nulla ci lascia presagire un cambio di passo nell’immediato futuro) il dibattito ecologico è stato soggetto a un processo di semplificazione e allo stesso tempo di comprensibile proliferazione di discorsi, tale da rappresentare in maniera esemplare una assoluta babele comunicativa. La semplificazione, evidente a chiunque si sia anche in misura minima interessato a questioni ambientali, sta nella riduzione della complessità e della portata di queste ultime al solo tema dell’alterazione climatica, unico problema onnipresente nella comunicazione mediatica degli ultimi decenni. In questo modo sono aggirate e di fatto rimosse questioni annose e rilevantissime come l’avvelenamento di migliaia di corsi d’acqua, l’inquinamento dei mari, la diffusione incontrollata di plastiche (generalmente in forma di microparticelle) nelle acque e nei suoli, l’inquinamento dell’aria dovuto a tutte le tipologie di emissione di gas e polveri sottili provenienti dagli apparati industriali, dagli impianti di riscaldamento e dalla mobilità globale, la congestione delle metropoli, la distruzione delle foreste, la contaminazione dei sottosuoli imbottiti di ogni sorta di rifiuti tossici, la riduzione della fertilità dei terreni, l’assottigliamento dello strato di permafrost, la progressiva e drammatica riduzione della biodiversità.

E non è affatto un caso che di questi spinosissimi temi, la cui dimensione emergenziale è facilmente constatabile e dunque innegabile, non vi sia quasi traccia nella comunicazione pubblica, la quale è stata interamente monopolizzata dalla questione climatica.

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lafionda

Uscire dalle catacombe, contro l’apocalisse culturale

di Geminello Preterossi

112094229.jpgQuesto sasso nello stagno è una rivendicazione del sapere contro lo scientismo e l’ideologia tecnocratica (che si dissimula come neutrale e oggettiva), delle guglie della bellezza contro il suo appiattimento, della polis come luogo dell’anima contro le caricature impolitiche della soggettività, dell’accettazione consapevole e onerosa delle sfide aspre che ci pone la questione antropologica, tornata al centro del nostro tempo, contro il finto sorriso mostruosamente accomodante del Sistema dell’Iniquità, che produce solo distruzione dell’umano e totalizzazione dell’ostilità. A Gaza abbiamo una rappresentazione paradigmatica della banalizzazione del Male, reso quotidiano e normale dal governo di Netanyahu, che ha portato Israele ormai ben oltre la politica di potenza e la durezza repressiva del passato, quando pure aveva perpetrato orrori, come la strage di Sabra e Shatila, ma nascondendosi dietro la complicità con altri attori, velando le proprie responsabilità, per un residuo di pudore o per calcolo, perché assumerle apertamente avrebbe causato contraccolpi e reazioni in termini di consenso interno e credibilità internazionale. Oggi ogni maschera è caduta, e il Male sistematico (un vero e proprio disegno eliminazionista) viene compiuto direttamente, rivendicandolo.

Eppure, si sente dire, siamo entrati nell’epoca delle “magnifiche sorti e progressive” dell’Intelligenza Artificiale. Ammesso che lo sia (certo non “creativamente”), quello che manca è l’Intelligenza Collettiva (a dispetto di tutte le elucubrazioni sul General Intellect e sul capitalismo della conoscenza). È il tempo della “scienza” (non del sapere) come riduzione, efficace nel suo perimetro. Efficace esattamente come, dal punto di vista antropologico, lo era la magia nel suo ambito. Ma l’attuale uso della tecnoscienza è efficace anche antropologicamente? Il suo riduzionismo quali implicazioni ha per l’esperienza umana, quali prezzi fa pagare? Siamo sicuri che quella riduzione assicuri una comprensione profonda della complessità della realtà e della nostra stessa soggettività?

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lafionda

Europa: il tramonto di una civiltà

di Alberto Bradanini

Il tramonto dellOccidente non ci sara.jpgI meno sprovveduti tra gli abitanti del Vecchio Continente dovrebbero convenire che la rappresentazione dell’Europa – regione geografica, l’insieme disordinato di stati nazionali (sovrani solo sulla carta) o la cosiddetta Unione (Ue) – si colloca decisamente sopra le righe, in buona sostanza non risponde al vero. Coloro che sono persuasi del contrario, possono interrompere qui la lettura di un testo che troverebbero inutilmente corrosivo nei riguardi dei loro convincimenti.

Tale riflessione d’esordio presume un rispecchiamento dell’Ue che potremmo riscontrare tra le liane della giungla amazzonica, dal momento che la comprensione della sua identità legale e istituzionale, così come della sua essenza teleologica richiede un dispendio di energie di norma superiore a quanta se ne ha a disposizione. In assenza del sottostante, un popolo europeo – che solo la storia avrebbe potuto costruire, ma non lo ha fatto – il livello di coesione delle sue cosiddette classi dirigenti, simile a quello delle onde in modulazione di frequenza, cambia orientamento a seconda del punto cardinale da cui sorge la luna.

È sufficiente uno sguardo distratto, o qualche pagina web, per comprendere che il tempo presente è quello in cui l’Europa – la cui storia millenaria, tragica e arruffata come poche, resta peraltro sconosciuta ai più – vede dileguare quei lineamenti che un tempo le avevano meritato la qualifica di civiltà.  Il continente è oggi null’altro che una regione-bersaglio guidata a meri fini estrattivi da entità solfuree ma brutali, vale a dire dai detentori del capitale globale, quelli che smittianamente decidono sullo stato di emergenza, una sofisticata terminologia questa per significare che sulle questioni che contano davvero son loro a decidere. Costoro ponderano l’Europa in una forma diversa rispetto ai cittadini europei (in larga parte frastornati dal rumore di fondo della Grande Menzogna) o extra-europei, questi distanti e ancor più indifferenti. E la democrazia? Beh, quella serve per riempire il nulla che nulleggia delle marionette che occupano le poltrone del potere. Vediamo.

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laboratorio

Il legame inscindibile del capitalismo con la guerra

di Domenico Moro

d21a952a6bfda17d02c3be8787f92885 XL.jpgLa guerra diventa un’attività caratteristica dell’umanità da quando questa si è divisa in classi sociali. Da sempre, infatti, le cause economiche stanno alla base della guerra. Ma solo con il capitalismo pienamente sviluppato si sono determinate le guerre mondiali, collegate alla mondializzazione del capitale, e la creazione di armi di distruzione di massa, dovuta all’enorme spesa per la ricerca e per le nuove tecnologie. La guerra è soprattutto un elemento propulsivo dell’economia capitalistica nei suoi momenti di crisi strutturale e quando la gerarchia di potenza su cui si basa a livello internazionale viene messa in discussione. Nei momenti di crisi la spesa militare e le immani distruzioni dovute all’uso delle armi moderne arrivano puntuali in soccorso dei profitti.

Non è, infatti, un caso che nel momento attuale, caratterizzato da una crisi che riguarda le aree di tradizionale maggiore sviluppo del capitalismo, gli Usa, l’Europa occidentale e il Giappone, si assista a un incremento della spesa militare. Negli Usa i tagli alle spese dell’amministrazione federale, che hanno già portato al licenziamento di migliaia di impiegati pubblici, si sarebbero dovuti estendere alla spesa militare, che in cinque anni si sarebbe ridotta di circa un terzo: dai 968 miliardi di dollari del 2024 ai 600 miliardi del 2030. Tuttavia, l’amministrazione Trump ha fatto marcia indietro e la spesa militare prevista per il 2026 crescerà a 1.010 miliardi, comprendendo la modernizzazione del nucleare, il Golden Dome, lo scudo spaziale e missilistico, e l’ampliamento delle forze navali[i].

Anche in Europa la spesa militare sta crescendo. La Commissione europea ha varato un piano di riarmo da 800 miliardi di euro spalmati su quattro anni. La Nato fino a qualche tempo fa chiedeva ai suoi stati membri di arrivare a una spesa di almeno il 2% del Pil, sebbene alcuni importanti stati non raggiungessero tale livello, comprese l’Italia e la Germania. Oggi, mentre l’Italia ha dichiarato che nel 2025 raggiungerà il 2%, il segretario generale della Nato, l’olandese Mark Rutte, propone di portare il livello minimo di spesa al 5% del Pil (3,5% di spesa militare vera e propria e 1,5% destinato alla cybersicurezza)[ii].