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lantidiplomatico

Saccheggio dell'Africa: destra e sinistra al servizio della NATO - Michelangelo Severgnini

di Alessandro Bianchi

720x410c5jdbvMentre domenica “Io Capitano” di Garrone si presenterà agli Oscar con un film che non affronta minimamente il colonialismo occidentale dietro la nuova tratta degli schiavi, c'è un altro regista italiano, Michelangelo Severgnini, che da anni è impegnato a combattere la censura e l’ostracismo contro i suoi lavori che hanno il grande torto di farlo, diffondendo la voce diretta del continente africano.

Nel suo ultimo lavoro, “Una storia antidiplomatica”, prodotto da l'AntiDiplomatico, ha formalizzato una costituente sulla migrazione in 8 punti a disposizione del dibattito pubblico.

Per "Egemonia" ripercorriamo insieme a lui le varie tappe che hanno portato alla sua realizzazione.

Che cos’è “una storia antidiplomatica”? “E’ tante cose insieme. Innanzi tutto, è un aggiornamento rispetto al film “L’Urlo”, che arriva a narrare le vicende come stavano fino ai primi mesi del 2021. Quel racconto andava aggiornato. Non solo perché nel frattempo si sono verificate alcune vicende storiche, penso alle mancate elezioni in Libia del dicembre 2021, ma anche perché in questi ultimi anni ho raccolto e ricevuto altro materiale dalla Libia e dall’Africa che a sua volta meritava di essere contenuto in un lavoro di questo tipo”.

“Una storia antidiplomatica” è, come correttamente illustrato nella sua recente recensione su l'AD da Giulia Bertotto, un “meta-documentario”, perché si raccontano anche le vicende pubbliche legate alla censura di questi mesi. Una data più di tutte ha segnato la carriera di Severgnini. Era il 25 novembre del 2022 a Napoli e la proiezione del film "l'Urlo" - durante il "Festival dei diritti umani" - viene interrotta in modo coatto da quello che poi il regista definirà “squadrismo buonista” delle Ong.

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lafionda

Uniti nel genocidio: guerra, finanza e intelligenza artificiale in Israele

di Matteo Bortolon

1701431067819 AP.jpg“Niente accade per caso. Quando una bambina di 3 anni viene uccisa in una casa a Gaza, è perché qualcuno nell’esercito ha deciso che non era un grosso problema ucciderla […]. Non siamo Hamas. Questi non sono razzi casuali, tutto è intenzionale. Sappiamo esattamente quanti danni collaterali ci sono in ogni casa”.

Tale agghiacciante testimonianza compare nell’inchiesta di una pubblicazione progressista israeliana costruita con colloqui con sette ex e attuali membri della intelligence israeliana. Quello che è più rilevante non è tanto il fatto che le vittime civili siano perfettamente prevedibili da parte di dell’esercito, ma il come può fare delle stime precise e le modalità con cui determina tali bersagli. E la risposta a entrambe le domande è: l’intelligenza artificiale.

In una inedita congiunzione, l’elemento militare, le aziende high-tech e alcuni enti finanziari speculativi hanno collaborato per raggiungere l’attuale massacro da parte dello Stato ebraico.

È noto come Israele abbia raggiunto una posizione ragguardevole nell’ambito della ricerca tecnologica. La zona chiamata Silicon Wadi, sede delle maggiori aziende del settore, è considerato seconda solo alla sua controparte in California; il paese vede il maggior numero di aziende tecnologiche start-up e di società quotate al NASDAQ (borsa di aziende di profilo tecnologico) al mondo, in proporzione alla sua ridotta popolazione. Dopo un famoso articolo di Wired scoppiò il caso, con la celebrazione del libro del 2009 Start-up Nation: the Story of Israel’s Economic Miracle. In esso i due autori, con una aneddotica esaltatrice di imprenditorialità di successo nel campo della ricerca tecnologica, riconducevano tale sviluppo al servizio militare e all’essere una nazione di immigrati (condizione che stimolerebbe l’inventiva e il rischio).

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effimera

Tempesta e bonaccia

di Gianni Giovannelli

See in the moonlight by Caspar David Friedrich.jpgOpen pathway trough the slow sad sail
Trough wide to the wind the gates to the wandering boat
For my voyage to begin to the end of my wound
(Dylan Thomas)
(Apri un varco nella lenta, nella lugubre vela
Schiudi al vento le porte del vascello vagante
Perché inizi il mio viaggio verso la fine delle mie ferite)
(trad. Ariodante Marianni)

La guerra prende piede, cresce giorno dopo giorno, una vera e propria tempesta che non lascia intravedere momenti di tregua. In Ucraina non è solo un conflitto di trincea, uno scontro fra soldati per la conquista di aree territoriali e per la distruzione delle risorse del nemico. Non c’è dubbio che sia anche questo, come non c’è dubbio che al fronte muoiano, accanto ai militari di professione, migliaia e migliaia di soggetti rastrellati, costretti a indossare la divisa, o, anche, volontari vittime della propaganda nazionalista. Però non basta. Piovono bombe lanciate dai droni, cadono missili, la strage di civili prosegue senza sosta. I fabbricanti di armi si arricchiscono, godono di scandalose agevolazioni fiscali, vengono lautamente pagati con il denaro sottratto alla sanità, all’istruzione, alle pensioni, ai resti di welfare eroso. L’opposizione alla guerra, anche se proposta senza foga o quasi sottovoce, viene immediatamente equiparata a tradimento, diserzione, crimine contro le istituzioni. La chiamata alle armi è contagiosa. A Gaza ha preso la forma del massacro. Poco importa la qualificazione tecnico-giuridica, se si tratti di genocidio o meno. Rimane una carneficina, con le immagini di soldati felici di uccidere, consuete durante ogni strage della popolazione consumata da un esercito occupante, incitato dai comandanti a rimuovere ogni forma di scrupolo morale.

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sinistra

I Palestinesi in cambio di un pacchetto di prestiti da 10 miliardi di dollari

di Mike Whitney - unz.com

Come avevo previsto nel mio articolo all'inizio del massacro di Gaza, i palestinesi se ne dovranno andare nel deserto del Sinai [Antonio Pagliarone]

Palestinian refugees.jpgNonostante le proteste pubbliche, il presidente egiziano Abdel Fattah el-Sisi sta aiutando Israele a trasferire 1,4 milioni di palestinesi da Rafah alle tendopoli nel deserto del Sinai.

Sabato le agenzie di stampa occidentali hanno riferito che a Parigi si sono svolti negoziati a porte chiuse per raggiungere un accordo sul cessate il fuoco a Gaza. Secondo la Reuters, i colloqui hanno rappresentato “il tentativo più serio da settimane per fermare i combattimenti nella martoriata enclave palestinese e per arrivare al rilascio degli ostaggi israeliani e stranieri”. Purtroppo, i resoconti di Parigi sono stati in gran parte un inganno mediatico, volto a distogliere l’attenzione dal vero scopo del vertice. Si tenga presente che i principali partecipanti all’incontro non erano diplomatici di alto livello o negoziatori esperti, ma i direttori dei servizi di intelligence, tra cui il capo del Mossad israeliano, David Barnea, quello dell’intelligence egiziana, Abbas Kamel, e il direttore della CIA William Burns. Questi non sono gli uomini che si sceglierebbero per concludere uno scambio di ostaggi o un accordo per il cessate il fuoco, ma piuttosto per attuare la sorveglianza elettronica, lo spionaggio o le operazioni segrete. È quindi estremamente improbabile che si siano incontrati a Parigi per definire un piano per la cessazione delle ostilità. La spiegazione più probabile è che i vertici dei tre servizi segreti stiano dando gli ultimi ritocchi ad un piano di collaborazione che permetta l’apertura di una breccia nel muro di confine egiziano, in modo che un milione e mezzo di palestinesi gravemente traumatizzati possa fuggire in Egitto senza alcuna seria opposizione da parte dell’esercito egiziano.

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contropiano2

Espulsione palestinesi/2

di Redazione Roma

espulsione palestinesi.pngInizialmente liquidata da alcuni sostenitori americani di Israele come la fantasia di alcuni fanatici della coalizione di governo di Netanyahu, spingere permanentemente i palestinesi fuori da Gaza si conferma ora come l’opzione politica preferita del Ministero dell’Intelligence israeliano.

Un documento trapelato pubblicato dal quotidiano locale israeliano Sicha Mekomit rivela un piano per mandare i residenti di Gaza a fuggire nel deserto della penisola egiziana del Sinai, per non tornare mai più.

Lo schema equivale essenzialmente a una ripetizione di ciò che i palestinesi chiamano la “Nakba” – “Catastrofe”, l’espulsione di massa dei residenti arabi del 1948 per far posto alla fondazione dello Stato di Israele.

Datata 13 ottobre, la direttiva sulla deportazione segreta delinea quattro fasi, alcune delle quali sono già state eseguite.

In primo luogo, a tutti i civili palestinesi deve essere detto di lasciare il nord di Gaza prima delle operazioni di terra delle Forze di Difesa Israeliane (IDF). Questo deve essere venduto al mondo come uno sforzo per evitare inutili vittime civili mentre i militari prendono di mira Hamas. L’avviso di evacuazione è stato annunciato lo stesso giorno in cui il Ministero dell’Intelligence ha distribuito questo piano al gabinetto di Netanyahu.

In secondo luogo, l’IDF inizierà una sequenza di attacchi via terra da nord a sud lungo la Striscia di Gaza. In concomitanza con attacchi aerei prolungati, la campagna di terra mira a liberare fisicamente i palestinesi, sostanzialmente spazzando via le persone dalla terra.

Questa fase è attualmente in corso e, secondo quanto riferito, i carri armati israeliani si stanno avvicinando a Gaza City al momento della stesura di questo articolo. Secondo il piano, i combattenti di Hamas verranno “ripuliti” e l’intera Striscia di Gaza sarà permanentemente occupata da Israele.

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Espellere tutti i palestinesi da Gaza. Lo scrive un documento ufficiale israeliano “segreto”

di Yuval Abraham*

1AGaza dipinto.jpgIl Ministero dell’Intelligence israeliano raccomanda il trasferimento forzato e permanente dei 2,2 milioni di palestinesi residenti dalla Striscia di Gaza nella penisola egiziana del Sinai. Lo scrive un documento ufficiale rivelato integralmente per la prima volta ieri dal sito partner di +972 Local Call.

Il documento di 10 pagine, datato 13 ottobre 2023, porta il logo del Ministero dell’Intelligence, un piccolo ente governativo che produce ricerche politiche e condivide le sue proposte con le agenzie di intelligence, l’esercito e altri ministeri.

Valuta tre opzioni riguardanti il ​​futuro dei palestinesi nella Striscia di Gaza nel quadro dell’attuale guerra e raccomanda il trasferimento totale della popolazione come linea d’azione preferita. Invita inoltre Israele a mobilitare la comunità internazionale a sostegno di questo sforzo. Il documento, la cui autenticità è stata confermata dal ministero, è stato tradotto integralmente in inglese qui su +972.

L’esistenza del documento non indica necessariamente che le sue raccomandazioni siano prese in considerazione dall’establishment della difesa israeliano. Nonostante il suo nome, il Ministero dell’Intelligence non è direttamente responsabile di alcun organismo di intelligence, ma piuttosto prepara in modo indipendente studi e documenti politici che vengono distribuiti al governo israeliano e alle agenzie di sicurezza per la revisione, ma non sono vincolanti.

Il budget annuale del ministero è di 25 milioni di shekel e la sua influenza è considerata relativamente piccola. Attualmente è guidato da Gila Gamliel, membro del partito Likud del primo ministro Benjamin Netanyahu.

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resistenze1

È il buio prima dell'alba, ma il colonialismo di insediamento israeliano è alla fine

di Ilan Pappe | mronline.org

Il professor Ilan Pappe ha parlato all'annuale Genocide Memorial Day dell'IHRC (Islamic Human Rights Commission), tenutosi a Londra il 21 gennaio 2024, sulla necessità di comprendere che il genocidio dei palestinesi a cui stiamo assistendo, per quanto brutale, è anche la fine del cosiddetto Stato ebraico. Dobbiamo essere pronti a immaginare un nuovo mondo al di là di esso.

GAZA 080124 2560x1440 1L'idea che il sionismo sia un colonialismo di insediamento non è nuova. Gli studiosi palestinesi che negli anni '60 lavoravano a Beirut nel Centro di Ricerca dell'OLP avevano già capito che quello che stavano affrontando in Palestina non era un progetto coloniale classico. Non inquadravano Israele solo come una colonia britannica o americana, ma lo consideravano un fenomeno che esisteva in altre parti del mondo, definito come colonialismo di insediamento. È interessante che per 20-30 anni la nozione di sionismo come colonialismo di insediamento sia scomparsa dal discorso politico e accademico. È tornata quando gli studiosi di altre parti del mondo, in particolare Sudafrica, Australia e Nord America, hanno concordato che il sionismo è un fenomeno simile al movimento degli europei che hanno creato gli Stati Uniti, il Canada, l'Australia, la Nuova Zelanda e il Sudafrica. Questa idea ci aiuta a comprendere molto meglio la natura del progetto sionista in Palestina dalla fine del XIX secolo ad oggi, e ci dà un'idea di cosa aspettarci in futuro.

Credo che questa particolare idea degli anni '90, che collegava in modo così chiaro le azioni dei coloni europei, soprattutto in luoghi come il Nord America e l'Australia, con le azioni dei coloni che arrivarono in Palestina alla fine del XIX secolo, abbia chiarito bene le intenzioni dei coloni ebrei che colonizzarono la Palestina e la natura della resistenza locale palestinese a quella colonizzazione. I coloni seguirono la logica più importante adottata dai movimenti coloniali di insediamento, ossia che per creare una comunità coloniale di successo al di fuori dell'Europa è necessario eliminare gli indigeni del Paese in cui ci si è stabiliti. Ciò significa che la resistenza indigena a questa logica è stata una lotta contro l'eliminazione e non solo di liberazione. Questo è importante quando si pensa all'operazione di Hamas e di altre operazioni di resistenza palestinese fin dal 1948.

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seminaredomande 

Repressione Democratica

di Francesco Cappello

Schermata 2024 02 20 alle 11.33.17.pngCon una mano aiutiamo a sparare sui bambini e le loro famiglie con l’altra li curiamo amorevolmente. Questo è legale. Se manifesti contro il genocidio sei fuorilegge

A seguire le parole del Ministro della Difesa Guido Crosetto in una nota stampa a commento dell’arrivo in Italia, dall’Egitto, del volo militare, con a bordo 11 piccoli pazienti destinati alle strutture sanitarie nazionali e 14 accompagnatori [1]:

Benvenuti in Italia! Al termine dell’operazione saranno circa 100 i bambini con le loro famiglie che saranno curati nei nostri migliori ospedali pediatrici. Sono vittime innocenti di questa guerra. Vogliamo fare di tutto per alleviare le loro sofferenze. Siamo stati i primi a portare aiuti alla popolazione civile di Gaza. Abbiamo inviato una nave ospedale, siamo pronti a installare un ospedale da campo e continuiamo con il ponte aereo per portare minori palestinesi in Italia e curarli nei nostri ospedali. Siamo amici di Israele e lavoriamo per l’unica scelta di pace possibile che prevede due popoli e due Stati.

Leggendole, risulta inevitabile pensare al coinvolgimento, ormai strutturale, del nostro Paese nelle operazioni belliche israeliane su Gaza.

Da vent’anni li aiutiamo a compiere i peggiori crimini [2]. La cooperazione tra l’industria militare italiana e quella israeliana è stata, infatti, ratificata dal terzo governo Berlusconi che codificò un precedente accordo generale nella forma di memorandum di intesa, risalente al 2003, sulla cooperazione militare tra Italia e Israele, con la Legge 94 del maggio 2005.

Facile ipotizzare che quegli stessi bambini siano stati feriti da armi ed esplosivi italiani come ad esempio nel caso dei cannoni prodotti in Italia dall’OTO Melara e venduti a Israele.

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analisidifesa

Se il “mondo libero” ha paura di una intervista

di Gianandrea Gaiani

132600567 putin index3 reuters.jpgCon l’intervista fiume a Vladimir Putin il giornalista televisivo Tucker Carlson ha fatto arrabbiare tutti al di qua della “Cortina di Ferro”, cioè in quello che ai tempi della prima guerra fredda potevamo definire orgogliosamente il “mondo libero”.

Ha fatto arrabbiare i colleghi, anchorman e star dei grandi media mainstream statunitensi perché ha ottenuto un incontro e una intervista con Putin che ad altri è stata negata, Non pago, giusto per aumentare la dose di bile dei colleghi che non gli perdonano né di venire dalla “reazionaria” Fox News né di essere vicino a Donald Trump, Carlson ha ottenuto da Mosca anche di poter incontrare e intervistare Edward Snowden.

Un’intervista non meno importante di quella a Putin (anche se avrà forse minor impatto mediatico) tenuto conto che la fuga di Snowden, prima in Cina poi a Mosca, scatenò nel 2013 quel Datagate che raccontò al mondo intero di come gli Stati Uniti (e i britannici) spiano amici e alleati fino a controllare i cellulari di leader, capi di stato e di governo europei, i quali hanno peraltro reagito con limitate proteste formali, di fatto accettando come un fatto ineluttabile il loro status di sudditi ( status che, dieci anni dopo, appare oggi ancora più marcato).

Giova ricordare che i fatti svelati da Snowden riguardavano operazioni di spionaggio sviluppatesi negli anni dell’amministrazione Obama in cui Joe Biden ricopriva il ruolo di vice presidente. Per questo i contenuti dell’intervista a Snowden potrebbero forse avere un impatto sulle imminenti elezioni presidenziali statunitensi di novembre.

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marx xxi

Nuovi rigurgiti dell’imperialismo straccione

di Giuseppe Amata

md30504836261.jpg1. La definizione di “imperialismo straccione”, come è sin troppo noto, è stata di Lenin, in riferimento alle mire espansionistiche del capitalismo italiano verso la mitteleuropa e i balcani partecipando alla Grande guerra. Straccione, perché il suo sviluppo era iniziato con ritardo rispetto a quello degli altri Stati imperialistici (Inghilterra, Francia, Stati Uniti, Giappone, Germania, Austria e anche Turchia) e avvenuto con eccessivo protezionismo e soprattutto sfruttando in modo selvaggio, dopo l’Unità, il Mezzogiorno, del quale analizzarono superficialmente alcune cause prima Gaetano Salvemini e Guido Dorso e dopo, con un’analisi storica ed economica molto approfondita, Gramsci, il quale ha messo in risalto la questione contadina, quella vaticana e la grande disgregazione del tessuto sociale che ne è scaturita con il drenaggio e il trasferimento di forza-lavoro (migrazione interna da Sud a Nord ed estera verso le Americhe e l’Australia) a basso costo, con la crisi delle piccole attività imprenditoriali nel settore zolfifero in seguito alla scoperta negli Stati Uniti di procedimenti estrattivi più economici, attività che a loro volta si basavano, oltre che su salari di fame, impiegando migliaia di ragazzini (i carusi) al di sotto dei quattordici anni nel trasporto del materiale estrattivo in superficie e nelle attività collaterali, quando in molti Paesi europei il lavoro minorile era espressamente vietato dalle rispettive legislazioni; nonché soppiantando l’industria artigianale nel settore della lavorazione della seta e delle costruzioni legnose (piccoli cantieri navali per barconi da pesca e da trasporto, mobilifici e arredi, sviluppatisi nel tempo per la bravura e abilità di chi vi lavorava) per favorire la grande industria tessile del Piemonte e le industrie del Nord in generale; infine raccattando i risparmi della piccola borghesia urbana e rurale a favore delle grandi banche.

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fuoricollana

Il Sud Africa e il dovere di prevenire il genocidio

di Stefano Bellucci*

israele 1 690x362.jpgSe le parole hanno un senso, gli stati non sono i governi e le nazioni non sono gli stati. Israele è uno stato ma la nazione israeliana non è il governo che guida il suo stato. Le accuse del Sud Africa al governo israeliano non sono un atto contro gli ebrei o contro lo stato di Israele, che anch’essi non sono la stessa cosa. La richiesta del governo del Sud Africa alla Corte internazionale di giustizia di adottare misure cautelari nei confronti di Israele affinché il suo governo non attui un genocidio a Gaza è stata accolta favorevolmente dalla Corte stessa.

 

L’ANC, razzismo e genocidio

Il procedimento per evitare un genocidio istituito dal governo del Sud Africa a guida African National Congress (ANC) è rivolto al governo di emergenza nazionale guidato da Benjamin Netanyahu e non contro gli ebrei, come afferma qualche scellerato. Proprio come Hamas non è il volto di tutto il popolo palestinese, il governo israeliano non riflette il volere di tutta la nazione, che comprende anche arabi, musulmani e cristiani, non ce lo dimentichiamo. Il governo d’emergenza israeliano, infatti, comprende tutta una serie di piccoli partiti espressione di una galassia di destre religiose invasate e pericolose per gli israeliani stessi oltre che per i palestinesi. L’opposizione di sinistra è piccola ma esiste in Israele ed è formata dai laburisti e dai comunisti di Hadash.

Il Sud Africa ha un governo guidato dall’ANC, il partito di Nelson Mandela, ovvero dell’africano più popolare del ventesimo secolo. L’ANC è un partito di sinistra, anche se lo è solo sul piano sociale e non più su quello economico, dato che dopo trent’anni al potere il Sud Africa è uno dei paesi africani con i più alti tassi di disuguaglianza e criminalità del continente.

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futurasocieta.png

Venezuela: il 2 di febbraio inizia il sogno bolivariano

di Geraldina Colotti

hugo chavez homage in la habana cuba.jpg“Nel centenario della morte di Lenin, si può intendere, seguire e apprezzare lo sforzo per richiamare la storia, come maestra di lotta e di vita, che compie costantemente la rivoluzione bolivariana, e prima ancora la rivoluzione cubana.”

Se la storia non viene ridotta a museo, date e ricorrenze ricordano la lotta delle classi subalterne, che ne hanno costruito o subito i corsi e ricorsi. Se la storia non viene ridotta a parodia, celebrare momenti e figure che ne hanno interpretato il senso, anticipandone salti e rotture, aggiunge nuove pagine al libro del futuro. Innalza nuove bandiere.

Se la storia non viene consegnata ai tribunali o agli specialisti in complotti e dietrologie, come accade nella “civilissima” Europa, anche dalle sconfitte i giovani possono innalzare nuove bandiere.

È così che, nel centenario della morte di Lenin, si può intendere, seguire e apprezzare, lo sforzo per richiamare la storia, come maestra di lotta e di vita, che compie costantemente la rivoluzione bolivariana, e prima ancora la rivoluzione cubana, che si è inserita nel corso di quelle venute prima. È così che si può intendere, come ogni anno, l’omaggio a un febbraio punteggiato di rivolte, di orgoglio e di vittorie. Un omaggio non rituale, ma una guida per l’azione, un monito a non dimenticare il 2, il 4 e il 27 di febbraio.

Il calendario degli anni imporrebbe di leggerle al contrario, a partire da quel 27 febbraio del 1989 in cui dalla rivolta del Caracazo si levò il primo grido del popolo contro il neoliberismo, autoproclamatosi allora come unica via dopo la caduta del Muro di Berlino – che anticipava la fine dei 70 anni di grande paura provati dalla borghesia.

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comedonchisciotte.org

Il silenzio dei dannati

di Chris Hedges – The Chris Hedges Report

Le nostre principali istituzioni umanitarie e civili, comprese le più importanti istituzioni mediche, si rifiutano di denunciare il genocidio di Israele a Gaza. Questo smaschera la loro ipocrisia e complicità

187769 md.jpgA Gaza non c’è più un sistema sanitario efficace. I neonati muoiono. Ai bambini vengono amputati gli arti senza anestesia. Migliaia di malati di cancro e di persone che hanno bisogno di dialisi non vengono curati. L’ultimo ospedale oncologico di Gaza ha cessato di funzionare. Si stima che 50.000 donne incinte non abbiano un luogo sicuro dove partorire. Vengono sottoposte a parti cesarei senza anestesia. I tassi di aborto spontaneo sono aumentati del 300% dall’inizio dell’assalto israeliano. I feriti muoiono dissanguati. Non ci sono servizi igienici né acqua pulita. Gli ospedali sono stati bombardati e bombardati. L’ospedale Nasser, uno degli ultimi funzionanti a Gaza, è “prossimo al collasso“. Le cliniche e le ambulanze – 79 a Gaza e oltre 212 in Cisgiordania – sono state distrutte. Sono stati uccisi circa 400 medici, infermieri, operatori sanitari e operatori sanitari – più del totale di tutti gli operatori sanitari uccisi nei conflitti di tutto il mondo messi insieme dal 2016. Altri 100 sono stati detenuti, interrogati, picchiati e torturati o sono scomparsi ad opera dei soldati israeliani.

I soldati israeliani entrano abitualmente negli ospedali per effettuare evacuazioni forzate – mercoledì le truppe sono entrate nell’ospedale al-Amal di Khan Younis e hanno chiesto ai medici e ai palestinesi sfollati di andarsene – e per rastrellare i detenuti, compresi i feriti, i malati e il personale medico. Martedì, travestiti da operatori ospedalieri e civili, i soldati israeliani sono entrati nell’ospedale Ibn Sina di Jenin, in Cisgiordania, e hanno assassinato tre palestinesi mentre dormivano.

I tagli ai finanziamenti per l’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione dei Rifugiati Palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA) – punizione collettiva per il preteso coinvolgimento nell’attacco del 7 ottobre di 12 dei 13.000 operatori dell’UNRWA – accelereranno l’orrore, trasformando gli attacchi, la fame, la mancanza di assistenza sanitaria e la diffusione di malattie infettive a Gaza in un’ondata di morte.

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sinistra

Riflessioni sulla Palestina

di Comitato Antimperialista Arezzo e Collettivo Millepiani Arezzo

Manifestazione per la Palestina 3.jpeg1. Resistenza e Rivoluzione in Palestina

Il genocidio che lo Stato neocoloniale israeliano sta perpetrando sui palestinesi di Gaza e della Cisgiordania, un genocidio che strazia le sue vittime con tutta la sproporzione tecnica dei suoi mezzi offensivi, a cominciare dal calcolato piano generale – amministrativo, militare ed etnico – inflessibilmente seguito, si scontra tuttavia con un ostacolo, poiché viene contrastato, e quindi indebolito, nella sua furia genocida, dalla irriducibile Resistenza di mobilissime formazioni di fedayyin, che spuntano improvvise e che scompaiono prontamente in quelle distese di macerie che una volta erano gli edifici di Gaza. Il genocidio sta dentro una guerra implacabile: una guerra di sterminio, da una parte; una guerra di liberazione dall’altra. Questo è il senso storico e politico di quanto sta avvenendo in Palestina, dal quale non si può assolutamente prescindere, in un’azione di massa che miri a dare forza e valore all’espressione “Palestina libera”, gridata in tutte le piazze. Infatti, se non si appoggia, se non si rende visibile, se non si dà un volto politico alla “lotta di liberazione armata” del popolo palestinese, la parola d’ordine “Palestina libera” diviene semplice coreografia. Occorre pertanto rendere netto e inconfondibile il profilo della lotta di liberazione armata dei palestinesi e, contemporaneamente, occorre adoperarsi con tutte le nostre forze per conquistare le masse popolari occidentali a un deciso e completo “riconoscimento” di questa guerra popolare di liberazione. Come per la Repubblica spagnola, aggredita nel ’36 dall’imperialismo nazifascista, e per il Vietnam bombardato con il Napalm dall’imperialismo statunitense negli anni Sessanta, una mobilitazione internazionalista sostenne il peso di una lotta comune, così oggi, di fronte alla “soluzione finale” avanzante a Gaza con gli aerei e i blindati israeliani, diventano urgenti le idee e le parole d’ordine internazionaliste per sostenere fino in fondo e senza perifrasi la Resistenza palestinese.

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comuneinfo

La contro-insurrezione estesa

di Ana María Morales

immagine 2 14 1500x1536.jpgCome interpretare, a più di tre anni dalla grande sollevazione indigena e popolare dell’ottobre 2019 che era riuscita a mettere in ginocchio il governo di Quito, l’attuale esplosione di violenza in Ecuador? Il governo di Daniel Noboa ha dichiarato lo stato d’eccezione e il coprifuoco per combattere la sua guerra contro l’escalation della violenza armata dei Narcos. È noto da molto tempo, tuttavia, che la “guerra alla droga”, è una strategia opaca che ha coperto da decenni ben diversi e tremendi obiettivi elaborati dai governi degli Stati Uniti, della Colombia e del Messico, per citare solo i più rilevanti. Anche in Ecuador, naturalmente, le spettacolari esplosioni di violenza dei giorni scorsi sono il frutto di un lungo processo. Su Comune lo ha raccontato molto bene Francesco Martone nei giorni scorsi. Raquel Gutiérrez Aguilar, filosofa, matematica, femminista e molte altre cose, che insegna all’Università messicana di Puebla ma ha grandi conoscenze e una lunga esperienza di lotta in tutta l’America latina (perfino nella guerriglia katarista nella Bolivia degli anni Ottanta), proprio alla luce del confronto con la guerra al narcotraffico messicana, offre in questa intervista una interpretazione dell’attuale situazione ecuadoriana che mette in luce elementi in parte originali e di grande interesse. A cominciare dalle connessioni con la sollevazione del 2019, inquadrando lo scontro tra Stato e Narcos di queste settimane in una nuova declinazione, “estesa” o ampliata, della tradizionale tecnica di contro-insurrezione. Il fatto che un’esplosione così rilevante e acuta di una violenza – anche nelle carceri sotto il controllo dello Stato – in apparenza apolitica, sostiene Raquel, non sia in un primo momento ascrivibile a una fase di contro-insurrezione, è proprio una delle sue caratteristiche innovative, in un momento di grande caos sistemico, quella di cercare di rimanere occulta agli occhi degli analisti e della società intera. In altri termini, non si tratterebbe dell’apparente scontro di potere tra criminalità organizzata e Stato ma di una sorta di assestamento di potere tra soggetti ormai indistinguibili.

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