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lafionda

Keynes “sovranista”: contro l’internazionalizzazione della finanza e per l’autosufficienza nazionale

di Enrico Grazzini

133326711 05d03019 db21 4991 8763 2a744b524b07.jpgPochi amano ricordare un fatto indiscutibile: John Maynard Keynes, il più grande economista del secolo scorso, era assolutamente contrario alla libera circolazione dei capitali e al dominio della finanza sull’economia, ed era anche decisamente a favore del “nazionalismo economico”, ovvero dell’autosufficienza delle nazioni. Il suo pensiero oggi è tornato di grande attualità: infatti tutte le più grandi economie, quella statunitense, quella cinese, quella russa, e buona ultima anche quella europea, puntano all’autosufficienza o, in ultima analisi, alla “non dipendenza”. L’autosufficienza che Keynes invoca nei suoi scritti era però finalizzata alla pace e allo sviluppo; l’autosufficienza che oggi cercano le grandi potenze è invece per prepararsi alla guerra.

In un suo articolo scritto nel 1933 – quando Mussolini e Stalin erano già al potere e Hitler cominciava a diventare capo assoluto della Germania – intitolato “National Self-Sufficiency”, Keynes non ebbe timore di valutare in maniera molto positiva il nazionalismo economico[1]. Scrisse infatti: “Io simpatizzo di più con coloro che vorrebbero ridurre al minimo le relazioni economiche tra le nazioni che non con quelli che le vorrebbero aumentare al massimo. Le idee, il sapere, la scienza, l’ospitalità, il viaggiare – queste sono le cose che per loro natura dovrebbero essere internazionali. Ma lasciate che le merci siano prodotte in patria ogni qualvolta è ragionevolmente e praticamente possibile, e soprattutto lasciate che la finanza sia prevalentemente nazionale”.  Per Keynes moneta, credito e finanza dovevano essere gestite innanzitutto a livello nazionale. Certamente il “nazionalismo economico” di Keynes non ha nulla a che vedere con l’autarchia di marca fascista o sovietica, che Keynes critica nel suo articolo.

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moneta e credito

Interesse individuale, cooperazione internazionale e benessere collettivo

La lezione di John Maynard Keynes

di Maria Cristina Marcuzzo*

Abstract: Questo articolo prende spunto da due episodi dell’opera di Keynes in cui egli fece un forte appello a una logica di cooperazione piuttosto che al perseguimento dell’interesse individuale. Il primo è legato alle conseguenze economiche del Trattato di Versailles del 1919 e il secondo alla restituzione dei debiti agli Stati Uniti alla fine della seconda guerra mondiale. Invece del principio di razionalità, che sta alla base del comportamento individuale ottimizzante, Keynes si appella alla “ragionevolezza”, da applicare alle situazioni in cui un comportamento apparentemente razionale (da un punto di vista astrattamente economico) può avere risultati che possono rivelarsi contro gli interessi individuali. La lezione di Keynes è che il perseguimento dell’interesse individuale da parte delle singole nazioni, dovrà cedere il passo alla costruzione di regole e istituzioni che sorveglino il libero flusso dell’iniziativa privata e la libertà dei mercati, andando oltre il punto di vista individuale per guardare al benessere collettivo.

607bf97f e6a3 4de7 af23 b7273adfae63 largePer introdurre il tema che ho scelto di affrontare, “Interesse individuale, cooperazione internazionale e benessere collettivo. La lezione di John Maynard Keynes”, inizierò ricordando tre episodi recenti.

Il primo ha come protagonista, Özlem Türeci che, con il marito Uğur Şahin, ha sviluppato il vaccino anti-Covid, con l’azienda farmaceutica da loro fondata in Germania, BioNTech, e l’americana Pfizer. In una recente intervista dello scorso marzo Özlem Türeci ha dichiarato – la cito – “quanto sia importante la cooperazione e la collaborazione internazionale”.

Il secondo episodio risale al maggio 2021, quando 25 leader di paesi e organizzazioni mondiali hanno espresso l’intento di firmare un “trattato internazionale sulle pandemie”, nella convinzione – si legge nella dichiarazione congiunta – che “le sfide possano essere superate solo affrontandole insieme, in uno spirito di collaborazione”. Il Presidente Draghi nel presentare il Global Health Summit di Roma del maggio 2021 ha riaffermato la necessità di una “stretta e costante collaborazione internazionale” per vincere non solo questa ma anche altre sfide future.

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sbilanciamoci

Dell’incertezza e della tragica felicità in Keynes

di Claudio Gnesutta

Per fare chiarezza sull’aggettivo “keynesiano” applicato alle recenti politiche post Covid, è utile la lettura del libro di Anna Carabelli, fresco di pubblicazione e frutto di 40 anni di studio

copertina carabelli 1024x670Nell’ultimo decennio di una lunga crisi economico-finanziaria sfociata in quella economico-sanitaria del Covid-19 le risposte della politica economica si sono colorate in senso “keynesiano”. La crescita della spesa pubblica (negli Stati Uniti e più recentemente anche in Europa) e la gestione della liquidità a livello globale si sono svincolate dai dettami “classici” per affrontare pragmaticamente (forse temporaneamente) le instabilità che minacciano gli equilibri locali e globali.

La qualificazione di “keynesiani” attribuita a tali interventi riflette l’interpretazione riduttiva degli anni Cinquanta e Sessanta secondo la quale la proposta di politica economica che scaturiva dalla lettura della General Theory riguardava esclusivamente situazioni di carenze di domanda per cui gli interventi fiscali e monetari avevano la funzione di tappare i momentanei buchi di un tessuto economico che di norma procedeva spontaneamente nella sua piena efficienza.

Tuttavia l’aggettivo keynesiano è stato messo in discussione da lungo tempo per la sua mancata corrispondenza con la “visione” del processo economico attribuibile al pensiero di Keynes. Una lettura più coerente delle idee di Keynes – e a una gestione delle politiche ad esse più propria -, si può avvantaggiare del recente contributo di Anna Carabelli, Keynes on uncertainty and tragic happiness. Complexity and expectations, Palgrave Studies in The History of Economic Thought, 2021, nel quale l’autrice espone i risultati «di oltre quarant’anni della sua ricerca sul “metodo di Keynes” a dimostrazione che l’aspetto innovativo, e la ricchezza propositiva, del suo contributo non è riducibile ad alcuni aspetti, analitici e di prassi politica, ma va individuato nel suo contenuto metodologico.

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kriticaeconomica

La rivoluzione incompiuta di Keynes: saggio sulla metodologia

di Anna Carabelli

keynes897gfuwNella sua introduzione alla serie di Manuali Economici di Cambridge (1922-3), Keynes scrive: La teoria dell’economia non fornisce un corpo di conclusioni stabilite immediatamente applicabili alla politica. È un metodo piuttosto che una dottrina, che aiuta il suo possessore a trarre conclusioni corrette” (CW XII, 856).

Questo passaggio evidenzia la continuità tra il Trattato sulla probabilità e le opere economiche di Keynes. Nella sua discussione con Roy Harrod nel 1938, cioè nel suo manifesto metodologico più maturo e schietto, quando afferma che “l’economia è una branca della logica, un modo di pensare, piuttosto che una scienza pseudo-naturale”, Keynes sta semplicemente riaffermando la sua posizione precedente (CW XIV, 296).

La visione di Keynes della teoria economica è quindi quella di un metodo o logica, forse meglio descritta come un apparato di ragionamento probabile. Nel capitolo 21 della Teoria Generale, scrive che l’oggetto dell’analisi economica “non è quello di fornire una macchina, o un metodo di manipolazione cieca, che fornirà una risposta infallibile, ma di fornire a noi stessi un metodo organizzato e ordinato di pensare a problemi particolari”. Aggiunge che “dopo aver raggiunto una conclusione provvisoria isolando i fattori complicati uno per uno, dobbiamo poi ritornare su noi stessi e permettere, meglio che possiamo, le probabili interazioni dei fattori tra di loro”.

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centrostudieiniz

Quei sacrifici che ci rendono solo più poveri

di Giovanni Mazzetti

Introduzione al quaderno n. 8/2020 del Centro studi e iniziative per la riduzione del tempo individuale di lavoro e redistribuzione del lavoro complessivo sociale

mazzetti“Ogni sterlina risparmiata
è un’occupazione cancellata”

Perché riproporre oggi ai lettori italiani una conversazione radiofonica di John M. Keynes, su Spesa e risparmio, che ebbe luogo nel gennaio del lontano 1933? La ragione è abbastanza semplice: perché le cose che Keynes cercò di esporre in quell'occasione, e nei suoi altri interventi di quel periodo, non sono ancora entrate a far parte del comune sapere dei cittadini dei paesi economicamente maturi. E in questo gli italiani non fanno eccezione. D'altronde, come cercheremo di mostrare in questa breve introduzione, si tratta di questioni che hanno una grande rilevanza ai fini della comprensione delle difficoltà economiche che gravano sulla società contemporanea e della spiegazione delle cause dell'odierna disoccupazione di massa.

Il sapere sociale è incapace di far fronte a questa situazione, e si macera da un quarantennio in ricorrenti riti sacrificali, favoriti dal riemergere delle ideologie conservatrici, appunto perché è ancora impastato di rappresentazioni, esperienze, concetti che risalgono al periodo che precedette l'affermarsi dello Stato Sociale e ignora l'ABC della rivoluzione keynesiana. Tutto lo sviluppo che ha avuto luogo nel trentennio antecedente al momento in cui è esplosa l'attuale crisi non riesce pertanto ad essere compreso; e ancora meno si riescono ad afferrare i problemi che a quello sviluppo sono conseguiti. Per questo la società torna lentamente sui suoi passi e subisce un lacerante impoverimento. Al mancato progresso nella comprensione dei processi sociali che hanno consentito l’arricchimento, deve necessariamente conseguire la loro dissoluzione e un grave regresso materiale.

 

Per non subire passivamente l'impoverimento

È vero che la maggioranza della popolazione rifiuta questa evoluzione. Che vaste minoranze dimostrano attivamente contro i tagli e i sacrifici.

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manifesto

Keynes, il costo morale del rischio

di Massimo De Carolis

Avere presagito, fin dall’alba, il tramonto del neoliberalismo riporta all’attualità la «Teoria generale dell’occupazione» del grande economista inglese, ora in un Meridiano con testi inediti

19 maggio copertina duncan grant maynard keynes at charleston 1917All’indomani di una crisi economica globale, tuttora lontana dall’aver esaurito la sua spinta destabilizzante, non può sorprendere che un’opera come la Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta torni oggi alla ribalta, accendendo di nuovo l’interesse non solo degli economisti di professione, ma di chiunque si sforzi di capire cosa stia succedendo nel mondo. Dopotutto, il trattato di Keynes era nato a sua volta sull’onda della grande depressione, quando il dissesto dell’economia globale e l’avanzata dei totalitarismi avevano reso non solo legittimo, ma addirittura urgente un programma di completo rivoluzionamento delle teorie economiche e delle politiche di stampo liberale.

Per Keynes erano almeno due i mitologemi da cui il pensiero economico andava rapidamente affrancato: da un lato, la fiducia cieca nella «mano invisibile» del mercato e nella sua supposta capacità di autoregolazione; dall’altro la certezza dogmatica che non potesse esistere una disoccupazione del tutto involontaria, perché il sistema tenderebbe in ogni caso a stabilizzarsi al livello ottimale, nel quale tutte le risorse sono utilizzate al meglio. In quegli anni di crisi, questi due pregiudizi erano platealmente smentiti dai fatti. Entrambi erano però talmente radicati nell’edificio dell’economia di mercato, che solo un ripensamento sistematico dell’intero castello, compresa la sua «cittadella» centrale, poteva consentire di sfatarli senza dover rinunciare a ogni forma plausibile di razionalità economica e senza rischiare, così, di spingere il liberalismo verso la bancarotta.

 

Rimosso negli anni ’80

Sotto il profilo teorico, la Teoria generale fu l’apice di un percorso lungo e articolato, di cui il Meridiano Mondadori appena uscito (Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta, a cura di Giorgio La Malfa e Giovanni Farese, pp. 1328, euro 80,00) offre un panorama completo, grazie alla preziosa ricostruzione introduttiva di Giorgio La Malfa e all’ampio corredo di testi brevi, che precedono e seguono l’opera maggiore, molti dei quali inediti in lingua italiana. Sotto il profilo invece strettamente pratico, i frutti della rivoluzione keynesiana non maturarono che nel Dopoguerra, nei trent’anni «gloriosi» durante i quali, in tutto l’Occidente, i parametri economici registrarono un balzo in avanti senza precedenti.

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keynesblog

A lezione da Keynes, ripensando la macroeconomia

Recensione de “La scienza inutile” di F. Saraceno

di Daniela Palma

Francesco Saraceno: La scienza inutile: Tutto quello che non abbiamo voluto imparare dall’economia,Luiss University Press (2018), https://www.luissuniversitypress.it/pubblicazioni/la-scienza-inutile

maxresdefault live653Tra le conseguenze della crisi che ormai da un decennio sta attraversando l’economia mondiale, non si contano solo fallimenti finanziari e una diffusa stagnazione delle attività produttive. Lo stupore con cui la regina Elisabetta nel novembre del 2008 chiedeva ad autorevoli professori della London School of Economics come mai nessuno fosse stato in grado di prevedere un evento di proporzioni così rilevanti, ci ha avvisati infatti della crisi che stava per investire la scienza economica corrente e segnatamente la macroeconomia. Bene fa perciò Francesco Saraceno con il saggio “La scienza inutile” a lanciare la sua provocazione, per poi subito precisare che si può imparare dall’economia (e molto) purché la si legga con le lenti giuste.

Quella compiuta dall’autore è innanzitutto una scelta di metodo, che però va diritta al merito delle risposte che l’economia intesa come scienza è in grado di fornire. Ed è proprio questo il punto in cui si incardina tutto il ragionamento di Saraceno. Va ricordato infatti che i fenomeni economici non sono l’espressione di “leggi universali che regolano il comportamento umano”, ma si inquadrano in contesti storicamente determinati che condizionano nel tempo e nello spazio l’agire dei diversi soggetti. Respingendo l’approccio storico, la teoria economica tuttora dominante si rifà ai principi della cosiddetta scuola neoclassica, secondo la quale il sistema economico è l’espressione delle scelte ottimizzanti di individui razionali e tende a convergere verso uno stato di equilibrio di piena occupazione delle risorse.

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la citta futura

Keynes

di Michael Roberts

I. L'economia. Rivoluzionario o reazionario?

Durante la Grande Depressione degli anni '30 Keynes fece a meno delle soluzioni monetariste alle crisi e optò per uno stimolo fiscale, proponendo persino la "socializzazione degli investimenti", una politica molto più radicale rispetto alla produzione di più i soldi

47ebf2096320f78ee7f8e3622b33f968 XLKeynes era un rivoluzionario nel pensiero e nella politica economica? Era almeno radicale nelle sue idee? O era un reazionario contrario agli interessi dei lavoratori e un conservatore nella teoria economica? Ann Pettifor è una dei principali consiglieri economici dei dirigenti laburisti di sinistra britannici, Jeremy Corbyn e John McDonnell. È direttrice di Prime Economics, una società di consulenza economica di sinistra e autrice di numerosi libri, in particolare il recente The Production of Money.

E ha appena vinto il premio tedesco Hannah Arendt per il pensiero politico, concentrandosi su "l'impatto politico e sociale dell'attuale sistema di produzione del denaro, gestito principalmente dalle banche attraverso il credito digitale" e operando un’efficace critica del "settore finanziario globale, che opera al di fuori della portata dell'influenza politica e del controllo democratico".

Quindi Ann Pettifor è un’indiscussa combattente contro le politiche economiche di austerità della scuola neoclassica e una promotrice di misure governative per ripristinare i servizi pubblici e rilanciare l'economia. Ma per riuscirci, si basa interamente sulle teorie e sulle politiche di JM Keynes e del "keynesismo". Recentemente ha pubblicato un breve articolo per il prestigioso Times Literary Supplement, intitolato Gli sforzi instancabili di J. M. Keynes. (…)

In questo articolo, Pettifor paragona le teorie di Keynes nel campo economico a quelle di Charles Darwin nella biologia, per il cambio di paradigma prodotto da entrambe. Secondo lei, Keynes avrebbe "inventato" la macroeconomia, lo studio delle tendenze nelle economie a livello aggregato, sfuggendo alla soffocante ossessione neoclassica con la microeconomia (lo studio del valore e dei mercati a livello della singola unità).

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palermograd

Ricominciare da Keynes?

di Massimo D’Angelillo

Screen Shot 2014 08 23 at 12.08.19 PM.0.0Domenica 26 Novembre 2017 presso il Coworking Moltivolti di Palermo la redazione di PalermoGrad ha incontrato in un forum di discussione l’economista Massimo D’Angelillo. Abbiamo chiesto a Massimo, traendo spunto dai contenuti di un memorabile libro pubblicato insieme a Leonardo Paggi per Einaudi nel 1986, I comunisti italiani e il riformismo, delle ragioni storiche che hanno determinato la tragica deriva della sinistra che ha finito per abbracciare, culturalmente oltre che politicamente, le parole d’ordine dell’austerità liberista. A partire da questa ricostruzione storica, l’autore di La Germania e la crisi europea (Ombre corte, 2016) e di un saggio all’interno del volume collettaneo Rottamare Maastricht (DeriveApprodi, 2016), si è soffermato sulle cause della crisi economica del 2008, sui vincoli della moneta unica e dell’egemonia tedesca, sul declino italiano e sulle drammatiche condizioni del Mezzogiorno. Nel ringraziare D’Angelillo, pubblichiamo un suo contributo e ci auguriamo di collaborare con lui anche in futuro.

* * * *

Gli ultimi anni si sono contraddistinti per una stagnazione economica decennale, e allo stesso tempo per una singolare incapacità di comprendere le origini della crisi italiana, soprattutto da parte dello schieramento culturale e politico che è sempre stato fonte di visioni alternative allo status quo: la sinistra.

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vocidallestero

John Maynard Keynes: per una politica macroeconomica che funzioni

di Biagio Bossone

keynesinserto3.jpg Dal prestigioso blog di macroeconomia di Nouriel Roubini EconoMonitor traiamo un’autorevole analisi su uno dei concetti forse più trascurati della teoria macroeconomica keynesiana, la preferenza degli agenti economici per la liquidità. Questo concetto viene rivalutato qui come una chiave di lettura utile per spiegare la persistenza dell’attuale crisi economica globale, e le misure raccomandate da Keynes per una tale eventualità, se applicate, vengono indicate come la soluzione più rapida ed efficace per stimolare un’autentica ripresa. Sfortunatamente questo concetto, sommerso dalla predominanza di politiche mainstream di stampo liberista, e trascurato anche dai fan keynesiani dell’ultima ora, non si è ancora affermato come sarebbe auspicabile, né le politiche raccomandate sono state mai applicate. Per questo motivo riteniamo importante aprire anche qui un dibattito che possa accendere i riflettori sull’argomento.

* * * *

Il fantasma di John Maynard Keynes…torna a perseguitarci”, così commentava Martin Wolf (2008) alla vigilia della crisi finanziaria globale, individuando nelle lezioni del padre della macroeconomia la strada migliore per comprendere la crisi e ristabilire la salute dell’economia mondiale.

La gravità della crisi ha effettivamente convinto molti economisti a rivalutare gli insegnamenti di Keynes, che per decenni erano scomparsi dalla teoria e pratica economica mainstream.

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politicaecon

La lezione di Keynes e i paesi arretrati

Introduzione di Sergio Cesaratto*

1444810052 lIn occasione della recente pubblicazione, in lingua inglese (Review of Political Economy, Vol. 27, n. 2, 2015), di parti dello studio di Pierangelo Garegnani dal titolo "Il problema della domanda effettiva nello sviluppo economico italiano (1962), originariamente commissionato dalla SVIMEZ a Garegnani, la SVIMEZ, in collaborazione con il Centro di Ricerche e Documentazione ‘Piero Sraffa’, ha organizzato, il 14 ottobre 2016, l’incontro sul tema "Il ruolo della domanda nello sviluppo: il Mezzogiorno italiano, i Sud del mondo e la crisi dell’Europa."

L’intento è stato quello di realizzare una “rivisitazione” di quel contributo, e tramite esso di sviluppare un suo approfondimento ed un confronto di tesi che sottendono al confronto tra politiche dell’austerità ed economia dello sviluppo.

L’incontro di studio, tenutosi presso la Scuola di Economia e Studi Aziendali dell’Università Roma Tre, è stato aperto dall’Introduzione di Sergio Cesaratto (Università degli Studi di Siena). Hanno fatto seguito gli Interventi di Adriano Giannola (Presidente della SVIMEZ), Carmelo Petraglia (Università della Basilicata), Franklin Serrano (Università Federale di Rio de Janeiro), Antonella Palumbo (Università degli Studi Roma Tre).

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Oltre Keynes

di Luca Benedini

Da Rocca, una rivisitazione prospettica dell’“economia keynesiana” alla luce delle dinamiche socio-politiche contemporanee – inclusa la spesso estrema debolezza delle classi lavoratrici – e in relazione con le tattiche economiche del “socialismo scientifico” marx-engelsiano

keynesLa situazione economica mondiale analizzata in Dietro le quinte dell’economia internazionale (Rocca n. 12/2016)  sollecita delle riflessioni da cui poter poi sviluppare delle proposte alternative che affrontino pienamente i suoi nodi.

Mentre la tendenza alla “stagnazione secolare” non devia affatto – in sintonia con l’imperversare del neoliberismo nelle scelte economiche di quasi tutti i governi del globo – molti aspetti della situazione ricordano il mondo che John M. Keynes si trovava davanti negli scorsi anni ’30: un mondo dominato dal liberismo e pertanto caratterizzato da un ruolo molto limitato della pubblica amministrazione (P.A.), e tanto più proprio nel campo economico, contrassegnato da frequenti e drammatiche crisi cicliche collegate soprattutto a delle fasi di sovrapproduzione, di riadattamento ai continui cambiamenti tecnologici e di debolezza creditizia e monetaria.

Keynes mise in luce come, specialmente nelle fasi di crisi, la P.A. potesse non solo regolare con più duttilità e acume il credito e la moneta, ma anche utilizzare la spesa per investimenti e servizi pubblici e la redistribuzione dei redditi dalle classi privilegiate a quelle economicamente in difficoltà come stimoli “anticiclici” che risollevassero l’andamento economico e la produzione, accrescendo l’indebolita domanda complessiva di beni e servizi.

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moneta e credito

Gli ottanta anni della Teoria generale di Keynes

Perché è ancora un libro attuale

di Maria Cristina Marcuzzo*

Da Moneta e Credito, vol. 70 n. 277 (marzo 2017), 7-19

32487Dopo la crisi del 2007-2008 il nome di Keynes è rientrato nella lista degli economisti di cui si raccomanda la lettura e di cui si ritorna a dire che sarebbe opportuno seguire le idee. Dopo un bando durato circa venticinque anni, trascorsi tra elogi del mercato e test econometrici diretti a dimostrare l’inefficacia o peggio l’irrilevanza delle politiche economiche, Keynes è riapparso sulla scena mediatica, se non proprio in quella accademica dominante, che continua per lo più ad essere la macroeconomia della restaurazione anti-keynesiana iniziata tra gli anni settanta e ottanta.

Per rivendicare l’attualità della Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta voglio partire dall’assottigliamento dello spazio assegnato all’intervento pubblico, nell’opinione economica attuale, quello ‘spazio per la politica’ che Keynes ha aperto con la dimostrazione che il mercato non è sorretto da leggi naturali o immutabili. Lo spirito che ha guidato la rivoluzione keynesiana è che la piena occupazione è un obiettivo possibile da perseguire non lasciandolo libero, ma intervenendo nel gioco delle forze di mercato.

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eticaeconomia

Siamo tutti Keynesiani

di Paolo Paesani

Paolo Paesani riflette sull’attualità di Keynes, partendo da alcuni contributi recenti sulla sua vita e sulle sue idee. Dopo aver ricordato che con la crisi del 2007 il nome di Keynes è tornato di moda nel campo della politica economica e sui giornali più che nella teoria prevalente, Paesani illustra come potrebbe affermarsi una nuova agenda di ricerca che, traendo ispirazione dal pragmatismo di Keynes, dal suo senso della storia e dalla sua visione etica, fondi “un modo di pensare migliore” che conduca a contrastare disoccupazione e disuguaglianza

keynesinserto3.jpg “Siamo tutti Keynesiani”. Negli ultimi sessant’anni, questa frase è risuonata più volte alle orecchie dell’opinione pubblica. La prima volta, nel 1965, il magazine Time la attribuì a Milton Friedman che, a quanto sembra, non la prese benissimo. La seconda volta, tre anni dopo, Friedman stesso cercò di rettificare l’affermazione, dichiarando “Tutti usiamo il linguaggio e l’apparato Keynesiano ma nessuno accetta più le conclusioni iniziali di Keynes”. Il 4 gennaio 1971, al termine di un’intervista rilasciata alla rete televisiva ABC, toccò al presidente Nixon affermare “in economia sono un Keynesiano”, e pochi mesi dopo, di nuovo “siamo tutti Keynesiani”. Nel 2009, infine, commentando le azioni adottate dai governi e dalle banche centrali in risposta alla crisi finanziaria, è la volta di Robert Lucas: “Immagino che chiunque, una volta finito in trappola (foxhole nella versione originale), sia un Keynesiano”. In tutti i casi, è curioso che a pronunciare la fatidica frase sia stato un avversario di Keynes, nel campo della teoria economica o in quello della politica. La frase, in questo senso, assume i toni di una dichiarazione di resa, temporanea, riluttante, insincera quanto si vuole, ma pur sempre una resa.

Come ha ricordato di recente Maria Cristina Marcuzzo, “Dopo la crisi del 2007-8, il nome di Keynes è rientrato nella lista degli economisti che si raccomanda di leggere e di cui si ritorna a dire che sarebbe opportuno seguirne le idee. Dopo un bando di circa venticinque anni, trascorsi tra elogi del mercato e test econometrici diretti a dimostrare l’inefficacia o peggio l’irrilevanza delle politiche economiche, Keynes è riapparso sulla scena mediatica, se non proprio in quella accademica dominante, che continua per lo più ad essere la macroeconomia della restaurazione anti-keynesiana iniziata tra gli anni 1970 e 1980”.

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vocidallestero

Trump e l’attualità di Keynes

Il nostro futuro è nel protezionismo

di Jacques Sapir

Proponendoci una riflessione sull’attualità del testo di J.M. Keynes “National Self-Sufficiency”, del 1933 – con la sua tripla esortazione ad adottare politiche protezioniste per motivi economici, politici ed etici – l’economista Jacques Sapir sul suo blog Russeurope smantella definitivamente il mito della superiorità del libero scambio, mostrando come già negli anni 30, dopo la Grande Crisi, i suoi immensi limiti fossero ben chiari a Keynes, soprattutto dal punto di vista degli effetti sociali. Quello che oggi è sotto i nostri occhi – la moltiplicazione dei conflitti, l’accumulo crescente di ricchezza nelle mani di pochi, la crisi della democrazia – conferma la lucidità della visione di Keynes e mostra come le politiche protezioniste di Trump e tanti altri siano molto più sensate di quanto la stampa mainstream ci voglia fare credere. Al contrario, conclude Sapir: è nel protezionismo il nostro futuro

keynes17Le recenti dichiarazioni di Donald Trump, e la sua politica di pressione sui grandi gruppi industriali attraverso messaggi inviati via Twitter; ma anche dichiarazioni “molto francesi”, come quelle di Arnaud Montebourg sul “produrre francese” hanno riproposto la questione delle moderne forme di protezionismo. Nel dibattito che si apre oggi intorno alla campagna per eleggere il prossimo Presidente della Repubblica, è chiaro che questo problema occuperà una posizione di primo piano. Un certo numero di candidati dichiarati – o di candidati alla candidatura – hanno preso posizione su questo tema. Ma in realtà, questo dibattito c’è già stato.

Nel 1930, dopo la Grande Depressione, un certo numero di economisti sono passati da posizioni tradizionaliste a favore del “libero scambio” verso una visione più protezionista. John Maynard Keynes era uno di questi, e certamente quello che ha esercitato l’influenza più significativa. Può essere utile quindi tornare a questo dibattito, e alla conversione di un uomo che comunque credeva nel libero scambio, per cercare di capire che cosa gli fece cambiare idea.

 

L’importanza del contesto

Il saggio di J.M. Keynes sulla necessità di una autosufficienza nazionale di cui vogliamo occuparci è stato pubblicato nel giugno 1933 sulla Yale Review.