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gliocchidellaguerra

Perché nel 2019 esploderà una nuova crisi in Europa

di Lorenzo Vita

Una nuova crisi in Europa orientale? Probabilmente nel 2019. È questo che prevede l’analisi del think-tank americano The National Interest, che rivela come tra un anno e mezzo la Russia potrebbe chiudere definitivamente il passaggio di idrocarburi attraverso l’Ucraina, attivando una crisi senza precedenti sia a livello economico che politico nel sistema euro-atlantico. La frattura fra Ucraina e Russia esplosa simbolicamente in piazza Maidan è stata per troppo tempo considerata una frattura politica e non economica. In sostanza, si è superficialmente ritenuto che il fatto che Kiev abbandonasse Mosca sul piano politico aprendosi all’Occidente, non avrebbe comportato un problema fondamentale di ordine economico nella rottura delle relazioni bilaterali fra i due Stati. Il tutto si fonda sostanzialmente su una lettura ormai datata delle necessità economiche russe, che fino agli anni Novanta del secolo scorso si basavano effettivamente sul mantenimento della precedente rete infrastrutturale sovietica. Era dunque ritenuto abbastanza ragionevole ritenere che la neonata Federazione Russa dovesse in qualche modo forzatamente mantenere i legami economici con gli Stati satellite, a prescindere dal loro orientamento politico in campo internazionale. L’Ucraina, per esempio, comprava a prezzi molto più bassi di quelli di mercato il gas russo, consapevole che la Russia avesse necessità di mantenere il blocco dell’ex-Urss anche per garantirsi una certa forza.

La lezione dei Paesi baltici, tuttavia, doveva dimostrare qualcosa. Lettonia, Estonia e Lituania, nel momento in cui hanno deciso di intraprendere la via dell’Occidente e dall’ombrello Nato, ma dicasi lo stesso per la Polonia, hanno negli anni avviato una progressiva politica di preparazione verso la fine dell’approvvigionamento energetico russo, in modo da slegarsi il più possibile e in modo celere dalla forza dominante di Mosca sul loro stesso mercato. Il processo è chiaramente ancora in atto, e oggi difficilmente si possono ritenere Stati indipendenti a livello energetico dalla Russia, tuttavia hanno iniziato a muoversi proprio per giungere a questo distacco. Dall’altra parte, la Russia non ha, in fin dei conti, subito un trauma eccessivo da questo scioglimento dei legami infrastrutturali con i Paesi baltici, tanto è vero che si è attivata insieme alla Germania per la creazione di North Stream. Dal che si evince che Mosca, pur subendo un colpo duro, ha voluto dare un segnale importante facendo comprendere che aveva comunque modi e capacità per esportare gli idrocarburi senza utilizzare per forza le reti dell’ex Unione Sovietica.

Da piazza Maidan in poi, la Russia, pur ovviamente osteggiando l’espansione orientale dell’Unione europea e della Nato, ha iniziato a formulare l’ipotesi di una fine del legame infrastrutturale con l’Ucraina. Il che vuol dire che i piani di Mosca sono di terminare in poco tempo il passaggio di gas attraverso i gasdotti ucraini. In quel caso, l’Ucraina dovrebbe trovare approvvigionamenti energetici da altre parti del mondo, in particolare da Occidente o dal Caucaso. Ciò comporterebbe dei costi notevoli per il governo ucraino, perché chiaramente c’è una differenza tra i prezzi del gas russo con quello europeo o addirittura dal carbone Usa che sta iniziando ad arrivare nei porti ucraini. L’Unione europea si è da tempo attivata con il Cremlino per evitare a tutti costi che quest’ultimo decida di staccare la spina a Kiev. La compagnia statale ucraina si ritroverebbe a dover cercare nuove fonti e nuovi clienti ma, da una parte troverebbe un minore flusso di gas e, dall’altra parte, non sarebbe in grado di attrarre investitori stranieri fino alla pacificazione del Paese. Tra l’altro, non va sottovalutato il dato per cui dove passano i terminali del gas russo, i separatisti non hanno intensificato gli scontri. Cosa che potrebbe avvenire qualora il flusso terminasse.

L’Unione europea si trova adesso all’angolo. La Turchia ha già dato indicazioni di avere come priorità il completamento del Turkish Stream, rendendo quindi chiaro il rapporto sempre più profondo fra Mosca e Ankara anche sotto il profilo infrastrutturale. La Germania vuole mantenere la sua capacità di essere un hub del gas russo in Europa, non potendo assolutamente fare a meno dell’importanza del North Stream né del suo raddoppio. La partnership con Mosca, unita alla sicurezza energetica della Germania, è più importante, per la Merkel, della situazione ucraina. La Russia sta inoltre cercando, attraverso Gazprom, di aumentare le vendite di gas all’Azerbaijan, in modo da trovare un’ulteriore via di accesso al mercato europeo senza essere costretto a passare per l’Ucraina. A tutto ciò, si aggiunge la crescente tensione tra Usa e Iran, che di fatto rende sempre più facile che Teheran sposi la linea russa nei confronti del gas vincolandosi all’hub azero. E tutto ciò potrebbe avere anche una data: il 2019, che, sostanzialmente, è domani. Nel 2019 scadono i contratti fra Russia e Ucraina e saranno pronte molte nuove linee. L’Europa (e l’America con essa) dovrà riuscire a cambiare questa situazione prima che l’Ucraina si ritrovi senza gas, ancora più povera e con una guerra civile in casa. Una guerra in cui la Russia potrebbe non avere più interesse a mantenere una bassa intensità di conflitto.

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