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avvenire

Heidegger spiegato dai “Quaderni neri”

di Costantino Esposito

Una rilettura del filosofo attraverso i misteri che ancora avvolgono il singolare agglomerato di postille, osservazioni e giudizi che aggiungono compiutezza al suo pensiero

Nell’arco di tempo che va dal 1931 al 1948, un periodo cruciale per la storia europea e mondiale, ma anche per la sua vicenda personale, Heidegger accompagnò la sua attività di ricerca e di insegnamento con la redazione ininterrotta di una serie di taccuini denominati Quaderni neri, a motivo del fatto che si trattava materialmente di quaderni rivestiti di una tela di colore nero. Vi annotava riflessioni su problemi e prospettive del pensiero filosofico, ma al tempo stesso (e spesso in maniera intrecciata) fermava pensieri legati alla situazione storica, culturale e politica coeva. Questo ne fa un documento strano, ma estremamente interessante, come un cantiere di problemi aperti, uno zibaldone di considerazioni sulle sfide dell’epoca e un laboratorio sperimentale su nuove vie da tentare col pensiero. Al tempo stesso, tuttavia, Heidegger non considerava tali Quaderni solo come dei block-notes privati, ma li redigeva e li curava con una certa sistematicità, se è vero per esempio che in diversi di essi provvede a stilare egli stesso degli indici finali degli argomenti, e non manca di segnalare spesso rimandi interni e riferimenti ad altre sue opere e trattati (e viceversa anche in questi ultimi rimanda ai Quaderni).

Come scrive lo stesso Heidegger in esergo al primo Quaderno pubblicato: «Le annotazioni dei Quaderni neri sono, nel loro nocciolo, dei tentativi di un semplice nominare – non sono enunciati, tanto meno appunti per un sistema già pianificato». Una prima serie di Quaderni, quelli che vanno dal 1931 al 1941 (in 3 volumi) portano il titolo di “Riflessioni” (Überlegungen), mentre quelli che vanno dal 1942 al 1948 (in un volume) sono denominati “Annotazioni” (Anmerkungen). Sappiamo però che diversi altri furono redatti da Heidegger fino agli inizi degli anni Settanta, con titoli differenti, di cui è prevista la pubblicazione in altri cinque volumi (per un totale complessivo di 34 Quaderni). Una grande mole di dattiloscritti che lo stesso Heidegger aveva raccomandato di pubblicare solo al termine della pubblicazione dell’intera Gesamtausgabe. Ma perché questa decisione? Forse la spiegazione sta in un’altra indicazione di Heidegger, il quale aveva predisposto che i Contributi alla filosofia e gli altri trattati risalenti agli anni Trenta e Quaranta, nei quali viene impostata e sviluppata la prospettiva di un «pensiero della storia dell’essere» (e rientranti nella III sezione dell’Edizione completa) fossero resi noti solo dopo la pubblicazione dei corsi universitari (II sezione), perché i primi tentavano un altro inizio del pensiero, che presupponeva e insieme “oltrepassava”, anche a livello linguistico, il primo inizio (metafisico) praticato ancora nei corsi accademici.

Analogamente, si potrebbe dire che i Quaderni neri dovrebbero presupporre il lavoro compiuto da Heidegger nei Contributi e negli altri sei trattati. In effetti, questa enorme mole di lavoro compiuto da Heidegger per elaborare il pensiero della storia dell’Essere (a cui vanno aggiunti alcuni corsi e abbozzi su Nietzsche che verranno pubblicati successivamente) trova nei Contributi il suo riferimento principale. Come si è detto, l’evento di appropriazione è un accadimento della storia originaria e nascosta del mondo, che ogni volta tenta di oltrepassare l’epoca della metafisica, non però in direzione di un’altra posizione filosofica, ma ritornando sempre a ciò che nella metafisica non è stato pensato o che è rimasto nel nascondimento, permettendo così al pensiero di “curvare” di continuo per ascoltare l’appello del-l’Essere. Quest’ultimo infatti reclama l’uomo mentre si espropria e si ritrae alla presa dei concetti metafisici; ma al tempo stesso ha bisogno di questi ultimi, esattamente per poterli abbandonare. E non li abbandona mai una volta per tutte, ma come in un movimento continuo che potremmo chiamare di “implosione” dall’interno. Si può dire dunque che i Quaderni neri, almeno quelli a cavallo tra gli anni Trenta e Quaranta, non sono comprensibili se non come linee di accompagnamento e completamento della via aperta e tentata dai trattati, e che per questo motivo, nell’intento di Heidegger, essi dovevano concludere l’Edizione completa dei suoi scritti, considerando anche il fatto che il pensiero della storia dell’Essere procederà poi sino agli anni Settanta – come pure parallelamente procederanno i Quaderni.

Ma in cosa consisterebbe questa via complementare e parallela (rispetto a quella, già di per sé “segreta”, dei trattati)? Per un verso si può senz’altro affermare che le “Riflessioni” «sono coordinate e subordinate ai grandi lavori che aprono la via, e dunque non preordinate o addirittura sovraordinate a essi », e cioè che la chiave per comprendere i Quaderni si trova nei lavori più sistematici riguardanti l’altro inizio del pensiero, l’evento di appropriazione e il nesso metafisica-nichilismo. Ma c’è una caratteristica del testo dei Quaderni che induce a lasciare aperto il problema della loro finalità: come abbiamo già accennato, in essi Heidegger, mentre porta avanti il faticoso lavoro di sviluppo del pensiero, lo incrocia continuamente, e non casualmente, con reazioni, giudizi, considerazioni – tra l’acuto e il dolente, il risentito e lo sprezzante – su eventi politici e accademici, tendenze culturali e religiose, personaggi pubblici e tipi umani del suo mondo, fortemente segnato dal nazionalsocialismo, ma sempre nella prospettiva della storia destinale dell’Occidente intero. Ci troviamo però di fronte a qualcosa di diverso da una mera critica della cultura o da un’analisi socio-antropologica, e soprattutto diverso da una chiamata alla responsabilità etica: l’ambizione e l’afflizione heideggeriana è quella di attraversare la crisi spirituale del popolo tedesco e del mondo occidentale unicamente grazie a una radicale interrogazione filosofica che faccia scoprire la storia politica come la storia dell’Essere stesso.

Capire il proprio tempo, infatti, significa per lui patire la perdita della verità dell’Essere e custodirla in quella solitudine tipica del vero pensatore in cui, a suo parere, possono crescere le radici nascoste di un’epoca, anche nel progressivo immiserimento delle sue espressioni spirituali, o forse proprio attraverso di esso. A ciò si aggiunga l’impressione che in questo suo atteggiamento criticodecostruttivo Heidegger proceda nei Quaderni con più libertà e spregiudicatezza di quanto non faccia nelle lezioni, nei saggi o nei discorsi, ma anche negli stessi trattati. Più libero di affrontare di petto e senza remore la situazione storica e finanche la cronaca corrente. Questo ha portato alcuni a ipotizzare che non siano tanto i trattati o gli altri lavori heideggeriani la chiave di volta per intendere i Quaderni neri, ma che al contrario possano essere questi ultimi la chiave segreta dei primi. Cioè che il pensiero di Heidegger potrebbe essere interpretato come un modo di rendere in chiave (oltre)metafisica, e nella prospettiva del pensiero della storia dell’Essere, alcune decisioni politiche o culturali di fondo del suo autore (come nel caso specifico della considerazione heideggeriana dell’ebraismo). In virtù di questa ambivalenza dei Quaderni neri, si prestano a essere sovraconsiderati, più che come un testo heideggeriano, come un sotto-testo nascosto o un meta-testo epocale. In tal modo però si rischia di trattarli come una sorta di “feticcio” attorno a cui girare in circolo, nell’illusione di non dover più fare i conti con la continua provocazione filosofica del pensiero heideggeriano. Ma la situazione reale è più rischiosa, e quindi più interessante: i conti non possono che restare aperti.

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