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L'Italia e i nuovi venti di guerra fredda contro la Russia

di Carlo Formenti

L’Unione Europea garante di pace? Chi continua a sostenere questa menzogna dopo i bombardamenti sui Balcani, la sponsorizzazione dell’aggressione alle regioni russofone dell’Ucraina da parte del regime parafascista di Kiev, le guerre libiche innescate dall’intervento anglofrancese, le ormai innumerevoli partecipazioni alle “guerre umanitarie” che l’Occidente non cessa di alimentare in tutto il mondo, non può che essere in malafede o, nella migliore delle ipotesi, un cretino. Evidentemente anche i più zelanti portabandiera del verbo atlantico se sono resi conto, al punto che non provano nemmeno più a condire il proprio cinismo con appelli a valori e principi universali, ma ricorrono senza tanti giri di parole al linguaggio della più spudorata realpolitik.

Vedasi, in proposito, l’articolo di fondo nel quale Franco Venturini, sul “Corriere della Sera” del 27 marzo scorso, affronta il tema della nuova ondata di sanzioni contro la Russia, a seguito del presunto tentativo di liquidare una ex spia passata al nemico da parte del governo di Mosca. Commentando la decisione di 16 dei 27 Paesi membri della UE di espellere un certo numero di diplomatici russi, “in solidarietà” con l’analogo provvedimento assunto qualche giorno fa dall’Inghilterra, Venturini scrive: “Dubitiamo che i 16 siano tutti convinti dalle prove offerte da Teresa May sulla colpevolezza russa, ma una ferma solidarietà con Londra era comunque necessaria”.

Parlare di dubbi è eufemistico, considerato che il governo inglese non ha offerto la minima prova delle proprie accuse, ma soprattutto considerato il “vizietto” dell’ex grande potenza coloniale (ricordate le balle di Tony Blair sulle “armi di distruzione di massa” in mano a Saddam Hussein?) di ricorrere alla menzogna per giustificare le proprie aggressioni (la parabola del lupo e dell’agnello).

Insomma, ci fa capire Venturini, poco importa se le accuse siano vere, ciò che conta è che sono un ottimo pretesto per rilanciare la tensione con la Russia, “colpevole” di opporsi a una politica atlantica che, in barba a tutti gli accordi pregressi, sta cercando con ogni mezzo di dislocare le proprie forze a contatto diretto con i confini dell’ex impero sovietico. Ma non si era detto che l’Europa ha assai meno interesse degli Stati Uniti a tendere troppo la corda con il “nemico” di sempre (che evidentemente resta tale anche se il comunismo è morto da un pezzo). Vero, ma, come spiega Francesco Verderami in un altro articolo, si conta sul fatto che “la linea dura contro Mosca può consolidare la linea morbida di Washington sui dazi”. Mentre il processo di ri nazionalizzazione della politica (e dell’economia) ridisegna a ritmo accelerato lo scenario dei conflitti fra grandi potenze, rischiando di mettere in crisi equilibri consolidati, gli Stati Uniti devono assolutamente blindare l’Europa (sempre in funzione subordinata) nel proprio blocco politico militare. Così Trump prende due piccioni con una fava: allontana i sospetti dell’opinione pubblica americana in merito alla sua presunta “collusione” con Putin e riconduce all’ovile le europecorelle minacciandole con il bastone dei dazi.

E l’Italietta che fa? Da, come da antichi costumi, un colpo al cerchio e un colpo alla botte: si allinea al coro europeo ma lo fa espellendo solo due diplomatici russi (come dire: scusate noi non vorremmo farlo, ma ci obbligano…). Una decisione non solo ambigua ma anche altamente opinabile, in quanto presa da un governo in carica solo per gli affari correnti che dovrà presto lasciare il posto a forze politiche che, sul piano della politica internazionale, sembrano orientate in modo assai diverso da quello che ha finora ispirato la coppia Renzi/Gentiloni. Ma Verderami non perde la speranza: Salvini e Di Maio nutrono un po’ troppa simpatia per Putin? Ma così come hanno smorzato le loro smanie antieuropeiste in vista dell’entrata nella camera dei bottoni, si spera che possano rientrare senza troppe scosse nei ranghi atlantici. Con buona pace di un interesse nazionale che – in tempi di crisi della globalizzazione – dovrebbe indurci a rimettere in discussione la nostra collocazione geopolitica.

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