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gliocchidellaguerra

In politica estera questo 2018 ricorda molto il 2003 americano

di Fulvio Scaglione

Confesso: ho un po’ di strizza. Perché le coincidenze sono tante e questo 2018 comincia somigliare un po’ troppo al 2003 per stare tranquilli. Proviamo con un piccolo elenco ragionato.

Casa Bianca 2003: negli Usa c’è un presidente, George Bush junior, con esperienza internazionale pari a zero, circondato da una serie di “falchi” che si erano formati nelle precedenti amministrazioni repubblicane e si erano ritrovati nel Manifesto per il nuovo secolo americano, il think tank neo-con che aveva stilato le linee guida del neo-imperialismo a stelle e strisce, teoria della “guerra preventiva” compresa. Quei falchi andavano dal vice presidente Dick Cheney al ministro della Difesa Donald Rumsfeld, dall’ambasciatore all’Onu John Negroponte (implicato nello scandalo “Iran Contras” dei tempi di Ronald Reagan) al consigliere speciale anziano Karlo Rove.

Casa Bianca 2018: anche adesso c’è un presidente, Donald Trump, che non sa nulla (o quasi) del mondo ed è stato messo sotto tutela dai generali e dai loro sponsor del complesso militar-industriale, gli stessi che sostenevano la presidenza Bush.

In più, tornano alcuni dei personaggi del 2003, dal procuratore speciale Robert Mueller (quello che oggi indaga sul Russiagate e con Bush junior era direttore dell’Fbi) e soprattutto John Bolton, uno di quelli che nel 2003 volle invadere a tutti i costi l’Iraq ed era sempre molto arrabbiato con El Baradei e l’Agenzia internazionale per l’energia atomica che invitavano alla prudenza sulle “armi di distruzione di massa” di Saddam Hussein. Fino a qualche settimana fa, non a caso, Bolton insisteva per una bella guerra preventiva contro la Corea del Nord.

Babau 2003: le armi di distruzione di massa, certo. Che non esistevano ma servirono come scusa per invadere l’Iraq.

Babau 2018: gli hacker russi. Su cui indaga Mueller, come detto. Se alle inesistenti armi di Saddam veniva attribuito il proposito di distruggere questo e quello, agli intriganti elettronici del Cremlino viene attribuita qualunque piaga politica affligga l’Occidente: dall’elezione dello stesso Trump alla Brexit, dall’indipendentismo della Catalogna alla vittoria dei partiti “populisti” in giro per l’Europa. Certo, Edward Snowden ci ha spiegato, pochi anni fa, che gli Usa origliavano i telefonini della Merkel e di Hollande, e che con Echelon, il sistema basato nel Regno Unito, possono intercettare qualunque comunicazione in tutto il mondo. Va bene così, ogni Paese che abbia dei servizi segreti spia qualcuno. Viene però da chiedersi che cosa facciano, americani e inglesi, mentre i russi tramano per distruggere l’Occidente. Nulla? Stanno lì e subiscono?

Nel 2003 foto di tubi di metallo venivano spacciate per centrifughe irachene per arricchire l’uranio. Nel 2018 abbiamo gli scoop sul Russiagate. L’ultimo dice che è stato un hacker del Cremlino a rubare le mail di Hillary Clinton poi diffuse da Wikileaks nel 2016. Ecco come un grande giornale descrive l’accaduto: “Secondo una ricostruzione del Daily Beast, per coprire le sue tracce Guccifer 2.0 si serviva di un servizio chiamato Elite Vpn, con base nella capitale russa, con cui rendeva anonima la sua presenza sul web. Ma un giorno, per distrazione, l’ufficiale russo è entrato nei siti preferiti, Twitter e WordPress, senza passare attraverso il servizio di Vpn, permettendo così all’Fbi di risalire attraverso l’indirizzo Ip al quartiere generale del GRU”.

Tradotto significa: un ufficiale russo di alto livello dei Servizi segreti militari (certo una missione come quella non era in mano a un cadetto) riesce ad hackerare i server che ospitano la posta riservata della Clinton e quando ha finito, ops, si dimentica delle precauzioni e va bello bello su Twitter, per di più dalla sede del Gru, a farsi pescare dall’Fbi come un pistola qualunque. Voi ci credete? Qualcuno può crederci?

E poiché di babau non ce n’è mai abbastanza, eccone altro: gli hacker cinesi e persino quelli dell’Iran che, avvertono dalla Casa Bianca, “sono impegnati in una cyber-campagna sistematica contro gli Usa e i loro alleati”. Avrebbero, dicono gli americani, rubato proprietà intellettuali in 300 università Usa in tutto il mondo. Come per i russi: magari è vero ma chi può controllare? E se fosse come nel 2003, un cumulo di balle?

Embargo 2003: era in vigore contro l’Iraq, era stato lanciato tredici anni prima contro l’Iraq.

Embargo 2018: sono sottoposte a sanzioni economiche internazionali la Russia e la Siria, e l’Iran è bersaglio di quelle americane, essendo decadute quelle internazionali (durate 25 anni) dopo l’accordo sul nucleare firmato nel 2015.
Paesi canaglia 2003: George Bush, dopo le Torri Gemelle, stilò la lista dei “Paesi canaglia”: Siria, Iraq, Libia e Iran. I primi tre sappiamo che fine hanno fatto.

Paesi canaglia 2018: ancora Siria e Iran, con l’aggiunta della Russia. Le espulsioni di diplomatici hanno proprio questa funzione.

Riarmo 2003: al momento di attaccare l’Iraq, gli Usa e i loro alleati poterono servirsi di basi in Medio Oriente, e in particolare nel Golfo Persico, che avevano cominciato a preparare anni prima, con la guerra del 1990, e negli anni seguenti avevano rinforzato.

Riarmo 2018: a partire dal 2008, cioè dalla decisione di Obama di installare un sistema missilistico in Romania e Polonia, a pochi passi dalla Russia, la Nato (l’alleanza militare dominata dagli Usa) è andata aumentando i contingenti schierati a Est.

Oggi ci sono caccia anche italiani in basi nei Paesi baltici da cui in dieci minuti di volo si arriva su San Pietroburgo. La crisi ucraina del 2013-2014, con il regime change fomentato dagli americani e la reazione russa, ha fornito l’occasione perfetta per incentivare la pressione militare. La Russia ha riarmato a sua volta in modo massiccio e, per quanto riguarda l’Ucraina, ha risposto con la forza, fomentando la secessione del Donbass e riannettendo la Crimea.

Europa 2003: Bush poteva contare sul fedele compare Tony Blair e sui tradizionali alleati europei: Danimarca, i Baltici, la Polonia, la Spagna di Aznar, la Romania, la Norvegia.

Europa 2018: anche ora l’Europa si fa trainare dalla locomotiva americana e, semmai, le cose vanno peggio. Oggi infatti sembrano mobilitarsi pure Francia e Germania, che allora invece si tennero da parte. I Paesi dell’Europa dell’Est, che nel 2003 non erano ancora nella Ue (entrarono in massa l’anno dopo), adesso influiscono moltissimo sulla politica comunitaria.

Infine, nel frattempo l’Europa stessa ha percorso in prima personal la via della guerra, come la spedizione contro la Libia del 2011, l’avventura anglo-francese che ha distrutto un Paese e fatto saltare tutti gli equilibri nel Mediteranneo. Insomma: il 2018 somiglia un po’ troppo al 2003 per stare tranquilli. La Russia sembra un boccone un po’ troppo grosso anche per le robuste mascelle della triade Usa-Nato-Ue. Ma con quest’aria di guerre combattute contro nuora perché suocera intenda, se fossimo l’Iran o la Siria non dormiremmo sonni tranquilli.

 

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