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manifesto

L’irriducibilità dell’oggetto

di Stefano Petrucciani

Storia delle idee. Nuova edizione per i testi di Alfred Schmidt e Hans-Georg Backaus, due classici francofortesi che indagano l’opera di Marx in relazione con l’idealismo tedesco. «La realtà sfugge sempre alla presa del concetto, che non si lascia identificare»

Gli anni Sessanta del Novecento non sono stati solo la grande stagione dei movimenti, ma anche un periodo di straordinario rinnovamento e ripensamento del marxismo. A mio modo di vedere, il maggior rilievo lo hanno avuto tre correnti di pensiero che proprio in quella fase si sono sviluppate, non senza rapporto con i movimenti che attraversavano la società.

Le tre nuove letture del marxismo che hanno segnato il periodo sono state quella operaista di Panzieri, Tronti e Negri, quella althusseriana e quella francofortese. Tre esperienze nate nel cuore del vecchio continente (Italia, Francia, Germania) e molto diverse, anzi persino antagoniste, tra loro.

Il filone operaista e quello althusseriano sono stati certamente più innovativi; il vantaggio della lettura francofortese di Marx, però, stava nel fatto che essa era, almeno a mio parere, decisamente più aderente a quello che Marx era veramente stato.

Gli interpreti di scuola francofortese, infatti, non contaminavano Marx con esperienze culturali eterogenee, ma lo leggevano in stretta connessione con tutta la vicenda dell’idealismo tedesco tra Kant e Hegel, cioè lo riportavano a quello che era stato veramente il suo terreno di formazione, i dibattiti e le polemiche dentro la scuola hegeliana e l’uso che si poteva fare del pensiero del grande maestro.

Ma cosa intendiamo quando parliamo di una lettura francofortese di Marx? Cerchiamo di chiarirlo in poche parole. I maestri della Scuola di Francoforte, come Horkheimer e Adorno, non avevano scritto libri su Marx; avevano cercato piuttosto di interpretarne creativamente il pensiero. Ma la lettura dell’autore del Manifesto che era presente nei loro testi suscitò, negli anni Sessanta, nel contesto dell’Istituto per la ricerca sociale di Francoforte, un nuovo approccio dialettico a Marx e al Capitale, dal quale scaturirono alcune opere e linee di ricerca che meritano ancora oggi di essere studiate con attenzione.

Tra i frutti migliori di quella stagione ci furono il lavoro di Reichelt sulla Struttura logica del concetto di Capitale (recentemente riproposto da manifestolibri), gli scritti del prematuramente scomparso Hans-Jürgen Krahl, gli studi di Alfred Schmidt e di Hans-Georg Backaus. I testi di questi ultimi due sono oggi nuovamente disponibili per il lettore italiano grazie al meritorio lavoro di Riccardo Bellofiore, che ha introdotto una nuova edizione del miglior libro di Schmidt (Il concetto di natura in Marx, Edizioni Punto Rosso, pp. 302, euro 20) e che ha curato, con Tommaso Redolfi Riva, una summa degli studi di Backhaus (Ricerche sulla critica marxiana dell’economia, Mimesis, pp. 416, euro 28), considerato l’iniziatore di quella che i tedeschi chiamano la Neue Marx-Lektüre, cioè un nuovo modo di leggere i testi marxiani.

Al di là della denominazione un po’ pomposa, la sostanza del discorso è abbastanza chiara: il Capitale non deve essere letto come una nuova o migliore teoria economica, ma come una critica delle categorie economiche, a cominciare da quelle di valore e denaro; mentre l’economia borghese le assume come date, Marx sviluppa dialetticamente, usando gli strumenti che gli derivano da Hegel, la loro genesi e le loro contraddizioni interne. E giunge così a mostrarne il carattere feticistico: è l’economia borghese che assume come feticci, come dati, come cose, delle categorie economiche che sono in verità il risultato di un processo di sviluppo, e che come tali hanno una loro genesi e un loro tramonto. Il nucleo del Capitale è lo svelamento di questo feticismo, cioè il mostrare come quelli che si presentano come dati o leggi dell’economia siano in realtà il risultato di rapporti sociali e conflittuali tra gli individui e le classi, superabili e non eterni.
Backhaus mostra come il sistema delle categorie economiche venga sviluppato in Marx attraverso un metodo dialettico che riprende per molti aspetti essenziali quello hegeliano. Non del tutto però, perché quella del Capitale di Marx non è una totalità compiuta come quella hegeliana, ma una totalità ancora contraddittoria, e dunque insidiata dal suo tramonto.

Proprio su questo, allora, si può innestare una riflessione come quella che Schmidt sviluppa nel suo Concetto di natura in Marx. Il punto lo aveva fissato chiaramente già il pensatore di Treviri nella famosa Introduzione del 1857, non pubblicata, a Per la critica dell’economia politica. Per il Marx della Introduzione la totalità concreta (il che vuol dire: concettualmente elaborata) è certamente un prodotto del pensiero, ma non «del concetto che genera se stesso», quanto piuttosto «dell’elaborazione in concetti dell’intuizione e della rappresentazione». La ricostruzione in concetti della realtà sociale come totalità contraddittoria è pur sempre (ed è qui che Marx si volge contro Hegel) il lavoro interpretativo di una mente che si misura con un oggetto reale che sta fuori di essa. Che rimane, come scrive Marx, «saldo nella sua autonomia fuori della mente». Il pensiero è attività di decifrazione che si esercita su qualcosa di altro, di non riducibile: l’oggetto o, come anche si può dire, la natura.

Su questo punto insiste il lavoro di Schmidt, profondamente segnato dall’insegnamento sia di Horkheimer che di Adorno. Da Horkheimer riprende il tema del materialismo e del naturalismo. Di Adorno Schmidt sviluppa, in connessione sempre col tema materialistico, un aspetto fondamentale: il concetto di natura allude a quello che Adorno chiamava il «non-identico»; cioè la realtà che sfugge sempre in qualche modo alla presa del concetto, che non si lascia identificare da esso pienamente e senza residui. E qui è forte il retaggio kantiano, del Kant che aveva insistito sui limiti del sapere che non può conoscere altro che il «nostro» mondo, ma non le cose come sono in se stesse.

Il punto d’approdo al quale coerentemente Schmidt arriva, perciò, è che l’epistemologia di Marx rappresenta una sorta di creativa e originale combinazione del momento hegeliano con quello kantiano. Come si legge nel Concetto di natura in Marx, «tra Kant e Hegel, Marx assume una posizione mediatrice difficilmente definibile. La sua critica materialistica alla identità hegeliana di soggetto e oggetto lo riconduce a Kant, anche se Marx non torna a concepire l’essere non-identico con il pensiero come una inconoscibile cosa in sé». Marx per un verso mantiene, contro Hegel, la tesi kantiana della non-identità di soggetto e oggetto.
Per altro verso però, schierandosi con Hegel contro Kant, sostiene che i due poli non hanno niente di statico, ma interagiscono e si modificano reciprocamente nel processo storico: noi cambiamo il mondo con le nostre azioni e questo retroagisce sui nostri modi di pensare. Seguendo Hegel, Marx storicizza le categorie kantiane; andando oltre Hegel, connette più strettamente le trasformazioni dei modi di pensare con quelle del lavoro e dei rapporti sociali.

Per concludere con una nota più leggera bisogna ricordare che la prima edizione italiana del libro di Schmidt uscì nel 1969 per Laterza con una prefazione di Lucio Colletti. Colletti apprezzava molto il lavoro di Schmidt, perché credeva anche lui che si dovesse recuperare il lato kantiano di Marx; ma nutriva un’antipatia assoluta per Adorno e per i francofortesi; e cercava dunque, nella sua prefazione, di sganciare Schmidt dai suoi maestri. Ma si trattava di un’operazione fallimentare perché, come è evidente a chi legga con attenzione, la «natura» di Schmidt e il «non-identico» di Adorno sono concetti che, in ultima istanza, prendono di mira esattamente la stessa questione.

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