Print Friendly, PDF & Email

geopolitica

Per Marx. 5 maggio 1818 - 5 maggio 2018

di La Grassa-Petrosillo-Tozzato

La prima osservazione che mi sento di fare è che Marx, al contrario di come viene solitamente (e stoltamente) considerato, non è un filosofo. Secondo me è a tutti gli effetti uno scienziato; comunque non un filosofo. Di filosofia ha trattato assai poco durante la sua vita e non in modo da poter figurare come un buon filosofo. Di fatto, chiude con questo ramo del sapere nel 1845 scrivendo una vasta serie di appunti – che lui stesso disse di voler affidare alla “critica roditrice dei topi” – pubblicati poi nel 1932 con il titolo di Ideologia tedesca. Nel 1847, scrive Lavoro salariato e capitale; e già dal titolo si capisce che si è indirizzato allo svolgimento di considerazioni economiche. Nel 1847 pubblica pure (in francese) Miseria della filosofia, un testo di critica e confutazione delle tesi di Proudhon che aveva scritto la “Filosofia della miseria”, il cui titolo effettivo è però Sistema delle contraddizioni economiche; e anche questo fa capire che si parla più di economia che di filosofia. In effetti, in questo suo scritto critico Marx inizia ad elaborare la sua teoria del valore, mutuata dagli economisti classici, però con una decisiva variazione che poi vedremo.

In definitiva, si può tranquillamente affermare che, a partire dalla metà degli anni ’40 e fino alla fine della sua vita, Marx si è sempre dedicato allo studio dell’economia politica; e in particolare dei classici, di Adam Smith e David Ricardo.

E più o meno tutti i testi, pubblicati e no, che egli scrive portano la dicitura di “critica dell’economia politica”. Si pensi ai ben noti Grundrisse (“Lineamenti di critica dell’economia politica”) e Per la critica dell’economia politica. La sua opera principale (di cui è da lui pubblicato solo il primo libro) si intitola Il Capitale con sottotitolo “critica dell’economia politica”. E del resto altri testi rilevanti, lasciati a livello di appunti pubblicati postumi, sono stati indicati come Teorie sul plusvalore, Quaderni sul macchinismo, ecc. Infine, l’ultimo (o quasi) testo scritto è Glosse al manuale di economia politica di Adolf Wagner. Come ben si vede, la filosofia non era il suo interesse.

Chi ha ridotto Marx a filosofo o non conosceva (e non conosce) un bel nulla di lui (salvo i primissimi scritti tipo i Manoscritti economico-filosofici del ’44) o era (è) un imbroglione del tipo di quelli sessantottardi, arroganti, presuntuosi, che si sono dedicati alla distruzione della scienza marxiana. Una scienza che ovviamente, come ogni altra, subisce processi di invecchiamento, di confutazione, di errori delle sue previsioni e, di conseguenza, di falsificazione delle sue ipotesi; ma che, proprio in questo modo, consente l’avanzamento di una conoscenza pratica del mondo nei suoi comparti utili alla vita umana.

Tuttavia, un’altra errata interpretazione di Marx si annida proprio nella dizione di “critica dell’economia politica”. Alcuni rozzi economisti, pur tanto decantati da interpreti da strapazzo, hanno pensato che si trattasse di “critica della teoria economica”. Un’aberrazione dietro l’altra; Marx non è filosofo e non è economista! L’unica possibile, comunque la meno inesatta, definizione dell’opera di Marx l’ha formulata Althusser affermando che egli ha aperto il Continente storia alla scienza. In effetti, a Marx l’economia politica – scienza sociale già abbastanza sviluppata ai suoi tempi – serve per fissare alcune fasi di sviluppo ed evoluzione della “formazione economica della società”. E la critica che porta all’economia politica (classica) è proprio quella di aver eternizzato i rapporti sociali capitalistici, con ciò stesso impedendosi di pensare la futura storia di questa forma di società. “C’è stata storia ma ora non ce n’è più”; così Marx scrive criticando gli economisti classici. Non una critica radicale alla loro teoria economica, da cui invece mutua l’elemento decisivo – la tesi del valore di un prodotto in base al tempo di lavoro in esso incorporato – bensì confutazione della loro credenza che il capitalismo fosse la forma finalmente scoperta di ogni produzione secondo ragione e natura.

Il capitalismo sarebbe ormai durato per sempre; questa la convinzione mai messa in discussione dai classici, nemmeno per un minimo dubbio in proposito. Per Marx invece si trattava solo di una fase dell’evoluzione della società umana, di una “storicamente determinata” formazione sociale; essa, per movimenti intrinseci, sarebbe mutata in altra. Ed è qui che s’inserisce la critica di Marx, che vede maturare appunto un’altra forma dei rapporti sociali proprio a partire da quella capitalistica. Perché, come egli disse più volte, “il capitale non è cosa, ma rapporto sociale”. Ed è questo rapporto che evolve, si trasforma, muta in qualcosa di assai differente (questo secondo la sua ipotesi, che è scientifica al 100%).


Tratto da “L’illusione perduta” di La Grassa-Petrosillo-Tozzato, ed. Nova Europa

Add comment

Submit