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sinistra

Crisi organica, venditori "napoletani" e 'mezze classi'

di Eros Barone

In questo ultimo decennio (2008-2018) si è potuto misurare quanto profondamente abbiano inciso sul vasto e articolato universo delle piccole e medie imprese le politiche di austerità imposte dall’Unione Europea e il correlativo disimpegno economico dello Stato nazionale. Un processo economico di questa portata non poteva non determinare un sommovimento altrettanto profondo nei rapporti fra le classi e nella stessa sovrastruttura politico-istituzionale. La rottura del blocco sociale tra il grande capitale e la piccola e media borghesia produttiva, che in tal modo si è consumata, ha così provocato una crisi organica, i cui tratti distintivi, come indica la corrispondente categoria gramsciana e come si può osservare nell’attuale congiuntura del nostro Paese, sono stati, insieme con un crescente indebolimento della capacità di direzione della grande borghesia, la mobilitazione, in chiave tendenzialmente eversiva, della piccola e media borghesia e la costituzione di nuove forze politiche.

Tuttavia, benché lo abbiano analizzato a più riprese, i ‘mass media’ borghesi non hanno mai individuato nel carattere di classe del programma elaborato dal M5S e nella natura strutturale di questo movimento politico ciò che fa di esso la forma politica in cui si manifesta l’instabilità dei settori della piccola e media borghesia colpiti dal progetto di unificazione europeo e destrutturati dalla sua lisi (se non crisi) sempre più evidente.

In realtà, non bisognerebbe mai sottovalutare la particolare estensione ed irritabilità dell’area sociale costituita dalle ‘mezze classi’ (assai rilevante, dal punto di vista numerico, e sempre più instabile in forza dei processi di proletarizzazione innescati dallo sviluppo imperialistico), nonché la capacità di coinvolgimento di larghe masse di popolo che essa è in grado di esprimere grazie sia all’assenza di un fronte organizzato della classe operaia nelle grandi industrie capace di imporre la propria egemonia, sia all’esistenza del blocco corporativo che permette alla piccola e media borghesia produttiva di aggiogare ampi strati di lavoratori salariati al carro dei propri interessi in un’economia manifatturiera dove la maggioranza assoluta della forza-lavoro è impiegata in aziende di limitate dimensioni. Sta di fatto che, in virtù del contenuto del programma che porta avanti (reddito di cittadinanza, liberalizzazioni, politiche fiscali a favore delle imprese ecc.) e in forza della sua natura di classe, il M5S si è adoperato in questa fase post-elettorale (che potrebbe peraltro, in un breve lasso di tempo, diventare nuovamente pre-elettorale) per porsi come l’interlocutore, riconosciuto anche a livello internazionale, di settori del grande capitale.

D’altronde, era prevedibile che, sulla base del risultato elettorale reciprocamente elidente prodotto dalla legge-tagliola astutamente predisposta dal PD, si sarebbe aperto un nuovo capitolo della crisi politica e istituzionale italiana, poiché la sconfitta di Renzi e l’indebolimento di Berlusconi, frutto di un sussulto popolare genuino anche se inevitabilmente orientato, date le premesse anzidette, in una direzione politicamente reazionaria, hanno, comunque, spezzato il progetto neo-centrista che puntava a un governo di “larghe intese” sostenuto dall’Unione Europea. È così accaduto che, stante la profondità della crisi italiana e la disarticolazione (per non dire lo sfaldamento) della coesione fra le classi sfruttatrici, è divenuto oggi impossibile un normale “governo borghese di classe” con un programma omogeneo, atto a rinsaldare il blocco dominante e a tenere sotto controllo l’“impazzimento” delle ‘mezze classi’ egemonizzando i ceti medi, a meno di non ricorrere, qualora la crisi non sia risolvibile attraverso le vie costituzionalmente legali, a ‘colpi di Stato’ più o meno larvati e a ‘dittature commissarie’ del genere di quelli che inaugurarono nel nostro Paese, in coincidenza con la guerra imperialista sferrata contro la Libia, l’inizio di questo secondo decennio del secolo. In ultima istanza, è indubbio che il problema che devono risolvere le classi dominanti e sfruttatrici è duplice: realizzare un saggio medio di profitto tra settori produttivi con composizione organica differente in un’epoca di caduta tendenziale del saggio medesimo e moderare la contesa per la distribuzione territoriale del plusvalore estorto alla forza-lavoro.

In queste settimane la ricerca di un accordo fra i vincitori della tornata elettorale, ossia tra Di Maio e Salvini, ha rinnovato la storiella di quei due napoletani (la “napoletanizzazione” della società italiana, sia nel bene che nel male, è ormai un dato acquisito del costume nazionale), di cui uno vendette all’altro acciughe marce e l’altro gliele pagò con lire false. “Te ne accorgerai al momento di friggere”. “Te ne accorgerai al momento di contare”. In effetti, se per un verso la fenomenologia politico-culturale offerta dalle destre ha oscillato tra la commedia dell’arte e l’avanspettacolo, come è ormai prassi costante della “Karnival-Nation”, facendo emergere pienamente le contraddizioni dei partiti borghesi e piccolo borghesi (PD incluso); per un altro verso, resta esemplare il monito di Lenin, secondo cui si possono ingannare gli individui ma non le classi. E gli interessi (economici, politici e internazionali) sono talmente corposi, che nulla resterà intentato (manovre, trasformismi, concussioni, ingerenze dei cosiddetti “mercati finanziari” e delle potenze straniere) per giungere o ad ‘addomesticare’ un governo fondato sull’alleanza tra la Lega e il M5S (quindi non sufficientemente rispettoso del vincolo esterno) o ad installare un governo antipopolare ed europeista che prosegua sulla via del massacro delle conquiste e dei diritti dei lavoratori, delle controriforme istituzionali e della politica di guerra. Per quanto riguarda le due formazioni politiche maggiormente affini per la base di massa, la natura di classe e il programma, anche se non per l’insediamento territoriale, cioè la Lega e il M5S, è proprio tale affinità, che è anche concorrenza ed antagonismo, il motivo che rende difficile l’accordo. Accordo che, se fosse raggiunto, farebbe compiere un salto di qualità al processo di fascistizzazione della società e delle istituzioni, del quale nessuno parla, anche se la sua evidenza è ormai irrefutabile. Il rapporto di specularità che intercorre fra queste due formazioni segna, peraltro, anche il loro destino socio-politico: “simul stabunt, simul cadent”. Ci attende, dunque, un periodo in cui l’offensiva capitalista e imperialista sarà ancor più dura e la lotta di classe assumerà un carattere più aperto, più aspro e più generalizzato. Sarà in un mare sempre più agitato e tempestoso che la classe operaia dovrà reimparare a nuotare: un maestro, perciò, è più che mai indispensabile.

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