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piovonorane

Chi è Stato è Stato

di Alessandro Gilioli

Ve lo ricordate il discorso d'insediamento di Donald Trump, in quel gelido mattino di gennaio? La parola chiave di tutto era "protection". Protezione dei posti di lavoro, della sicurezza, dei confini, dello "stile di vita americano" eccetera. Una "protection" promessa con una faccia da duro, da incazzato, da buttafuori di discoteca.

Al tempo mi dissi: caspita, ma questo non era il Paese nato e cresciuto con il mito dell'individualismo, del faccio-da-me-e-lo-Stato-non-disturbi? Ora invece lo Stato è evocato e si fa largo a spallate, si fa garante della protezione. Dev'essere veramente diventata gigante la paura - in un Paese fondato sulla speranza - per aver fatto un salto così. E poi: ma se questo succede addirittura negli Stati Uniti, cosa succederà da noi, in Europa - e in Italia?

* * *

La mia generazione è diventata adulta, negli anni Ottanta, circondata dal mantra del "meno Stato più mercato", del "basta lacci e laccioli".

Non erano solo slogan, era un vero programma politico. Che partiva dal mondo anglosassone (Reagan & Thatcher) e ha poi trovato due straordinari strumenti di realizzazione:

Primo, la Caduta del Muro di Berlino (che portava con sé la fine del contratto sociale con cui in Europa occidentale il capitalismo aveva fatto ampie concessioni alle classi più basse per timore del comunismo).

Secondo, la globalizzazione tecnologica, che consentiva la mondializzazione dei mercati, le rilocazioni all'estero delle attività produttive, il dumping salariale, la rapida obsolescenza degli skill professionali e la precarizzazione del lavoro propria dell'era dell'accesso (il "modello Hollywood" di cui parlava Rifkin quasi vent'anni fa).

Così è andata, così ci è cambiato il mondo intorno. Così le persone - la grande maggioranza delle persone, in Occidente - si sono ritrovate più povere, insicure, impaurite, disorientate dai cambiamenti, private di speranze e progetti.

E a chi ci si rivolge, in una condizione così? Allo Stato, è ovvio. Spinto fuori dalla porta a calci quando i mercati sembravano darti benessere e chances, fatto rientrare frettolosamente dalla finestra quando ci si è accorti che la sua sparizione portava qualche controindicazione.

* * *

Attenzione, però.

Perché quando si parla di Stato si intende una struttura istituzionale e politica che regola la società. Non si intende necessariamente uno Stato-nazione. Lo Stato-nazione è una delle forme possibili di Stato: ci sono gli anche altri modelli, come lo Stato-regione (molto se n'è parlato in passato), le città-stato (altro modello assai teorizzato) e perfino lo Stato-sovranazionale (come doveva essere, teoricamente, l'obiettivo dell'Unione europea).

Allo stesso modo ci sono diverse declinazioni anche per il tipo di intervento richiesto allo Stato rientrante: welfaristico o securitario, lavorista o redditista etc.

Direi che ci sono pochi dubbi tuttavia, che in questa fase storica il rientro dello Stato è avvenuto sulla base dello Stato nazione (quello ereditato dall'800) e della protezione securitarista.

Non è così strano, s'intende. Non è la prima volta che una crisi del capitalismo si risolve così, nell'enfatizzazione del ruolo di uno Stato nazional-protettivo e social-securitario. Forse l'abbiamo un po' inventato un po' noi italiani, quel modello, un secolo fa. Ma già nei secoli precedenti, si sa, il potere assoluto degli imperatori era stato un efficace sistema per imporre un patto sociale tra nobiltà e borghesia, nei momenti di crisi.

Questa volta però gli accadimenti hanno un connotato in più, o se volete un'aggravante in più.

Storicamente, il ruolo dello Stato (non necessariamente nazionale: inteso come autorità politica regolatrice della società) era un patrimonio della sinistra. La quale invece negli ultimi decenni si è adeguata all'idea opposta: meno Stato, più mercato. Meno "laccioli", più trattati di libero commercio. In poche parole, meno politica e più "libera volpe in libero pollaio".

L'abdicazione della sinistra all'idea di un'istituzione che rimettesse la volpe in catene, ha lasciato quindi libero lo spazio all'unica altra soluzione possibile: uno Stato nazional-protettivo e social-securitario.

Quello che in questi ultimi anni prevale, da Trump a Orbán, da Putin a Erdogan.

* * *

Sarà così anche da noi, con il famoso "governo gialloverde"?

Non lo so, vedremo. Forse no, forse sì per quanto in versione attenuata dai nostri contrappesi costituzionali e sociali.

In ogni caso, non credo che sia sensato né utile pensare di opporsi a questo scenario rivendicando le dinamiche, le politiche e le troike che hanno causato la crisi da cui è emersa questa uscita social-securitaria. Non credo che sia sensato né utile pensare che una possibile opposizione a questo modello social-securitario possa essere fatta dai Katainen, dagli Schauble, dagli Juncker, dal Financial Times.

E tanto meno a chi ne ha declinato le scelte in Italia: quelli che ci spiegavano che "il liberismo è di sinistra", quelli che contribuivano all'atomizzazione sociale e alla paura diffusa a colpi di precarizzazione, lavoretti, che bello essere tutti free agent, che noia il posto fisso, che choosy i giovani, e ammazzatevi per campare fino a 70 anni che poi avrete una pensione da fame.

Questi sono parte del problema, non della soluzione. Anzi, del problema sono stati una causa.

Se non capiamo almeno questo, ci terremo il social-securitarismo nazionalistico per i prossimi venti o trent'anni.

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