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sinistra

La commemorazione genovese del 14 settembre 2018

di Eros Barone

A un mese di distanza dalla tragedia del 14 agosto 2018, dopo il minuto di raccoglimento cittadino scandito soltanto dal suono straziante delle sirene del porto alle ore 11.36 della mattinata, in coincidenza esatta con l’ora e i minuti del prodursi del crollo, si è svolta alle ore 17.30, in piazza De Ferrari, la manifestazione per commemorare le 43 vittime di quel terribile evento.

In una piazza colma di gente, come sempre è accaduto nei momenti politici e sindacali importanti della storia di Genova, davanti alla sede della Regione Liguria si sono snodati, con la conduzione dell’attore Tullio Solenghi, prima la commossa lettura dei nomi delle vittime con rapidi cenni alla personalità di ciascuna di esse, poi la sfilata dei protagonisti degli interventi di soccorso, nonché dei cittadini sfollati, e infine l’avvicendarsi delle autorità (il vescovo ausiliare in rappresentanza dell’arcivescovo assente, il sindaco di Genova, il governatore della Regione e il presidente del Consiglio).

Con gli applausi tributati alle vittime dai cittadini presenti (singolare consuetudine, questa degli applausi, invalsa da tempo in un paese che, per dirla con Giacomo Leopardi, “ha usi ma non costumi”, più avvezzo ad esprimere consenso che non dissenso) e, soprattutto, con quelli indirizzati ai Vigili del Fuoco, alle Forze dell’Ordine e ai volontari, la manifestazione è andata via via assumendo i contorni di una mobilitazione di regime, dietro la quale non era difficile scorgere la mano, la mente e la propaganda di una destra che in Liguria e a Roma controlla tutte le leve di comando istituzionali.

L’oggetto della commemorazione, mancando, nel corso di tutta la manifestazione, perfino un accenno indiretto a qualsiasi responsabilità dei centri decisionali coinvolti nell’immane tragedia (Società Autostrade ed organi dello Stato competenti in materia di sicurezza e di manutenzione delle infrastrutture), sfumava pertanto nella “mistica penombra” di un evento misterioso e fatale, frutto della invincibile fragilità della vita umana.

In un contesto simile, così lontano dallo spirito e dalle modalità di un sobrio laicismo, hanno quindi trovato posto i seguenti episodi: la recitazione collettiva, da parte dei cittadini presenti, della preghiera dell’Avemaria proposta e intonata dal vescovo ausiliare; le testimonianze sulle ore tragiche e ‘surreali’ immediatamente successive al crollo del viadotto, offerte dai rappresentanti dei Vigili del Fuoco e della Polizia di Stato; i commenti emotivi ed evasivi inframmezzati tra un intervento e l’altro dal conduttore della ‘trasmissione’ (uso questa espressione proprio per dare risalto alle cadenze e alle movenze di una spettacolarizzazione del dolore e del lutto effettuata in chiave tutta ‘televisiva’, visto l’enorme spiegamento di tecnici e operatori dei ‘mass media’ assiepati su un ponteggio eretto di fronte al palco in cui aveva luogo la conduzione).

Dal canto suo, l’attore comico Luca Bizzarri, attuale presidente della Fondazione culturale di Palazzo Ducale (sono altamente sintomatiche dello spirito pubblico esistente in Italia, da Benigni a Grillo e a Crozza, la frequenza e l’invadenza con cui questo genere di attori interviene in campo politico, benché, per un altro verso, non scarseggino, sia nell’àmbito del centro-destra che in quello del centro-sinistra, i politici con una spiccata vocazione comica), recitava, come auspicio per la ripresa della città, un monologo su un parto prematuro avvenuto nell’agosto del 2017 proprio durante l’attraversamento del viadotto, monologo scritto da un certo Schiappacasse (“cognome certamente non siciliano”, notava con raffinata eleganza e marcato spirito unitario il Solenghi).

Perfino Doris Ghezzi non ha voluto esimersi dal portare il proprio contributo alla manifestazione, elargendo ad un pubblico poco partecipe e alquanto annoiato uno scritto contorto e laborioso sulla ‘genovesità’ prodotto dal marito durante il volontario ‘esilio’ sardo.

Si sprecavano inoltre, fra ripetuti applausi, i ringraziamenti e i riconoscimenti che una cittadina sfollata, scelta sicuramente a caso, tributava al governatore della Regione e al sindaco per il loro impegno in pro delle famiglie costrette ad abbandonare le loro abitazioni nella zona della Valpolcevera dove si è verificato il crollo del viadotto.

Degli interventi delle autorità non mette conto parlare, essendo stati, per dirla con il grande poeta tedesco, “più squallidi del vento che sussurra tra le foglie secche d’autunno”. Meri ‘flatus vocis’, emessi da quelle che Franco Fortini avrebbe definito “facce false di vera tragedia” a uso e consumo di un pubblico largamente simpatizzante con il governo e con le destre, quale era quello che ha riempito piazza De Ferrari il 14 settembre 2018.

Per chi, come lo scrivente, ha conosciuto altre stagioni e altre mobilitazioni delle masse, a partire da quelle lavoratrici e studentesche, la commemorazione genovese del 14 settembre 2018 rappresenta un campanello di allarme sui livelli crescenti della mobilitazione reazionaria delle masse. Sono parole, queste ultime, che scrivo con forte apprensione, sperando di sbagliare nella valutazione del significato di questo evento e avendo come non mai una “Genova nel cuore”, che non corrisponde, se non in minima parte, a quella che ho percepito in piazza De Ferrari durante la commemorazione che ho qui sinteticamente descritta.

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