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sinistra

I comunisti e il colonialismo di ritorno

di Michele Castaldo

Uno degli aspetti più complicati di questa fase storica è costituito dal passaggio difase del moto- modo di produzione capitalistico.

La questione posta all’ordine del giorno riguarda il Venezuela e le mire fameliche dei paesi occidentali in crisi. Questi minacciano un intervento dall’esterno per aiutare la formazione di un governo che dovrebbe favorire i padroni del mondo (così essi si ritengono) nella gestione delle materie prime a prezzi a lor signori convenienti. In nome della rapina petrolifera? No, in nome – manco a dirlo – della democrazia.

La differenza tra il vecchio colonialismo e quello odierno è piuttosto consistente, perché il vecchio si collocava in una fase espansiva e “radiosa” del modo di produzione capitalistico, mentre quello odierno è espressione di una crisi di sistema di tutto il movimento storico del modo di produzione capitalistico. Famelici e briganti furono prima, famelici, briganti e guerrafondai sono quelli moderni. Non cogliere però la differenza ci aliena la possibilità di una riflessione nei confronti delle nuove generazioni.

Per il caso in questione ci vorrebbe ben altro che poche note, ma se si vuole capire potrebbero anche bastare. Veniamo perciò al dunque senza troppi giri di parole.

Dice Maduro: «Gli Usa troveranno nel Venezuela un nuovo Vietnam» e da comunisti – ovviamente - ce lo augureremmo, ma siccome la storia non si ripete mai allo stesso modo cerchiamo di capire le differenze tra quella straordinaria guerra di liberazione di un piccolo popolo contro i gangster degli Usa negli anni settanta con quella l’attuale. Il Vietnam di allora, a base contadina, si presentava come un popolo compatto contro l’invasore, forte di quella unità tramutata in volontà per uno sviluppo autoctono delle risorse del proprie paese. Mentre il popolo in Venezuela è diviso, e le ragioni di questa divisione vanno ricercate proprio nella crisi del modo di produzione capitalistico che anche in quel paese si manifesta.

Non possiamo né dobbiamo mentire a noi stessi, come purtroppo fanno molte organizzazioni di estrema sinistra con lo sguardo rivolto al passato, negando cioè una opposizione reale nel paese e riducendo la sua crisi al solo complotto esterno. Così facendo non rendiamo un buon servigio alla causa degli oppressi e sfruttati. La verità deve essere lo strumento fondamentale della nostra indagine, e celarla o mistificarla porta l’acqua al mulino dei nemici del comunismo.

Se Maduro viene eletto con il 70% dei voti sul 46% di chi si è recato a votare il 20 maggio del 2018, vuol dire che la maggioranza degli aventi diritto non avrà votato. Qui non discutiamo le motivazioni delle opposizioni che sono strumentali al fine di mettere in ulteriori difficoltà un governo di per sé già in difficoltà. Quello che ci interessa capire è la natura della crisi che si va aggravando in quel paese, la quale non è per niente scissa dalla crisi generale del modo di produzione capitalistico, e che i paesi occidentali nella loro spietata guerra di concorrenza cercano di scaricare sui paesi di nuova industrializzazione, specialmente se ricchi di risorse del sottosuolo come il Venezuela.

Se cala il prezzo del petrolio perché cala la domanda a causa della crisi, arrivano minori proventi dalla sua vendita nelle casse dello Stato; questo vuol dire che in un paese come il Venezuela, dove il greggio è la maggiore risorsa del proprio sviluppo, l’economia frena di brutto; se a ciò si aggiungono le sanzioni imposte dai paesi occidentali, il quadro si fa nero per davvero. Brutalmente detto: ci sono meno fondi da destinare alla sanità, alla scuola, al welfare state. Cresce il malcontento, cresce l’opposizione. Non ci vogliono lauree particolari per capire l’abc del capitalismo.

Tanto per stare al tema: gli europei non vedono l’ora di mettere le mani sul petrolio venezuelano e sottrarsi ai ricatti dei paesi arabi. E gli Usa non possono in alcun modo sopportare uno scomodo concorrente sotto casa. Ecco perché Trump ha fatto il primo passo da vero gangster e i governi del vecchio continente sono subito accorsi a riconoscere Guaidò. Mentre la Chiesa cattolica si comporta in modo furbesco, aspetta e trama dietro le quinte e sa che Maduro non può reggere a lungo e si propone come “intermediario”, ovviamente interessato nei confronti di “due” contendenti. E l’Italia continua ad essere andreottiana pur senza Andreotti, ma con un Gigino all’uopo. Questo è il quadro.

Come si comporta un governo nazional-popolare di sinistra nelle condizioni appena esposte? Come si sta comportando Maduro, facendo di necessità virtù e cercando di compattare in un fronte unico centralizzato intorno allo Stato alcune componenti fondamentali della società: il proletariato dell’industria petrolifera e di alcuni settori primari (che non sono la maggioranza della popolazione), la burocrazia statale, la polizia e l’esercito. A scapito – necessariamente – del ceto medio e dei disoccupati. Insomma quando la coperta è corta o ti copri le spalle o i piedi. Nella stessa Italia – paese molto più ricco del Venezuela – la crisi ha impoverito, oltre che i disoccupati storici, il ceto medio a tal punto da mandare al governo il M5S e la Lega; mentre la Francia è alle prese con il movimento dei Gilet gialli, una rogna tutta nuova per il vecchio continente con connotati molto diversi dai movimenti novecenteschi.

Il governo Maduro è un governo comunista, dunque il nostro governo? Domanda priva di senso, quel governo è alle prese con le feroci leggi del mercato e cerca di resistere come può: compattando una parte e sfavorendo le restanti. Mentre il Vietnam si compattava unitariamente, in quanto paese agricolo, il Venezuela è destinato a finire nelle fauci fameliche degli occidentali perché sta saltando la complementarietà che teneva insieme le classi del modo di produzione capitalistico, che si dividono, si contrappongono e parte di esse finiscono alla mercé dei favori occidentali che ergono a proprio simbolo un imbecille qualsiasi, nel caso in specie Guaidò che le potenze interessate riconoscono con favore. Non a caso Cina e Russia si mostrano perplessi.

Come comportarci da comunisti? A) Denunciare innanzitutto le mire fameliche degli occidentali che vorrebbero utilizzare la crisi interna del Venezuela per proprio tornaconto; B) Difendere e sostenere qualsiasi iniziativa anticolonialista si dovesse sviluppare sia fra i paesi latino-americani che nel resto del mondo. Dobbiamo avere la consapevolezza che i nostri ideali vivono anni difficili, anni di passaggio tra il vecchio che va tramontando e l’alba che stenta a spuntare e che non possiamo anticipare con la nostra volontà. Ma anche con la profonda convinzione che mentre Lenin il 3 aprile 1917 giunto a San Pietroburgo diceva «L'alba della Rivoluzione Socialista Mondiale è già spuntata» mentre si trattava di rivoluzioni sì, ma di natura anticoloniale, oggi possiamo ed anzi dobbiamo dire che le mire neocolonialiste da parte delle potenze occidentali nei confronti delle nazioni di recente industrializzazione non faranno che accelerare la crisi generale del movimento del modo di produzione capitalistico che si avvia all’implosione. Da essa gli oppressi e sfruttati potranno riorganizzarsi in un movimento mondiale per il comunismo. Pertanto bisogna abbandonare ogni ipotesi di nobilitare, umanizzare o dirigere da sinistra il capitalismo. Il suo destino, come movimento storico, è segnato.

Comments

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michele castaldo
Friday, 15 February 2019 18:43
Caro De Martini,
ha letto in modo disinvolto le poche note qui esposte, perché in primis segnalo la volontà del governo Maduro di resistere e che da comunisti ci augureremmo una vittoria contro l'eventuale attacco militare dopo quello politico delle forze occidentali. Il vero punto in questione - che non ha colto - è che in atto un cambiamento di fase: dal capitalismo ascendente a capitalismo discendente e in crisi irreversibile.
Per quanto riguarda poi il "socialismo imperfetto" in Venezuela, come lo definisce, ci sarebbe molto da discutere, perché un conto è un governo costretto ad agire nelle leggi del mercato del modo di produzione capitalistico, con una attenzione maggiore nei confronti delle classi meno ambienti; tutt'altra cosa è definire questo come socialismo imperfetto. Tutti i paesi che sono riusciti a liberarsi dal colonialismo lo hanno fatto per uno sviluppo autoctono delle risorse del proprio paese. Ma è capitalismo come quello stesso che si sviluppò in Russia dopo la rivoluzione del 1917. Con caratteristiche diverse - come ammetteva lo stesso Lenin, ma si trattava di capitalismo.
Oggi - non ieri - è possibile ipotizzare il socialismo o comunismo che dir si voglia proprio perché il modo di produzione capitalistico ha compiuto il suo percorso fino in fondo, proprio come ipotizzava Marx.
La ringrazio comunque per l'attenzione prestata al mio scritto.
Michele Castaldo
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G. N. De Martini
Friday, 15 February 2019 08:57
Caro Castaldo, un paio di domande. La sua analisi è (ovviamente) condivisibile, almeno per grandi linee. Le "cose da fare" da lei indicate, mi suscitano invece qualche perplessità. Se A) " denunciare le mire fameliche degli occidentali... etc.etc." è ovvia e finanche banale, quella suggerita in B) " difendere e sostenere qualsiasi iniziativa anticolonialista ....mi appare quanto meno stravagante nel momento attuale. Sembrerebbe che lei suggerisca di lasciar che avvenga questo ennesimo"golpe" a guida statunitense perché, tanto, " le mire neocolonialiste da parte delle potenze occidentali[ ...] non faranno che accelerare la crisi [...] del modo di produzione capitalistico che si avvia all'implosione ".Quindi, in attesa di tempi migliori, quando "gli oppressi e sfruttati potranno riorganizzarsi in un movimento mondiale per il comunismo", lasciamo che Maduro e il suo socialismo imperfetto vadano pure a farsi fottere, qui e ora.
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