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Contaminazioni…

di Sebastiano Isaia

Quello che oggi vediamo saltare in diretta televisiva è solo l’anello più debole della catena sociale, e annuncia quello che potrebbe verificarsi tra qualche giorno o tra qualche settimana se la crisi sociale in corso dovesse acuirsi ulteriormente in termini economici, sanitari, psicologici, “esistenziali”, in una sola parola: sociali. In questi giorni si stanno facendo sentire i soggetti economici e sociali che vivono perlopiù di ristorazione, di servizi alla persona, di traffici più o meno legali (dal punto di vista dello Stato e dei governanti, s’intende), di lavori più o meno “neri” e “abusivi” (gli esperti parlano eufemisticamente di “economia informale”); ma si tratta solo dell’avanguardia della disperazione, della punta di un gigantesco iceberg che galleggia su un mare di preoccupazioni, di frustrazioni e di bisogni insoddisfatti che forse preannuncia l’arrivo di una tempesta sociale d’altri tempi. Che poi sono esattamente i nostri tempi. Certo, forse; niente è certo in questi cupi tempi, salvo la vigenza di un dominio sociale che getta con cieca e ottusa determinazione gli individui nel tritacarne delle compatibilità economiche, con quel che necessariamente ne segue in ogni aspetto della nostra vita quotidiana.

In ogni caso, quello che è successo e sta succedendo in molte città italiane è già più che sufficiente per allarmare la classe dirigente di questo Paese – sindacati “responsabili” inclusi. «È stato un attacco eversivo», ha dichiarato ad esempio il democratico ed ex Ministro degli Interni Marco Minniti: «Quando dei gruppi organizzati assaltano proditoriamente le forze di polizia è già in sé drammatico. Se poi questo avviene in una fase di emergenza estrema c’è una sola parola per descrivere l’accaduto: eversione» (La Repubblica). Minniti forse non è un esempio probante, visto che il “simpatico” personaggio vede atti “eversivi” anche nei bambini che per gioco si rincorrono dentro un parco; non c’è dubbio però che le sue parole danno voce alle preoccupazioni che serpeggiano nella classe dirigente. Al suo compare di partito Graziano Delrio preoccupa invece, e più intelligentemente, «la rabbia degli uomini miti», cioè la massa dei cittadini non abituati a scendere in piazza ma che adesso potrebbero farlo loro malgrado perché spinti da una condizione sociale (non solo economica) non più sostenibile. In molti bravi cittadini cova anche una certa delusione: «Ma come, non eravamo il modello che tutto il mondo ci invidiava? Da mesi non si parla d’altro che di “seconda ondata”, e adesso che l’ondata è arrivata non abbiamo nemmeno i salvagenti per tenerci a galla? Che cosa ha fatto il governo in tutti questi mesi mentre parlava di “seconda ondata”?». Roberto Saviano dà voce alla frustrazione dei bravi cittadini (e quindi non sto parlando di me): «A Conte, il primo ministro che ha avuto forse più potere negli ultimi decenni, tutto quel che sta accadendo ha finito per dare una sorta di “intoccabilità”: tutti ci raccogliamo attorno al capo. Un capo che non ci sta proteggendo» (La Stampa). Al gregge manca dunque un buon pastore?

A proposito di gregge, Andrea Macciò ha scritto qualche giorno fa un interessante articolo sul «virus del vittimismo»: «Sentirsi vittime bisognose di protezione, eternamente infantilizzate, senza diventare mai adulti responsabili delle proprie scelte, porta a lasciarsi governare dalla paura e con la paura. La paura resta un metodo efficacissimo di governo. La paura di morire o essere intubati. Nulla è più irrazionale e prepolitico della paura di morire» (BlogLeoni). Non c’è dubbio. Ma, come si legge su alcuni cartelli portati nelle piazze italiane in questi giorni, non si muore solo di Coronavirus ma anche di estrema indigenza e di mancanza di prospettive. Massimo Cacciari, dall’alto della sua prospettiva filosofica, conferma: «Non esiste solo il coronavirus. Esistono decine di altre cause di morte, compresa la fame. Dunque, o ci sono gli aiuti o mi pare inevitabile che la rabbia esploda» (Libero Quotidiano). E se lo dice lui…

Come sempre accade in casi simili, i politici e i media nazionali denunciano i mestatori che approfittano del disagio sociale, «che è reale e che va rispettato e ascoltato» (bontà loro!), per destabilizzare l’ordine sociale e compromettere la coesione nazionale. «Camorristi, mafiosi e professionisti della ribellione, di destra e di sinistra, stanno cercando di cavalcare l’onda della paura e della disperazione per perseguire i loro criminali obiettivi». Camorristi, mafiosi, “ribelli” di varia tendenza politico-ideologica e “professionisti del caos” sono messi dunque nello stesso sacco criminale, tutti ugualmente additati all’opinione pubblica come il male da cui guardarsi. In ogni caso, «l’onda della paura e della disperazione» esiste, è un fatto oggettivo che si presta a diverse interpretazioni e a differenti (anche opposti, si spera) atteggiamenti politici.

La natura composita della stratificazione sociale di questa “opposizione dal basso” ai provvedimenti governativi, come la sua completa estraneità a una posizione radicalmente antagonista, credo non debbano consigliare l’anticapitalista “senza se e senza ma” a sottovalutarne quantomeno la natura sintomatica, cosa che certamente non fa la classe dirigente, per ovvi motivi. E non bisogna certo essere un Roberto Saviano (sempre lui!) per capire che nella prima manifestazione napoletana «c’era la disperazione del Sud che sta scoppiando», e che «è ovvio che nelle confuse manifestazioni di rabbia popolare finisca per entrare di tutto». Ma adesso il “virus della protesta” minaccia anche il Nord del Paese (vedi Milano e Torino), dove è più facile che si realizzi una saldatura tra la classe operaia “tradizionale” e la massa dei lavoratori precari impiegati perlopiù nei servizi. Tu chiamale se vuoi, contaminazioni…

Come ben sappiamo, molte cosiddette “partita iva” non sono che lavoratori sotto mentite spoglie dal punto di vista fiscale. C’è anche da dire che molti lavoratori “in nero” che prima arrotondavano il loro bilancio con il Reddito di Cittadinanza, a ottobre non percepiranno il sussidio (perché di questo si tratta: altro che “politiche attive del lavoro”!) e non sanno se la loro richiesta di rinnovarlo sarà accettata dall’INPS.

Per adesso i titolari delle attività economiche messe in ginocchio dagli ultimi provvedimenti governativi scendono in strada insieme ai loro dipendenti, molti dei quali peraltro lavorano “in nero”, ma non è detto che la situazione non possa cambiare, che questa solidarietà “interclassista” non possa spezzarsi o evolvere in qualche cosa d’altro, sempre posto che il movimento di lotta non abbia una vita effimera.

Il Presidente della Repubblica ci ricorda continuamente che «il nemico di tutti è il virus», e che quindi contro questo nemico tutti dobbiamo stringerci a coorte: ma tutti chi? In ogni caso io mi chiamo fuori dall’unità nazionale, come proletario, come anticapitalista e come individuo che subisce l’irrazionalità di una società che pure vanta il controllo teorico e pratico dell’atomo e la capacità di guardare negli occhi, per così dire, il Big Bang. Eppure questa stessa società trova, ad esempio, più conveniente investire in sofisticatissimi sistemi d’arma piuttosto che in forniture mediche, e così mentre gli Stati e le imprese finanziano guerre attuali e potenziali, gli ospedali non sono attrezzati per gestire una crisi sanitaria che solo a certe condizioni (le abbiamo sperimentate e continuiamo purtroppo a farlo) poteva diventare una catastrofe sociale. Ma sulla vera identità del nostro nemico rinvio ai miei precedenti post dedicati alla crisi sociale chiamata Pandemia.

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