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osservatorioglobalizzazione

Tra collasso e distruzione creatrice

Ivan Giovi dialoga con Raffaele Alberto Ventura 

Raffaele Alberto Ventura, detto RAV o Eschaton per chi lo segue su Facebook, è tra i giovani intellettuali maggiormente al centro del dibattito culturale italiano. L’ultimo suo libro Radical Choc offre una spiegazione ragionata, concreta e non mainstream del “collasso” della nostra fiducia verso la competenza. Ed è proprio così che lo stesso Ventura chiama la sua trilogia di libri: la “Trilogia del Collasso”, dove entrano oltre che a Radical Choc, anche e Proprio su questa trilogia oggi risponde alle nostre domande, per poterci dare uno sguardo d’insieme composizione funzionale dei suoi tre libri. Buona lettura!

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Da poco è uscito il suo terzo libro, Radical Choc, che lei ha definito l’ultimo capitolo della sua “Trilogia del collasso”, può spiegarci meglio il perché di questa trilogia?

Il collasso in questione è quello in cui ci siamo accorti di vivere nell’ultimo mezzo secolo, quando ha iniziato ad essere evidente (e non soltanto ai profeti di sventura, basta leggere i rapporti dell’OCSE degli anni ’70) che la cultura dello sviluppo economico illimitato era minata da una serie di contraddizioni insanabili.

Tuttavia negli anni ’80 e ’90 questa consapevolezza, forse troppo spaventosa, ha iniziato a essere rimossa. D’altronde erano venute a mancare di fatto tutte le alternative praticabili, e ci restavano soltanto un pugno di utopie spaventose o fallimentari, neo-primitiviste o totalitarie. Nei miei libri io mi interesso principalmente delle contraddizioni sociali: nel prima quello tra le aspirazioni individuali e le opportunità reali; nel secondo quella tra le promesse dell’universalismo e i suoi fallimenti; mentre in Radical choc esamino la contraddizione tra la nostra aspirazione alla riduzione dell’incertezza del mondo attraverso la competenza tecnica e la sua tendenza a produrre sempre nuova incertezza.

 

Su Twitter ha recentemente pubblicato un immagine per spiegare come i tre libri si “incastrano” tra di loro, in una specie di processo circolare, ma era tutto programmato fin dal primo libro oppure piano piano ha scoperto che evolveva libro dopo libro?

Soltanto con il terzo libro ho deciso di dare una sistematicità ai lavori precedenti, facendo un lavoro di sintesi, riempiendo i vuoti e correggendo ciò che meritava di essere corretto. Mi ci sono voluti tre libri per arrivare a un modello coerente, mentre il primo assomiglia più a una raccolta di appunti. Se posso riassumere lo schema per iscritto farei cosi: il nostro sistema sociale si base sul ciclo virtuoso della modernizzazione, nel quale lo sviluppo finanzia la competenza e la competenza garantisce sempre nuovo sviluppo; ma questo sistema produce continuamente degli scarti ed è affetto dal morbo dei rendimenti decrescenti, sicché fa sempre maggiore fatica a garantire le sue promesse; da ciò discende una crisi di legittimità che rischia di metterlo in crisi, aprendo una fase di distruzione creatrice.

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Schema dei tre lavori di Raffaele Alberto Ventura

 

Quello che traspare dalla lettura della sua trilogia è proprio quello di un vero e proprio collasso della società come la conosciamo, in tutti i suoi aspetti, ma quanto potrà durare questo “processo di discesa a frana” prima che si arrivi al definitivo collasso?

Su questo è difficile fare previsioni, e meglio di me provano a farle quelli che lavorano su modelli complessi come in America Peter Turchin. Io diffido dalle profezie perché i fattori sono troppo numerosi, per questo mi limito a “dare dei nomi” alle cose e confrontare con esempi del passato. Quando all’idea di “collasso definitivo” credo che sia ingannevole sul piano socio-economico (non parlo di quello ecologico). Perché è (quasi) sempre possibile guadagnare nuovo tempo e rimandare il problema. Ma a che prezzo? Ecco, a me non interessa tanto riflettere sull’evento futuro del collasso, quanto su come tutte le misure che prendiamo oggi per rimandare il collasso spieghino bene i fenomeni attualmente in corso. Il collasso è un attrattore escatologico che spiega il presente, come una forza che ci risucchia o un astro che muove le maree. Il capitalismo non è mai finito, ma le teorie marxiste sul collasso del capitalismo hanno spiegato e anticipato molti fenomeni, individuando delle tendenze

 

Ma entriamo meglio nel dettaglio dei libri, quello che mi è parso dalla loro lettura è che il concetto dei rendimenti decrescenti sia centrale non solo in Radical choc, ma anche negli altri libri, sbaglio?

Col senno di poi, potremmo dire di sì, ma nei precedenti mi avvicino alla questione seguendo altre strade. In Teoria della classe disagiata parlo ancora di caduta tendenziale del saggio di profitto. In generale mi piace prendere concetti dall’economia e applicarli alla filosofia sociale. Peggio ancora, quando propongo i rendimenti decrescenti della competenza, ovvero l’idea che i nostri investimenti in competenza restituiscono alla società sempre un po’ meno di quanto costano, oso una bizzarra sintesi tra marginalismo e marxismo. Poi ho scoperto che di rendimenti decrescenti parlano in maniera simile Joseph Tainter e Mauro Bonaiuti. Ma credo che l’influenza originaria sia stata quella di Ivan Illich, il primo a intuire che l’economicismo si poteva combattere con i suoi stessi strumenti, mostrando quanto fosse controproduttiva l’ossessione per la produttività.

 

Un altra figura centrale che è presente nella trilogia è quella di Ibn Khaldun, cosa ha portato alla riscoperta di questo filoso arabo del XIV secolo?

Anche Ibn Khaldun è tornato di moda negli ultimi anni, ispirando tra gli altri Peter Turchin. Si tratta di una teoria dei cicli storici, o più umilmente dei cicli dinastici, centrata sull’idea che la società sia strutturata su uno scambio tra centro e periferia. Nel centro si produce la competenza. Nella periferia si estraggono materie prime o si producono beni essenziali. Ovviamente è più articolato oggi, ma il modello ci permette di insistere sul bisogno di legittimare questo scambio ineguale, perché quando entra in crisi crolla l’intero ordine sociale. E perché entra in crisi? Ibn Khaldun fornisce un’articolata teoria del prestigio (jah), capisce per primo che il prestigio è una forma di capitale, che permette di ottenere obbedienza e accedere alle risorse, ma anche che l’accumulazione del prestigio è il principale fattore di decadenza in quanto il “centro” tende a dimenticare tutto il resto e concentrarsi solo su quello. Sostituiamo “prestigio” con titoli e credenziali, e avremo capito cosa non funziona nel sistema educativo contemporaneo.

 

Crede che siamo arrivati allo zenit di questo modello di modernizzazione e arriveremo ad un nuovo ciclo di modernizzazione? Insomma sarà intimamente toccato il processo capitalistico oppure no?

Temo che non esistano alternative al processo di modernizzazione, e in ciò credo che Fukuyama avesse davvero ragione. Lui però non immaginava che a farsi carico della modernizzazione potessero essere altri che gli Stati Uniti, e in una forma ben diversa da quella “liberale” da lui idealizzata. Dico che non esistono alternative perché la modernizzazione vince con la forza della sua capacità produttiva, con le sue promesse, e anche con la forza militare che è in grado di scatenare.

Essa costituisce un monopolio storico radicale e irreversibile. In questo senso ogni crisi del processo di modernizzazione (quella che descrivo nel libro come “bancarotta” di un ciclo di competenza) non può che sfociare in un nuovo ciclo di modernizzazione dopo una fase di distruzione creatrice. Ma queste distruzioni creatrici rischiano di essere di volta in volta più drammatiche e le nuove fasi sempre più burocratiche e inumane. La soglia finale ce la darà la catastrofe ecologica, ma temo che avremo l’occasione di vivere numerose altre peripezie prima di vederla “faccia a faccia”: tuttavia non c’è dubbio che avremo modo di vederne gli effetti, come in uno specchio.

 

In conclusione, la pandemia che stiamo tutt’ora vivendo, ha accelerato questo processo di collasso della nostra società?

Se ha accelerato il collasso, cosa che credo, ha anche accelerato il processo di distruzione creatrice e quindi anche il salto in avanti nel processo di modernizzazione. Ma queste sono osservazioni molto vaghe, ne convengo. Mettendo da parte i destini storici, direi che indubbiamente il tunnel di catastrofi nel quale siamo entrati è ancora lungo, perché il nostro sistema non è in grado di autosostenersi e in qualche modo questo avrà delle conseguenze. Già le ha. Non sono però un sostenitore dell’idea che ciò che è inesorabile vada accelerato. La consapevolezza dei destini storici non è una buona guida negli affari correnti. Per trarci fuori da questa danza delle streghe che l’umanità mette in scena dall’inizio del capitalismo, dovremmo pagare un prezzo troppo alto, che nessuno è più in grado di sostenere. Ci tocca bere l’amaro calice fino alla feccia.

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