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“Il Recovery non basta, cancelliamo il debito”

A. Guerriero e A. Bonetti intervistano Riccardo Realfonzo

Abbiamo intervistato Riccardo Realfonzo, professore di Economia Politica all’Università del Sannio, direttore della rivista Economia e Politica e firmatario di un appello per la cancellazione del debito detenuto dalla Banca centrale europea. L’appello è stato promosso, fra gli altri, da Mauro Gallegati, Steve Keen e Thomas Piketty.

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D: Insieme a oltre 100 economisti, lei ha sottoscritto un appello alla Banca centrale europea per cancellare il debito pubblico dei Paesi europei da essa detenuto. Il fine sarebbe quello di facilitare la ripresa dalla crisi Covid. Da dove nasce questa proposta e quali effetti potrebbe avere sulle economie europee?

R: La proposta nasce dalla consapevolezza che il Recovery Fund europeo è del tutto insufficiente a rilanciare la crescita a seguito della pandemia. Prendiamo il caso dell’Italia. Come è noto, si tratta di 209 miliardi. Sembrano tanti, ma sono in gran parte prestiti, c’è il consistente contributo nazionale anche per la parte non a prestito, il periodo temporale su cui vanno spalmati è di ben sei anni. Insomma, lasciando perdere la propaganda e facendo bene i conti ci si rende conto che la spinta allo sviluppo italiano sarà molto modesta.

E così non si arresterà nemmeno la corsa del rapporto tra debito pubblico e PIL che, dopo aver già sfiorato a fine 2020 il 160%, in assenza di nuove misure crescerà ancora nei prossimi anni. La cancellazione del debito posseduto dalla BCE aiuterebbe le finanze dei Paesi europei, liberando anche spazi fiscali a favore di misure espansive per la ricostruzione ecologica e sociale. La BCE è la nostra banca, è posseduta dalla Banche Centrali nazionali, la cancellazione di quel debito – parliamo del 25% del debito pubblico complessivo europeo – è come la mano destra che cancella il debito della mano sinistra.

 

D: La presidente della BCE Christine Lagarde ha dichiarato che la cancellazione del debito è inconcepibile poiché viola i trattati (articolo 103 TFEU). La cancellazione dei debiti pubblici potrebbe far sì che la banca centrale finisca per avere un capitale negativo, fatto che alcuni nel dibattito economico vedono come un problema. Inoltre, alcuni prevedono un aumento eccessivo dell’inflazione come effetto della vostra proposta. Lei come risponde a queste tre obiezioni?

R: La risposta della Lagarde ha una natura squisitamente politica, non ha senso tecnico. Qui non siamo in presenza di un finanziamento diretto della spesa e non c’è nessun articolo dei trattati che proibisce la cancellazione del debito pubblico. Al contrario il protocollo numero 4 accluso al Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea esplicita che la BCE può stampare moneta accrescendo il suo capitale, in caso di perdite sopraggiunte. Quella sul rischio inflazione la considero una battuta di spirito. Questo rischio al momento è del tutto assente, siamo in un quadro deflazionistico e rimarremo ancora a lungo lontani dall’inflazione al 2% auspicata dalla BCE.

 

D: La proposta da lei sottoscritta è già stata sotto i riflettori del dibattito economico e politico, raggiungendo un pubblico più vasto dei soli addetti ai lavori. Infatti, il presidente del Parlamento Europeo David Sassoli, in un’intervista a Repubblica del 14 novembre scorso, ha proposto la cancellazione dei debiti pubblici detenuti dalla BCE. Secondo lei, alla luce del fatto che la vostra proposta potrà essere realizzata solo con un cambiamento dei trattati, è possibile che ci sia una convergenza politica in Italia e in Europa su questo tema?

R: Io credo che la nostra proposta non violi nessun trattato. Sono consapevole che la risposta alla crisi del Covid-19 sia stata diversa da quella che le istituzioni europee tragicamente congegnarono dopo la crisi finanziaria del 2008, che fu all’insegna dell’austerità. Ma le misure fin qui adottate sono insufficienti e non riescono a contenere l’impatto asimmetrico che la pandemia sta avendo in una Europa già prima della pandemia caratterizzata dalla contrapposizione tra Paesi in progresso ed altri fermi al palo. L’auspicio è che la politica europea, magari su spinta italiana, possa fare un altro passo, mettendo la Banca Centrale al servizio dello sviluppo e della coesione, come avviene ad esempio negli USA.

 

D: Cosa pensate della soluzione alternativa di trasformare i titoli di Stato in mano alla BCE in titoli perpetui, il che non violerebbe i trattati?

R: Nel nostro appello è avanzata esplicitamente anche questa possibilità, una sorta di second best. Infatti, trasformare il debito pubblico in possesso dell’Eurosistema in titoli perpetui e infruttiferi equivale a sterilizzare il debito.

 

D: Quali Paesi europei, dati alla mano, avrebbero maggiori vantaggi dalla cancellazione dei debiti? Come far accettare questa scelta a chi avrà meno vantaggi?

R: I benefici tendenzialmente maggiori li avrebbero quei Paesi periferici che hanno condizioni più gravi della finanza pubblica e minori spazi fiscali, ma ciò andrebbe a favore della tenuta complessiva dell’Unione Europea. Nel passato gli acquisti della BCE hanno seguito la cosiddetta regola della capital key, cioè sono stati effettuati essenzialmente in proporzione al PIL dei Paesi. Con la pandemia, opportunamente, questa regola non è stata più seguita e quindi paesi come l’Italia, la Spagna, la Grecia e la Francia hanno molto beneficiato degli acquisti. La nostra proposta potrebbe essere naturalmente oggetto di una misura anche non integrale di cancellazione, che gioverebbe in maniera più omogenea a favore di tutti i Paesi.

 

D: Dall’ultima bozza del Recovery Fund italiano, una buona parte dei prestiti verrà utilizzata per finanziare spese già programmate e quindi non aggiuntive. Non c’è il rischio che così la cancellazione del debito non porti gli effetti sperati sull’economia reale? I governi potrebbero decidere di non spendere? Come si potrebbe scongiurare questo rischio?

R: Il Piano approvato dal governo Conte il 12 gennaio scorso non funziona. Al di là del fatto che in quel documento manca una chiara strategia di politica industriale, declinata anche sul livello territoriale, L’idea che quasi un terzo delle risorse vada a finanziare progetti già in essere va necessariamente superata. Le risorse sono poche e l’Italia deve spendere tutte per nuovi progetti, in particolare per investimenti pubblici, che generano la maggiore spinta alla crescita. La sfida è spendere tutto, presto e bene. Il lavoro organizzativo che il prossimo governo dovrebbe fare è esattamente questo. Un compito per nulla semplice, dopo che negli ultimi decenni i governi hanno lasciato in soffitta gli strumenti della programmazione economica e della pianificazione territoriale. Ora bisogna tornare ad alcuni di quegli strumenti e bisogna farlo con una pubblica amministrazione adeguatamente riformata e motivata.

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