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lantidiplomatico

Il Marxismo dei dimenticati

di Leo Essen

«Marx Revival», pubblicato da Donzelli, contiene 22 saggi, scritti da autori diversi. Ce n’è per tutti i gusti: Marx e Femminismo, Marx e Colonialismo, Marx e Globalismo, Marx e Scienza, Marx e Stato, Marx e Geopolitica, etc. La raccolta è chiusa da un testo di Immanuel Wallerstein che da solo vale il prezzo di copertina, e che ripercorre tutti i temi trattati nel libro, ma in una chiave storiografica.

Marx, come diceva Foucault, è ben più che l’autore di un libro; non è un grande autore, come lo sono stati Dante o Shakespeare; non è un fondatore di Scienza, come sono stati Newton o Darwin. Marx è stato un fondatore di discorsività.

Un fondatore di discorsività, dice Foucault, ha questo di particolare, che non è soltanto l’autore delle sue opere, dei suoi libri. Ha prodotto qualcosa di più: la possibilità e la regola di formazione di altri testi. Marx, dice, non è semplicemente l'autore del Manifesto o del Capitale. Marx ha stabilito una possibilità indefinita di discorso.

«Marx Revival» ci parla di Marx a partire da un luogo, da un contesto, da una dimensione storica (teorica e pratica) interamente influenzata dal marxismo, e Wallerstein credo lo abbia mostrato in modo abbastanza chiaro.

Sebbene il libro si rivolga ad un pubblico vasto, non cede alle semplificazioni. Qui vorrei dire due parole sui saggi di Benno Teschke e Isabelle Garo, i quali condividono con gli altri testi uno stesso approccio che riconduce ai «movimenti dei dimenticati».

Per «dimenticati» Wallerstein intende i movimenti legati a «donne, minoranze e minoranze sessuali», che la Vecchia Sinistra (cioè i partiti comunisti o laburisti il cui orizzonte politico era la Terza Internazionale) aveva sempre relegato a un ruolo marginale. E in effetti la vecchia Sinistra predicava che la realizzazione delle rivendicazioni dei dimenticati doveva attendere l’esito della lotta «primaria» – che si trattasse della lotta di classe o della liberazione nazionale.

Nel suo saggio sulla Geopolitica, Benno Teschke dice che ciò che Marx e il marxismo hanno dimenticato, perlomeno sino al marxismo della Terza internazionale, è stato appunto il tema della Geopolitica.

Gli interessi di sicurezza o stabilità geopolitica, i calcoli geo-economici e l’apertura di corridoi di navigazione, anche se potrebbero essere interpretati in chiave economica, sono questioni, dice Teschke, che non possono essere considerate sic et simpliciter sulla base delle posizioni nazionali di classe.

Il crescente riconoscimento delle disuguaglianze internazionali e della strategia, della diplomazia e della guerra come componenti integranti di un mercato mondiale capitalista in espansione (Russia, India, Cina, Stati Uniti, Impero ottomano) ha generato, dice Teschke, solamente una serie di parziali ripensamenti che non hanno comportato una revisione consapevole del concetto marxiano di storia che tenesse in conto il rapporto tra formazione del mercato mondiale, conflitto di classe, Stati, rivoluzione e geopolitica.

Insomma, dice, piuttosto che assumere un mondo intrametterne determinato dall’economia e dalla lotta di classe, così come voleva la Vecchia Sinistra, bisogna riconoscere alla base dei cambiamenti storici processi pre-capitalistici ben determinati, guidati da conflitti sociali specifici, che hanno plasmato nel tempo un pluri-verso territoriale inter-statale all’interno del quale il capitalismo si è sviluppato ex post factum.

L’economia, dice, non è il motore in ultima istanza della storia. Bisogna ri-articolare la struttura analitica del marxismo, ponendo l'economico sullo stesso piano delle relazioni di politica estera e di diplomazia.

Il tema del saggio di Isabelle Garo è Marx e Arte. Noto che Garo è una delle poche che non ha scritto il suo saggio in Inglese, e che non insegna in una università anglofona, come quasi tutti gli altri autori.

Detto ciò, anche Garo razzola sullo stesso terreno dei dimenticati. Infatti colloca il tema dell’arte nello stesso contesto teorico in cui i movimenti dimenticati hanno, perlopiù, posto i loro temi.

In particolare, Garo dice che l’arte può rappresentare un modello (non utopico) per la società futura.

E lo può fare in quanto l’arte è libera da qualsiasi comando politico riguardante il suo contenuto o le sue attività.

L’unico scopo dell’attività artistica, dice, sta proprio nel suo non essere asservita e nel sapere come rimanere tale. Attraverso il richiamo dell’arte alle facoltà sensoriali, attraverso il puro piacere dell’occhio e dell’orecchio, che forniscono le radici materiali allo sviluppo dell’individualità, l’arte rappresenta già un altro mondo possibile. In quanto l’arte si auto-concepisce in analogia con il gioco e il sogno, con il recupero dell’infanzia, con la liberazione del tempo in contrasto con il «furto del tempo umano» che rappresentava l’essenza del capitalismo, essa è già di fatto oltre il capitalismo.

Alla stessa stregua del Geopolitico l’Arte si pone aldiqua dell’economico e dell'economico in ultima istanza. Sia il Geopolitico, sia l’Arte (come il sesso, il femminismo e l’etnia) rivendicano per sé un’istanza assoluta, dunque un’istanza non determinata da altro che da se stessa.

Ora, non c’è spazio qui per mostrare che ogni posizione è negazione, e che pertanto sia l'arte, sia la geopolitica (il sesso, il gender, etc), non possono rivendicare per sé ciò che negano all’economico.

In questi due saggi è evidente quell’atteggiamento decostruttivo presente nella Nuova Sinistra emersa in seguito alla delusione per il fallimento del comunismo reale.

Il marxismo tradizionale, dice Wallerstein, cominciò a essere rifiutato da molti movimenti e partiti della Nuova Sinistra, giacché si riteneva che il marxismo coincidesse con la versione di Engels – quindi, con i temi dell’economicismo e dello statalismo. Questo rifiuto, dice, assunse forme diverse. Una fu l’«aggiunta» di nuove tematiche a quelle marxiste classiche – ad esempio, si affiancarono considerazioni di tipo femminista, ecologista o legate alla legittimazione di nuove forme di sessualità. Un’altra forma, quella del postmodernismo, fu più radicale: economicismo e statalismo erano metanarrazioni e tutte le metanarrazioni erano da rigettare in nome della molteplicità delle interpretazioni differenti che si potevano dare della realtà.

Entrambi i tipi di rifiuto trovarono espressione organizzativa nei movimenti dei «dimenticati»: donne, minoranze, minoranze sessuali.

A partire dalla fine degli anni Ottanta – questo lo aggiungo io – i temi della Nuova Sinistra, che avevano contribuito a decostruire le Grandi narrazioni, e che avevano prodotto quel pluri-verso senza capo né coda, frutto di narrazioni senza sostegno della verità, dunque il femminismo, la differenza, il sesso e il genere, il terzomondismo, l’ecologismo, etc, esaurirono la loro carica di contestazione e emancipazione. Di fronte alle sproporzioni tra i compensi dei lavoratori comuni e quelle di alcuni “colletti bianchi” (CEO, Manager, Sportivi, Inventori, Cantanti, Calciatori, Star, Tecnici, Programmatori, etc) i temi dei «movimenti dimenticati» non erano in grado di dare risposta. Si riproponeva la questione dello sfruttamento economico, dell’espropriazione dei lavoratori, della teoria del valore e del plusvalore.

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