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controanalisi

Non importa vincere ma serve un partito

di Francesco Erspamer

La disastrosa sconfitta dei laburisti in una loro roccaforte storica, Hartlepool, una piccola città industriale nel nord dell’Inghilterra, ha finalmente provocato qualche reazione di sinistra in una sinistra ormai troppo politicamente corretta sia per fare politica (la politica non può essere “corretta”) sia per capire i lavoratori e la classe media. Ecco cosa ha scritto un deputato di un’altra città industriale, Birmingham: “Negli ultimi dieci anni i laburisti hanno perso il contatto con gli inglesi ordinari. La borghesia londinese, sostenuta sui social da legioni di woke, ha conquistato il partito. Hanno buone intenzioni ma le loro politiche, ossessionate dall’identità, dalla divisione e dall’utopismo tecnologico, hanno più a che vedere con l’alta società californiana che con la gente che ha votato a Hartlepool”.

L’unica cosa su cui sono in disaccordo sono le buone intenzioni attribuite ai liberal e ai woke.

Non penso che siano degli ingenui: penso che siano dei liberisti, che pongono la libertà individuale al di sopra dell’eguaglianza economica e della solidarietà sociale e che coerentemente mirano alla dissoluzione degli Stati, dei sistemi pubblici e delle comunità territoriali a vantaggio dei privati, delle multinazionali, dei club trasversali a cui ci si aggrega per affinità di consumi (quelli a cui piacciono le armi, i patiti delle nuove tecnologie, i forzati della movida, i profeti dell’accoglienza indiscriminata, ecc., e quelli che sono contro).

In Italia, per fortuna, il golpe effettuato nei primi anni novanta da radicali e democristiani con l’introduzione di una legge elettorale incostituzionale che ci costringeva a un bipolarismo all’inglese e all’americana, è in parte fallito. Un numero più alto di partiti è un ostacolo all’egemonia, all’interno dei due partiti dominanti, delle fazioni meglio finanziate (entrambe dunque liberiste in quanto i soldi ce li hanno solo le lobby delle grandi corporation: ricordate? Berlusconi contro Prodi, capirete la differenza! e poi Berlusconi contro Renzi!): per cui oggi in Italia, contrariamente a Stati Uniti e Regno Unito, i radical chic alla Delrio o Boldrini non tengono in ostaggio tutta la sinistra ma solo il Pd e i suoi insignificanti cespuglietti, e di conseguenza la destra deve a sua volta restare divisa, con Meloni a far finta di essere fascista ogni volta che Salvini si scorda di far finta di essere nazionalista e rivela il suo iperliberismo. I continui, scomposti attacchi dell’intero apparato mediatico contro il M5S sono stati principalmente dovuti al fatto che la sua presenza impediva il giochino della democrazia a due.

Peccato che Di Maio e Grillo alla fine si siano arresi; inevitabile forse, vista la deliberata astrattezza tecnologica del loro movimento e il rifiuto di consolidarsi territorialmente e di definire il proprio elettorato. Ma dalle ceneri del M5S (o meglio: di quel M5S) deve nascere un partito nuovo, di massa e territoriale (se non è di massa e non è territoriale è inutile), che benché minoritario blocchi di nuovo, con la sua sola esistenza, la normalizzazione liberista della politica italiana. Davvero i milioni di italiani che preferiscono un efficiente apparato pubblico alle bugiarde promesse delle multinazionali private, i milioni che si sentono italiani e danno valore alle loro tradizioni e al loro patrimonio storico e culturale, i milioni che credono che l’eguaglianza economica sia la condizione di qualsiasi altra conquista civile, davvero questa massa dovrà restare senza rappresentanza e costretta a scegliere fra l’americanismo trumpista della finta destra e l’americanismo liberal della finta sinistra?

Ripeto, non si tratta di conquistare immediatamente il potere e la maggioranza: si tratta di costringere i liberisti a gettare le maschere, rivelarsi identici e coalizzarsi (come hanno fatto con il governo Draghi); si tratta di offrire al popolo un’alternativa organizzata e ideologicamente solida e di approfittare del momento (purtroppo arriverà) in cui i liberisti falliranno catastroficamente. Ha detto un altro deputato laburista, Jon Cruddas, in una presentazione del suo recentissimo libro The Dignity of Labor: “I partiti non sono solo macchine per catturare voti e flussi demografici. Sono costruiti a partire da idee, tradizioni e ricordi e parlano a nome di alcune comunità”. C’è in Italia chi voglia (Conte?) costruire un partito di questo tipo? Non per vincere: i partiti costruiti per vincere sono tutti liberisti e non possono essere altro. Piuttosto per dare un punto di riferimento a chi altrimenti verrebbe dimenticato o lasciato da parte; per ricostruire pian piano una coscienza nazionale e popolare; per mettere in conto ai ricchi e ai loro servi i crimini e i soprusi che stanno commettendo e commetteranno: in modo che quando infine cadranno non la facciano franca e paghino tutto.

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