Print Friendly, PDF & Email

paneerose

Considerazioni attorno al libro "Economia della rivoluzione"

di Nicolai Caiazza

Raccontare la storia considerando gli avvenimenti immersi nelle condizioni dell’epoca

“Economia della rivoluzione” è il titolo di un volume pubblicato nel 2017 a cura di Vladimiro Giacchè ed è costituito da una selezione di interventi di Lenin in materia economica oltre a una introduzione dello stesso Giacchè.

Il momento cruciale della politica della rivoluzione russa ebbe luogo dopo il fallimento della prima fase della rivoluzione conosciuto come il “comunismo di guerra”, allorquando il partito comunista dovette cambiare corso, riconoscendo i propri errori come espresso da Lenin stesso.

“Se avete presente le dichiarazioni...che il nostro partito ha fatto dalla fine del 1917 all’inizio del 1918 vedrete che anche allora noi pensavamo che lo sviluppo della rivoluzione, lo sviluppo della lotta, avrebbe potuto seguire sia un cammino breve sia un cammino lungo e difficile. Ma nella valutazione del possibile sviluppo la maggior parte di noi...muoveva dal presupposto, forse non sempre apertamente espresso, ma sempre tacitamente sottinteso, che si sarebbe passati direttamente alla edificazione del socialismo.”

Nello scontro con la realtà immediata fu necessario prendere misure tali che potessero risolvere il problema della nutrizione della popolazione e al contempo compensare i contadini con prodotti industriali. Ma il punto era che proprio la produzione industriale era arretrata e insufficiente e ciò non solo come conseguenza della guerra civile. Le misure di prelevamento forzoso del grano si scontrarono con la realtà contadina.

“Quando diciamo: non bisogna fondare i rapporti con i contadini sui prelevamenti ma sull’imposta, qual è l’elemento economico determinante di questa politica? E’che con i prelevamenti le piccole aziende contadine non hanno una normale base economica e sono condannate a restare un peso morto per lunghi anni; la piccola azienda non può esistere e svilupparsi perchè il piccolo coltivatore non ha più interesse a consolidare e sviluppare la sua attività e ad aumentare la quantità di prodotti e noi ci troviamo quindi privi di una base economica.”

L’imperativo era dunque sviluppare l’economia partendo però da una base di arretratezza. La produttività del lavoro non era nemmeno lontanamente comparabile con quella dei paesi capitalisti europei. La causa era l’arretratezza dell’industria ma anche il basso livello tecnico dei lavoratori.

Superare dunque l’arretratezza dell’industria e dell’organizzazione della produzione era condizione indispensabile per potere non solo avanzare ma anche semplicemente sopravvivere. Come dunque sviluppare la produzione industriale partendo partendo da una condizione di grande svantaggio? La soluzione stava nel seguire l’esempio dell’organizzazione borghese:

“Ora in tutti i settori della vita economica e politica un grandissimo numero di intellettuali borghesi e di specialisti dell’economia capitalistica offrono i loro servizi al potere sovietico...Per mostrare quanto sia necessario al potere sovietico avvalersi dei servizi degli intellettuali borghesi proprio per il passaggio al socialismo, ci permetteremo di usare una espressione che a prima vista sembrerà un paradosso: bisogna imparare il socialismo in larga misura dai dirigenti dei trust, bisogna imparare il socialismo dai massimi organizzatori del capitalismo.”

Imparare da essi però non avrebbe dovuto comportare un retrocessione politica alla situazione precedente la rivoluzione. Come maneggiare dunque questi intellettuali, era un compito non facile. Lenin propose a questo proposito che

“I vecchi capitani d’industria, i vecchi capi e sfruttatori, devono avere il posto di periti, tecnici, consulenti, consiglieri. Bisogna assolvere il compito difficile e nuovo, ma estremamente utile, di unire tutta l’esperienza e il sapere accumulati da questi rappresentanti delle classi sfruttatrici, all’iniziativa, all’energia, al lavoro di larghi strati delle masse lavoratrici. Poiché soltanto questa unione è in grado di creare il ponte che porta dalla vecchia società capitalistica a quella nuova, socialista.”

Il bisogno di questi tecnici per lo sviluppo dell’economia sovietica era tanto fondamentale che si era disposti a pagare loro una remunerazione anche molto più elevata di qualunque operaio specializzato russo. Appropriarsi del sapere a qualunque costo era questione di sopravvivenza. Aggiunge Lenin:

“Il grande capitalismo ha creato sistemi di organizzazione del lavoro che...erano la forma peggiore per asservire e spremere una quantità supplementare di lavoro, di forza, di sangue e di nervi dai lavoratori ad opera della minoranza delle classi abbienti, ma che sono, allo stesso tempo, l’ultima parola dell’organizzazione scientifica della produzione e che devono essere assimilati dalla Repubblica socialista sovietica, devono essere rielaborati, da una parte, per realizzare il nostro inventario e controllo della produzione e poi, per elevare la produttività del lavoro.”

Quindi Lenin si riferisce al sistema di Taylor che è allo stesso tempo sistema di sfrenato sfruttamento, ma che ha anche apportato un aumento della produttività umana, in seguito alle ricerche sullo studio dei movimenti durante la lavorazione, portando così a una organizzazione del lavoro più elevata. La produttività del lavoro era uno dei punti più deboli e arretrati nella produzione industriale russa.

La politica della Nuova Economia propugnata da Lenin si rivolgeva altresì alla necessità di approfittare dello sfruttamento delle ricchezze minerarie per soddisfare le varie voci di spesa. Ma lo sfruttamento delle miniere soffriva anch’esso dell’arretratezza dei macchinari, così come dell’organizzazione del lavoro di produzione. Per sopperire a queste mancanze era necessario aggiornare tutto il complesso organizzativo in materia sfruttamento minerario.

A questo scopo una misura fondamentale era costituita dalla pratica delle concessioni:

“Che cosa sono le concessioni nel sistema sovietico, dal punto di vista delle forme economiche e sociali e dei rapporti che tra esse intercorrono? Si tratta di un contratto, di un blocco, di un’alleanza del potere statuale sovietico, cioè proletario, col capitalismo di stato contro l’elemento piccolo proprietario (patriarcale e piccolo borghese). Il concessionario è un capitalista. Egli fa affari da capitalista per avere dei profitti: egli accetta di concludere un contratto col potere sovietico per ottenere un profitto eccezionale, maggiore del consueto...Il potere sovietico ne trae vantaggio: le forze produttive si sviluppano, la quantità di prodotti aumenta e nel termine più breve.”

Questi progetti di Lenin si scontrarono con la opposizione di quanti ritenevano tali misure un ritorno al capitalismo e un abbandono dell’obiettivo della rivoluzione di costruire il socialismo. Ma il pericolo insito nella politica delle concessioni non era estraneo a Lenin.

“In quale misura e in quale condizione le concessioni sono vantaggiose e non pericolose per noi? Ciò dipende dal rapporto di forze, ed è la lotta che lo decide, poiché anche la concessione è un aspetto della lotta, la continuazione della lotta di classe sotto un’altra forma, e non è affatto la sostituzione della lotta di classe con la pace tra le classi. I metodi di lotta ce li additerà la pratica.”

E ancora:

“La politica delle concessioni ci darà, in caso di successo, un certo numero di grandi imprese modello, se comparate alle nostre, che potranno reggere il confronto con quelle del capitalismo moderno progredito; fra qualche decina di anni queste imprese passeranno interamente a noi.”

Da notare questo “qualche decina di anni”.

In più riprese, infatti, Lenin constata che il processo della costruzione del socialismo non è questione di una generazione. Oltre al cambiamento dell’economia e del modo di produzione Lenin rileva che si è lungi dall'evoluzione dell’”uomo nuovo” socialista. Si tratta di cambiamenti che avranno bisogno di generazioni. Un punto chiaro è che la rivoluzione ha portato alla presa del potere politico. Da qui alla costruzione del socialismo, però, ci sono dei passaggi complessi e dei quali non c'è stata una previa elaborazione teorica. Sarà la pratica a suggerire le misure giuste da prendere. Ma per questo è importante che il partito comunista rimanga al potere e sia preparato a combattere il risorgere del burocratismo.

Già nel novembre 1920 Lenin osservava:

“Il potere sovietico ha il compito di distruggere interamente il vecchio apparato, come è stato distrutto in ottobre, e di conseguenza consegnare il potere ai soviet, ma noi già nel nostro programma riconosciamo che si è prodotta una rinascita del burocratismo e che le fondamenta economiche di una società realmente socialista non esistono ancora.”

Le concessioni si sarebbero sviluppate nell’ambito del capitalismo di stato. Questo, sostiene Lenin, è una nuova relazione che non era mai esistita precedentemente e sulla quale gli stessi maestri Marx e Engels, non hanno fatto cenno. Un fenomeno nuovo dunque, da affrontare con risolutezza e creatività. Lenin sottolinea la differenza tra il capitalismo di stato borghese e quello dello stato proletario. Mentre quello è dominato dalla classe borghese, il capitalismo di stato in Russia era controllato dal partito comunista.

“Il capitalismo di stato è quel capitalismo che dobbiamo circoscrivere entri i limiti determinati, cosa che finora non siamo riusciti a fare. Ecco il punto. E sta a noi decidere che cosa deve essere questo capitalismo di stato. Di potere politico ne abbiamo a sufficienza, del tutto a sufficienza, i mezzi economici a nostra disposizione sono pure sufficienti, ma l’avanguardia della classe operaia, che è stata portata in primo piano per dirigere, per stabilire i limiti, per distinguersi, per sottomettere e non essere sottomessa, non ha sufficiente abilità per farlo.”

Il nodo da sciogliere era la competizione col capitalismo. Non solo quello interno ma quello a livello mondiale. Ma per questo era necessaria preparazione:

“...incominciare a studiare dal principio. Se riconosceremo questa necessità, supereremo l’esame; e l’esame cui ci sottoporranno la crisi finanziaria incombente, il mercato russo e quello internazionale, al quale siamo legati e dal quale non possiamo staccarci, sarà molto severo, poichè qui potremo essere battuti economicamente e politicamente.”

Questa ultima considerazione sul Lenin sul confronto con il mercato mondiale “dal quale non possiamo staccarci” assume una importanza fondamentale anche osservando la situazione attuale.

Considerando il processo rivoluzionario della Cina si possono constatare infatti molte analogie con quello della rivoluzione russa. Ambedue sono partite da una situazione di arretratezza nei confronti dei paesi capitalisti dominanti e di assedio da parte dell’imperialismo mondiale. Arretratezza sia a livello di sviluppo tecnologico sia di preparazione della popolazione lavoratrice.

Il punto di Lenin: bisogna imparare dal capitalismo, assimilare e appropriarsi delle tecniche di produzione, preparare la popolazione a essere in grado di produrre come i paesi capitalisti per fare fronte così alla competizione. Ciò che Lenin aveva elaborato a proposito delle concessioni è stato ripreso dalla Cina quando fu operata l’apertura al mercato mondiale. La Cina ha permesso ai grandi produttori mondiali di intervenire e produrre non solo beni di largo consumo ma ha permesso anche l’intervento di aziende all’avanguardia mondiale in quanto a tecnologia. La scarsa preparazione dei lavoratori russi dell’epoca di Lenin è stata superata dai lavoratori cinesi a tutti i livelli. Tanto che attualmente la Cina è all’avanguardia sul livello tecnologico e si misura da pari a pari con i paesi capitalisti più avanzati. La competizione di cui parlava Lenin è ora in atto tra la Cina e il capitalismo mondiale.

Avere conquistato il potere politico, avvertiva Lenin, non significa aver instaurato il socialismo. La costruzione del socialismo è dunque un processo nel corso del quale continua la lotta di classe. Con la differenza che nello stato borghese il potere politico è nelle mani dei capitalisti mentre in uno stato socialista il potere politico è nelle mani del partito comunista. Se dunque c’è lotta di classe il risultato di questa è aperto: è un confronto e uno scontro tra due concezioni del mondo. Che ci sia un pericolo del resto è apparso evidente in Cina allorché il Partito Comunista ha ridimensionato il potere economico e finanziario di capitalisti privati che si muovevano nella direzione di assumere potere decisionale nella politica dello stato. Il fattore capitalista in Cina esiste dunque, così come è sempre esistito fin dall’epoca della vittoria maoista della rivoluzione. Allorquando il PCC prese il potere la Cina si definì Repubblica Popolare, proprio in quanto facevano parte della composizione sociale non solo contadini e operai ma anche strati di borghesia.

Come espresso da Lenin negli Scritti economici, sapientemente compilati da Vladimiro Giacchè, il potere politico non comportava ancora il potere economico; per questo fu necessario stimolare la produzione capitalista, educarsi al lavoro produttivo, apprendere le tecniche, costruire le basi sulle quali sviluppare i rapporti socialisti.

Del resto il capitalismo ha impiegato alcuni secoli per imporsi come potere egemonico. Per il socialismo un secolo è già passato, ma il cammino è aperto.

Comments

Search Reset
0
Paolo Selmi
Monday, 29 November 2021 15:23
Dopo tre righe si capiva il cui prodest di questa ennesima capriola ideologica di Giacchè senza arrivare a leggere CINA in fondo.

Peccato che il comunismo di guerra non è "fallito", ma ha semplicemente concluso dopo la guerra civile e di aggressione la sua ragione di esistere. Una NEP mentre ti prendono a cannonate quelli con cui andrai dopo ad autorizzare la "concessione" è leggermente impraticabile. Lo è divenuta dopo. Ed era "obbligata" non per i motivi elencati da Giacché.

L'arretratezza delle forze produttive c'entra fino a un certo punto. Qui si parla di costruzione socialistica di un'economia, non di comunismo. Anzi, paradossalmente una volta padroneggiati i meccanismi di pianificazione ed esecuzione del piano, il vantaggio di un'economia completamente socializzata si sarebbero visti. Il problema è che ci si arriva con la pratica a questo. Specialmente se è la prima volta nella storia dell'umanità che ci si cimenta, in questo. Specialmente se a farlo è un Paese sdraiato su oltre dieci fusi orari appena uscito da un doppio conflitto, mondiale e civile, e relative macerie. Specialmente se a farlo è un partito dove quella parola a malapena, inizialmente, è in grado di applicarla al GOELRO, ovvero a un progetto di elettrificazione nazionale, non all'economia in toto! E qui si vede la malafede... perché stimo troppo l'intelligenza di chi scrive per prendere qualche brano estrapolato dai 55 volumi della Polnoe Sobranie Sočinenii di Vladimir Il'ič e girarlo ad artem per sostenere l'insostenibile (leggerezza dell'essere...)...

"L’ eran li premi volti ca ´n saievum cuma fer"... caro Giacché. Vediamo la differenza fra il PRIMO piano quinquennale e il QUARTO, con venti milioni di morti (contadini e operai che avrebbero costituito, in tempo di pace, la maggiorparte di una forza lavoro attiva) e città e fabbriche intere rase al suolo? Coi nazisti che assicuravano il loro capo che ci sarebbero voluti VENTICINQUE anni per riprendersi?

La NEP a fine anni Venti era diventata schizofrenia allo stato puro. Come la perestrojka (lett. "ristrutturazione" di Gorbaciov). Con la differenza che Stalin non era El'cyn. E neppure Deng.

Non ci sono, nella storia, le "prove del nove". Ma ci sono momenti che consentono, né più né meno dell'attuale, di far quel che si vuole in nome di uno stato di emergenza. Anche tornare indietro senza dirlo. Vale tutto. L'URSS uscita vincitrice alla fine del II conflitto mondiale, fosse stata superiore la NEP come modo di organizzare la propria economia, avrebbe avuto tutte le attenuanti storiche e ideologiche per riproporre quel "capitalismo a libertà (sempre meno) vigilata". ma non lo ha fatto. E in due pjatiletki ha risollevato il Paese intero a un livello come e meglio di prima della guerra. Aiutando gli altri Paesi socialisti, tra cui la Cina, tenuta in piedi sia durante la Guerra civile, che dopo la fondazione della RPC, che nel corso di tutto il primo piano quinquennale (1953-7).

Prendere la situazione di oggettiva difficoltà di un movimento rivoluzionario mai entrato fino ad allora nella stanza dei bottoni, ma neanche capolino.. niente! lasciato completamente solo a sbattere la testa contro il muro, e sostenere ideologicamente e in maniera del tutto astorica la validità GENERALE della scelta da loro allora operata, per giunta per legittimare chi come i cinesi nella stanza dei bottoni ci era già stato per mezzo secolo, con inoltre i soldi a fiumi e la pappa pronta dei sovietici, è davvero triste... è voler fare i furbi sulla pelle di milioni di donne e uomini, sulle loro sconfitte ma anche sulle loro innegabili vittorie. E' revisionismo della peggior specie, perché trasforma e riscrive la storia in chiave finalistica (e opportunistica). Deve essere la moda...

Paolo Selmi
Like Like Reply | Reply with quote | Quote
0
Davide Casartelli
Tuesday, 30 November 2021 15:53
La “edificazione del socialismo”, di cui parlava Lenin, partiva indubbiamente da una produzione industriale molto arretrata. Non si poteva – per il momento, in Russia – che sviluppare una base economica che nella produttività del lavoro avesse il suo punto cardine, quindi scontrandosi con l’arretratezza dell’industria e dell’organizzazione della produzione. Ergo, Lenin si vide costretto ad avviarsi su una strada che – finché la rivoluzione non si fosse allargata al continente Europa - si proponeva di “imparare il socialismo dai massimi organizzatori del capitalismo”… Leggendo ciò che Lenin allora scriveva, vengono però i brividi, specie là dove si appella ai “vecchi capitani d’industria, vecchi capi e sfruttatori” perché diventino “consulenti e consiglieri”. Addirittura stringendosi in una unione nazionale, quella fra “rappresentanti delle classi sfruttatrici e le masse lavoratrici”. Già, Lenin parlava di “creare il ponte che porta dalla vecchia società capitalistica a quella nuova, socialista”; ma si introduceva sul pericoloso passaggio di una “organizzazione del lavoro” che portava, con forme e contenuti bestiali, ad intensificare lo sfruttamento dei lavoratori per la sopravvivenza – innanzitutto -del capitale. “Assimilandoli”, per aumentare “la produttività del lavoro” (col sistema di Taylor in primis), l’Urss adottava i sistemi di sfrenato sfruttamento che tenevano in vita il capitale.
Quanto alle concessioni, Lenin stesso ammetteva essere “un contratto, un blocco, un’alleanza del potere statuale sovietico, cioè proletario, col capitalismo di stato”: il capitale cerca profitti quanto più “eccezionali” siano, e in tale contesto l’Urss si aggrappava alla illusione di vedere sorgere – all’ombra traballante di una… edificazione del socialismo – “grandi imprese modello che potranno reggere il confronto con quelle del capitalismo moderno progredito”. Lenin giustificava questo con il passaggio (“fra qualche decina di anni”…) delle imprese al potere sovietico; ma restava il capitalismo con tutti i suoi rapporti di produzione e categorie fondamentali che lo sostengono: merce, denaro, salario, valore di scambio…
Quello che sta avvenendo oggi in Cina – e in buona parte è già avvenuto: ed ecco Pechino, in vesti “nazional-socialiste” (ma ormai anche apertamente imperialiste) che “compete” con le maggiori potenze del capitalismo globale. Ciò che conta – e la sfera finanziaria batte cassa ovunque! – è che la produzione capitalista cresca e i rapporti sociali altro non cambino se non come etichetta! E lo chiamano socialismo… - Davide
Like Like Reply | Reply with quote | Quote
0
Paolo Selmi
Wednesday, 01 December 2021 15:33
Ciao Davide,

concordo con molte delle questioni che sollevi. In particolare la critica del rapporto fra ciclo di produzione e riproduzione merce e modi e tempi del lavoro a essa necessario. In altre parole, scusami se mi autocito, ma ci ho studiato quasi un anno (solo calendariale! perché durante il giorno corro dietro ai container, è un nuovo sport...) sull'emulazione socialista: a un certo punto prendo la classe operaia va in paradiso, lo spezzone dove Volonté-ti-faccio-vedere-io "un pezzo un culo un pezzo un culo"... e l'altro dove Volonté-atto-di-dolore "cari compagni..." e ragiono sull'attualità di questo passaggio.

Questo il link "permanente" (almeno finché non scoprono che è da 10 anni che non sono più "academico"... poi boh):
https://www.academia.edu/43631379/2_2_5_Lemulazione_socialista_%D1%81%D0%BE%D1%86%D0%B8%D0%B0%D0%BB%D0%B8%D1%81%D1%82%D0%B8%D1%87%D0%B5%D1%81%D0%BA%D0%BE%D0%B5_%D1%81%D0%BE%D1%80%D0%B5%D0%B2%D0%BD%D0%BE%D0%B2%D0%B0%D0%BD%D0%B8%D0%B5_in_URSS

A mio modesto parere, occorre recuperare il Lenin storicamente esistito. Quel Lenin, se vogliamo, era anche MOLTO più grande, MOLTO più elevato, MOLTO più "all category", come indicano i francesi l'Alpe d'Huez al tour, di quello iconico che indicava (e indica tutt'ora dove non lo han tirato giù) la strada nelle piazze delle città ex-sovietiche. Un Lenin capo della rivoluzione che era capace di FINIRE IN MINORANZA in una discussione, come rilevo nel mio esame del dibattito sui sindacati subito dopo il Grande Ottobre. Un Lenin che era in grado di mettere in discussione anche sé stesso, oltre che una linea di azione... "è così perché deve essere così" non faceva parte del suo lessico politico e, prima ancora, del suo modo di ragionare. Un Lenin in carne ed ossa che vede, per questo, ancor più confermato il giudizio che ne da Majakovskij: "V ogromnyj mog, ogromnaja mysl'" (Un enorme pensiero in un enorme cervello).

E allora porca miseria come mai mi cade sul Taylor? Cazzarola! Ci sta tutto. Prima di lavorare sull'emulazione socialista, Davide, non ti avrei saputo rispondere. Ora una risposta ce l'ho. La NEP è stata necessitata da una situazione alla canna del gas. E qui si inserisce il discorso sul Taylor: Vuoi far funzionare la produzione? Questo è il modo. In altre parole, così come la macchina ha questa costruzione, ha questo funzionamento, ha questi problemi e momenti critici (cambio della spoletta, pulizia dell'estrusore, e via discorrendo), piuttosto che queste potenzialità (possibilità di lavorare su due macchine contemporaneamente)... allo stesso modo studiare come farla girare meglio non è né di destra né di sinistra, né socialista, né capitalista.
MUMENT! Anche qui, ti seguo ma fino a un certo punto. Un conto è studiare, un conto è applicare. E tutto questo lo si può applicare in modo PADRONALE, ovvero nel classico obiezione-vostro-onore
- "mi scusi, ma io impazzisco già su una macchina come posso seguirne due"
- "non me ne frega un cazzo, si fa così altrimenti quella è la porta".
E tutto questo lo si può applicare DA COMUNISTI, ovvero alla prima obiezione si risponde:
- facciamo un'assemblea di produzione e vediamo SE, COME e IN QUALI TEMPI EVENTUALMENTE farlo, cosa comporta a livello di tempi, ritmi, benefici e svantaggi nel breve e medio termine e vediamo.

Questo come primo punto. Poi c'è l'EMULAZIONE SOCIALISTA. Già con Lenin. Perché, prima ancora di trovare il modo di aumentare la produttività, occorre che sia ben chiaro a tutti, concessionari e padroni in primis, che tutto è fatto dai lavoratori per lavoratori. Che il frutto di una maggiore produttività deve andare per costruire asili, scuole, mense, ospedali, case del popolo. E se qualcosa non gira come deve SCIOPERO, nelle private, e PIANTIAMO UN CASINO CHE NON FINISCE PIU', nelle nazionalizzate (in altre parole lo sciopero in una fabbrica gestita dallo stato operaio era, di fatto e a ragione, visto come una sconfitta dello stesso, e oggetto di cazziatoni a ogni livello). E accadeva anche quello. Su questo il lavoro sui sindacati, skola kommunizma, che sto facendo ora, mi sta veramente facendo scoprire molte cose.

E veniamo al III punto. Il ruolo dei sindacati, dei profsojuz, in una fase ibrida come la NEP. non solo pungolo. non solo rompipalle, o paladini-novelli tribuni. Ma centro di aggregazione e promozione di cultura rivoluzionaria e partecipazione politica, specialmente da parte dei "NON ISCRITTI", che devono sempre più entrare nella costruzione socialistica del proprio Paese. La LEVA LENINISTA, con centinaia di migliaia di quadri giovani, senza esperienza, che si fecero le ossa proprio in quegli anni, cominciava dal sindacato.

Questo è il portato di Lenin. Il modo come ha cercato di risolvere una situazione chiaramente da canna del gas in cui si era ritrovato dopo una guerra mondiale e due anni di guerra civile che aveva portato allo stremo tutto. Persino il patto sociale tra operai e contadini che NON POTEVA andare avanti coi prelievi forzosi. Ma questo i bolscevichi lo sapevano già prima di iniziare. Ma stiamo scherzando? Qui c'è gente (oggi) che confonde volutamente stato di necessità e scelte strategiche politiche! Anche la brigata di mio nonno requisì delle mucche, quando era in collina. Cosa voleva dire? Che quello era il sol dell'avvenire che ci aspettava dopo la Liberazione? O che cazzarola o prendiamo queste mucche o l'inverno del Quarantaquattro non lo passiamo??? Lenin ebbe il coraggio, a combattimenti ancora in corso, sia pur ormai in via di risoluzione, di cambiare passo, NON APPENA POTE'. Non ci fossimo passati... capirei, ma ci siam passati anche noi! Eccome se ci siamo passati!

Cercò quindi di INGABBIARE gli elementi di capitalismo concessi per padroneggiare dinamiche di produzione industriale non ancora acquisite entro un fortissimo quadro di CONTROLLO del partito, di EMULAZIONE SOCIALISTA (quindi anche acquisizione, ma non solo, di una sempre maggiore consapevolezza operaia del proprio lavoro e del come svolgerlo, di una sempre maggiore capacità di autogestione e autorganizzazione), di ESPANSIONE del SINDACATO sin dentro i consigli di fabbrica e, non da ultimo, di PROVE TECNICHE DI PIANIFICAZIONE (il GOELRO).

Per questo, prove del nove in storia non ne esistono, ma è estremamente indicativo che l'URSS del II dopoguerra si rimise in piedi senza nessuno di quei meccanismi di cui, invece, il partito bolscevico fu costretto a servirsi. Avevano imparato come fare...

Poi andiamo incontro ad altre problematiche, relative alla pianificazione, alla gestione del valore e delle equivalenze possibili fra i diversi settori, quest'ultima peraltro FONDAMENTALE per determinare la stessa economia della pianificazione, ovvero la capacità di individuare una TRAIETTORIA di sviluppo in grado di tenere conto non solo del grado del diverso grado di sviluppo delle forze produttive, ma anche delle diverse ESIGENZE emerse nel corso di assemblee, riunioni, sondaggi, votazioni e tutto quanto possa concorrere a capire COSA COME QUANTO produrre in un regime dove il PRODUTTORE è IMMEDIATAMENTE CONSUMATORE.

Questi erano i problemi di quello che chiamavano il "socialismo maturo" (srelyj socializm). Che non erano i problemi della NEP. A cui guardavano come io guardo i compiti di mia figlia.

E vedere Giacché che cerca di dirmi che il problema della mamma dal fruttivendolo è il futuro e con la sua soluzione andiamo sulla Luna, solo per legittimare il corso attuale del capitalismo con caratteristiche cinesi, mi fa veramente una gran tristezza.

Torno a correr dietro ai container.
Grazie mille Davide del tuo commento, davvero molto stimolante. Perché è sui problemi che tu poni che noi oggi, che siamo nel 2021 e non nel 1921, davvero potremmo giocarci una transizione al socialismo. ... e poi magari tra cinquant'anni anche i nostri nipoti ci guarderanno come io guardo il problema della mamma dal fruttivendolo... che bello sarebbe!

Grazie ancora
Paolo
Like Like Reply | Reply with quote | Quote

Add comment

Submit