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decrescita

Istantanee dal 2021: Covid, Kabul e COP26

di Igor Giussani

Il mio ultimo contributo per il 2021 su DFSN intende soffermarsi brevemente su tre fatti che hanno segnato l’anno che sta volgendo al termine: la perdurante epidemia da coronavirus, la riconquista di Kabul per opera dei talebani e la conferenza sul clima COP26 di Glasgow.

 

Pandemia

L’anno scorso, di questo periodo, ci si preparava al Natale all’insegna della presunta ‘sobrietà’ a causa delle pesanti restrizioni imposte per contenere la pandemia, tuttavia si era in trepida attesa dei vaccini anti-Covid, di cui era imminente l’arrivo anche in Italia e, che nei mesi precedenti, erano stati propagandati con efficienza contro il contagio superiore al 90%, annunci a cui erano seguiti immediati rialzi in Borsa dei titoli azionari delle relative aziende produttrici.

In primavera, la politica del premier britannico Boris Johnson della ‘dose unica’ veniva sbandierata quale rimedio geniale che stava mettendo alle corde un coronavirus oramai prossimo all’estinzione: si era scontrato con la “potenza della scienza”, come diceva qualcuno, e sembrava destinato a sparire dalla cronache con la stessa rapidità con cui ci era entrato.

Sappiamo purtroppo come sono andate le cose: dalla Gran Bretagna il Coronavirus è evoluto nella più aggressiva ‘variante inglese’ poi dilagata nel resto del mondo, i vaccini preservano dalle forme più gravi della malattia ma non proteggono più radicalmente dal contagio (almeno in doppia dose, quella per cui erano stati concepiti), in generale la prospettiva del ‘liberi tutti’ (orribile espressione, per altro) si allontana sempre di più.

Oggettivamente, è un Natale molto migliore di quello scorso, ma è innegabile che il ‘miracolo’ tanto evocato (ossia il completo ritorno alla normalità) non si sia verificato. Proclami eccessivamente ottimistici hanno finito per sminuire quello che, obiettivamente, sarebbe comunque un buon risultato.

Nel frattempo, l’odio sociale montato dalla crociata ‘vax vs no vax’ continua a crescere, con proposte come quella di introdurre il super green pass nelle scuole anche per gli studenti volte a sdoganare il principio veterotestamentario secondo cui le colpe dei genitori ricadono sui figli.

Ma c’è poco da stupirsi di certe degenerazioni, se gente come Mario Monti può invocare una “informazione di guerra” basata “modalità meno democratiche nella somministrazione dell’informazione” riguardo alla pandemia senza scandalizzare minimamente i tre giornalisti progressisti che lo intervistano, per quanto normalmente pronti a bollarti come fascista per molto meno.

E tutto questo in attesa che diventi dominante la famigerata ‘variante Omicron’, quella che secondo il direttore di Repubblica Molinari stava già mietendo vittime a iosa in Europa anche quando c’era ancora un solo morto accertato in Gran Bretagna (chiamala preveggenza!).

Per quanto sia sempre pericoloso sbilanciarsi, i dati forniti dal worldmeters riguardo al paese di origine della omicron, ossia il Sud Africa, sembrano in qualche modo confortanti: a un aumento esponenziale dei casi , sta per ora corrispondendo un numero di morti decisamente più esiguo rispetto a quello segnato dalle precedenti ondate, il tutto malgrado una bassissima copertura vaccinale (appena il 26% della popolazione ha ricevuto due dosi).

Anche la direttrice del laboratorio di virologia dello Spallanzani di Roma Anna Rosa Garbuglia ha parlato di sintomi più miti con rara evoluzione in polmoniti bilaterali.

Che si tratti finalmente del primo passo in direzione della tanto agognata endemizzazione del virus? Troppo presto per dirlo. Di sicuro, finché ognuno si limiterà a curare il proprio orticello, il problema globale della pandemia sarà ben lungi dal risolversi.

Ma mentre in Occidente ci si accinge a vaccinare soggetti con bassissime possibilità di contrarre forme gravi del Covid-19 (i bambini) malgrado un vero e proprio apartheid che riguarda due terzi dell’umanità, l’ipotesi di sospendere diritti di proprietà intellettuale sui prodotti farmaceutici per arginare il Covid-19 nei paesi più poveri non è ancora all’ordine del giorno, malgrado imprese come Pfizer, BioNTech e Moderna siano arrivate a guadagnare fino a 1000 dollari al secondo grazie alla pandemia.

Evidentemente, nonostante clamore e preoccupazioni dichiarate, come diceva Flaiano la situazione rimane ancora grave ma non seria…

 

La caduta di Kabul

Tanti commentatori hanno paragonato la frettolosa e scomposta ritirata dell’esercito statunitense da Kabul del 15 agosto scorso a a quella del 30 aprile 1975 da Saigon, non senza qualche fondamento: entrambe hanno infatti segnato la fine di un’era.

Gli USA uscirono con le ossa rotte dalla palude vietnamita, eppure vent’anni dopo erano rimasti l’unica superpotenza globale, mentre il socialismo reale apparentemente uscito trionfante da quel conflitto era finito miseramente con il crollo dell’URSS e dei suoi regimi satelliti. Oggi, è invece molto difficile immaginarsi tra due decenni gli USA ugualmente in grado di rigenerarsi e mantenere un dominio sempre più scricchiolante, ampiamente eroso dall’ascesa cinese.

In realtà, in questo clima di incertezza perenne è difficile ipotizzare qualsiasi tipo di scenario futuro, almeno a livello geopolitico. La lunga stagione neoliberista sta tramontando per essere sostituita da miriadi di ideologismi post moderni spesso vaghi e contraddittori: dall’islamismo talebano che, alla maniera iraniana, vuole conciliare modernizzazione tecnica e fondamentalismo religioso, al mix di liberismo e nazionalismo di Trump e tanti gruppi sovranisti, al neokeynesismo padronale alla Draghi, alla ‘nuova sinistra’ costretta a reiventarsi continuamente inseguendo nuovi vessilli per ritrovare un’anima da tempo smarrita; per non parlare del fascino esercitato su molti dalle soluzioni in salsa autoritaria russe e cinesi.

Chi come me ha sempre avversato la globalizzazione neoliberista e l’imperialismo statunitense, di cui l’invasione dell’Afghanistan del 2001 è stata una delle manifestazioni più evidenti, non può non apprezzare il declino di entrambi. Ma non può neppure fingere di non vedere i fenomeni sinistri che li stanno rimpiazzando e meno che mai gioirne.

 

La COP26 di Glasgow

La tragicommedia della Conferenza sul clima COP26 di Glasgow, dove si è assunto il solenne impegno di contenere l’aumento della temperatura media della Terra entro 1,5°C rispetto all’era industriale quando questo traguardo è, con ogni probabilità, oramai impossibile anche sul piano teorico, parla da sola e non ci sarebbe quindi granché da commentare.

Luigi Campanella ci ha provato su La chimica e la società, in questa sede mi limito solo a qualche piccola personale suggestione sulle ragioni per cui questi eventi che si preannunciano epocali riescono immancabilmente a partorire (nella migliore delle ipotesi) qualcosa più di niente.

  • Si ragiona come se le nazioni fossero autarchiche, mentre l’economia mondiale è globalizzata, cosicché alcuni paesi sono assurti a mainifattura del pianeta (Cina in testa) accollandosi anche le emissioni di chi ha delocalizzato là le sue attività più impattanti. Pertanto, troppi buoi danno del cornuto all’asino.
  • Si parla astrattamente di limitare le emissioni, mentre sarebbe molto più concreto (sicuramente molto meno gattopardesco) imporsi autolimitazioni condivise dei consumi.
  • La lotta alla povertà viene usata come freno per intervenire sul problema climatico, eppure la ricchezza, individuale e collettiva, non viene mai messa in discussione.
  • Sovrappopolazione questa sconosciuta.
  • Si straparla di transizione illudendosi in realtà che il mondo post fossili sia identico a quello attuale, facendo affidamento sulle tecnologie ‘carbon free’ (rinnovabili e nucleare) le quali sono nate e si sono sviluppate in un mondo egemonizzato da petrolio, gas e carbone usufruendo del loro prezioso fattivo contributo.

Arrivederci al 2022…

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